mercoledì 25 maggio 2011

Non proprio un fenicottero

Chi è la persona più disgustosa del pianeta?

Diviiiine… rispondono in coro i fan.

In effetti il programma politico dell’ obeso travestito promette bene: condonare tutti gli omicidi di primo grado, uccidere chi vi si oppone, perorare la causa del cannibalismo, decretare l’ incesto obbligatorio e mangiare merda.

Le premesse ci sono: il disgusto è la sua politica, il disgusto la sua vita.

Ma ora il primato della divina vacilla, i coniugi Marble vogliono soffiarle la palma cercando di realizzare un progetto semplice quanto ripugnante: rapire delle autostoppiste hippies, farle stuprare dal loro servo sifilitico, confinarle in cantina e vendere i bambini a coppie lesbiche. E la cosa sembra funzionare, già diversi adorabili paffutelli sono finiti in mani poco raccomandabili venduti a caro prezzo: il crimine si autofinanzia. [… successivamente sarà la nostra eroina a liberare le autostoppiste che furiose come baccanti evireranno il servo…]

Il guanto di sfida è lanciato sotto forma di “stronzo umano”: è infatti il regalino che la coppia recapita via posta alla drag queen in occasione del suo compleanno.

Offesa mortale.

La competizione (gli americani ce la mettono ovunque) puo’ partire. La stampa scandalistica è mobilitata per questo incontro al vertice.

Seguendo Divine partiamo anche noi per un viaggio alla scoperta della “demenza”.

fenicotteri

La demenza è come una coltellata: il fendente doveva colpire di taglio e invece colpisce di piatto. Doveva uccidere e invece si limita ad ammaccarci facendoci ritrarre inorriditi.

Ci si offre lo spettacolo di un progetto criminale fallito. Il fallimento deve essere ridicolo almeno quanto il progetto turpe. Una forma del ridicolo che non possiamo scrollarci di dosso con una risata, qualcosa che ci resta addosso come una zecca infastidendoci per il resto della giornata.

L’ aurea del “fallimento” avvolge le gesta degli eroi dementi; si accontentano di qualcosa che a noi sfugge, o che per lo meno ci sembra poco: con loro sulla scena tutto si fa sciatto, fuori fuoco… la trama sfilacciata, la bella musica sprecata per commentare immagini statiche (titoli di testa), la sceneggiatura scadente, la recitazione dilettantesca (si strabuzzano gli occhi manco fosse un film muto, vedi la scena del “culo parlante”). L’ imperizia e la trascuratezza (Massey si presenta senza parrucca) sono i dioscuri che vegliano sull’ opera mal concepita e realizzata frettolosamente.

E’ una violenza superficiale, mira al vomito, non alle turbe.

Ad intristire chi viene a contatto con il demenziale non è il livello delle bassezze raggiunte, bensì lo spettacolo di tanta energia dissipata.

Lo spreco del fuori-misura, del mal calibrato ci fa stringere il cuore.

Quel turbamento profondo che gli aggressori non sono riusciti a darci, ci raggiunge osservando questa entropia. L’ esagerazione diventa l’ unico metro, nell’ esagerazione il genio prima si diluisce e poi scompare. Tutto è occultato dall’ orrido corpaccione della protagonista.

Lot-19---Jean-Dubuffet

Il film è zeppo di battute che non fanno avanzare la storia, uno strano miscuglio tra Beckett e pornografia. Sketch improvvisati lì per lì minano la compattezza e rendono la vicenda sempre più sincopata e contorta. Non sappiamo decidere se Divine assomiglia più a Sbirulino o a Manson.

E non cascateci se qualcuno al Manifesto vi vende tutto cio’ facendolo passare per un attacco al mondo borghese. Quasi che Divine fosse un “divin marchese” De Sade che con le sue orge iper programmate preannuncia l’ avvento di una nuova ragione.

Il “mondo borghese” in realtà gongola se in scena si esibisce l’ assoluta cecità delle alternative.

A scandalizzarsi, più che il borghese, è l’ animalista che vede sopprimere un pollo in scena nel corso di un animato rapporto sessuale in cui è coinvolto con due umani (Waters si giustificherà: lo abbiamo mangiato la sera stessa con la troupe). E’ il militante anti-omofobia che vede l’ adozione lesbica trattata, in termini di disgusto, al pari dello stupro.

***

Divine è una farfallina colorata (l’ ombretto fuori misura a far da ala): come le farfalle ama posarsi vanitosamente sul letame per far spiccare i suoi colori, come le farfalle conduce una vita che puo’ essere condotta solo per un giorno.

Solo chi desidera vivere un giorno è pregato di seguirla.

L’ allegra “trasvalutazione di tutti i valori” di cui si fa artefice non risparmia nulla puntando diretta al grado zero dell’ anarchia. E’ pantagruelica, coprolalica, non ha niente di metodico, niente di destinato a stare in piedi.

Eppure sentiamo che si difende e combatte contro il cattivo delle fiabe. In questo panorama appiattente, come fanno ad esserci ancora dei cattivi cattivissimi come i Marble?

Di primo acchito direi che la loro disgustosa azione è dettata dall’ invidia e dalla voglia di prevalere, non dalla gioia del repellente in sé per sé.

Ma anche Divine è invidiosa. E allora?

Solo una fede acritica ci leva dalle ambasce, e Divine punta senza mezzi termini su quello parlando chiaramente in conferenza stampa: “io sono Dio e il suo profeta contemporaneamente”. All’ orda è sufficiente, chi contrasta il dio si trasforma nel male, per definizione.

La sfida con i Marble – naturalmente - sarà vinta dall’ eroina: dopo un processo farsa sparerà a bruciapelo in testa alla coppia eseguendo la condanna fra crasse risate e sotto un’ eccitante pioggia di sangue. Seguirà conferenza stampa; poi festa con tutti i fricchettoni dei dintorni. Il chiasso farà intervenire una volante affinché si abbassino i toni, ma l’ equipaggio sarà colpito, ucciso e mangiato crudo. Al capo tribù Divine l’ onore di succhiare le pupille del sergente. Poi, dopo aver ammortizzato i capricci del figlio con una fellatio, Divine suggella la giornata con l’ impresa passata alla storia del cinema: trattenendo i conati ingurgiterà gli escrementi appena prodotti da un barboncino (tutto vero!).

Bene, adesso direi che ne sapete abbastanza per decidere se lanciare il video. 

 

John Waters – Pink Flamingos

martedì 24 maggio 2011

Una risonanza non si nega a nessuno.

Mi sono occupato di una paziente di 23 anni che aveva sofferto per lunghi mesi di dolori alla schiena prima che un neurologo le prescrivesse una risonanza magnetica, aspettandosi un' ernia al disco. Ho trovato invece un cancro alle ovaie espanso fino alla spina dorsale... La paziente, sottoposta ad un impegnativo intervento chirurgico e ad una massiccia chemioterapia, è stata curata dalla provvidenza...

Dr. Mark Siegel
Per capire cosa sia la Sanità oggi bisogna innanzitutto ficcarsi in testa questo concetto: praticamente tutti gli esami medici esistenti potrebbero essere in qualche modo decisivi per curarvi, anche se quasi sicuramente saranno inutili. Lo stesso dicasi per la consultazione degli specialisti.

Aggiungo solo che sia gli esami che i servizi resi dallo specialista hanno costi elevati… di più!

Tutto cio' è un portato dell' abbondanza: ieri non esistevano queste possibilità e non esistevano quindi nemmeno tutti i problemi connessi all' abbondanza.

Una volta il mondo era più semplice: per le infezioni c' erano gli antibiotici, per le malattie più gravi le vaccinazioni. Il resto non era granché e si poteva anche crepare in pace.

Visto come stanno le cose, la cura si trasforma puntualmente in un inferno per il budget di chi si affida al principio di precauzione, e in campo sanitario il bias della precauzione è diffusissimo. Se poi, come dice Hanson, la spesa sanitaria è diventata essenzialmente "segnale del prendersi cura”, il baratro finanziario è dietro l’ angolo!

Fare o non fare un esame?
La razionalità imporrebbe calcoli astrusi e innaturali (alberi di probabilità, indicizzazioni, formule di bayes…). Meglio allora lasciarla perdere ed affidarsi al principio di precauzione. Così ragionano un po’ tutti in questo ambito.

Se nel 2011 dite ad un medico: "questo è il tuo paziente, sta male, esegui la diagnosi e la terapia che ritieni più opportune", lui sarà facilmente in grado di giustificare la spesa di un’ autentica fortuna, e lo farà senza indugio, specie se lo minacciate con possibili denunce qualora fallisca nell' intento.

L' abbondanza ci ha messo in crisi, siamo all' angolo.

Tutto sommato l' Europa riesce ancora a porre un freno a questa deriva poiché l' accesso alle cure e agli esami non è libero ma razionato tramite l' intermediazione del medico. Un noto primario ebbe a dire in un' eloquente intervista: "il governo ci dica qual è il budget e noi medici ci adegueremo". Parole sante che spiegano bene come funziona da noi. Il medico è un sacerdote intermediario riconosciuto dal Potere che somministra la “credenza” e controlla il popolo dei malati.

Anche i "segnalatori" più indefessi si tranquillizzano se il loro "medico di fiducia" non ordina certi esami.
Skeletor_rootcanal

Ma gli USA, essendo un paese libero, hanno un accesso libero alle cure: paga l' assicurazione.

E si capisce allora come la spesa sanitaria sia esplosa: quando tizio si ammala si presenta dal medico e chiede di essere curato, poiché il conto verrà saldato dall' assicurazione, il medico si sbizzarrisce, le uniche statistiche che avrà in testa sono quelle relative alle denunce di malpractice.

Cresce la spesa, cresce il costo dell' assicurazione, crescono i non assicurati.

D' altra parte, che gli americani godano di maggiori cure mediche non è poi così evidente. Al margine il miglioramento in termini di salute (e minor sofferenza) è minimo. Gran parte della spesa serve a “segnalare il prendersi cura”. Il colpo di grazia, poi, lo dà uno stile di vita insalubre. L’ osservatore dei dati resta confuso e pensa ad una cattiva organizzazione del sistema, non parliamo poi dell’ osservatore “ideologizzato”.
Eppure, la maggiore quantità e qualità dell' offerta sanitaria d' oltreoceano sembra un dato ormai acclarato.

Per carità, una domanda così forte di "salute" ha anche aspetti positivi: gran parte dell' innovazione nel settore si finanzia ormai quasi esclusivamente su quel libero mercato, l' unico nel mondo che tiri veramente. Noi europei in questo siamo free rider che campano da decenni importando i frutti del dinamismo yankee in campo sanitario.

Al mercato non si puo' rinunciare, pena l' immobilismo.

Come rimediare?

Fare in modo che il malato paghi anche di tasca sua: alzare la franchigia assicurativa lasciando che le compagnie si occupino solo di eventi catastrofici (sopra i 30.000 euro?). Insomma, trasformare la "copertura dei costi sanitari" - ora incentivata in vari modi - in una vera "assicurazione sanitaria".
***

Ottima lettura il libro scritto sul tema da Arnold Kling: crisi d' abbondanza. Fa il punto con chiarezza su cos’ è e come funziona la sanità oggi nel mondo. Per chi invece vuole trepidare ed indignarsi anziché capire, non resta che stare al palo dell’ aneddotica scandalista in stile Gabanelli/Lucarelli. Con tutti i fari puntati sulla scena del delitto.

lunedì 23 maggio 2011

Libertarianism A-Z: democrazia

Molti antepongono il valore della democrazia a quello del capitalismo pensando che la vera origine della nostra ricchezza sia lì: sbagliato, la relazione andrebbe capovolta.

E per capirlo basterebbe porre mente alle molte politiche sbagliate implementate dalle democrazie. Per politiche sbagliate intendo le politiche che impoveriscono la comunità colpendo proprietà privata e rule of law: protezionismo, industria di stato, politicizzazione dei sindacati, iper-regolamentazione…

L’ accumulazione di ricchezza privata e un solido ceto medio è il miglior baluardo contro forme oppressive di governo. Conosciamo troppi paesi che nessuno considererebbe liberi dove si vota regolarmente.

L’ invenzione dell’ odio e dell’ amore

I normali problemi che presenta a tutti la vita dell’ uomo medio sembra fossero insormontabili per Henry Treadwell, cosicché decise di cercarne di più difficili conducendo una vita estrema, da super eroe.

E’ un tipico modo per mascherare la propria inettitudine: si alza l’ asticella per fallire gloriosamente quando si presente un fallimento con ignominia.

Le sue vacanze erano al contempo noiose ed eccitanti: noiose perché sempre nello stesso posto, eccitanti perché questo posto erano le penisole dell’ Alaska, paradiso del feroce orso Grizzly.

Il regolamento parla chiaro: distanza di minimo 100 metri dalle terrificanti creature. Henry Treadwell, telecamerina in spalla, invece sgrullava loro il capoccione. Ci si sedeva sopra quasi fossero poltrone. Faceva così il fuorilegge e ne andava fiero.

GREAZZLY  BEAR BEAN BAG

Le fidanzate lo mollavano puntualmente, se per eccesso di eccitazione o per eccesso di noia non lo so.

Treadwell si sentiva chiamato a salvare questi bestioni dalle minacce incombenti. Il suo era un trasporto mistico, si sentiva “chiamato” a farlo, una voce aveva detto: “tocca a te!”, si sentiva in missione per conto di Dio e pronto a sacrificare tutto.

Senonché non incombeva proprio nessuna minaccia: gli orsi proliferavano iper protetti in una riserva naturalistica.

Cio’ non diminuiva la sua dedizione, anzi, questi intoppi di logica elementare rinfocolavano la fantasia favorendo i voli pindarici. Ora si vedeva come un samurai intento a resistere, e dovendo inventarsi un nemico esagerò: l’ Uomo. Sì, l’ uomo, l’ emancipazione dall’ umanità intera divenne la sua meta. La “civiltà” andava combattuta a partire da quei figli di puttana dei guardia-parco.

Fece una fine tragica: il pilota dell’ aereo che doveva recuperarlo al termine della tredicesima estate non sentì i consueti schiamazzi dell’ istrione. Trovò invece un Grizzly che rovistava in una gabbia toracica umana. La testa, con un sorrisino sulle labbra, era in cima alla collina, il braccio con l’ orologio funzionante sul sentiero, i vestiti e il resto delle membra nello stomaco dell’ esemplare che venne successivamente abbattuto e squartato.

Il martirio da sempre cercato si era compiuto: mangiato dagli orsi. Finalmente con loro, per sempre. Già in passato lo si era sentito affermare che “solo con la morte avrebbe potuto cambiare le cose”.

Come ogni mistico, Henry non si limitava ad “amare” gli orsi, voleva entrare in comunione con loro, voleva essere uno di loro. Era una sua fissa e lo ripeteva sempre.

Come ogni mistico, Treadwell aveva un’ inclinazione caotica, le fidanzate al suo fianco servivano ad “ordinare” le sue euforie.

Amy fu l’ ultima, morì con lui, la possiamo sentire nell’ audio della tragedia (la telecamera ha il tappo): Henry, già mezzo mangiato, le dice di andarsene e mettersi in salvo, lei invece si attarda fatalmente con inutili padellate sulla testa del mostro.

I suoi amici – invasati quanto lui – dicono che l’ orso che gli fece la pelle era un infame che a lui neanche piaceva.

Ma le parole più convincenti le ho sentite pronunciare dagli abitanti del villaggio alaskano più prossimo ai recessi frequentati da Treatwell. Parlo del “baffo” e del reggente il museo, entrambi esprimono lo stesso concetto con sfumature un po’ diverse.

Il primo, con la schiettezza del cowboy artico, ci dice che il biondino trattava gli orsi come fossero gente con un costume da orso. Ha resistito tanto a lungo perché gli orsi lo credevano un ritardato mentale e per un po’ hanno gradito il chiassoso spettacolino. Poi qualcuno si era stufato e l’ aveva sventrato con l’ artiglio del mignolo.

Il secondo è un eschimese scienziato ed esprime l’ opinione della comunità indigena: l’ invadenza di Treadwell non era “rispetto” verso l’ animale, tutt’ altro; lui era animato da buone intenzioni ma ha recato solo danno alla fauna selvaggia che tanto amava; da 7.000 anni noi osserviamo un confine invisibile che ci separa dagli orsi. Treadwell non l’ ha fatto e queste cose hanno un prezzo.

Non c’ è solo clownerie in questa storia. Anche molta poesia, le immagini con la volpe Spirit, per esempio. Ma c’ è soprattutto la vicenda personale di HT: gli orsi lo salvarono dall’ alcolismo motivandolo e HT, sentendo che doveva loro la vita, voleva dirlo al mondo riconsegnandola platealmente ai legittimi proprietari. Ci mise 13 anni ma alla fine ci riuscì.

Ora, io mi domando e chiedo: poteva mai una simile tempra di santo, mistico, buffone non attrarre l’ interesse di Werner Herzog?

No, infatti questo è il tributo che gli reca riutilizzando le 100 ore di filmati che HT aveva girato in una delle più profonde solitudini mai viste.

link

domenica 22 maggio 2011

Libertarianism A-Z: laicità

Un Governo laico non deve schierarsi “contro” l religioni, deve essere “neutrale” evitando di concedere privilegi.

Ma deve essere anche ben conscio che non esiste il mito della neutralità se non in forma di ulteriore religione.

Non ha senso, per esempio, richiedere una divisa al cittadino conforme alla neutralità: significherebbe propagandare una religione (laicismo) offrendo ad essa dei privilegi ingiusti.

L’ unica forma di neutralismo accettabile è il non-intervento.

Non trovate tutto cio’ molto semplice?

Di sicuro più semplice rispetto all’ ambigua formula “libera Chiesa in libero Stato”.

sabato 21 maggio 2011

Libertarianism A-Z: riciclaggio

Il riciclaggio della spazzatura passa per essere la panacea di tutti i mali. Le cose non stanno esattamente così, basta ricordare alcuni punti.

1. La tecnologia per rendere sicura una discarica è disponibile da anni.

2. Il posto per le discariche è disponibile con abbondanza e il sistema delle aste rende eque le procedure di allocazione.

3. Il riciclaggio per l’ uso che fa di sostanze chimiche non è certo a impatto zero. Non parliamo della flotta di camion che invadono le città nottetempo.

4. Il riciclaggio ha altissimi costi occulti: quelli dei privati cittadini (medici, ingegneri, professori) assunti loro malgrado come spazzini.

5. Per controllare il consumo delle risorse esistono i prezzi che funzionano molto meglio che non il “paternalismo riciclone”.

I bambini fanno bene al mondo?

I “simoniani” (da Julian Simon) rispondono di sì: più bambini, più cervelli, più idee, più ricchezza.

I “malthusiani” (dal reverendo Thomas Robert Malthus) rispondono di no: più bambini, più bocche, più povertà.

Non siamo mai stati in tanti come oggi, al mondo. E non siamo mai stati tanto bene, dal punto di vista materiale. Ma stiamo bene perché siamo tanti o siamo in tanti perché stiamo così bene?

Da natalista “simoniano” mi illudo di avere in tasca l’ arma segreta: i cervelli producono beni (le idee) che si diffondono, le bocche consumano beni (cibo) solo per saziare il pancino a cui sono collegate.

A questo punto direi che il problema è empirico: metto a disposizione un link con i link del caso.

Di sicuro, affinché l’ arma segreta “simoniana” esploda giova un ambiente adatto.

Se riusciamo a toglierli quella noia di fondo (ma che ci faccio qui?)…

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… forse domani avremo da lui splendide sinfonie godibili da miliardi di persone aggratis. O magari ci stiamo bruciando un calciatore con i fiocchi.

L’ ambiente è decisivo: scelta e passione contano. Cerchiamo di appassionarlo accostandolo alla musica in modo creativo e fruttuoso:

 

Sempre limitandomi al discorso materiale, non mi sento di biasimare la Cina per la sua politica di denatalità: faceva nascere i bambini in un ambiente sterile come la società comunista. Pochi cervelli e molte bocche: la direzione dell’ intervento è obbligatoria.

Se l’ ambiente conta, il nostro non è poi così malvagio. Da qui il mio ottimismo.

Contro il Reverendo, penso che i bambini – mediamente - abbiano da dare di più di quel che ci prendono, mi sento quindi di benedire ogni nascita anche dal punto di vista materiale.

***

C’ è poi il problema filosofico, lo cito perché parlandone ci imbattiamo nel metodo abituale impiegato per mettere in crisi l’ utilitarista.

Fu Derek Parfit, infatti, ad ideare la cosiddetta proposizione ripugnante”. Suona all’ incirca così: per ogni popolazione di uomini felici né esiste sempre una molto più estesa che l’ utilitarsta è chiamato a preferire alla prima, anche se i membri di quest’ ultima campano per misericordia.

Il numero è tutto, per l’ utilitarista. Questo è il suo inconveniente.

“Sono gli addendi che fanno la somma”, direbbe Totò.

“Il problema di chi giustifica la shoa è che i nazisti non erano abbastanza numerosi”, direbbe Robin Hanson.

L’ utilitarismo conduce dunque a soluzioni “ripugnanti”, abbandoniamolo!

***

Chiudo con un’ osservazione diffusa: sembra che nei paesi ricchi la natalità si abbassi.

E’ senz’ altro vero, ma nei paesi “ricchissimi” si alza. Anche qui bisognerebbe sostituire a “ricco” l’ espressione “ricco e stagnante”.

Detto un po’ meglio:

 Già i primi segnali della "lowest low fertility", ha spiegato recentemente Francesco Billari dell`Università Bocconi di Milano, hanno mostrato come non fossero le società leader nel progresso socioeconomico a raggiungere i livelli di natalità piubassi, come avremmo potuto pensare applicando meccanicamente la relazione «maggiore sviluppo uguale minor numero dei figli». Oggi sappiamo piuttosto che «la relazione sviluppo-natalità s`inverte a un livello elevato di sviluppo: quando le società sono molto avanzate, un maggiore sviluppo economico si accompagna a un numero di figli più elevato». Si faranno insomma sempre meno figli nelle società sviluppate e sempre più figli nelle società molto avanzate

E’ la stagnazione più che la ricchezza ad inibire la procreazione.

I ricchi diventano paurosi e i paurosi costruiscono mille pastoie all’ intraprendenza e al rischio.

E qui torniamo all’ inizio: il “natalista” è in posizione di forza finché si batte anche per avere società innovative e dinamiche (magari un po’ spericolate).

Ovvero, società libere.

venerdì 20 maggio 2011

Punti notevoli

in defense of dots  

gris

link

Tira!

Se alla radio ascolto un divertente e graffiante monologo umoristico, devo ridere?

C’ è chi propone di attendere e verificare l’ identità dell’ autore per decidere se certe battute “puo’” permettersele.

Costoro probabilmente stanno ancora discutendo se il Toto’ monarchico e reazionario sia da sdoganare.

Se leggo una splendida opera letteraria contenente entusiasmi a dir poco ambigui, dovrei forse trattenere la mia ammirazione per la bellezza in cui mi sono imbattuto?

Secondo gli stessi di cui sopra sì: è più cauto risalire all’ autore e alla sua biografia ideologica. Céline a Majakovskij meglio lasciarli a bagno maria.

Se mi capita sotto mano una ricerca scientifica con conclusioni imbarazzanti, dovrei forse dimenticarmela rinunciando a verificare se l’ attendibilità della stessa sia per lo meno pari alle ricerche in cui cullo le mie sicurezze?

Certo! dicono di fatto alcuni senza osare dirlo esplicitamente: è prioritario giudicarne la provenienza.

E qui risparmiatemi la lista degli autori “accantonati” e non letti.

Questi “attendisti” un po’ assurdi sono i “politicizzatori del reale”; per loro la politica e l’ ideologia vengono prima di tutto il resto.

Non sorprende che ad uno scarso senso dell’ umorismo abbinino uno scarso senso della bellezza e, nella ricerca, un’ onestà intellettuale altalenante.

Per loro il mondo è un tiro alla fune, ognuno ha in mano la sua corda e un solo imperativo: tirare.

Meditazione libertaria sul Vangelo del 15.5.2011

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai farisei: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario (*) – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio.

Vangelo secondo Giovanni 10, 11-18


Cura, dedizione, sacrificio… tutto origina dalla proprietà.

Il Signore ci ama perché gli apparteniamo.

Justin Lee Williams

(*) mercenario = stipendiato

Meditazioni libertarie su L’ Amaca del 17.5.2011

Avere rivolto una falsa accusa al suo avversario gioverà o non gioverà alla campagna elettorale di Letizia Moratti? A Milano non si discute d' altro; e il solo fatto che se ne discuta è un indizio tremendo sullo stato della nostra civiltà politica. Un' accusa falsa dovrebbe infatti ritorcersi contro chi la rivolge, almeno in teoria. Se qualcuno dubita di questa logica consequenzialità tra causa ed effetto, è per due ragioni. La prima: è probabile che una parte non piccola degli elettori non sia informata dell' infondatezza dell' accusa. La seconda (ben più grave): è probabile che molti elettori di centrodestra, anche se informati dell' infondatezza dell' accusa, la considerino comunque calzante ai loro pregiudizi su Pisapia,e dunque veraa prescindere. In altre parole, nell' elettorato sedicente moderato, l' odio per "la sinistra" sarebbe così radicato da considerare un dettaglio trascurabile il fatto che Pisapia fosse colpevole o innocente. L' immagine di Pisapia "estremista e amico dei terroristi" serve a milioni di elettori per evitare di fare i conti con la realtà, con la politica, con il giudizio che si è chiamati a dare sul governo di Milano. Berlusconi - che conosce bene il suo elettorato - è sicuro che la sortita di Moratti sia stata vincente. È sicuro, cioè, dell' efficacia della menzogna presso moltissimi italiani. Se ha ragione, vuol dire che ci siamo giocati, come italiani (anche di destra) non questao quella elezione, ma la realtà.

L’ amaca - MICHELE SERRA

Gli “altri”: o ignoranti o obnubilati dall’ odio, dunque. Non poteva essere altrimenti. 

La battaglia elettorale non risparmia colpi.

oxf

Dopo aver letto la sarcastica omelia si potrebbe parafrasare dicendo che “è un indizio tremendo per la salute di una civiltà leggere giornali che formulano solo le ipotesi funzionali all’ insulto che hanno sempre in canna, tralasciando del tutto quelle più logiche”!

Spero sia pleonastico accennare alla terza ipotesi, quella più plausibile e debitamente occultata poiché poco idonea allo scherno dell’ avversario: uno mette sulla bilancia i pro e i contro e decide.

Decide, anche se nessuno dei due piatti risulta sgombro. E’ sempre così nella vita.

Notare poi la finezza con cui la falsità dell’ espressione “Pisapia ladro di macchine” piano piano viene trasferita sull’ espressione “Pisapia estremista e amico dei terroristi”. 

Purtroppo, se l’ accusa fosse stata quest’ ultima, non ci sarebbe stata nessuna gaffe.

giovedì 19 maggio 2011

A 360 gradi

Atteso che ogni libertà dell’ uomo è riducibile ad una libertà economica, faccio due constatazioni:

1. l’ insensatezza di chi afferma “io sono liberale ma non liberista” o l’ equivalente: “io sono per la libertà, ma non per quella economica”.

2. il fatale magnetismo che ci fa passare regolarmente da auliche discussioni con a tema la libertà degli uomini, a prosaiche diatribe che hanno al centro il concetto di “efficienza dei mercato”.

Il secondo punto è particolarmente angosciante! Proprio cio’ che d’ istinto tendo ad evitare come la peste diventa la “fatale gravitazione” di ogni scambio di idee.

Sì, “angosciante”, perché in pochi, almeno al bar, trattano di “efficienza dei mercati” (Efficient Market Hipotesys - EMH) con cognizione di causa. Il concetto è sfuggente, direi contro-intuitivo.

Avete presente cosa diventa una discussione ideologica quando in più si maneggiano concetti contro-intuitivi che nessuno ha voglia di intuire a fondo?

Un inferno.

Spendo solo due parole per accennare alla difficoltà principale.

Comprendere cosa sia l’ efficienza di un’ organizzazione non aiuta a comprendere cosa sia l’ efficienza di un sistema complesso, anzi, a volte svia.

Prendiamo il mercato per eccellenza, quello borsistico; quando è efficiente?

Il profano pensa subito in modo vago ad operatori piuttosto informati che compiono scelte tutto sommato razionali. Per l’ “efficienza” questo è il minimo.

Santa ingenuità!

L’ “efficienza” di un meccanismo complesso ha a che fare con una particolare configurazione degli errori generati dagli operatori, mica con la fantomatica correttezza delle decisioni prese.

La gente sul mercato sbaglia eccome, ma…

… the problem for those who think the market is irrational is to generate a model that is better. To merely state, with hindsight, that people were overreact in one case, underreact in another, leads to an unbiased market in real time, and it is unbiasedness, not zero price variance, that is the essence of the efficient markets hypothesis… The efficient markets paradigm is a triumph of economics because it is so counterintuitive to the layman, so restrictive in what it allows, and so pervasive in its application… (link)

Insomma, capire che il mercato è efficiente significa capire che non c’ è a nostra disposizione un algoritmo per “batterlo” (in borsa “battere” il mercato significa generare nel periodo di riferimento un profitto superiore a quello medio di mercato).

Possiamo allora dire che il “sistema” non è perfetto ma non possiamo dire dove sbaglia.

Così come le “crisi”, anche gli errori di chi vi opera sono continui, ma non sistematici (ovvero “sistemabili” entro formule).

In ultima analisi accettare l’ efficienza del mercato significa accettare i limiti della nostra conoscenza (e quindi anche il fatto che non è per noi disponibile una ricetta attraverso cui diventare miliardari in borsa).

Ecco, il profano, pronunciando l’ espressione “efficienza del mercato” dovrebbe pensare più al concetto di “ignoranza” che a quello di “efficienza”.

Solo chi è disposto umilmente a riconoscere ed omaggiare l’ ignoranza dell’ uomo, simpatizza con EMH.

L’ efficienza non nasce da atti volontari, bensì da errori ed ignoranza. EMH è il frutto succoso di una pianta fiorita involontariamente grazie al corto circuito che genera la simultanea e imperfetta azione dei molti goffamente impegnati a chiudere il loro strampalato circuito personale.

Joe Liles in circolo

Lo psicologo si dedica ad elencare i bias cognitivi che rendono irrazionali le nostre scelte. Ma come mai gli psicologi non si arricchiscono giocando in borsa, visto che la sanno tanto lunga sul lato debole dei loro “avversari”?

Forse perché il loro elenco è troppo lungo e i bias individuati li spintonerebbero in tutte le direzioni.

Eugene Fama ebbe a dire che il mercato è efficiente proprio  perché è verosimilmente ipotizzabile che esistano una miriade di errori possibili e solo su un libero mercato si compiono tutti.

Ma proprio tutti: errori a 360 gradi!

Familismo amorale e quote rosa

i ricordate il coro di plauso bipartisan attorno alla legge sulle quota rosa? Un quinto di donne a partire dal 2012, un terzo dal 2015 nei cda delle società quotate e a partecipazione pubblica. “Una decisione storica”, il commento euforico del ministro Mara Carfagna. “Un passo in avanti sulla strada della valorizzazione del talento e delle energie femminili”, così sentenziò lei che di talento s’intende. Oggi si spinge a dire che la legge comincerebbe a produrre i suoi effetti perché “da gennaio sono entrate 24 donne con ottimi curricula”.

Che siano entrate, ne sono sicura. E altre ne entreranno. Il ministro trascura però i risultati di una ricerca Consob fresca di pubblicazione. Francesco Manacorda ne dà notizia su La Stampa. La ricerca mostra che esiste una relazione, tutta italiana, tra la presenza delle donne nei cda delle società quotate in borsa e la qualità della governance. Una relazione inversamente proporzionale. Sobbalzeranno le paladine della “parità”, ma i numeri sono numeri.
“Il numero di riunioni del consiglio d’amministrazione e la presenza media ai consigli – ritenuti comunemente indicatori di una buona governance – sono più bassi nelle società in cui almeno una donna siede nel cda”. La gestione rosa invece non avrebbe ripercussioni, né in meglio né in peggio, sulla performance del titolo e la sua volatilità.

Ora vi chiederete come sia possibile un tale risultato. Secondo le autrici dello studio l’effetto negativo della presenza femminile è legato principalmente all’affiliazione familiare, ovvero al moderno privilegio dinastico.

mercoledì 18 maggio 2011

L’ uomo di fede dà di pù

http://www.american.com/archive/2008/march-april-magazine-contents/a-nation-of-givers

Contro il diritto d’ autore

Cosa c’ è che non va nella proprietà intellettuale (brevetti e copyright)?

L’ argomento utilitarista è spesso avanzato a sua difesa: più brevetti, più innovazione; più copyright, più cultura.

Ma non convince…

… cominciamo con il notare che i guadagno ottenuti in termini di utilità dagli accresciuti incentivi all’ innovazione deve essere soppesato con le perdite in utilità conseguente al monopolio dell’ innovazione e alla ristretta diffusione della stessa… il saldo potrebbe essere sia positivo che negativo a seconda del caso considerato… ma anche il saldo complessivo è dubbio… brevetti e diritti d’ autore potrebbero comprimere l’ innovazione anziché espanderla… ma questa osservazione non esaurisce la critica all’ approccio utilitaristico standard… di seguito comparerò le argomentazioni di questo tenore – che chiamerò argomenti di “massimizzazione” – con un concetto alternativo di utilitarismo – che chiamerò “giustizia come ordine”… nel primo caso si cerca di manipolare i diritti di proprietà tramite i brevetti e il diritto d’ autore al fine di massimizzare una certa quantità X che misura il benessere sociale; nel secondo caso si cerca di creare un ordine – prevedibile grazie alla sua coerenza interna – entro il quale gli esseri umani possano perseguire in modo efficiente i loro fini senza soffrire delle incertezze dovute agli arbitri che comporta una soluzione massimizzante… infatti le questioni relative al metodo della “massimizzazione” dipendono da questioni di fatto contingenti che mutano dalle circostanze ambientali e dalla sensibilità dei soggetti chiamati a “massimizzare”…

Tom Palmer – I diritti d’ autore sono moralmente giustificabili? La filosofia dei diritti di proprietà sugli oggetti ideali – Rubettino.

In teoria, quando ci sono problemi di copyright, sappiamo cosa fare, ma non possiamo nasconderci l’ incertezza che s’ introduce nel sistema. Nell’ asta di cui al link, quanto deve offrire lo Stato? Cosa tutelare con copyright? Per quanto tempo?

Concludo facendo osservare che c’ è un incertezza sul passato circa la misura dei benefici ricevuti dal copyright (qui uno studio che li stima negativi – ovviamente disponibile senza copyright), ma c’ è anche l’ incertezza futura: quella che ci consiglia di deporre il calcolo utilitaristico di massimizzazione per puntare invece su regole chiare e coerenti.

google

Passiamo all’ altro argomento “pro” (bound of sticks): supponiamo che Mr Brown costruisca una trappola per topi eccellente e la venda in gran quantità dopo aver inciso sull’ oggetto: “copyright Mr. Brown”. Cio’ che sta facendo non è rivendere l’ intero oggetto ma vendere tutti i diritti su di esso tranne quello di copiarlo.

Qui la coerenza del sistema sembra esserci, ma ecco che sorgono altri problemi.

Sarebbe forse legittima l’ esclusiva sul “ricordare” un’ opera?… supponiamo che abbia scritto un libro e ve lo offra alla lettura tenendo per me il diritto a ricordarlo… con che prova potrei trascinarvi in tribunale accusandovi che ricordate il nome del personaggio principale?… in alternativa supponiamo che io, dopo aver udito recitare parte di un’ opera, l’ abbia riscritta e pubblicata… sarei colpevole di una qualche violazione sebbene non mi sia mai esplicitamente impegnato in nulla?…

Tom Palmer – I diritti d’ autore sono moralmente giustificabili? La filosofia dei diritti di proprietà sugli oggetti ideali – Rubettino.

Il bound of sticks, per quanto plausibile in apparenza, è poi di fatto inapplicabile.

Incertezza e inapplicabilità stendono i due argomenti più ragionevoli con i quali viene difesa la proprietà intellettuale. Ne esistono altri? A me non vengono in mente.

Bottom line: sono emozionato come un bambino all’ idea di cambiare idea su questi temi. Negli ultimi anni, dapprima un cartone animato sul concetto d’ “identità” e poi Donald Wittman sul concetto di “democrazia”, mi avevano fatto cambiare rotta. Ora il bel saggio di Tom Palmer sulla proprietà intellettuale. E parlo di argomenti su cui pensavo di aver riflettuto a sufficienza! Forse lo spirito non è ancora completamente sclerotizzato.

Tom Palmer – I diritti d’ autore sono moralmente giustificabili? La filosofia dei diritti di proprietà sugli oggetti ideali – Rubettino.

 

martedì 17 maggio 2011

Un gioco da ragazzi: torturare gli animali POST

Bisogna rassegnarsi al fatto che alcune caratteristiche dell’ uomo, se cambiano, cambiano dopo migliaia di anni (e non sappiamo in che senso). Facciamone allora, al limite, una scelta personale senza buttarla in politica.
Qualcosa del genere riguarda anche le nostre scelte alimentari e il nostro rapporto con gli animali.
Animalisti e vegetariani dovrebbero assimilare lo spiacevole ma misurato messaggio che esce dall’ ultimo libro di Hal Herzog.
Alcuni passaggi scelti random tanto per far capire i traumi a cui puo’ andare incontro l’ ingenuo leggendo il libro:
dolphins don’t actually have the curative powers some claim they have (22); there’s no evidence that pet owners have different personalities than non pet owners (28); having to kill and cut up an animal does not stop one from eating meat (189); the majority of people who abused animals as children do not grow up to be violent (30); and 80% of serial killers do not have a known history of cruelty to animals (31). Animal cruelty is not perpetrated by inherently bad kids but by normal children who will eventually grow up to be good citizens” (34).



La ragnatela

Con un micidiale uno-due Giorgio Israel mette al tappeto la scuola finlandese.

In fondo però il suo bersaglio è un altro: assaltare in sancta sanctorum dei test, un sistema le cui risultanze internazionali glorificano proprio quella scuola.

La pars destruens di Israel è convincente. Oltretutto non sarò certo io ad opporre resistenza quando nel mirino ci sono le presunte armi miracolose della burocrazia.

Peccato che la pars construens sia deboluccia e, non per niente, confinata sempre in un angolino. A quanto pare ci toccherebbe restare ancorati ad occhiuti ispettori incaricati di saggiare la qualità delle nostre scuole somministrando la giustizia dall’ alto del loro “sapere riconosciuto”. Un po’ come adesso, insomma.

Detto in altri termini: insegnanti che controllano altri insegnanti. Chi si presume “sappia” che verifica il sapere di chi si presume “sappia”.

Balza alla mente la domanda canonica: ma chi controlla i controllori?

E per restare ancora nell’ ambito delle verità proverbiali aggiungo: ma non lo sa Israel che “cane non morde cane”?

A puntello della malferma costruzione viene invocata anche l’ “auto-responsabilità dell’ insegnante”. Ma così facendo si costruisce sulle sabbie mobili, l’ auto-responsabilizzazione funziona bene con i Santi, in altri ambiti sarebbe meglio non contarci troppo.

Le intenzioni di Israel sono per la verità lodevoli, lui vorrebbe una scuola con l’ insegnante al centro. Ma non è la scuola di adesso? I sindacati che spadroneggiano e contro cui inveisce a ragione lo stesso Israel cosa sono se non i rappresentanti degli insegnanti? Già, è vero, lui vorrebbe mettere al centro l’ “insegnante buono” ma l’ “insegnante buono” più che la soluzione è il problema. Come identificarlo? Anche chi ha contribuito a plasmare il deprecabile panorama odierno era impegnato a lastricare quella strada, salvo accorgersi che conduceva all’ inferno.

Israel ha ragioni forti, i suoi critici altrettanto, siamo all’ impasse?

Non direi, siamo invece alla soluzione più naturale: smettiamola di fissare ossessivamente la nostra attenzione sulla scuola e spostiamola sulla società.

Il sistema è complesso quanto puo’ esserlo un’ intricata ragnatela, in questi casi si agisce efficacemente solo agendo su fili distanti dall’ epicentro dei guai.

Spingiamo allora per una società giusta e meritocratica, è facile (!?), basta ambire ad una società libera con politici insensibili alla moltitudine di piagnistei mascherati da “rivendicazione di diritti”. Il resto lo faranno le famiglie, sarà loro interesse optare per la scuola più adatta ai figli. Saranno loro a “selezionare”, a “valutare”, a “scremare”… lo faranno senza l’ uso cieco di esoterici marchingegni burocratici poco affidabili, lo faranno sgombre dal velo obnubilante di un patente conflitto d’ interessi. 

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lunedì 16 maggio 2011

L’ ambiguo candore di Kelsen

Ad ogni pagina Hans Kelsen ci esorta a fare del diritto una "scienza oggettiva".

Ad ogni pagina, l' autoproclamatosi "scienziato", screma, ripulisce, decontamina, setaccia e monda le pratiche del diritto cercando di liberarle da ogni scoria affinché emerga l' immacolata ossatura della disciplina.

candore

Inconvenienti.

L' uomo fabbrica il suo diritto estraendolo dalla terra. Ma la terra sporca, e se lo scienziato non vuole insozzarsi deve girare al largo da simili attività estranee alla "ragion pura". Stabilire la maggior appropriatezza di una legge è il regno dell’ “arbitrio”. Che il giurista si dedichi ad altro.

L' uomo forgia le sue interpretazioni calando le leggi sulla terra. Ma la terra sporca, e se lo scienziato non vuole inzaccherarsi deve evitare lo studio di simili pratiche così alla mercé del "puro arbitrio". Confrontare le interpretazioni e giudicarle non è competenza della "ragion pura". Che il giurista si dedichi dunque ad altro.

Senonché ogni "altro" di un qualche rilievo sembra minato da impurità consustanziali.

La carta vetrata di Kelsen è talmente abrasiva che gratta oggi, gratta domani, la morsa che fissava l' oggetto delle sue speculazioni non stringe più nulla. Il candore a cui giunge è a dir poco ambiguo.

candor

Altrove ho accennato ai danni fattuali di un simile approccio, qui segnalo solo il distacco dal senso comune. Se l' intenzione era quella di puntare tutto sulla "ragion pura" non mi sembra si sia partiti con il piede giusto.

Il diritto dell' austriaco è incommensurabile con quello inteso dai più. Cosa avrà in mente? L' alacre scalpello di questo scultore lavora indefesso, verrà risparmiata almeno l' ultima scheggia? Sembrerebbe di no.

Il mito della "purezza avalutativa" conduce ad un rigore evanescente quanto minaccioso, visto che da sempre miete vittime nelle scienze umane.

E qui ripenso alla vicenda più fresca di quegli intellettuali che da ultimi hanno scommesso tutto sul relativismo della "struttura": partirono con un serioso strutturalismo alla Lévi Strauss e finirono irretiti nei giochi di prestigio di Derrida. La scimmiottatura delle scienze naturali apparve sempre più smaccata e l' accusa di impostura intellettuale scattò giocoforza. Da “venerati maestri” a “soliti stronzi” per di più ciarlatani.

Ho perso tanto tempo inseguendo trafelato le analisi dei vari Foucault, Deridda, Debord,  Barth, Lacan... la fascinazione suppliva alla comprensione. Non mi sorprendo se dopo l' abiura di questa compagine dedita a formule chiesastiche qualcuno chiede di riabilitarli giusto come poeti.

E la tentazione di infilarci dentro anche Kelsen e nipotini è forte. Sebbene nulla abbiano a spartire con il postmodernismo dei primi, la ricerca ossessiva di purezza li ha resi vittima di un’ alienazione similare. Da scienziati a poeti. E chi glielo spiega che si tratta solo di un' interpretazione alternativa e non di un degradamento?

A furia di purificare la conoscenza del diritto i giuspositivisti che hanno seguito Kelsen  anche nel pozzo sono finiti a fare l' orlo alle nuvole offrendo uno spettacolo degno di Aristofane. Ma è con lo sberleffo di un altro greco che voglio stigmatizzare il loro divorzio dal senso comune.

… e Alcibiade domandò: “o Pericle, mi sapresti insegnare che cos’ è la legge?”. “Di sicuro” rispose Pericle. “Insegnamelo o dunque, per gli dei”. E aggiunse: “Sentendo che alcuni vengono lodati in quanto uomini rispettosi della legge, io mi immagino che non potrebbero ottenere a buon diritto un tale elogio chi non sa nemmeno cosa sia la legge”. “Non desideri una cosa difficile: sono leggi tutti quei comandi che la massa del popolo riunendosi ha fatto scrivere affinché fossero rispettati”… E Alcibiade “ma se non è la massa del popolo bensì pochi, come dove vige l’ oligarchia, a formare questi comandi, possiamo anche in questo caso parlare di leggi?”. “Tutto quello che prescrive chi comanda nello stato circa quello che si puo’ e non si puo’ fare deve chiamarsi legge”. “E se un tiranno al potere prescrive ai cittadini quel che devono fare possiamo parlare di legge?”. “Certamente”. “Ma la violenza e l’ illegalità cosa sono or dunque, Pericle? Forse non quando il più forte sottomette con la violenza e non con la persuasione il più debole ai suoi voleri?”. “Mi sembra di sì” disse Pericle. “E allora le cose che il tiranno costringe i sudditi a fare senza averli persuasi sono illegalità?”. “Mi pare di sì”. “E allora quelle cose che i pochi costringono i molti a fare grazie al fatto che sono i più forti sono violenza, o no?”. “Direi di sì, mi pare che quando la forza sostituisce la persuasione siamo in presenza di violenze e non di legge”. “E allora tutto cio’ che in democrazia la massa, essendo più forte dei ricchi, prescrive senza persuasione sarebbe violenza piuttosto che legge?”. “O Alcibiade, anch’ io alla tua età ero tremendo in questo genere di ragionamenti… mi dedicavo ai sofismi come mi sembra che tu faccia ora…”. “O Pericle,  come avrei voluto ragionar con te allora, quando superavi tutti anche in conoscenza…”.  

Senofonte – Memorabili - Bur 

Pericle non riesce a pensare la “legge” se non come al parto di una volontà: del parlamento, dell' oligarca o del tiranno. Proprio come i giuspositivisti: la legge è una "pura creatura" che esiste grazie ad un "puro creatore". Ma si incarta presto atteso che le cose non stanno necessariamente così: per lo più la "legge" nasce casualmente da processi evolutivi. Escludere questi ultimi dà corpo al cosiddetto "bias creazionistico": se c' è un progetto di società, c' è necessariamente un' intelligenza dietro a quel progetto.

Beneficiato dal "bias creazionistico" Alcibiade ha buon gioco ad innescare il corto circuito con altre verità del senso comune. E mentre Pericle, essendo uomo energico, nell' impasse si libera dei fili con uno strattone mandando tutti a quel paese, il giuspositivista, essendo invece uomo delicato dedito a sottigliezze ineffabili, non puo' che restare folgorato dalla fatale scossa che riceve.

Hans Kelsen – Lineamenti per una dottrina pura del diritto - Einaudi

Teppisti in erba

... appena fuori da casa mia...

teppist

… ancora più in erba… dentro casa mia…

teppi Brock Davis

link

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Una gita in macelleria

100 anni di cucina discutibile, parlo della guerra nel mondo. E siccome figures give us knowledge, not meaning, si è pensato di rendere meglio il concetto.

GENOCIDI

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Qui i più grandi “chef” del secolo: Mao la spunta e non di poco su Stalin e Hitler.

L’ Africa impressiona sempre. Chi sospettava che il più devastante conflitto del secolo fosse – dopo la II guerra mondiale – la seconda guerra del Congo (1993-2003)?!

Povera Africa, non solo insanguinata ma anche dimenticata.

Se le davano di santa ragione… e intanto noi ascoltavamo i Toto…

… approfittiamone per spararci un ottima cover…