sabato 14 agosto 2010

Pregare previene l' alcolismo

Quando parte il programma pubblico? Lo mettiamo nella prossima finanziaria? Fatemelo sapere.

Scherzo? Per legami molto meno evidenti si spendono miliardi.

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Marilynne Robinson

Una maestrina che scrive fiabe fa la lezione a Richard Dawkins, Daniel Dennett, Steven Pinker, E.O. Wilson.

Ascolteranno?

No, ma deporre l' astio ed affidarsi alla bellezza e alla semplicità puo' sempre aiutare.

Una maestrina che scrive fiabe fa la lezione a Richard Dawkins, Daniel Dennett, Steven Pinker, E.O. Wilson.

Ascolteranno?

No, ma deporre l' astio ed affidarsi alla bellezza e alla semplicità puo' sempre aiutare.

Il video di una sua conferenza a Yale.

i 10 nemici del liberalismo

Secondo Boudon.

1 - Chi crede che la vita sia un gioco a somma zero, si prende a chi ha: il liberalismo punta sulla creazione della ricchezza.

2 - I nostalgici che sognano il mondo della loro infanzia: il liberalismo è perenne trasformazione.

3 - Quelle Chiese sempre pronte ad enfatizzare gli effetti perversi delle società liberali.

4 - I Nazionalisti, che vedono il cittadino umile servitore della Patria: il liberalismo vede lo Stato al servizio dell' individuo.

5 - I romantici disperati dal fatto che la ricchezza attenua la dimensione drammatica della vita: il liberalismo pone l' accento sulla conciliazione.

6 - Gli spirituali che vedono l' uomo libero come un uomo gretto ed egoista: il liberalismo dice che l' uomo libero è semplicemente cio' che è nella realtà.

7 - I comunitaristi che antepongono la comunità all' individuo.

8 - Gli amanti dell' identità: secondo costoro un maghrabino nato in Francia con moglie svedese i cui figli studiano a Londra dovrebbe essere... un signor nessuno. Secondo i liberali invece è un signore punto e basta.

9 - Coloro che sono in cerca di soluzioni per ogni problema: il liberalismo quasi sempre ha solo una pseudo-soluzione: fate come credete.

10 - Gli amanti delle escatologie: il liberalismo prevede una ricerca infinita e senza approdi, mal si concilia con la "fine della storia".

La tesi "Duhem-Quine"

Ci dice che non esiste nulla di più facile che costruirsi una teoria vera.

Questo per un semplice motivo: nessuna ipotesi puo' essere verificata isolatamente.

Una teoria è considerata vera se confermata da alcuni fatti e non subisce confutazioni. Ma è sempre possibile trovare argomentazioni che permettono di opporsi ad una obiezione, è sempre possibile rendere la propria teoria impermeabile alle critiche. Cio' discende appunto dalla tesi Duhem-Quine.

Nessuna ipotesi è verificabile isolatamente, dicevamo, cio' significa che una teoria (T1) puo' essere vera anche se le ipotesi che ne stanno alla base (H1a;H1b) sono false: basta che gli errori indotti dalla falsità delle ipotesi si compensino.

Se una teoria (T2) viene falsificata, nulla di completo sappiamo ancora sulla verità delle sue ipotesi (H2a;H2b), solo che in esse c' è qualcosa che non va. Ma chi ama sia la verità che T2 non deve preoccuparsi, esiste sempre un' ipotesi ausiliaria (H2c) che rende vera T2.

Esiste sempre, anche se magari H2c si limita, grazie al nuovo "errore" che introduce, a compensare i vecchi errori. Ma che H2c sia sbagliata non puo' essere verificato proprio per la tesi Duhem-Quine: nessuna ipotesi è verificabile isolatamente.

Tolomeo fu confutato da Copernico, ma attraverso l' ipotesi degli epicicli la sua teoria continuia ad essere valida anche se s' incasina non poco.

la dottrina comunista sembrò confutata dai collassi di Ungheria e Cecoslovacchia. Bastò introdurre ipotesi ausiliarie per raddrizzare il castello. In quel caso H2c = agenti CIA s' infiltrano e sobillano la popolazione.

Non si puo' nemmeno dire, come fece Popper, che l' introduzione di ipotesi ausiliarie (nel nostro caso H2c) sia una pratica anti-scientifica.

Uno storico della scienza avrà buon gioco a dimostrare che molte teorie vincenti del passato furono difese, specie al loro insorgere, tramite l' introduzione di ipotesi ausiliarie talvolta smaccate.

Galileo è l' esempio preclaro: la testardaggine del Toscano nel difendere cio' che appariva ormai confutato fu provvidenziale.

L' antropologo Durkheim con sbalorditiva lucidità ha mostrato che le procedure cognitive del "pensiero magico" non sono di natura diversa da quelle del "pensiero scientifico".

La testa del Mago della Pioggia si comporta come la testa di Galileo, è solo "ancora più" testardo e agisce privo di una reale concorrenza.

Cosa sia scienza e cosa sia "pensiero magico" è qualcosa da affidare dunque al buon senso, non esiste una formuletta come crede l' ingenuo.

Non esistendo una formula per stabilire cosa sia scienza, capiamo anche perchè la scienza non sarà mai un' attività demandabile ai robot.

Se cio' che non ci mancherà mai sono le teorie vere, e questo sembra dimostrato, significa forse che la scienza non ha accresciuto in niente la nostra conoscenza? Significa che il nostro sapere non è cumulabile?

Questa ipotesi è piuttosto ingenua, almeno quanto quella della scienza "robotizzabile", direi che non supera il giggle test bayesiano.

La tesi "Duhem-Quine" puo' essere conciliata con la tesi del "sapere cumulativo" solo grazie, ripeto, al senso comune: definire la scienza in modo rigoroso è impresa disperata, lasciamo perdere chi crede nella scienza robotizzata, il buon senso ci farà discernere il sapere autentico da quello farlocco, ben consci che tale discernimente è faticoso, mai definitivo e soprattutto richiede di essere realizzato in un ambiente dove non scarseggino "libertà", "tolleranza" e "concorrenza".

Dici poco.

Il maestro di Stalin

L' ex comunista nostrano che non ha fatto i conti con la sua storia lo riconosci subito: anzichè parlare di "comunismo" parla di... "stalinismo".

Come se un fascista parlasse di "mussolinismo".

A Radio Tre l' uso del termine autoassolutorio va per la maggiore. Quando si enumerano con ribrezzo i totalitarismi del novecento, s' intona sempre la solita filastrocca: Fascismo, Nazismo e... (pausa incerta e abbassamento del tono)... Stalinismo.

Ma lo vuoi capire, caro conduttore di Radio Tre, che lo Stalinismo sta al Comunismo come l' Hitlerismo sta al Nazismo?

Io te lo posso spiegare al bar e mentre te lo spiego mi confondo pure e faccio errori, tu hai la lingua sciolta e ridacchi, sei più che autorizzato a non prendermi sul serio.

Fattelo spiegare allora da Sergej Petrovic Mel' gunov, fatti spiegare che nessuno più di Lenin fu maestro a Stalin, fatti spiegare per filo e per segno quando iniziò "il regno delle tenebre".

E dopo le spiegazioni spero che ti deciderai - non dico a fare i conti con il passato, quelli sono affari tuoi - ma perlomeno a cambiare l' oscena filastrocca che reciti ancora oggi - 2010 - dai pubblici microfoni: non Stalinismo ma Comunismo, please!

Le colpe dell' Africa

Ne ha molte, ma forse lo schiavismo è la principale. Nella storia, di questa pratica è stata regina incontrastata.

Ma come? L' Africa è stata vittima dello schiavismo, non colpevole!

Da tempo cercavo un testo sulla storia dell' Africa. Questo sembra essere il più completo in circolazione e spiegherebbe anche il perchè della colpevolezza. I bianchi sfruttarono solo un fenomeno già radicato e fiorente.

Fuori lo Stato dal business dei matrimoni

Ah... quante polemiche sarebbero immediatamente silenziate.

A volte mi chiedo se i nemici della libertà non la combattano perchè, se si imponesse, cesserebbero una lunga serie di appassionanti discussioni.

Se lo stato uscisse dal business della scuola ognuno sceglierebbe programmi e metodi di suo gusto... e non ci sarebbero tante discussioni su quali sono i programmi e i metodi migliori.

Se lo stato uscisse dal business dei matrimoni, ognuno soppeserebbe i pro e i contro del matrimonio che intende contrarre... e non ci sarebbero tutte quelle discussioni sui matrimoni che funzionano e quelli che non funzionano.

Devo proseguire? Risparmiatemelo!

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Senza la verità non resta che il moralismo arrembante

Sembra che ci sia un solido nesso tra relativismo e moralismo. Lo scontro è quello tra teorie vere e teorie utili:

"A partire dagli anni 60 si comincia a pensare, in circoli sempre più ampi di persone, che l' oggettività sarebbe un' illusione. Di qui deriva la convinzione che non ha alcun senso parlare di "sapere" e di "conoscenza", mentre si dovrebbe parlare solo di "punti di vista". Non di fatti ma solo di interpretazioni... E' con queste premesse che il "moralismo" ha cominciato ad espandersi presso gli intellettuali e gli insegnanti fino a diventare l' atteggiamento di gran lunga prevalente in questi ambienti... comiciano a diffondersi gli intellettuali organici, costoro non credono che il sapere possa essere fondato oggettivamente, cio' non toglie che le scienze umane possano giocare un ruolo politico importante... il concetto di "teoria utile" soppianta quello di "teoria vera"... Un episodio estremo ma emblematico di questa mentalità: in Quebec, all' università di Montreal, le femministe hanno proposto di diminuire gli standard di valutazione negli esami di dottorato a vantaggio delle candidate di sesso femminile, sostenendo che il sapere è sempre incerto mentre le esigenze morali sono indiscutibili... una conclusione che suona assurda ma in realtà in linea con le premesse... La svalutazione del sapere si accompagna quasi sempre con una sovravalutazione della morale o, più esattamente, con una esasperazione delle esigenze di uguaglianza... Già Hegel segnalava il meccanismo in questione parlando dell' intellettuale "buon anima". Le "buone anime" sono responsabili della sindrome della "conoscenza inutile" (J.F. Revel) o del "fallimento del pensiero" (A. Finkielkraut)... La proliferazione di "anime buone" spiega l' incredibile intolleranza intellettuale, spesso feroce quanto discreta, che vige in molte università. Un brillante professore italiano mi ha recentemente confidato che si sentiva implicitamente obbligato a sottolineare ai suoi colleghi, mettendolo fra parentesi, con discreti accenni o incisi, che era un "progressista". Da quando aveva smesso di conformarsi a questo obbligo, aveva l' impressione di essere trattato nell' indifferenza più totale, ci si dimenticava di "citarlo", di salutarlo perfino. La "fine delle ideologie" non era certo andata di pari passo con la fine dell' intolleranza..."

Raymond Boudon - Perchè gli intellettuali non amano il liberalismo - Rubettino

Mi tocca confermare: a Radio Tre, l' unico ambiente "colto" e vitale che frequento, aleggia sempre l' intemerata dal pulpito ( i poveri, gli ultimi, il modello imposto, la corruzione, la legalità...) e il sentimento di indignazione arieggia sempre quei corridoi.

Un altro fenomeno singolare è l' acerrimo moralismo che pervade i miei amici materialisti (Boudon li chiamerebbe "positivisti").

Ma come? Loro che, non ammettendo nemmeno l' esistenza di una coscienza e, per conseguenza, non dovrebbero dare alcun senso ad un concetto quale quello di Verità, come possono poi infervorarsi tanto? Coda di paglia?

Anche qui Boudon illumina.

venerdì 13 agosto 2010

Le accuse contro Nori

Qualche mese fa lo scrittore Paolo Nori fu attaccato perchè comincio' una collaborazione con il quotidiano "Libero".

Qui si difende, sembra avere in mano delle buone carte.

Ma dove tracciare una linea? Dove il Diverso si trasforma da semplice "controparte" in "nemico" da osteggiare con tutti i mezzi?

Spinoza vs. Cartesio

Di fronte al bias cognitivo si puo' prendere la strada di Cartesio (liberale) o quella di Spinoza (positivista). Boudon non ha dubbi.

"La psicologia cognitiva ha progettato brillanti situazioni sperimentali che fanno emergere l' esistenza di bias cognitivi. L' esistenza di queste distorsioni è interpretata dai positivisti come l' effetto di "montaggi" della mente di cui non si è esitato a supporre che siano l' esito dell' evoluzione biologica. Se si chiede ad un soggetto di prevedere i risultati di una partita del gioco che consiste nel lanciare una moneta dicendogli che la moneta è truccata in modo da far uscire otto "testa" a fronte di due "croce", costui farà una cattiva previsione optando per puntare otto volte su "testa" e due volte su "croce", così facendo vincerà con una probabilità pari al 68% mentre se avesse puntato sempre testa la probabilità sarebbe stata dell' 80%. Benchè la strategia scelta non sia ottimale è giustificabile con "buone ragioni". Queste distorsioni si spiegano facilmente se le si pensa come il risultato di "considerazioni ragionevoli" anche se poco approfondite, non c' è alcuna necessità di fare appello a effetti altamente speculativi dell' evoluzione biologica. Anche dire che "la terra è piatta" è perfettamente ragionevole quando parla la persona ordinaria che non approfondisce la questione, diverso sarebbe l' errore dello specialista su questo punto, ma questo errore è praticamente inesistente... E' legittimo quindi pensare che "Cartesio ha torto" e "Spinoza ha ragione", per il primo l' uomo pensa, per il secondo l' uomo agisce condizionato dall' ambiente. Più ragionevolmente, si possono attribuire a questi due giganti del pensiero occidentale due "programmi" efficaci, l' uno e l' altro indispensabili, ma la cui efficacia varia a seconda del fenomeno da spiegare. Tocqueville, Weber, Simmel, Pareto, Evans-Pritchard e altri, hanno anbbondantemente dimostrato la forza del programma di Cartesio... Spinoza è certamente fecondo quando è utilizzato dai biologi ma ha introdotto nelle scienze sociali concetti di dubbia veridicità quando non semplicemente banali..."

Raymond Boudon - Perchè gli intellettuali non amano il liberalismo - Rubettino

Salami all' uncinetto





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"Voi"

Relativista = Pacifista? Calma...

Secondo l' antropologia culturalista, non solo le norme variano da società a società ma tutte le norme, regole, credenze sono il prodotto della cultura dalla quale emergono; non vi è nulla di buono, vero e giusto in sè. Clifford Geertz, per esempio, sostiene che ci sono solo "verità culturali". Questa concezione è rinforzata dalla sensibilità "relativista" della cultura contemporanea. Ma non si creda che questo genere di relativismo diffuso ci ponga al riparo dai conflitti. Samuel Huntigton, forse il maggior rappresentante insieme a Levy Strauss di questo stile d' approccio allo studio dell' uomo, identifica nelle differenze culturali il germe di una inevitabile conflittualità. Il relativismo culturale (= i giudizi umani sono plasmati dall' ambiente culturale in cui il singolo cresce) ha ispirato e legittimato molte argomentazioni che hanno poi invaso le scienze umane come ad esempio quella secondo la quale "voi di destra" (o "voi di sinistra"), o "voi che provenite da quel posto", o "voi che avete quell' estrazione sociale", ecc. dunque "voi" non potete che avere in mente idee false e pericolose. Con il relativismo la domanda si sposta dal "che cosa" al "chi", la discussione spesso cessa per lasciare il posto al monologo. La rottura con l' ipotesi della razionalità umana viene definitivamente consumata..."

Raymond Boudon - Perchè gli intellettuali non amano il liberalismo - Rubettino

giovedì 12 agosto 2010

Dopo due anni...

E finalmente, dopo oltre un paio d' anni, approda anche in Italia sulla prima pagina di un giornale importante il racconto della crisi finanziaria come volevamo sentirlo da subito.

L a crisi finanziaria, di cui si compie un triennio, ha avuto una radice comune sia negli Stati Uniti che in Europa: la corruzione della politica. Oltre Atlantico si consentì che Wall Street diventasse il maggior finanziatore delle campagne elettorali americane e così acquisisse il potere di dettare le proprie regole al Congresso. Nel contempo i governi premevano sulle banche perché concedessero mutui a tutti, inclusi molti immigrati recenti. Consentire a queste famiglie di acquistare una casa e realizzare in pochi anni il loro «sogno americano» fu una priorità sia delle amministrazioni di Bill Clinton che di George W. Bush. Poco male se questo incrinava la solidità delle banche: bastava blandire i banchieri consentendo loro di attribuirsi compensi favolosi. In Germania i presidenti dei Länder spingevano le casse di risparmio, di cui sono i maggiori azionisti, a concedere prestiti a condizioni di favore alle aziende della loro regione. Poiché alla fine dell' anno gli stessi politici esigevano anche ricchi dividendi, i banchieri facevano tornare i conti investendo in titoli molto rischiosi: obbligazioni greche e mutui americani. Non è un caso che le poche banche che non hanno superato i test di solidità patrimoniale effettuati dalla Bce sono tutte pubbliche. La proprietà pubblica impedisce l' apertura al mercato e rende difficile rafforzare il patrimonio quando ciò si rende necessario: è la situazione del Monte dei Paschi di Siena, che pur avendo superato il test, rimane pericolosamente vicino alla soglia di capitale minima richiesta. Pensare che la crisi sia stata prodotta da un eccesso di mercato, dalla finanza, o dalla globalizzazione, è una sciocchezza, sostenuta da chi ha interesse a evitare che si sottolineino le responsabilità della politica

Non è che l' unica somiglianza con il 1929 consiste nella mitologia che ha circondato l' evento?

Liberal bias

C' è!

Almeno in USA.

mercoledì 11 agosto 2010

Maestri del sospetto

La difesa del liberalismo va di pari passo con la difesa del buon senso, ce lo ricorda Raymond Boudon quando parla di psicologia:

"Il liberalismo concepisce l' uomo come un essere ragionevole mosso da passioni e interessi comprensibili, chiamerei questa psicologia "ordinaria". Da Aristotele a Smith l' approccio non cambia, anche Weber ha insistito sul fatto che le scienze sociali debbano considerare le credenze e i comportamenti come comprensibili. Secondo la psicologia ordinaria noi siamo in grado di "comprendere" le ragioni dei Romani come quelle degli Ebrei del I secolo, le ragioni dei calvinisti come quelle dei puritani, le ragioni dei santi e quelle degli assassini. Con Freud, qualcosa cambia, la "psicologia ordinaria" viene sostituita dalla "psicologia dell' inconscio": le credenze del soggetto verrebbero costruite dall' astrusa macchina dell' inconscio, la quale nasconde le sue astuzie al soggetto, ma non all' intellettuale. Anche il positivismo rafforzò questo genere di approccio: siccome la scienza si occupa solo del "visibile", non ha senso considerare gli "stati di coscienza". Il principio di fondo è lo stesso e consiste nel dire che le credenze e i comportamenti individuali hanno la loro origine in forze materiali che sfuggono al controllo del soggetto. Gli strutturalisti, in seguito, si uniformarono su questa linea: l' uomo è sovrastato da misteriose strutture sociali che lo guidano come una marionetta. C' è sempre qualcosa "dietro" quello che facciamo, i maestri anti-liberali sono sempre anche "maestri del sospetto e del complotto". L' antropologia non rimase indietro, e infatti la cosiddetta antropologia culturalista si appropria del paradigma anti-liberale postulando che l' essere umano sia il prodotto della cultura del suo ambiente. Per queste ragioni molti considerano oggi le scienze umane come mere discipline destinate a correggere il "senso comune". I "maestri del sospetto" hanno a lungo dominato la scena del Novecento scalzando i "maestri del liberalismo". Trascurando la nozione di "autonomia", tanto cara a Kant e al liberalismo, il positivismo sta dietro alla sua emarginazione. Si tratta di schemi di pensiero che valorizzano molto il ruolo degli intellettuali poichè solo l' intellettuale è in grado di superare gli illusionismi del buon senso e guidare le masse sulla retta via..."

Da quanto detto si capisce bene come mai gli economisti siano rimasti gli unici intellettuali a presidiare le posizioni liberali: l' Homo Economicus è l' uomo razionale per eccellenza.

martedì 10 agosto 2010

Il sorpasso

C' è un momento in cui Bruno Cortona non riesce più a "cambiar discorso", un momento in cui non riesce a "minimizzare"; in quel momento i "fastidi del reale" non sono liquidabili con una battuta o una faccina.

E' quando fissa la scarpata ligure dove è precipitata la spider con a bordo il Mariani.

Lì Bruno Cortona guarda in faccia la realtà, e la realtà gli dice forte e chiaro che doveva morire lui, che sarebbe stato perfetto se fosse morto lui, un cerchio giottesco si sarebbe chiuso tra gli applausi, tutto al posto giusto: la sua storia, la storia del Mariani, la storia dell' Italia rinascente dalla guerra.

Ma non sarebbe stato perfetto il film, che diventa un capolavoro grazie al sigillo di quella faccia, grazie alla fedeltà ad un reale che non ama le simmetrie.

Quando arriva il poliziotto Bruno ha già ripreso il suo controllo, sa di nuovo dire il suo "lasciatemi in pace", sa di nuovo farsi rimbalzare il mondo addosso: "è uno che ho conosciuto ieri". Sa di nuovo stare solo con il suo dolore, recupera da maestro l' unico vero istinto del coatto: non condividere.

Bruno Cortona è in esilio, la vita è dura e lui si è auto-condannato al confino. La superficialità, la fuga, il divertimento sono la prigione che si è scelto. Una prigione mobile: non puo' fermarsi se non vuole assistere al penoso spettacolo di una stima guadagnata artificiosamente grazie ad un gesto istrionico e quindi condannata a scemare sotto la minaccia di un rapporto umano che si approfondisce.

Bruno Cortona è un uomo spacciato, sa di essere spacciato, sa che deve scappare se non vuole perdere definitivamente cio' che lascia (per esempio la figlia), scappare verso luna park sempre più iridiescenti. Bruno Cortona è un uomo braccato, sa di essere braccato, è sapiente nella sua superficialità e si turba per un attimo solo quando si accorge che la sorte, in uno scambio di persona sconcertante, ha preso il Mariani anzichè lui.

Forse aveva capito che il Mariani costituiva la sua ultima missione nel mondo reale; l' occasione di farci una capatina dal suo faticosissimo esilio; e lui, come noi, aveva un gran bisogno di realtà, di mondo. Molto più che di divertimento.

Questa era davvero un' occasione d' oro: alla miscela perfetta del Mariani mancava solo l' ingrediente che lui possedeva in abbondanza. Il Mariani sarebbe stato il suo capolavoro nel mondo, la sua cratura.

Ma questa missione, anzichè annunciarsi all' inizio della storia, si annuncia alla fine, quando tutto è già bruciato. L' umanità di Cortona non possiede più la modalità del progetto ("alla giornata"), ma possiede ancora quella dell' illuminazione.

La faccia sconcertata del Cortona ai bordi dell' Aurelia è la faccia di colui al quale ora non resta altro che il tunnel inquietante del divertimento nella fuga. Un dramma contemporaneo scritto quasi mezzo secolo fa.

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Perchè gli intellettuali non amano il liberalismo?

Alcuni intellettuali sono animati da una sorta di "libido sciendi", ma altri sono "militanti" (combattono per l' affermazione di alcuni valori), altri ancora sono alla ricerca di visibilità... Cosa succede, dunque? All' inizio si determinano nelle società liberali dei fatti che sono percepiti come "importanti" e che richiedono una spiegazione. Se questi fatti danno l' impressione di mettere in evidenza alcuni errori della società, l' intellettuale militante prende la palla al balzo per riproporre schemi esplicativi tratti dalle tradizioni illiberali.. Se la sua denuncia è SEMPLICE, corredata da "BUONE INTENZIONI" e difficilmente CONFUTABILE, circolerà ampiamente tra i media senza incontrare aperta critica: "E' tanto semplice che lo capirebbe anche un bambino" canta un celebre brano a firma BrechtWeill (Lob des Kommunismus)". Dovrei aggiungere che i più comuni schemi illiberali, nel non riconoscere autonomia all' individuo, hanno avuto anche i loro meriti: la psicanalisi ci ha insegnato come certe esperienze infantili si ripercuotano sulla personalità dell' individuo; il marxismo ci ha insegnato un deverso modo di scrivere la storia, lo srutturalismo ha chiarito le ragioni che stanno dietro certi divieti; il positivismo ha diffuso un certo ethos per la scienza...". Cio' che non ha funzionato, rispeto alle soluzioni liberali, è stata l' assolutizzazione dell' approccio..."

Raymond Boudon - Perchè gli intellettuali odiano il liberalismo - Rubettino

lunedì 9 agosto 2010

domenica 8 agosto 2010

Sterilità degli arpedonapti

Quali sono le condizioni sociali che sollecitano lo sviluppo rigoglioso delle Scienze?

E qui ognuno dice la sua, esce di tutto e il contrario di tutto.

Ma alcune voci sono più autorevoli, si tratta di quelle voci comandate da cervelli che perlomeno conoscono a menadito la storia della scienza. Sentiamo allora Alexandre Koyrè:

"vedo tre condizioni: 1) molto tempo libero per gli uomini, 2) culto dell' astrazione e della verità e 3) prestigio sociale per chi si dedica al culto dell' astrazione e della verità. La storia ci insegna, per qualcuno potrebbe essere una sorpresa, che lo sviluppo scientifico è disconnesso dalle attività pratiche. Non sono stati gli arpedonapti egiziani, che dovevano misurare i campi della valle del Nilo, ad inventare la geometria: sono stati i Greci, i quali non avevano proprio nulla di significativo da misurare. I primi si sono fatti bastare rudimentali quanto ingegnose ricette pratiche. Del pari non sono stati i Babilonesi, che credevano fermamente nell' astrologia e nel suo vaticinio, a raffinare le leggi astronomiche, ma altri che avevano solo il gusto della conoscenza. Io so che le tre condizioni di cui sopra sono decisive, ma non so quale ambiente sociale sia più propizio per ricrearle, quindi direi che la risposta al quesito resta inevasa"

Alexandre Koyré - Filosofie e storia delle scienza - Mimesis

Interessante. Mi sembra che la diffusione della religione in tutti gli ambiti della discussione pubblica (culto della verità) e le continue sottili dispute teologiche (culto dell' astrazione), facciano della società medioevale un' incubatrice adeguata per lo sviluppo della scienza.