Il Nostro Povero Individualismo
C' è stato un tempo in cui ci avevano creduto in molti.
Schiere di puntigliosi letterati spalleggiavano il lavoro di accaniti filosofi.
Con il coraggio e la precisione dei dinamitardi si erano messi tutti quanti in testa di smontare quella maledetta costruzione psichica che è l' "io", causa prima di tanti mali.
Specie del mal di testa.
Una fosca ombra, 'sto monosillabo, che non ci molla un attimo, neanche quando andiamo al gabinetto.
Un fardello che ingrassa inutilmente pesando su ogni nostro movimento con tutto lo zainetto di responsabilità che ci infila a tradimento sulle nostre innocenti spalle.
***
Era una strategia geniale, non c' è che dire: se soffro, perchè eliminare la sofferenza quando posso eliminare l' "io"? Perchè non tentare l' incruento colpo di stato grammaticale?
Per carità, non mancarono i soliti paludati ammonimenti moralistici dei ben noti grilli parlanti, i quali, insensibili alle feroci emicranie che la valle di lacrime ci riserva, osarono obiettare contro la cura proposta del taglio della testa.
Ma perchè preoccuparsi per simili mugolii? Bastarono quattro martellate sul muro ben distribuite per liberarsi dei loro predicozzi stantii.
Tanto poi si dà una mano di bianco e chi s' è visto s' è visto.
***
L' artista serio era invece tutto concentrato a strapazzare il pronome in questione. A stiracchiarlo come il pongo per vedere l' effetto che fa.
C' era chi voleva decostruirlo, chi voleva scioglierlo nell' acido (lisergico), chi studiava come farlo sparire dormendo tutta la vita, chi procedeva a collettivizzarlo in modo che fosse possibile riunirsi tutti sotto un unico grande "io". C' era anche chi, adottando sorprendenti strategie inflazionistiche, cercava, con generosa distribuzione, di assegnarne un centinaio a cranio.
Ad un certo punto il mortale nemico sembrava proprio dovesse cedere, il nostro povero "io" atterrito appariva spacciato, appariva come roba vecchia, roba d' altri tempi, la moltitudine dei suoi nemici tendeva le avide mandibole verso quella povera carcassa.
Fragile legno su mare torvo, non sapeva bene che dio pregare.
L' attacco concentrico delle avanguardie letterarie era portato da più fronti e senza tentennamenti. La resa era prossima.
Solo per dovere di cronaca aggiungerò che, mentre la discettazione teoretica su questi temi s' impennava per qualità, la parallela letteratura sperimentale subiva dinamiche ben diverse.
***
"Il Fu Mattia Pascal" (appena letto su Radio Tre) fu una delle cannonate più poderose sparate nell' assedio descritto più sopra.
Pirandello, con la gran parte della sua opera, prese parte attiva al sacco dell' Identità, e lo fece con le mostrine del Generale.
Il mio parere è che prese parte anche al fallimento di quell' impresa sciagurata.
Per capire come tutto quell' ambaradan sia andato a ramengo, la lettura del "Fu Mattia Pascal" è caldamente raccomandata.
***
Da giovane Lettore desideroso d' intrupparmi e costantemente in cerca di Partito, pensai bene di iscrivermi nel movimento "anti-realista".
Era però necessario adottare "Il Fu" come bandiera.
E perchè no? dicevo. La cosa mi risultava semplice, lo si poteva fare a testa alta senza addivenire a nessun compromesso infamante.
Senonchè, per quanto sia più che onorevole alzare un simile vessillo, è la bandiera stessa a presentarsi taroccata una volta che, garrendo al vento, la puoi osservare meglio dispiegata.
Così distesa ha l' aria di non servire a dovere la causa anti-realista. E non sai come ci rimani male se mentre suoni la carica ti accorgi di alzare uno stendardo che assomiglia in modo imbarazzante a quello del nemico.
***
Cerco di spiegare meglio quell' imbarazzo.
Ogni volta che il "Fu" gira alla larga dal progettato nucleo del racconto, allora dà il meglio di sè.
Noi lì abbiamo agio di ammiriare finalmente il passo felpato con cui avanza senza scopo ogni Grande Libro.
Finchè il Pascal è in saldo possesso del documento anagrafico, l' Alta Letteratura ci bacia facendoci mille promesse e raccontandoci cose rare a proposito di eventi quotidiani
Mamma mia, quante fragranze. Che sapori pregnanti schizzano fuori da ogni capoverso. Un rigo, una spezia. E noi assaggiamo tutto con le fiammelle negli occhi e le bollicine nel sangue.
Al lettore arriva a fiotti la clorofilla che lo rinverdisce, giungono in massa quei segnali che lui attende avido da sempre, l' unica cosa che lo ripaga per il tormentoso passatempo che si è scelto.
Sì perchè, quando fa breccia la risatina proprio mentre il muscolo cardiaco si contrae in una stretta, allora lo sai. Sai di respirare l' aria ipossigenata che spira sempre dalle vette del Capolavoro.
E tutto succede mentre, e solo mentre, eventi realissimi, naturalissimi, si abbattono contro l' inettissimo, ma monumentale, "io" del Pascal.
E anche il mio "io" è lì, ben nascosto dietro lo specchio della pagina, tutto preso a fare serrati e spassosi confronti con il suo patetico dirimpettaio di carta.
Meste identificazioni, orgogliose dissociazioni. Le basi da cui giungere di volta in volta a esiti differenti non mancano: i nostri due individualismi spiccano ben definiti e si paragonano come in una naturalissima e costruttiva sinossi.
***
Ma poi sulla storia cominciano a fioccare eventi anti-naturali (ce n' è sempre almeno uno ad imbrattare le carte di Pirandello).
Uno in particolare: il Pascal, creduto morto, puo' vivere finalmente come uno Zombie e vagare dentro una vuota sorte.
Bella Idea, non c' è che dire. Ma quando le Idee defenestrano i Fatti non c' è mai da stare allegri.
E non c' è dubbio che quanto più un' Idea è geniale, tanto più "defenestra".
La Moglie, la Suocera, l' Amico Scemo, il Tipo da Bar, il Tipo da Spiaggia, i Tipi in generale e tutta questa cornucopia di lussureggiante biodiversità che mi aveva rallegrato emozionandomi, non puo' più vivere nel Nuovo Mondo Ideale del "rinato".
Perchè il Nuovo Mondo del Rinato è un Laboratorio già stipato dalle speculazioni mentali del Nostro tutto preso ad indagare le sfumature di questa sua nuova artificiosa condizione di liberto.
In una simile dimensione "pensata" cessa ogni possibile abboccamento sorprendente a cui valga la pena di presentarsi per scambiare quattro chiacchere, così, da Lettore a Personaggio.
Il Fantasma di Pascal procede leggero finalmente sgravato dalla mordacchia del suo individualismo.
Non so se provi un qualche sollievo. Certamente la mia intesa con lui ne risente.
Un po', un po' tanto, mi dispiace di aver perso un così edificante termine di paragone.
Quanto alle modeste e fluviali speculazioni da bibliotecario iperaccomandato, con tutto il permesso, se proprio voglio sgranchirmi le sinapsi, a quel punto deposito sul comodino il "Pirandello finito fuori strada" per virare sereno verso Summa Teologica o Settimana Enigmistica.
lunedì 8 novembre 2010
Se il colonialismo fa bene
In passato i popoli europei hanno occupato altre terre soggiogandone i popoli e dettando loro nuovi stili di vita e una nuova organizzazione sociale.
Chiamiamo tutto cio' "colonialismo", una pratica che oggi ci ripugna e per cui abbiamo imparato a nutrire sensi di colpa.
In teoria il colonialismo è un fenomeno quanto meno nefasto, ma i fatti, per chi vuole ascoltarli, raccontano un' altra storia: il colonialismo fa bene.
A tutta prima le cose sembrano evidenti: i paesi che hanno "subito" pratiche coloniali sono oggi più ricchi e benestanti rispetto a quelli che ne sono stati - ahi loro - "risparmiati".
L' obiezione classica è prontamente avanzata: "ma gli occupanti hanno scelto a priori i territori più promettenti per insediarsi evitando quelli infestati da malattie ed altri accidenti".
Non sempre è stato così; fortunatamente su questa questione specifica la Storia offre veri e propri "esperimenti" da laboratorio.
Ne propongo qui solo uno a titolo d' esempio.
Le terre della Polinesia, per esempio, rappresentano un caso da manuale; parliamo di un nugolo di isolette minuscole sparse nell' Oceano.
Le navi occidentali navigavano a quel tempo con strumentazione ridotta, prevalentemente riferendosi al sole e ai venti. E' per questo che sono state colonizzate solo le isolette allineate su una certa latitudine fissa; delle altre, quasi tutte abitate, i navigatori non conoscevano nemmeno l' esistenza, era troppo rischioso avventurarsi fuori rotta.
Potremmo dire, immaginando di fare un esperimento con la Storia, che su 1.000 isole per lo più nelle medesime condizioni, ne scegliamo casualmente 100 e le sottoponiamo al "trattamento" della colonizzazione. E' proprio il "laboratorio" che cercavamo!
Ebbene, le 100 isole colonizzate perchè più facilmente raggiungibili nel Sedicesimo e Diciasettesimo secolo grazie ai venti favorevoli, sono oggi le più ricche. Un secolo di governo coloniale contribuisce a stipendi pro-capite superiori del 40% e riduce la mortalità infantile del 2.6%. Questo studio specifico sulla storia coloniale della polinesia è di James Feyrer e Bruce Sacerdote.
E così anche la storia del colonialismo diventa una gatta da pelare per l' utilitarista: i calcoli che esegue lo spingono a vedere con favore il fenomeno e magari anche ad incoraggiare nuove forme affinchè il benessere si estenda, ma scommetto che la sua morale istintiva si oppone ad una simile conclusione. Rinnegherà la sua ideologia o il suo istinto?
Chiamiamo tutto cio' "colonialismo", una pratica che oggi ci ripugna e per cui abbiamo imparato a nutrire sensi di colpa.
In teoria il colonialismo è un fenomeno quanto meno nefasto, ma i fatti, per chi vuole ascoltarli, raccontano un' altra storia: il colonialismo fa bene.
A tutta prima le cose sembrano evidenti: i paesi che hanno "subito" pratiche coloniali sono oggi più ricchi e benestanti rispetto a quelli che ne sono stati - ahi loro - "risparmiati".
L' obiezione classica è prontamente avanzata: "ma gli occupanti hanno scelto a priori i territori più promettenti per insediarsi evitando quelli infestati da malattie ed altri accidenti".
Non sempre è stato così; fortunatamente su questa questione specifica la Storia offre veri e propri "esperimenti" da laboratorio.
Ne propongo qui solo uno a titolo d' esempio.
Le terre della Polinesia, per esempio, rappresentano un caso da manuale; parliamo di un nugolo di isolette minuscole sparse nell' Oceano.
Le navi occidentali navigavano a quel tempo con strumentazione ridotta, prevalentemente riferendosi al sole e ai venti. E' per questo che sono state colonizzate solo le isolette allineate su una certa latitudine fissa; delle altre, quasi tutte abitate, i navigatori non conoscevano nemmeno l' esistenza, era troppo rischioso avventurarsi fuori rotta.
Potremmo dire, immaginando di fare un esperimento con la Storia, che su 1.000 isole per lo più nelle medesime condizioni, ne scegliamo casualmente 100 e le sottoponiamo al "trattamento" della colonizzazione. E' proprio il "laboratorio" che cercavamo!
Ebbene, le 100 isole colonizzate perchè più facilmente raggiungibili nel Sedicesimo e Diciasettesimo secolo grazie ai venti favorevoli, sono oggi le più ricche. Un secolo di governo coloniale contribuisce a stipendi pro-capite superiori del 40% e riduce la mortalità infantile del 2.6%. Questo studio specifico sulla storia coloniale della polinesia è di James Feyrer e Bruce Sacerdote.
E così anche la storia del colonialismo diventa una gatta da pelare per l' utilitarista: i calcoli che esegue lo spingono a vedere con favore il fenomeno e magari anche ad incoraggiare nuove forme affinchè il benessere si estenda, ma scommetto che la sua morale istintiva si oppone ad una simile conclusione. Rinnegherà la sua ideologia o il suo istinto?
domenica 7 novembre 2010
Meditazione sul Vangelo del 7.11.2010
Vangelo secondo Matteo 25, 31-46
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Il Vangelo di oggi esprime con parole tonitruanti concetti in realtà pacifici per l' Uomo Moderno. Ovvero, è possibile e doveroso compiere una selezione tra i comportamenti umani, e, in ultima analisi, tra gli uomini stessi.
Chi crede ed ascolta la parola, è avvisato: questo compito spetta a Dio. Il moralismo non è altro che la petulanza di chi trascura questo insegnamento.
Ma la Parola di oggi aggiunge qualcosa, ci parla del "fratello più piccolo".
Dice il Figlio di Dio: "cio' che avete fatto al "fratello più piccolo" lo avete fatto a me".
Il "fratello più piccolo" è l' uomo più umile: anch' egli possiede una dignità regale ed offenderla è come offendere Dio.
Tutti gli uomini sono accumunati da pari dignità, e i più umili non sono esclusi.
Ecco allora dispiegarsi la dimensione evangelica dell' Uomo: diverso nei meriti (arrivo), uguale in dignità (partenza).
Quale pensiero riesce a coniugare in modo altrettanto armonioso diseguaglianza sostanziale (esito) ed eguaglianza formale (diritti)? Io propongo come candidato il pensiero libertario.
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Il Vangelo di oggi esprime con parole tonitruanti concetti in realtà pacifici per l' Uomo Moderno. Ovvero, è possibile e doveroso compiere una selezione tra i comportamenti umani, e, in ultima analisi, tra gli uomini stessi.
Chi crede ed ascolta la parola, è avvisato: questo compito spetta a Dio. Il moralismo non è altro che la petulanza di chi trascura questo insegnamento.
Ma la Parola di oggi aggiunge qualcosa, ci parla del "fratello più piccolo".
Dice il Figlio di Dio: "cio' che avete fatto al "fratello più piccolo" lo avete fatto a me".
Il "fratello più piccolo" è l' uomo più umile: anch' egli possiede una dignità regale ed offenderla è come offendere Dio.
Tutti gli uomini sono accumunati da pari dignità, e i più umili non sono esclusi.
Ecco allora dispiegarsi la dimensione evangelica dell' Uomo: diverso nei meriti (arrivo), uguale in dignità (partenza).
Quale pensiero riesce a coniugare in modo altrettanto armonioso diseguaglianza sostanziale (esito) ed eguaglianza formale (diritti)? Io propongo come candidato il pensiero libertario.
Elitiari e populisti
Siete elitari o populisti?
Prima di rispondere facciamo un minimo di chiarezza sui termini.
I libertari devono per forza di cose orientarsi su una posizione elitaria: rappresentano meno del 5% della popolazione e pretendono di avere ragione. Ad ogni piè sospinto devono prendere atto che "la maggioranza ha torto marcio".
Se poi un libertario investe sulla "ragione", e qui penso sempre al liberale cattolico, crede anche nel fatto che approfondire lo studio di una materia ne accresca la conoscenza. Il che significa pensare che, alla lunga, in ogni campo l' "esperto" vinca sul dilettante.
[... il che non è affatto scontato: in politica, per esempio, Tetlock ha mostrato quanto sia sottile la distanza che separa il sapere dell' esperto da quello del dilettante...].
Detto questo, ciascuno capisce in un attimo la diffidenza con cui i liberali accolgono i precetti democratici, e la storia dei liberali italiani conferma questa conclusione; il termine "elitismo" fu introdotto nell' ambito delle dottrine politiche proprio per contassegnare la loro posizione.
Ma, attenzione, l' elitario non è un "paternalista autoritario"; per capire meglio la distinzione dobbiamo svolgere tre riflessioni sul concetto di democrazia.
1. In democrazia la PROPAGANDA conta molto. Poichè il singolo voto pesa poco o nulla, l' elettore razionale è fondamentalmente disinteressato a svolgere con cura il proprio compito politico e cio' lo rende vulnerabile alla propaganda dei media. Insomma, l' elettore razionale dice: "voto in base alle poche informazioni che non fatico a raccogliere [ e di solito, così fascendo, si finisce per ascoltare solo la gran cassa che picchia più forte] tanto, in questo campo, è inutile approfondire visto che condividerò il costo dei miei errori senza sopportarlo per intero da solo".
2. In democrazia l' IDEOLOGIA conta molto. Poichè il singolo voto "non conta", l' elettore razionale vede in questo ambito la possibilità di professare la propria ideologia: se mi sbaglio sopporterò le conseguenze solo in minima parte, quindi ne approfitto per distrarmi e "fare altro". Professare un' ideologia ci realizza, ci sfoga, ci rende felici, non appena c' è la possibilità di farlo è una gioia dedicarcivisi.
3. La SELEZIONE a priori dell' esperto, purtroppo, non puo' essere "oggettiva"; è la scienza che ce lo dice: tutti hanno diritto di partecipare, tutti hanno il diritto di sperimentare secondo le proprie intuizioni. Popper ha parlato chiaro e il suo messaggio è stato accolto.
Sulla base di 1. e 2., l' elitario si oppone al populista, ovvero al democratico di tendenze giacobine: con simili premesse le dcisioni del "popolo" saranno giocoforza quasi sempre sballate.
Sulla base di 3. l' elitario si oppone al "paternalista autoritario". Quest' ultimo non è un populista, sa che il popolo in democrazia sceglie in modo inaccurato, ma dà per scontato che è "lui" e nessun altro a rappresentare l' autorità in materia a cui sarebbe bene uniformarsi.
Il "Paternalista autoritario" non prende in considerazione il problema della SELEZIONE e pretende di affermare l' esistenza di un doppio regime fissato oggettivamente per tutti: élite e popolo. Doppio regime, doppio diritto, doppia morale eccetera. A lui spetta dunque un regime di privilegio che gli consenta di decidere anche per i "fratellini minori" (o minorati). Queste sono bestemmie per l' elitario, che è pur sempre un liberale doc.
Per guarire dai mali descritti in 1. 2. e 3. l' elitiario propone un' unica medicina: la responsabilità individuale.
Le scelte della politica devono contare meno, le scelte del singolo devono contare di più. In questo modo il singolo sopporterà le conseguenze di cio' che decide.
Se devo "rispondere" sul serio delle mie scelte, io, individuo razionale, probabilmente non mi farò bastare le informazioni della PROPAGANDA.
Se devo rispondere sul serio delle mie scelte, io, individuo razionale, mi trustellerò meno con l' IDEOLOGIA abbandonandomi con maggiore ritrosia a quei piaceri.
Se "rispondo" delle mie scelte io, individuo razionale, starò ad ascoltare ed accorderò prestigio crescente a colui che reputo esperto in materia. [In politica noi ascoltiamo volentieri anche i vaneggiamenti dell' artistoide o del comico di turno ma difficilmente faremmo altrettanto se dovessimo scegliere dove investire i risparmi di una vita].
L' esperto, quello vero, raccoglierà così prestigio e privilegi, ma li raccoglierà dalla preferenza accordata dai soggetti e non da una fantomatica oggettività a priori.
E' il mercato il meccanismo che esalta la responsabilità dell' individuo razionale: la democrazia popolare (populismo) e la dittatura degli illuminati (paternalismo autoritario), devono cedere in favore di quest' ultimo.
Prima di rispondere facciamo un minimo di chiarezza sui termini.
I libertari devono per forza di cose orientarsi su una posizione elitaria: rappresentano meno del 5% della popolazione e pretendono di avere ragione. Ad ogni piè sospinto devono prendere atto che "la maggioranza ha torto marcio".
Se poi un libertario investe sulla "ragione", e qui penso sempre al liberale cattolico, crede anche nel fatto che approfondire lo studio di una materia ne accresca la conoscenza. Il che significa pensare che, alla lunga, in ogni campo l' "esperto" vinca sul dilettante.
[... il che non è affatto scontato: in politica, per esempio, Tetlock ha mostrato quanto sia sottile la distanza che separa il sapere dell' esperto da quello del dilettante...].
Detto questo, ciascuno capisce in un attimo la diffidenza con cui i liberali accolgono i precetti democratici, e la storia dei liberali italiani conferma questa conclusione; il termine "elitismo" fu introdotto nell' ambito delle dottrine politiche proprio per contassegnare la loro posizione.
Ma, attenzione, l' elitario non è un "paternalista autoritario"; per capire meglio la distinzione dobbiamo svolgere tre riflessioni sul concetto di democrazia.
1. In democrazia la PROPAGANDA conta molto. Poichè il singolo voto pesa poco o nulla, l' elettore razionale è fondamentalmente disinteressato a svolgere con cura il proprio compito politico e cio' lo rende vulnerabile alla propaganda dei media. Insomma, l' elettore razionale dice: "voto in base alle poche informazioni che non fatico a raccogliere [ e di solito, così fascendo, si finisce per ascoltare solo la gran cassa che picchia più forte] tanto, in questo campo, è inutile approfondire visto che condividerò il costo dei miei errori senza sopportarlo per intero da solo".
2. In democrazia l' IDEOLOGIA conta molto. Poichè il singolo voto "non conta", l' elettore razionale vede in questo ambito la possibilità di professare la propria ideologia: se mi sbaglio sopporterò le conseguenze solo in minima parte, quindi ne approfitto per distrarmi e "fare altro". Professare un' ideologia ci realizza, ci sfoga, ci rende felici, non appena c' è la possibilità di farlo è una gioia dedicarcivisi.
3. La SELEZIONE a priori dell' esperto, purtroppo, non puo' essere "oggettiva"; è la scienza che ce lo dice: tutti hanno diritto di partecipare, tutti hanno il diritto di sperimentare secondo le proprie intuizioni. Popper ha parlato chiaro e il suo messaggio è stato accolto.
Sulla base di 1. e 2., l' elitario si oppone al populista, ovvero al democratico di tendenze giacobine: con simili premesse le dcisioni del "popolo" saranno giocoforza quasi sempre sballate.
Sulla base di 3. l' elitario si oppone al "paternalista autoritario". Quest' ultimo non è un populista, sa che il popolo in democrazia sceglie in modo inaccurato, ma dà per scontato che è "lui" e nessun altro a rappresentare l' autorità in materia a cui sarebbe bene uniformarsi.
Il "Paternalista autoritario" non prende in considerazione il problema della SELEZIONE e pretende di affermare l' esistenza di un doppio regime fissato oggettivamente per tutti: élite e popolo. Doppio regime, doppio diritto, doppia morale eccetera. A lui spetta dunque un regime di privilegio che gli consenta di decidere anche per i "fratellini minori" (o minorati). Queste sono bestemmie per l' elitario, che è pur sempre un liberale doc.
Per guarire dai mali descritti in 1. 2. e 3. l' elitiario propone un' unica medicina: la responsabilità individuale.
Le scelte della politica devono contare meno, le scelte del singolo devono contare di più. In questo modo il singolo sopporterà le conseguenze di cio' che decide.
Se devo "rispondere" sul serio delle mie scelte, io, individuo razionale, probabilmente non mi farò bastare le informazioni della PROPAGANDA.
Se devo rispondere sul serio delle mie scelte, io, individuo razionale, mi trustellerò meno con l' IDEOLOGIA abbandonandomi con maggiore ritrosia a quei piaceri.
Se "rispondo" delle mie scelte io, individuo razionale, starò ad ascoltare ed accorderò prestigio crescente a colui che reputo esperto in materia. [In politica noi ascoltiamo volentieri anche i vaneggiamenti dell' artistoide o del comico di turno ma difficilmente faremmo altrettanto se dovessimo scegliere dove investire i risparmi di una vita].
L' esperto, quello vero, raccoglierà così prestigio e privilegi, ma li raccoglierà dalla preferenza accordata dai soggetti e non da una fantomatica oggettività a priori.
E' il mercato il meccanismo che esalta la responsabilità dell' individuo razionale: la democrazia popolare (populismo) e la dittatura degli illuminati (paternalismo autoritario), devono cedere in favore di quest' ultimo.
venerdì 5 novembre 2010
Pillola e Lavatrice
Pensavate che le battaglie femministe fossero all' origine della condizione sociale delle donne di oggi?
Ripensateci, è il consiglio di Tim Harford.
Lui ritiene infatti di attribuire questo merito (o demerito) alla pillola.
Pensavate che il referendum sul divorzio avesse dato la stura alle moltissime separazioni famigliari degli anni successivi?
Tim Harford dissente. Lui guarda piuttosto all' invenzione della Lavatrice.
Pillola e lavatrice valgono più di femminismo e legislazioni "avanzate" messi insieme.
Hanno la "logica" dalla loro parte, e non è poco.
Partiamo dalla pillola.
Con la pillola il maschio medio trova facilmente "cio' che cerca" senza bisogno d' imbarcarsi in un matrimonio. Le donne, a cui il matrimonio garantisce invece cure costanti da parte del marito, entrano tra loro in concorrenza spietata per farsi sposare. Prima bastava assicurare al potenziale marito "quella cosa lì", ora non basta, bisogna offrire di pù: c' è chi punta sulla bellezza e chi sull' istruzione. Più concorrenza... più università.
Il fenomeno è noto da tempo: quando le donne sopravanzano gli uomini per numero, la loro istruzione cresce. Figuratevi che negli stati degli USA dove ci sono molti carcerati uomini (a volte il 10% della popolazione maschile nera in età da matrimonio), le donne (nere) sono parecchio più istruite della media.
E non pensiate che occorrano chissà quali differenziali.
Per capire quanto basti poco per scatenere effetti di notevole magnitudo, ripassiamo la logica che sta sotto alla concorrenza rifacendo mentalmente un esperimento che è stato fatto realmente.
Prendete 99 uomini, 100 donne e date loro 50 euro ciascuno; adesso chiedete loro di accoppiarsi trovando un accordo su come dividersi i 100 euro che hanno insieme. Chi resta solo perde tutto il malloppo. Si formeranno le 99 coppie e alla donna di ciascuna coppia spetterà giusto un centesimo. Non male!
E' logico dunque che, nella vita reale, per evitare una simile sorte le donne cerchino di differenziarsi e spesso lo fanno andando all' università e trovandosi un lavoro di alto livello.
La pillola ha un po' le stesse conseguenze: mette le donne in concorrenza tra loro.
Ma veniamo alla LAVATRICE.
Il Mondo di oggi è molto molto molto più ricco di quello dei secoli scorsi: abbiamo scoperto la "divisione del lavoro".
Il successo di un' istituzione come quella matrimoniale è dovuto in gran parte al fatto di facilitare la divisione del lavoro tra coniugi: donne a casa, mariti fuori.
La divisione del lavoro conviene se ci sono "economie di scala" (tutti capiscono cosa siano) e "vantaggi comparati" (nessuno capisce mai cosa siano veramente tranne gli economisti).
Per la teoria dei vantaggi comparati, se si decide che l' uomo vada a lavorare piuttosto che allevare i figli e badare alla casa, non è per il fatto che l' uomo lavora meglio della donna!
La donna forse fa meglio entrambe le cose ma il divario è più netto nel settore "allevamento figli".
Quindi, in presenza di economie di scala, è naturale che la donna si occupi esclusivamente dei figli e della casa.
Specializzarsi però crea dipendenza reciproca: io non saprei nemmeno costruirmi una matita decente se lasciato a me stesso.
La lavatrice (e gli altri elettrodomestici) hanno abbattuto le economie di scala che esistevano nei lavori domestici. Cio' significa che la donna avanza del tempo e che quindi puo' lavorare.
Se la donna lavora conquista una sua autonomia materiale e psicologica: lo scudo del matrimonio indissolubile (regalatole dalla Chiesa) le serve molto meno. Ecco allora che in molti casi vi rinuncia, per esempio quando la convivenza è insopportabile (prima era più razionale tenere duro).
Il processo si autoalimenta: poichè esiste un rischio divorzio allora diventa sempre più conveniente lavorare (le donne con matrimoni a rischio sono più istruite e lavorano con più lena). Come se non bastasse, il fatto che ci siano in giro tanti divorziati accresce la possibilità di risposarsi.
Attenzione: la lavatrice abbatte le economie di scala nei lavori domestici ma non quelle dei lavori fuori dalla famiglia e nemmeno intacca la legge dei "vantaggi comparati".
Cio' significa che se il differenziale di abilità in favore della donna nella cura dei figli permane (e un certo differenziale è naturale), a parità di tutto il resto, per la coppia conviene ancora che la donna si dedichi a lavori meno professionali persino, a volte, quando è più brava del marito nei lavori più qualificati.
Dimenticavo un particolare: dal 1960/70 la felicità delle donne è diminuita sia in termini assoluti che in termini relativi (rispetto agli uomini).
Dobbiamo assolvere il femminismo? Io non sarei dell' avviso: se un killer spara prima dell' altro e fa in modo che il suo proiettile si conficchi per primo nel corpo della vittima uccidendola, non per questo si prende tutte le colpe.
Tim Harford - la logica nascosta della vita
[P.S. il buon Tim divulga il leggendario "Trattato sulla famiglia" scritto da Gary Becker]
Ripensateci, è il consiglio di Tim Harford.
Lui ritiene infatti di attribuire questo merito (o demerito) alla pillola.
Pensavate che il referendum sul divorzio avesse dato la stura alle moltissime separazioni famigliari degli anni successivi?
Tim Harford dissente. Lui guarda piuttosto all' invenzione della Lavatrice.
Pillola e lavatrice valgono più di femminismo e legislazioni "avanzate" messi insieme.
Hanno la "logica" dalla loro parte, e non è poco.
Partiamo dalla pillola.
Con la pillola il maschio medio trova facilmente "cio' che cerca" senza bisogno d' imbarcarsi in un matrimonio. Le donne, a cui il matrimonio garantisce invece cure costanti da parte del marito, entrano tra loro in concorrenza spietata per farsi sposare. Prima bastava assicurare al potenziale marito "quella cosa lì", ora non basta, bisogna offrire di pù: c' è chi punta sulla bellezza e chi sull' istruzione. Più concorrenza... più università.
Il fenomeno è noto da tempo: quando le donne sopravanzano gli uomini per numero, la loro istruzione cresce. Figuratevi che negli stati degli USA dove ci sono molti carcerati uomini (a volte il 10% della popolazione maschile nera in età da matrimonio), le donne (nere) sono parecchio più istruite della media.
E non pensiate che occorrano chissà quali differenziali.
Per capire quanto basti poco per scatenere effetti di notevole magnitudo, ripassiamo la logica che sta sotto alla concorrenza rifacendo mentalmente un esperimento che è stato fatto realmente.
Prendete 99 uomini, 100 donne e date loro 50 euro ciascuno; adesso chiedete loro di accoppiarsi trovando un accordo su come dividersi i 100 euro che hanno insieme. Chi resta solo perde tutto il malloppo. Si formeranno le 99 coppie e alla donna di ciascuna coppia spetterà giusto un centesimo. Non male!
E' logico dunque che, nella vita reale, per evitare una simile sorte le donne cerchino di differenziarsi e spesso lo fanno andando all' università e trovandosi un lavoro di alto livello.
La pillola ha un po' le stesse conseguenze: mette le donne in concorrenza tra loro.
Ma veniamo alla LAVATRICE.
Il Mondo di oggi è molto molto molto più ricco di quello dei secoli scorsi: abbiamo scoperto la "divisione del lavoro".
Il successo di un' istituzione come quella matrimoniale è dovuto in gran parte al fatto di facilitare la divisione del lavoro tra coniugi: donne a casa, mariti fuori.
La divisione del lavoro conviene se ci sono "economie di scala" (tutti capiscono cosa siano) e "vantaggi comparati" (nessuno capisce mai cosa siano veramente tranne gli economisti).
Per la teoria dei vantaggi comparati, se si decide che l' uomo vada a lavorare piuttosto che allevare i figli e badare alla casa, non è per il fatto che l' uomo lavora meglio della donna!
La donna forse fa meglio entrambe le cose ma il divario è più netto nel settore "allevamento figli".
Quindi, in presenza di economie di scala, è naturale che la donna si occupi esclusivamente dei figli e della casa.
Specializzarsi però crea dipendenza reciproca: io non saprei nemmeno costruirmi una matita decente se lasciato a me stesso.
La lavatrice (e gli altri elettrodomestici) hanno abbattuto le economie di scala che esistevano nei lavori domestici. Cio' significa che la donna avanza del tempo e che quindi puo' lavorare.
Se la donna lavora conquista una sua autonomia materiale e psicologica: lo scudo del matrimonio indissolubile (regalatole dalla Chiesa) le serve molto meno. Ecco allora che in molti casi vi rinuncia, per esempio quando la convivenza è insopportabile (prima era più razionale tenere duro).
Il processo si autoalimenta: poichè esiste un rischio divorzio allora diventa sempre più conveniente lavorare (le donne con matrimoni a rischio sono più istruite e lavorano con più lena). Come se non bastasse, il fatto che ci siano in giro tanti divorziati accresce la possibilità di risposarsi.
Attenzione: la lavatrice abbatte le economie di scala nei lavori domestici ma non quelle dei lavori fuori dalla famiglia e nemmeno intacca la legge dei "vantaggi comparati".
Cio' significa che se il differenziale di abilità in favore della donna nella cura dei figli permane (e un certo differenziale è naturale), a parità di tutto il resto, per la coppia conviene ancora che la donna si dedichi a lavori meno professionali persino, a volte, quando è più brava del marito nei lavori più qualificati.
Dimenticavo un particolare: dal 1960/70 la felicità delle donne è diminuita sia in termini assoluti che in termini relativi (rispetto agli uomini).
Dobbiamo assolvere il femminismo? Io non sarei dell' avviso: se un killer spara prima dell' altro e fa in modo che il suo proiettile si conficchi per primo nel corpo della vittima uccidendola, non per questo si prende tutte le colpe.
Tim Harford - la logica nascosta della vita
[P.S. il buon Tim divulga il leggendario "Trattato sulla famiglia" scritto da Gary Becker]
mercoledì 3 novembre 2010
Rosy Bindi, ovvero l' apogeo della democrazia
Rosy Bindi compra una casa dietro Piazza del Popolo.
Valore di mercato: circa 700.000 euro.
Costo pagato: 400.000.
Un grazie ai funzionari dell' Inail.
Si attendono indagini di Report con le musiche di Hermann.
Scandalizzarsi?
No, la democrazia funziona così.
E allora buttiamo via la "democrazia"?
No, purchè chi va a votare lo faccia sapendo che la democrazia funziona così.
Coscienti di cosa sia la "democrazia" non si possono che votare candidati libertari, ovvero candidati desiderosi di limitare i poteri di politica e burocrazia.
dettagli:
http://fbechis.blogspot.com/2010/11/la-vera-storia-della-casa-di-rosy-bindi.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+BechisBlog+%28Bechis%27+Blog%29&utm_content=Google+Reader
Valore di mercato: circa 700.000 euro.
Costo pagato: 400.000.
Un grazie ai funzionari dell' Inail.
Si attendono indagini di Report con le musiche di Hermann.
Scandalizzarsi?
No, la democrazia funziona così.
E allora buttiamo via la "democrazia"?
No, purchè chi va a votare lo faccia sapendo che la democrazia funziona così.
Coscienti di cosa sia la "democrazia" non si possono che votare candidati libertari, ovvero candidati desiderosi di limitare i poteri di politica e burocrazia.
dettagli:
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Watt
Suonano ognuno per conto proprio senza neanche guardarsi in faccia, se l' altro si fa sentire alzano il volume come si alza un muro. Soffrono ma perseverano. Pedalano vorticosamente senza avanzare. Un vero talento per la bancarotta.
Autismo e impasse.
E' l' oggetto d' indagine che prevale in molti musicisti.
La musica nuova è nuova perchè ci sono cose nuove da dire: nel seicento nessuno sentiva il bisogno di parlare dell' autismo, ma oggi bisogna farlo.
Come possiamo raccontare la fatica di chi sta fermo. Di chi non prende mai il volo. La noia ansante che segue ad una rabbia impotente. Da dove viene la voglia d' infastidire il prossimo nella speranza segreta che ci sopprima.
Leggere il Watt di Becker fa capire una volta per tutte che la cosa puo' essere detta. Ma puo' anche essere suonata?
Innanzitutto, via ogni allegoria, via ogni similitudine, via anche le metafore.
Che resta?
Resta il conato di un' espressione abortita. E forse anche una pietà.
Per il gioco della genealogia farei i nomi di Steve Lacy, Derek Bailey e Captain Beefhart.
Pupillo/Farina/Zerang - Still Life with Commercial - basso/chitarra/batteria -
Autismo e impasse.
E' l' oggetto d' indagine che prevale in molti musicisti.
La musica nuova è nuova perchè ci sono cose nuove da dire: nel seicento nessuno sentiva il bisogno di parlare dell' autismo, ma oggi bisogna farlo.
Come possiamo raccontare la fatica di chi sta fermo. Di chi non prende mai il volo. La noia ansante che segue ad una rabbia impotente. Da dove viene la voglia d' infastidire il prossimo nella speranza segreta che ci sopprima.
Leggere il Watt di Becker fa capire una volta per tutte che la cosa puo' essere detta. Ma puo' anche essere suonata?
Innanzitutto, via ogni allegoria, via ogni similitudine, via anche le metafore.
Che resta?
Resta il conato di un' espressione abortita. E forse anche una pietà.
Per il gioco della genealogia farei i nomi di Steve Lacy, Derek Bailey e Captain Beefhart.
Pupillo/Farina/Zerang - Still Life with Commercial - basso/chitarra/batteria -
Berlusconi: meglio amare le belle donne che essere gay
Berlusconi racconta le sue preferenze sessuali e fa il pieno di critiche.
In prima fila coloro che, in altre occasioni, amano esordire annunciando al mondo la loro avversione al politically correct. Seee.
Ma in fondo Berlusconi esprime solo una cultura, magari arcaica (come dice l' autorevole attrice Julianne Moor) ma pur sempre una cultura.
Criticarlo è legittimo, basta che a farlo non siano i sostenitori del multiculturalismo: per questo genere di relativisti le culture hanno tutte pari dignità. Una vale l' altra.
Roger Scruton ha recentemente espresso in modo vivido questo concetto nel tentativo di mettere in croce il relativismo "multiculti". Mi permetto di riproporre quei concetti riprendendo il resoconto di Richard Fulmer:
In his short but thought provoking book, Culture Counts: Faith and Feeling in a World Besieged, British philosopher Roger Scruton offers a critique of multiculturalism. He begins his analysis by asserting that a culture is largely a bundle of judgments – subjective beliefs about what is beautiful, what is art, what is appropriate or inappropriate, and what is or is not funny. Scruton goes on to explore the value of such cultural judgments by examining laughter.
To illustrate his arguments, I offer a thought experiment. First, imagine someone attempting to amuse his friends with the old “Why did the chicken cross the road?” riddle. Very likely the attempt will fall flat, and the stale punch line will not elicit even a groan.
Now suppose that we give the riddle a twist, answering it as a person from history might. For example, Adam Smith: “It was moved as if by an invisible hand.” Thomas Jefferson: “It was in the course of chicken events.” Sigmund Freud: “The chicken witnessed the sex act as an egg.” Likely, the revised versions will receive more positive responses.
Finally, let’s change the riddle again, this time replacing the word “chicken” with a derogatory epithet for a member of an ethnic, religious, or racial minority, and basing the punch line on a negative stereotype of the targeted group. What response could the joke teller expect? Well, if he were a participant in a Ku Klux Klan rally, the reaction might be quite positive. On the other hand, if he were a Harvard professor regaling his peers in the faculty lounge, the response might very well be shocked silence, frozen faces, and demands for his resignation. (I base the latter prediction on the response Larry Summers received for uttering - not a politically incorrect joke - but a politically incorrect fact, namely that that men tend to do better on standardized math tests than do women.)
Why should these three sets of jokes fare so differently? If we believe, as multiculturalism demands, that all cultures are equally valid, the response to each joke should be precisely the same. Each should be greeted with appreciative laughter based on the sympathetic understanding that the teller is trying to entertain us with a joke that is, according to his culture, amusing. One cannot react negatively without insinuating that he judges his own culture superior to that of the teller.
Yet the Harvard professors’ predicted response, if accurate, would seem to suggest that they do consider the Harvard culture to be superior to the Klan’s. This, despite the fact that a majority of the Harvard faculty almost certainly believes in multiculturalism’s fundamental tenet that all cultures are created equal. Their belief, however, would not stop them from attempting to ruin a fellow faculty member’s career for offending their own subjective cultural judgments (as it did not stop them in Larry Summers’ case).
In defense of Harvard professors, might we believe it possible that there may actually be objective standards by which jokes can be judged? Might we muster the courage to assert that a joke that demeans others is objectively inferior to one that merely amuses? Having conceded so much, might we even go so far as to venture that a culture based on love of knowledge and wisdom is superior to one based on hatred and coercive repression of minorities?
I only pose these as questions, of course, lest I be thought judgmental....
All' affiancamento delle "culture" anteponiamo la concorrenza tra "culture". Per lo meno costruiamo avendo sotto delle fondamenta.
Ma chi sono questi incoerenti che sembrano incapaci di pensare e che costruiscono case d' argilla? Fuori i nomi!
Sono molti, inutile fare nomi.
Potrei ricorrere giusto ad uno stratagemma: poichè in fondo si ama criticare una certa schiera umana identificandola per comodità con Berlusconi, in nome della stessa comodità mi limiterò a fare un unico nome: Fahrenheit. Tanto ormai conosciamo bene il tipo umano che sfila in continuazione sul tappeto rosso offerto dal monopolio.
Inutile aggiungere altro.
Annalena Benini sull' omofollia di Berlusconi, autentico sdoganatore della cultura gay.
In prima fila coloro che, in altre occasioni, amano esordire annunciando al mondo la loro avversione al politically correct. Seee.
Ma in fondo Berlusconi esprime solo una cultura, magari arcaica (come dice l' autorevole attrice Julianne Moor) ma pur sempre una cultura.
Criticarlo è legittimo, basta che a farlo non siano i sostenitori del multiculturalismo: per questo genere di relativisti le culture hanno tutte pari dignità. Una vale l' altra.
Roger Scruton ha recentemente espresso in modo vivido questo concetto nel tentativo di mettere in croce il relativismo "multiculti". Mi permetto di riproporre quei concetti riprendendo il resoconto di Richard Fulmer:
In his short but thought provoking book, Culture Counts: Faith and Feeling in a World Besieged, British philosopher Roger Scruton offers a critique of multiculturalism. He begins his analysis by asserting that a culture is largely a bundle of judgments – subjective beliefs about what is beautiful, what is art, what is appropriate or inappropriate, and what is or is not funny. Scruton goes on to explore the value of such cultural judgments by examining laughter.
To illustrate his arguments, I offer a thought experiment. First, imagine someone attempting to amuse his friends with the old “Why did the chicken cross the road?” riddle. Very likely the attempt will fall flat, and the stale punch line will not elicit even a groan.
Now suppose that we give the riddle a twist, answering it as a person from history might. For example, Adam Smith: “It was moved as if by an invisible hand.” Thomas Jefferson: “It was in the course of chicken events.” Sigmund Freud: “The chicken witnessed the sex act as an egg.” Likely, the revised versions will receive more positive responses.
Finally, let’s change the riddle again, this time replacing the word “chicken” with a derogatory epithet for a member of an ethnic, religious, or racial minority, and basing the punch line on a negative stereotype of the targeted group. What response could the joke teller expect? Well, if he were a participant in a Ku Klux Klan rally, the reaction might be quite positive. On the other hand, if he were a Harvard professor regaling his peers in the faculty lounge, the response might very well be shocked silence, frozen faces, and demands for his resignation. (I base the latter prediction on the response Larry Summers received for uttering - not a politically incorrect joke - but a politically incorrect fact, namely that that men tend to do better on standardized math tests than do women.)
Why should these three sets of jokes fare so differently? If we believe, as multiculturalism demands, that all cultures are equally valid, the response to each joke should be precisely the same. Each should be greeted with appreciative laughter based on the sympathetic understanding that the teller is trying to entertain us with a joke that is, according to his culture, amusing. One cannot react negatively without insinuating that he judges his own culture superior to that of the teller.
Yet the Harvard professors’ predicted response, if accurate, would seem to suggest that they do consider the Harvard culture to be superior to the Klan’s. This, despite the fact that a majority of the Harvard faculty almost certainly believes in multiculturalism’s fundamental tenet that all cultures are created equal. Their belief, however, would not stop them from attempting to ruin a fellow faculty member’s career for offending their own subjective cultural judgments (as it did not stop them in Larry Summers’ case).
In defense of Harvard professors, might we believe it possible that there may actually be objective standards by which jokes can be judged? Might we muster the courage to assert that a joke that demeans others is objectively inferior to one that merely amuses? Having conceded so much, might we even go so far as to venture that a culture based on love of knowledge and wisdom is superior to one based on hatred and coercive repression of minorities?
I only pose these as questions, of course, lest I be thought judgmental....
All' affiancamento delle "culture" anteponiamo la concorrenza tra "culture". Per lo meno costruiamo avendo sotto delle fondamenta.
Ma chi sono questi incoerenti che sembrano incapaci di pensare e che costruiscono case d' argilla? Fuori i nomi!
Sono molti, inutile fare nomi.
Potrei ricorrere giusto ad uno stratagemma: poichè in fondo si ama criticare una certa schiera umana identificandola per comodità con Berlusconi, in nome della stessa comodità mi limiterò a fare un unico nome: Fahrenheit. Tanto ormai conosciamo bene il tipo umano che sfila in continuazione sul tappeto rosso offerto dal monopolio.
Inutile aggiungere altro.
Annalena Benini sull' omofollia di Berlusconi, autentico sdoganatore della cultura gay.
Chiesa della Pietà e Chiesa di Potere
Dalla conversione dell' imperatore Costantino nacquero essenzialmente due chiese cattoliche. Prima di Costantino, la Chiesa era condotta da un clero impegnato, pagato poco e ascetico, che a volte rischiava deliberatamente il martirio. Questo gruppo e i suoi eredi costituivano la Chiesa della Pietà. Quando però Costantino cominciò a ricoprore la chiesa di privilegi e sussidi, generò una fuga verso il sacerdozio da parte dei figli delle classi superiori, dal momento che le cariche ecclesiastiche davano rendite elevate e garantivano influenza politica. La nuova gerarchia formò la cosiddetta Chiesa di Potere. Era improbabile che un clero di "investitori" fosse ostile ai commerci e, durante l' ascesa del capitalismo, la Chiesa di Potere segnò la strada che adattò le tradizionali preferenze ascetiche della religione alla realtà economica. Se avesse avuto la meglio la Chiesa della Pietà, il cristianesimo, probabilmente, avrebbe continuato a denunciare l' usura e, in generali, a opporsi al profitto e al materialismo proprio come fa ora il mondo islamico.
Con la grande scossa data dalla Riforma, la Chiesa della Pietà fu in grado di riprendere il potere e fu posta fine alla compravendita delle cariche. La Chiesa della Controriforma mostrò una linea anti-intellettuale, nuovi allarmi di eresia si spingevano a soffocare la cultura, così da incoraggiare fraintendimenti a proposito dell' opposizione alle scienze. Inoltre, proprio come la sua controparte puritana e protestante, anche la Chiesa della Controriforma era molto decisa nella sua condanna alle "ricchezze" e vedeva con molto sospetto il fervore commerciale di alcuni centri, nutriva inoltre un malcelato sdegno contro la "modernità" e il "progresso". I capi della Controriforma ristabilirono una fede che si adattava meglio alle economie dirigiste, una fede completamente estranea alle istanze della democrazia e ancor di più a quelle del capitalismo. Fu questo tipo di Chiesa a prevalere nell' Europa meridionale e più tardi nelle colonie del Nuovo Mondo da dove, emerse sempre più virulento un incauto anti-capitalismo che sfociò da ultimo, per esempio, nella teologia della Liberazione.
Rodney Stark - La vittoria della Ragione.
Con la grande scossa data dalla Riforma, la Chiesa della Pietà fu in grado di riprendere il potere e fu posta fine alla compravendita delle cariche. La Chiesa della Controriforma mostrò una linea anti-intellettuale, nuovi allarmi di eresia si spingevano a soffocare la cultura, così da incoraggiare fraintendimenti a proposito dell' opposizione alle scienze. Inoltre, proprio come la sua controparte puritana e protestante, anche la Chiesa della Controriforma era molto decisa nella sua condanna alle "ricchezze" e vedeva con molto sospetto il fervore commerciale di alcuni centri, nutriva inoltre un malcelato sdegno contro la "modernità" e il "progresso". I capi della Controriforma ristabilirono una fede che si adattava meglio alle economie dirigiste, una fede completamente estranea alle istanze della democrazia e ancor di più a quelle del capitalismo. Fu questo tipo di Chiesa a prevalere nell' Europa meridionale e più tardi nelle colonie del Nuovo Mondo da dove, emerse sempre più virulento un incauto anti-capitalismo che sfociò da ultimo, per esempio, nella teologia della Liberazione.
Rodney Stark - La vittoria della Ragione.
martedì 2 novembre 2010
God bless America
Oggi si vota negli USA, speriamo che dopo tanto sonno suonino le prime sveglie.
Obama ha governato piuttosto male e si accinge ad incassare una sconfitta, cattolici e donne sono i primi a voltargli le spalle. Si discute solo dell' entità e di altri noiosi particolari tecnici, la bocciatura è certa.
Arriva prima del previsto ma per me in questi casi è sempre tardi.
Già, personalmente tiro un sospiro di sollievo nel vedere che l' America resiste, resiste, resiste...
Resiste coricemente alla propria "europeizzazione". E' restia, sente puzza di bruciato: magari le stesse solerti narici sniffassero anche dalle nostre parti.
L' America resta un' eccezione nell' Occidente. Non a caso è anche la locomotiva di quel mondo, tutto il resto va passivamente a rimorchio, nel bene e nel male. la cina ora salta con la ricorso, la giudicheremo quando dovrà saltare da fermo.
C' è stata una crisi finanziaria molto forte, si pensava che fosse venuto il momento delle regole, il momento di metterci un freno, e invece?
Invece impazzano i movimenti libertari in stile tea party, quelli che chiedono meno Stato, meno regole... meno Obama.
God bless America.
Sotto sotto in tanti sapevano che il famoso slogan "Yes, we can" era una fanfaronata. Ma che la cosa venisse a galla tanto presto si poteva anche dubitare. Aribless America.
"You can" che cosa? Sentiamo?
"You can do" una costosa riforma della sanità che colpisce un settore dinamico rimasto solo a regalare innovazione in ambito medico al mondo? E intanto noi copiamo e critichiamo. Importiamo e pontifichiamo sull' inciviltà di chi non cura a sbafo.
Quel che gli americani hanno visto è stato un Presidente che ha preso i soldi dei contribuenti oculati per finanziare i ricchissimi falliti di Wall Street: tanto populismo ma anche tanta, tanta verità in un simile giudizio. E il populismo poi lo scontiamo volentieri visto che dall' altra parte c' è il campione del mondo di specialità.
Obama ha governato piuttosto male e si accinge ad incassare una sconfitta, cattolici e donne sono i primi a voltargli le spalle. Si discute solo dell' entità e di altri noiosi particolari tecnici, la bocciatura è certa.
Arriva prima del previsto ma per me in questi casi è sempre tardi.
Già, personalmente tiro un sospiro di sollievo nel vedere che l' America resiste, resiste, resiste...
Resiste coricemente alla propria "europeizzazione". E' restia, sente puzza di bruciato: magari le stesse solerti narici sniffassero anche dalle nostre parti.
L' America resta un' eccezione nell' Occidente. Non a caso è anche la locomotiva di quel mondo, tutto il resto va passivamente a rimorchio, nel bene e nel male. la cina ora salta con la ricorso, la giudicheremo quando dovrà saltare da fermo.
C' è stata una crisi finanziaria molto forte, si pensava che fosse venuto il momento delle regole, il momento di metterci un freno, e invece?
Invece impazzano i movimenti libertari in stile tea party, quelli che chiedono meno Stato, meno regole... meno Obama.
God bless America.
Sotto sotto in tanti sapevano che il famoso slogan "Yes, we can" era una fanfaronata. Ma che la cosa venisse a galla tanto presto si poteva anche dubitare. Aribless America.
"You can" che cosa? Sentiamo?
"You can do" una costosa riforma della sanità che colpisce un settore dinamico rimasto solo a regalare innovazione in ambito medico al mondo? E intanto noi copiamo e critichiamo. Importiamo e pontifichiamo sull' inciviltà di chi non cura a sbafo.
Quel che gli americani hanno visto è stato un Presidente che ha preso i soldi dei contribuenti oculati per finanziare i ricchissimi falliti di Wall Street: tanto populismo ma anche tanta, tanta verità in un simile giudizio. E il populismo poi lo scontiamo volentieri visto che dall' altra parte c' è il campione del mondo di specialità.
Che fatica scegliersi un nemico
Con Giovanni Paolo II la Chiesa ha conosciuto un periodo di fioritura riguadagnando il centro della scena mondiale: aveva un nemico che era veramente un nemico dell' Uomo, il Comunismo!
Ce lo ricorda Massimo Franco nel suo ultimo libro, e aggiunge che per riguadagnare autorevolezza lasciandosi alle spalle lo scandalo dei preti pedofili, alla Chiesa occorre trovare un nuovo nemico, magari altrettanto pericoloso, magari da combattere in relativa solitudine, con l' intellighentia ufficiale già traviata e resa inaffidabile, che cerca di recuperare a giochi fatti cavillando pateticamente, proprio come è avvenuto con il Comunismo .
Il relativismo culturale come nemico non mi sembra l' ideale; è troppo vago, in pochi lo sentono come una minaccia. In più, spesso, chi si fregia con il titolo di "relativista", sta solo combattendo una battaglia che nel merito è anche giusta. Inutile impuntarsi sulla sistemazione dei soprammobili quando si ha la sensazione che manchino i mobili.
La Chiesa deve trovare altri nemici; il suo fuoco di sbarramento, per avere successo nel mondo moderno, deve essere al servizio di una battaglia di libertà.
E poi cercarsi un nemico fuori dall' Europa lascia solo l' imbarazzo della scelta. Viviamo in un mondo cristianofobico e ci vogliono intellettuali sopraffini per stare dalla parte dei bombaroli che attaccano ogni giorno, nel silenzio generale, le Chiese cristiane.
In Europa, come nemico vedrei bene lo "scientismo autoritario", quello pronto a limitare l' azione altrui in nome di una statistica o di un esperimento. Un GPP (Grande Padre Pedante) che aspira a regalarci una sicurezza eugenetica al gusto di celophane, che vorrebbe radunearci tutti in un carcere a cielo aperto, un ovile senza il calore del letame ma con sbarre infrangibili, tutti schiavi del Padrone più Buono del Mondo, un tale che sogna il Mondo come una grande Svezia bloccata nel ghiaccio, un posto dove neanche l' angolo più remoto verrebbe risparmiato dall' intridente olezzo di medicinale.
La Chiesa non gestisce forse la maggior parte delle scuole private italiane? E allora cominci da lì, le difenda in nome della libertà, in nome del Rischio, alzi il vessillo della libertà ad insegnare cio' che si vuole senza che l' auto-proclamato esperto di turno si presenti a farci la lezioncina peer reviewed con truppe al seguito e armi in caccia! Alla lunga, così come per la lotta al Comunismo, i Grilli Parlanti diverranno sempre più striduli e per la Chiesa la Storia tributerà forse nuovi onori.
Una società più rischiosa è una Società che la Chiesa deve guardare con favore: non è forse lei l' agenzia assicurativa più efficiente di ogni tempo?
Ce lo ricorda Massimo Franco nel suo ultimo libro, e aggiunge che per riguadagnare autorevolezza lasciandosi alle spalle lo scandalo dei preti pedofili, alla Chiesa occorre trovare un nuovo nemico, magari altrettanto pericoloso, magari da combattere in relativa solitudine, con l' intellighentia ufficiale già traviata e resa inaffidabile, che cerca di recuperare a giochi fatti cavillando pateticamente, proprio come è avvenuto con il Comunismo .
Il relativismo culturale come nemico non mi sembra l' ideale; è troppo vago, in pochi lo sentono come una minaccia. In più, spesso, chi si fregia con il titolo di "relativista", sta solo combattendo una battaglia che nel merito è anche giusta. Inutile impuntarsi sulla sistemazione dei soprammobili quando si ha la sensazione che manchino i mobili.
La Chiesa deve trovare altri nemici; il suo fuoco di sbarramento, per avere successo nel mondo moderno, deve essere al servizio di una battaglia di libertà.
E poi cercarsi un nemico fuori dall' Europa lascia solo l' imbarazzo della scelta. Viviamo in un mondo cristianofobico e ci vogliono intellettuali sopraffini per stare dalla parte dei bombaroli che attaccano ogni giorno, nel silenzio generale, le Chiese cristiane.
In Europa, come nemico vedrei bene lo "scientismo autoritario", quello pronto a limitare l' azione altrui in nome di una statistica o di un esperimento. Un GPP (Grande Padre Pedante) che aspira a regalarci una sicurezza eugenetica al gusto di celophane, che vorrebbe radunearci tutti in un carcere a cielo aperto, un ovile senza il calore del letame ma con sbarre infrangibili, tutti schiavi del Padrone più Buono del Mondo, un tale che sogna il Mondo come una grande Svezia bloccata nel ghiaccio, un posto dove neanche l' angolo più remoto verrebbe risparmiato dall' intridente olezzo di medicinale.
La Chiesa non gestisce forse la maggior parte delle scuole private italiane? E allora cominci da lì, le difenda in nome della libertà, in nome del Rischio, alzi il vessillo della libertà ad insegnare cio' che si vuole senza che l' auto-proclamato esperto di turno si presenti a farci la lezioncina peer reviewed con truppe al seguito e armi in caccia! Alla lunga, così come per la lotta al Comunismo, i Grilli Parlanti diverranno sempre più striduli e per la Chiesa la Storia tributerà forse nuovi onori.
Una società più rischiosa è una Società che la Chiesa deve guardare con favore: non è forse lei l' agenzia assicurativa più efficiente di ogni tempo?
Iena dentro
Andy Moore è uno stregone-minatore che, concentrato come pochi, con la sua oscillante chitarra scava diligente alla ricerca della bestia che ha dentro, possiede un trapano implacabile; DJ Rapture lo sprona dandogli il tempo affinchè raggiunga la giusta cifra alchemica, solo così la trasmutazione dei metalli e della coscienza potrà compiersi.
A volte ci sentiamo minacciati dalla curiosità irrefrenabile di Andy, il maglio della sua chitarra ci irrita: basta! non abbiamo bisogno di andare tanto in fondo; vogliamo più leggerezza, più etere, più levità: aria! Ma lui non sente, al centro del suo cuore sta aquattata una iena dalle gialle lanterne che lo fissa a distanza, deve raggiungerla e stanarla, aprirle la bocca, toccarle la lingua, entrargli in gola per andare poi alla ricerca della iena nella iena. Più si avvicina più quella alza il pelo sul cutrone, la collisione è prossima. Per noi spettatori-bambini è un bau bau che ci fa pensare alla mamma: scappiamo e torniamo a vedere di continuo sedotti dalla bellezza delle brutture e da tutto cio' che, a parole, schifiamo. E' proprio orribile come l' immaginavo, è proprio sublime come la sognavo: la vicinanza e il disvelamento non attenuano in nulla l' allucinazione.
Da grandi, poi, anche noi impareremo annoiati su qualche libro fatto per sbiadire le viste che il mostro passa il novanta per cento del suo tempo a brucare l' erba ed accudire piccoli giocherelloni che sopportano bene il guinzaglio. E che l' alchimia è una truffa da denunciare ai carabinieri (o a striscia).
Andy Moore/Dj Rapture - Our Enemies Have Watches but We Have Time -
genalogia: Rys Chatman
Essere il proprio cervello
Triste sorte.
Fortunatamente...
Remarkably, this internalistic, individualistic conception of ourselves is not dictated by the best natural science...
Fortunatamente...
Remarkably, this internalistic, individualistic conception of ourselves is not dictated by the best natural science...
domenica 31 ottobre 2010
Eppure
Eppure...
Ho letto "Resurrezione" di Lev Tolstoj, racconta di come sia dura la vita consumata in un carcere siberiano dove i prigionieri sono sottoposti a trattamenti disumani.
Ma, magari, di scandagliare la vita carceraria vi interessa poco, magari i trattamenti disumani vi turbano e vorreste tanto starne alla larga per godere al meglio il tepore di salottini accoglienti in cui parlare del più e del meno, magari le "vite consumate" non sono esattamente la vostra passione numero uno. Anche se è così, questo libro fa per voi, visto che "fa per tutti".
Tolstoj è stato "il più grande" proprio perchè, con lui, questo genere di paralogismi funziona a meraviglia.
Lui potrebbe parlar di tutto, potrebbe scrivere anche di cose irrilevanti anzi, irritanti, eppure continuerebbe a scrivere "il libro che fa per voi". "Per voi", bè, adesso non esageriamo. "Per me" sì però, di sicuro.
Prendiamo le sue proverbiali tensioni morali, ebbene, sono trapuntate da inesausti e continui guizzi di umorismo legati alle micro-tragedie della vita quotidiana.
Quando le prime stufano, e a me stufano quasi subito, arrivano immantinente i secondi, manco fossero il settimo cavalleggeri, manco il lettore fosse tutto cablato con sensori neuronali che rivelano solleciti i cali di attenzione.
Quando i secondi stuccano, sopraggiunge con tempismo l' agile ponzosità delle prime.
Se questa alternanza desse solo l' aria di ripetersi, il Maestro s' inventa dal nulla un terzo ingrediente facendo subito diventare oro qualsiasi cosa tocchi il suo pennino.
Per carità, lungi da me negare che alcuni inconvenienti arrivino a turbare un simile panorama idilliaco, per esempio: ad ogni finale ottocentesco si addice il crescendo, per ottenerlo è d' uopo non rompere il climax: ecco che allora anche i sapienti equilibri del Maestro devono cedere alle esigenze del Canone.
Fa niente, Tolstoj è talmente ricco che si puo' rimanere appagati da un suo libro anche espungendo un finale crucialissimo che sarebbe il punto di forza per chiunque altro.
E ve lo giura chi si giudica soddisfatto avendo letto il suo libro sulle carceri zariste eliminando la parte ambientata nelle carceri zariste, oltre che tutte le pagine in cui si parla di carceri zariste!
Per questo che è lui il più grande. Nel suo secolo, con Flaubert, è il più grande.
Non c' è nulla di lui che condivido, il suo disgusto per la modernità e i suoi infantili pacifismi renderebbero insopportabile qualsiasi adulto che osasse professarli con la sua iattanza.
Eppure...
Il Vangelo russificato come esce dalla sua rielaborazione contorta, avvelenato e indigesto come viene servito in cucine che sfornano a tutto spiano solo cibi sciapi, mi appare ampiamente travisato.
Eppure...
Le sue indignazioni, i suoi disgusti, le sue vergogne annoiano presto e si rivelano solo come il tipico furore conformista del sedicente "puro" ferito a morte dalla realtà, di chi si vede vittima in croce e non riesce a tirare avanti se non pensandosi in quel modo.
Eppure...
La passione per la filosofia ammorba non poche pagine della sua opera, piegandola spesso al didascalico resoconto di tiritere mediocri e di idee impiegatizie tipiche del pensatore di risulta.
Eppure...
La totalizzante interiorità indicata ripetutamente come unico valore ha la presa di certa reclame raffazzonata quando è in heavy rotation da sei mesi su tutte le più scalcagnate TV private.
Eppure...
La letteratura che veicola conoscenze e disvela realtà all' intelletto? Ma stando ai messaggi espliciti recapitati dal patriarca mi sento profondamente offeso pur nella mia medietà e nella mia intelligenza qualunque.
Eppure...
Eppure, se penso al suo rigo carnoso da cui cola muco, saliva e sangue; se penso al suo modo di far sorridere gli occhi di una comparsa, detrito che la Storia subito abbandonerà sull' argine; se penso alle sue ingiurie, di una ricercatezza addirittura strana; se penso ai suoi silenzi popolari, sempre decorati con colpi di tosse, soffiate di naso, pianti di moccioso; se penso alla gogna in cui incastra il suo nemico ideologico, illustrandone le tare che sono poi le naturali storture del Legno Umano cantate con voce stentorea; se penso a tutto questo, allora mi riconcilio in tempo reale e alzo convinto il mio peana di lettore convertito.
***
N.B. post incompiuto (ndr)
Ho letto "Resurrezione" di Lev Tolstoj, racconta di come sia dura la vita consumata in un carcere siberiano dove i prigionieri sono sottoposti a trattamenti disumani.
Ma, magari, di scandagliare la vita carceraria vi interessa poco, magari i trattamenti disumani vi turbano e vorreste tanto starne alla larga per godere al meglio il tepore di salottini accoglienti in cui parlare del più e del meno, magari le "vite consumate" non sono esattamente la vostra passione numero uno. Anche se è così, questo libro fa per voi, visto che "fa per tutti".
Tolstoj è stato "il più grande" proprio perchè, con lui, questo genere di paralogismi funziona a meraviglia.
Lui potrebbe parlar di tutto, potrebbe scrivere anche di cose irrilevanti anzi, irritanti, eppure continuerebbe a scrivere "il libro che fa per voi". "Per voi", bè, adesso non esageriamo. "Per me" sì però, di sicuro.
Prendiamo le sue proverbiali tensioni morali, ebbene, sono trapuntate da inesausti e continui guizzi di umorismo legati alle micro-tragedie della vita quotidiana.
Quando le prime stufano, e a me stufano quasi subito, arrivano immantinente i secondi, manco fossero il settimo cavalleggeri, manco il lettore fosse tutto cablato con sensori neuronali che rivelano solleciti i cali di attenzione.
Quando i secondi stuccano, sopraggiunge con tempismo l' agile ponzosità delle prime.
Se questa alternanza desse solo l' aria di ripetersi, il Maestro s' inventa dal nulla un terzo ingrediente facendo subito diventare oro qualsiasi cosa tocchi il suo pennino.
Per carità, lungi da me negare che alcuni inconvenienti arrivino a turbare un simile panorama idilliaco, per esempio: ad ogni finale ottocentesco si addice il crescendo, per ottenerlo è d' uopo non rompere il climax: ecco che allora anche i sapienti equilibri del Maestro devono cedere alle esigenze del Canone.
Fa niente, Tolstoj è talmente ricco che si puo' rimanere appagati da un suo libro anche espungendo un finale crucialissimo che sarebbe il punto di forza per chiunque altro.
E ve lo giura chi si giudica soddisfatto avendo letto il suo libro sulle carceri zariste eliminando la parte ambientata nelle carceri zariste, oltre che tutte le pagine in cui si parla di carceri zariste!
Per questo che è lui il più grande. Nel suo secolo, con Flaubert, è il più grande.
Non c' è nulla di lui che condivido, il suo disgusto per la modernità e i suoi infantili pacifismi renderebbero insopportabile qualsiasi adulto che osasse professarli con la sua iattanza.
Eppure...
Il Vangelo russificato come esce dalla sua rielaborazione contorta, avvelenato e indigesto come viene servito in cucine che sfornano a tutto spiano solo cibi sciapi, mi appare ampiamente travisato.
Eppure...
Le sue indignazioni, i suoi disgusti, le sue vergogne annoiano presto e si rivelano solo come il tipico furore conformista del sedicente "puro" ferito a morte dalla realtà, di chi si vede vittima in croce e non riesce a tirare avanti se non pensandosi in quel modo.
Eppure...
La passione per la filosofia ammorba non poche pagine della sua opera, piegandola spesso al didascalico resoconto di tiritere mediocri e di idee impiegatizie tipiche del pensatore di risulta.
Eppure...
La totalizzante interiorità indicata ripetutamente come unico valore ha la presa di certa reclame raffazzonata quando è in heavy rotation da sei mesi su tutte le più scalcagnate TV private.
Eppure...
La letteratura che veicola conoscenze e disvela realtà all' intelletto? Ma stando ai messaggi espliciti recapitati dal patriarca mi sento profondamente offeso pur nella mia medietà e nella mia intelligenza qualunque.
Eppure...
Eppure, se penso al suo rigo carnoso da cui cola muco, saliva e sangue; se penso al suo modo di far sorridere gli occhi di una comparsa, detrito che la Storia subito abbandonerà sull' argine; se penso alle sue ingiurie, di una ricercatezza addirittura strana; se penso ai suoi silenzi popolari, sempre decorati con colpi di tosse, soffiate di naso, pianti di moccioso; se penso alla gogna in cui incastra il suo nemico ideologico, illustrandone le tare che sono poi le naturali storture del Legno Umano cantate con voce stentorea; se penso a tutto questo, allora mi riconcilio in tempo reale e alzo convinto il mio peana di lettore convertito.
***
N.B. post incompiuto (ndr)
sabato 30 ottobre 2010
Meditazione sul Vangelo del 30-10-2010
Lettura del Vangelo secondo Matteo 22, 1-14
In quel tempo. Il Signore Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Il Vangelo ci parla di una "selezione".
Fin qui tutto bene, la cosa non ci scompone: l' uomo moderno vive in una società selettiva, la meritocrazia è al centro o dovrebbe essere al centro tutto, cio' è conforme alla nostra sensibilità.
Nel Vangelo dice qualcosa in più: il meriti si realizza accettando un invito. L' accoglienza passiva è sufficiente. Sarà un "let it be" a salvarci.
Per non opporsi al corso naturale delle cose occorre possedere la nozione di "naturale"; l' uomo moderno rischia di perdere una simile nozione, l' uomo moderno crede al caso e rischia una perdita della dimensione del "senso", dello "scopo". "Senso" e "scopo" sono termini senza i quali il "naturale" è impensabile.
Se con un martello pianto un chiodo, lo uso in modo "naturale"; se invece ci mangio la pastasciutta lo uso contronatura. Il perchè è presto detto: il martello è costruito allo scopo di piantare i chiodi, il suo senso è quello.
Molti uomini del nostro tempo non pensano che le cose abbiano un senso, non pensano che abbianom uno scopo, e quindi non sanno dare un significato alla parola "naturale", non sanno cosa sia un "diritto naturale". La parola "naturale" li mette a disagio.
E' una fortuna che il libertario, accanto al cattolico, sia fra i pochi ad avere ben chiara questa nozione essenziale.
P.S. Nella sua predica Don Cesare ha puntato l' attenzione sul commensale punito per non aver indossato l' Abito Nuziale. La punizione si giustifica per aver violato una regola rituale. Solo l' ingenuo pensa che una preoccupazione del genere rifletta un arcaismo, in realtà la nostra ragione la giustifica eccome. Gli autori moderni che più si sono spesi su questo punto sono i Nobel Thomas Schelling (teoria dei giochi) e August Fredrick von Hayek (ordine economico catallattico).
In quel tempo. Il Signore Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Il Vangelo ci parla di una "selezione".
Fin qui tutto bene, la cosa non ci scompone: l' uomo moderno vive in una società selettiva, la meritocrazia è al centro o dovrebbe essere al centro tutto, cio' è conforme alla nostra sensibilità.
Nel Vangelo dice qualcosa in più: il meriti si realizza accettando un invito. L' accoglienza passiva è sufficiente. Sarà un "let it be" a salvarci.
Per non opporsi al corso naturale delle cose occorre possedere la nozione di "naturale"; l' uomo moderno rischia di perdere una simile nozione, l' uomo moderno crede al caso e rischia una perdita della dimensione del "senso", dello "scopo". "Senso" e "scopo" sono termini senza i quali il "naturale" è impensabile.
Se con un martello pianto un chiodo, lo uso in modo "naturale"; se invece ci mangio la pastasciutta lo uso contronatura. Il perchè è presto detto: il martello è costruito allo scopo di piantare i chiodi, il suo senso è quello.
Molti uomini del nostro tempo non pensano che le cose abbiano un senso, non pensano che abbianom uno scopo, e quindi non sanno dare un significato alla parola "naturale", non sanno cosa sia un "diritto naturale". La parola "naturale" li mette a disagio.
E' una fortuna che il libertario, accanto al cattolico, sia fra i pochi ad avere ben chiara questa nozione essenziale.
P.S. Nella sua predica Don Cesare ha puntato l' attenzione sul commensale punito per non aver indossato l' Abito Nuziale. La punizione si giustifica per aver violato una regola rituale. Solo l' ingenuo pensa che una preoccupazione del genere rifletta un arcaismo, in realtà la nostra ragione la giustifica eccome. Gli autori moderni che più si sono spesi su questo punto sono i Nobel Thomas Schelling (teoria dei giochi) e August Fredrick von Hayek (ordine economico catallattico).
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