sabato 7 agosto 2010

Rocco e i suoi fratelli

Chesterton dice che il mondo non è logico, ma non è neppure illogico. Volendolo proprio definire in relazione alla logica, diremo che è una trappola per logici. Per questo, secondo lui, la visione cristiana s' impone.

Prendiamo un caso: non esiste modo di conciliare Giustizia e Perdono. Se perdoni, il colpevole non paga. Al contrario, la Giustizia non puo' che essere spietata.

Eppure, chi nega la grandezza del Perdono? E chi osa disprezzare la civiltà della Giustizia?

Ieri sera ho rivisto Rocco e i suoi fratelli. Non me lo lascio mai sfuggire, resta per me un grande capolavoro della settima arte.

Sapete com' è, mi piacciono quei film dove ad ogni sequenza posso dire: "ecco quel sentimento che sembra tanto strano e mostruoso, l' ho provato anch' io". Mi piacciono quei film in bianco e nero dove, mentre li vedi, ad un certo punto puoi dire: "Ei, ma io abito là in fondo a destra!" "ei ma su quel ponte mi faccio un' ora di coda al giorno"...

In questo film il miracolo della conciliazione si compie: Ciro (Giustizia) e Rocco (Perdono) si amano, si rispettano, si capiscono e convivono miracolosamente nella stessa famiglia contribuendo a rafforzarla.

Simone è la pecora nera della famiglia, Rocco vuole perdonarla, Ciro vuole giustiziarla. Senza mai bisogno di dirlo, ciascuno comprende le ragioni dell' altro.

Rocco, in cui ribolle il sangue arcaico della Basilicata (a Milano meglio nota come "africa"), sa che ogni struttura sociale si fonda su un sacrificio. Simone è il capro e noi dobbiamo rendergli onore.

Forse ha letto Girard, ma più probabilmente ha abitato una terra dove per duemila anni si è letto il Vangelo del figliol prodigo.

Ciro, in cui stagna un sangue milanesizzato, sa che ogni struttura sociale si fonda sulla responsabilità. Simone ha mancato e deve pagare.

Forse ha letto Weber, ma più probabilmente ha abitato una terra dove per duemila anni si è letto il Vangelo dell' Apocalisse.

Dove, se non nel Vangelo e nella famiglia Parondi, si conciliano tanto bene Giustizia e Perdono?

Acthung: questa conciliazione non si realizza tramite pedanti armonie. C' è conflitto vivo e scoppiettante nel rispetto e nell' ammirazione reciproca.

---- un paio di dubbi regalati dal film dopo la dodicesima visione--------

Simone poteva salvarsi?

Io penso di sì: non ingannino i suoi comportamenti estremi, è il tipico istinto a degradarsi che l' immaturo prova non appena le cose non girano per il verso giusto.

Nadia ha delle colpe? Simone si mette con lei quando non è ancora una persona matura (sbuffa come una locomotiva mentre guarda i film d' amore con la fidanzata che sospira). Perchè Nadia non lo "aspetta"?

Sembrerebbe assurdo pretenderlo, eppure noi ammiriamo Rocco proprio perchè è sempre pronto ad attendere la maturazione del fratello. Il dovere dell' amore è forse richiesto più al fratello che alla fidanzata?

Non penso che un simile dubbio possa avere mai risposta; forse non è nemmeno giusto tentarla.

Ma c' è una cosa che colpisce: se Nadia vuole essere protagonista, allora deve accettare la macchia della colpa. In caso contrario diventa solo una circostanza ambientale, un elemento della scenografia. Un portato della Provvidenza al pari della nevicata notturna, tanto per intenderci, quella che mette di buon umore i terroni neo-immigrati: l' indomani in Municipio ci sarà lavoro per tutti come spalatori.

Certo che Nadia è il personaggio più disgraziato del dramma: deve sacrificarsi come e più di San Rocco ma deve farlo controvoglia, e quindi senza aurea di santità. Forse è lei il vero capro espiatorio: la persona che soffre di più e che noi possiamo permetterci ancora di accusare sui titoli di coda, come se il film non ci avesse insegnato nulla.

Nadia è un Cristo (e infatti muore in croce all' Idroscalo) che non puo' mai abbandonarsi nelle braccia del Padre dicendo un: "sia fatta la tua volontà", un Cristo che conosce solo le lacrime di sangue del Getsemani.

Qui sotto il film è visibile per intero.

venerdì 6 agosto 2010

Lo scienziato sociale

Uno scienziato ancora senza laboratorio.

Forse meglio affidarsi a "ragione" e "buone ragioni". Forse meglio limitarsi a spiegare che a prevedere?

I disperati

"Definire la scienza è impresa disperata e forse nemmeno auspicabile, il miglior modo per penetrare i suoi misteri è quello di dedicarsi allo studio meticoloso di singoli casi paradigmatici cercando di illustrarne il funzionamento"

Alexandre Koyrè - Filosofia e storia delle scienze - Mimesis

Interessante.

Ancor più interessante è andare a vedere a chi serve "definire la scienza", chi ha necessità di "imprese disperate" come questa.

Chi sono i "disperati", quelli per cui non esistono emoticons adeguate?

Non certo gli scienziati, a loro "definire la scienza" non serve.

Rintracciare i "disperati" è abbastanza semplice, sono quelli che anzichè "fare scienza" non fanno altro che alzare il ditino ammonendo che "lo dice la scienza". Sono i fanatici dell' ipse dixit moderno. Sono quelli che, per esempio, anzichè studiare l' evoluzionismo applicandolo nei loro campi, perdono tempo ad esaltare la "scientificità" della teoria. Anziche contribuire all' autorevolezza della scienza, la sfruttano. Hanno un disperato bisogno che la scienza sia "ufficiale" al fine di redigere programmi scolastici, programmi ministeriali e altre forme di indottrinamento e controllo. Più che la Scienza a questi "disperati" serve l' "ufficialità" con cui redigere le loro gazzette, serve come il pane per poterti dichiarare "ufficialmente" irrazionale, e successivamente pazzo da internare.

Il vero insegnamento della scienza non consiste nelle sue conclusioni (sempre da rivedere se non da capovolgere) ma nel diritto alla concorrenza, ovvero nel rispetto per l' opinione minoritaria, poichè in questa instabilità della conoscenza sappiamo che domani potrebbe rivelarsi vincente.

Un vero trauma per chi invece anela ad una "Gazzetta ufficiale della Scienza" proprio per affossare e reprimere l' opinione minoritaria conculdandole ogni diritto.

Tra parentesi, Alexandre Koyrè, forse il massimo epistemologo degli ultimi secoli, mostrò come la caratteristica saliente della Scienza moderna del XVII secolo (Galileo, Newton...) non sia affatto il legame con il metodo sperimentale. Sorpresa? La Scienza moderna è innanzitutto teoria, ricerca della Verità. La scienza moderna è matematizzazione del mondo: una vera rivincita di Platone su Aristotele e sui pragmatisti.

Io sono qui, voi dove siete?

Visti da vicino





link

link

giovedì 5 agosto 2010

C' è Ulisse, ma c' è anche Gianburrasca

Ulisse oggi vuole tornare ad Itaca costi quel che costi, ma sa già che domani al ritorno preferirà di gran lunga il canto delle sirene.

Gianburrasca stasera vuole ardentemente partecipare ad una festa, per quanto domani lo aspetti un esame cruciale. Sa anche che in futuro il suo desiderio di spassarsela sarà oscurato da quello di ottenere il diploma.

Ulisse decide di evitare le sirene mettendosi i tappi di cera nelle orecchie ed esentando l' equipaggio dall' obbedienza.

Gianburrasca decide di stare a casa a studiare.

Sono due storie plausibili? A me sembra di sì. Non mi scandalizzerei se qualcuno me le raccontasse.

Eppure qualcuno si scandalizza, parlo di chi crede che noi siamo motivati solo dal desiderio.

Costoro trovano irrazionale la storia di Gianburrasca: se nel momento della decisione si desidera fare X, si farà X.

Infatti Ulisse, nel momento in cui architetta il suo piano, desidera tornare in patria e architetta un piano per conseguire il suo obiettivo.

Gianburrasca desidera invece andare alla festa. E' sconcertante che al termine di un semplice calcolo, decida di rinunciarvi.

Evidentemente, per quanto molti lo neghino, anche la ragione puo' motivare.

Inconvenienti del fanatismo

Letto in un recente dibattito nella blogsfera:

"... Io mi reputo relativista (forse). Son talmente intriso di relativismo, da non reputare neppure sicuro d’essere io a scriverti in questo momento...".

Mi ha fatto venire in mente un passaggio del buon Chesterton che infilza con grazia questa fauna:

"... intorno al Cristianesimo si assiste oggi ad un fenomeno curioso; la volontà dei suoi neminci di combatterlo con tutte le armi possibili, comprese quelle spade che tagliano le loro stesse dita, o quei tizzoni ardenti che bruciano le loro case. Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell' umanità e finiscono per gettare via sia l' umanità che la libertà, pur di combattere la Chiesa. Conosco un uomo così accanito nel dimostrare che non avrà nessuna vita personale dopo la morte da ridursi ad affermare di non averne neppure ora. Al fine di provare che non puo' andare in Cielo finisce per provare che non puo' andare neppure a Rogoredo. Ho conosciuto persone che protestavano contro l' educazione religiosa adducendo argomenti contrari a qualsiasi educazione, dicendo che la mente dei bambini deve crescere libera o che i vecchi non devono insegnare ai giovani. Ho conosciuto persone che dimostravano che non vi puo' essere un giudizio divino dimostrando come corollario che non vi puo' essere nemmeno alcun giudizio umano, nemmeno sulle questioni più pratiche. Pur di mettere a fuoco la Chiesa, costoro hanno dato alle fiamme il loro stesso grano, pur di sfasciarla hanno sfasciato i loro stessi arnesi, Noi non ammiriamo nè scusiamo il fanatico che distrugge questo mondo per amore dell' altro. Ma che dire del fanatico che distrugge questo mondo in odio all' altro?..."

mercoledì 4 agosto 2010

Proibire la corrida?

C' è chi lamenta una grettezza dell' approccio utilitarista in queste faccende.

Ma è davvero così? Vediamo di approfondire, magari cominciando a dire che ci sono vari tipi di utilitarismo.

innanzitutto noto che l’ alternativa proibire/consentire non è mai simmetrica come sembrerebbe: se si proibisce la quantità dei tori ammazzati è ZERO, punto e basta. La soluzione caldeggiata dai proibizionisti è in effetti una soluzione grezza.

La soluzione anti-proibizionista è molto meno grezza: il numero dei tori ammazzati varia a seconda della felicità dei soggetti (umani). Si paga per partecipare alla corrida. E si puo’ pagare anche per boicottarla. Un penny, un voto.

Certo, bisogna accettare che l’ infelicità dei tori si rifletta e venga pesata dall’ infelicità degli animalisti, quelli che pagano per risparmiare i tori. Personalmente accetto questa ipotesi che per molti è invece problematica.

Gli animalisti non vogliono la corrida?: se la comprino. Gli hemigwayani ne vanno matti?: se la comprino.

Per sfuggire alla grettezza l’ esito dovrebbe soppesare le offerte, ma la premessa è l’ anti-proibizionismo

martedì 3 agosto 2010

La scelta

La mia fede è una decisione che prendo applicando certi criteri: guardacaso sono gli stessi criteri che adottiamo per eleggere la miglior teoria scientifica in campo. Tolomeo spiega esattamente cio' che spiega Copernico, ma noi consideriamo la teoria di Copernico vincente in quanto più semplice. La fede in Dio e il materialismo spiegano tutto, ma Dio offre spiegazioni più semplici.

Il materialista crede che la Scienza finirà, o che comunque potrebbe finire: esiste un algoritmo complessissimo ed ignoto che spiegherebbe tutto senza ricorrere ad entità sovraumane. Il credente pensa invece che la Scienza sia una ricerca continua: solo una mente dalle capacità infinite (ovvero sovraumane) conosce tutto e la esaurisce.

Per quanto ne sappiamo entrambi potrebbero avere ragione. E allora, chi privilegiamo?Poniamoci la domanda fatidica: quale tra queste due visioni è la più semplice?

Prendiamo a titolo d' esempio queste due affermazioni.

1) "Conosco (o potrei conoscere) X" (dove X è l' algoritmo complessissimo di cui sopra)

2) "Conosce tutto"

1 è affermazione più complessa di 2. X è già di per sè un concetto estremamente complesso. "Tutto" e "infinito", per contro, sono concetti molto semplici, comprensibili anche dai bambini.

Per le stesse ragioni per cui a Tolomeo preferisco Copernico, faccio prevalere la Fede sul Materialismo.


Richard Swineburne

A me il professore convince.

Sinceri democratici

C' è qualcosa che nella mia giovinezza non sono mai riuscito a capire, ovvero dove mai la gente abbia preso l' idea che la Democrazia sia in qualche modo opposta alla Tradizione. Per me è ovvio che la Tradizione non è altro che la Democrazia estesa attraverso il tempo, è una democrazia in cui il diritto di voto viene esteso ai nostri avi. La Tradizione non è una pratica del passato ma una pratica STABILE del passato: non puo' esserci stabilità senza consenso.

G. K. Chercheston

Libertà e tradizione. La libertà come valore, la tradizione come frutto della libertà passata. Si puo' essere sinceri democratici senza avere il culto della tradizione? A lume di logica sembrerebbe problematico.

Suicidio del pensiero

L' evoluzionismo è un buon esempio di quell' intelligenza moderna che distrugge se stessa. L' evoluzionismo è un' innocente descrizione scientifica di come avvengono certi fenomeni terrestri; oppure, se è qualcosa di più, è un attacco al pensiero stesso. Non alla religione, si badi bene, ma al pensiero. Se l' evoluzionismo vuole dirci che una cosa concreta chiamata scimmia si è mutata lentamente in un' altra cosa concreta chiamata uomo, allora è innocuo anche per il più ortodosso dei cattolici. Dio puo' benissimo fare le cose più lentamente o più velocemente (cosa cambia?), specialmente il Dio cristiano che è fuori dal tempo. Ma semmai significasse qualcosa di più, allora significherebbe che non c' è nemmeno una cosa chiamata scimmia da mutare, nè una cosa chiamata uomo in cui qualcosa d' altro potrebbe mutarsi; non esisterebbero più cose che siano cose pensabili, al limite c' è una cosa sola, un unico fluido in eterna mutazione, qualcosa che comprenderebbe il nostro stesso pensiero. Chiunque si accorge che questo non è un attacco alla fede ma alla mente: non si puo' pensare se non ci sono più cose da pensare, non si puo' pensare se non c' è un distacco minimo dalla cosa a cui pensare. Cartesio disse: "penso dunque sono", l' evoluzionista divenuto filosofo dice: "non sono dunque non posso pensare".

G. K. Chesterton

Le solite cose... ma dette con la classe di un maestro.

Già declina pur nel fiore

Non so a voi ma a me piace Puskin. Se mi sento romantico è alla sua stazione che oriento l' antenna: ha gli slanci funesti di un Byron e le tetraggini peripatetiche di Baudlaire. A volte ce li ha tutti e due in un rigo. Questo benedetto meridiano che era in edicola a 12.50 euro, sarebbe meglio darsi da fare per recuperarlo alla svelta. Ha bazzicato tutti i generi Puskin, perchè lui, essendo un Padre di letterature, non poteva specializzarsi, non poteva concedersi il lusso di amare un figlio più dell' altro. Io, pecorone lettore, condannato da una forsennata gravità a non alzarmi un millimetro da terra, io posso scegliere: e allora dico che il mio Puskin è quello appassionato e focoso dei poemi. L' ispirato puo' suonare la corda "poetica" o quella "poematica". In un poema non c' è niente che rischi di essere eccessivo. Il calibro puo' essere messo da parte. Dalla lunghezza del verso alla bestemmia più oscena, tutto, a certe condizioni, deve flettere un cuore magnanimo. Un poema è il luogo ideale dove formalizzare la perdita dei controlli, nel poema sei autorizzato a farti prendere la mano. E' un recipiente dove gli Omeri, i Puskin, i Peguy, i Pessoa, i Walcott, i Murray...si clonano tra loro e diventando moltitudine eletta. E' il campo di battaglia dove la scrittura combatte per la propria indipendenza da quella pedestre zavorra che è l' autore. Un punto alchemico che io ho visto raggiungere, l' ho visto con questi occhi. Una scintilla che ho visto scoccare di continuo nell' officina puskiniana. L' ho vista con questo rosso cuore. Un' acqua che si inaugura cheta ma piano piano la vedi che gorgoglia, ferve, irrompe. Lo Scienziato dell' amore si ferma, ci viene accanto e ammira stremato con noi la macchina mostruosa che ha messo in piedi e che procede inesorabile ed autonoma a sintetizzare l' universo in una parola. Una parola, un universo... Il linguaggio sfrenato per eccesso di ispirazione, così come certe urgenze del sangue, contrassegnano la grandezza. Puskin possiede questo crisma, e glielo vedi perchè lo porta prprio in mezzo alla fronte mentre ti passa davanti assorto in una mestizia che risplende. Per il resto, il passeggio tra le pagine di Puskin, è come visita in harem stracolmi di molli bellezze dove è fatto obbligo di procedere con atteggiamento prima annoiato, poi sventato e pronto all' amore. Quest' uomo chiuso, ambizioso, dall' immaginazione infuocata. Lo vedi al centro del party, motore immobile della festa, e poi, un attimo dopo, fare tappezzeria arrovellandosi in un corruccio solitario. E' un uomo talmente circondato ed inseguito da vaghe commozioni che lo costringono sempre alla fuga. Selvatico, acerbo, ora in lacrime per una fantasia, ora trascinante ozi meditabondi. Un uomo così non poteva certo badare a se stesso. Sposò la più bella e morì in uno stupido duello, vicenda sviscerata con bisturi acuti da Serena Vitale (Il bottone di P, Adelphi). Ma visto da lassù, dal Limbo dei Poeti, tutto quanto ci accade è piuttosto stupido.

Perorando la Torre d’ Avorio

Stillava sangue quel giornale. Lo presi, lo apersi e capii.
Dopo avere a lungo intinto le loro penne nel vetriolo, F. e Cl. Mag. se le dissero e dettero di santa ragione.
Avveniva tutto al cadere di Ottobre, nell' anno del Signore 2006.
Non che prima i due si fossero ignorati. Solo che si limitavano a far cadere le loro contumelie dall' alto, a distanza di sicurezza, senza mai incrociare lo sguardo reciproco.
Io, che conosco il primo come funambolo del rigo giornalistico - ben calibrato e mai privo di sugo - e il secondo come un tipo che per quanto ami apparire compassato alla fine non riesce mai a trattenersi, mi sono appostato sugli spalti sicuro di assistere ad una tenzone cruenta ma costruttiva.
Quel che rileva qui è solo uno scampolo della discussione...ma accidenti.
Mi riferisco al formidabile argomento che quel figlio di P. di F. faceva solo balenare all' orizzonte con il sorrisino del gatto alle prese col topo. E nell' alludervi le sue famose sopraciglia leonine arcuavano ulteriormente la loro esse diabolica.
Lo manteneva saldamente nelle retrovie con esclusive funzioni logistiche proprio mentre tutti gli altri argomenti venivano ordinatamente fatti marciare verso il fronte polemico.
Mi vedo costretto ad esporlo con sintesi brutale secondo quella che ne è la mia capacità di leggere dietro le righe: poichè Cl. Mag. aveva intrattenuto rapporti intensi con Monna Letteratura cio' poteva certo fargli meritare le medaglie più scintillanti e i riconoscimenti più solenni, ma tutto cio' lo rendeva profondamente inidoneo a spiegare quanto avviene nel nostro quartierino (ovvero il Pianeta Terra, una roba che sta in fondo a destra). Questo in generale. Sui giornali in particolare.
Il nostro Literato si vede innamorato mentre scrive al caffè. Con questa predisposizione sognante infarcisce i suoi giudizi di buoni sentimenti un tanto al chilo, impenetrabile e dimentico di ogni dimensione tragica del Reale.
Costoro, dopo aver inclinato a lungo la spina dorsale sulle patrie lettere, nel tentativo estremo di vivacizzare le sudate carte e ampliare l' audience, rivolgono il loro ormai miope lume verso il quotidiano ma cio' che offrono è solo lo spettacolino di chi, dopo macerato ponzamento, improvvisa senza costrutto. Li vedi proferire le loro ingenuità accompagnandole con il fare tipico dei callidi.
Diciamoci la verità. Osservando le fanciullesche analisi internazionali dei vari Tab, M. Ov., D.F. sui blasonati tabloid, valutando la comica linea politica del Comico raffinato, soppesando lo sconclusionato programma di lotta politica del capriccioso regista, devo dire che tentenno nel liquidare all' istante un simile argomento, quand' anche non mi convinca del tutto.
E non puo' convinvìcermi del tutto certo come sono che l' arte sia pur sempre in grado di parlarci della Realtà.
Ma come conciliare due sensazione tanto stridenti?
Forse la facoltà di catturare il reale puo' presentarsi disgiunta dalla capacità di ricostruirlo cronachisticamente. La sintesi dell' opera è un dono che acceca lo sguardo quando si tratta di articolare un semplice resoconto con gli strumenti del buon senso.
Con eleganti metafore la cosa è stata espressa da un grande Lettore che fu anche grande Scrittore. Mi sia consentito di citarlo a memoria:

 

"...la visione del particolare illumina ed offusca lo Scrittore...In quanto scrittore mi complimento con chi si getta nelle fiamme per salvare il bambino piangente, ma stringo commosso la mano al salvatore che si ricorda di recuperare anche il giocattolo preferito dal piccolo...
...uno spazzacamino piombando dal sesto piano notò un errore di ortografia nell' insegna. Si chiese chi mai avesse potuto commetterlo...Anche noi precipitiamo verso la morte e notiamo parecchie cose sulla facciata che ci scorre davanti...
...questo incanto verso la minuzia mentre incombe il Pericolo costituisce la provvidenziale ed infantile speculazione dell' artista che per quanto corrughi la fronte resta un povero di spirito. Attività preziosa quanto lontana dal buon senso...Cercare qualcosa nel suo cuore che non sia affetto da questa santa aberrazione è cosa futile..."

Come dire: scrittori, scrivete e vi leggeremo. Ma mi raccomando: nei libri, non sui giornali.

lunedì 2 agosto 2010

Problemi con la Trinità?

La dottrina della Trinità ci dice solo che Dio è un essere sovrapersonale. Chi la giudica assurda in genere è perchè non la comprende, ma chi non la comprende in genere è perchè non vuole farlo. Costoro capiscono benissimo che un cubo è un megaquadrato che racchiude in sè sei quadrati ma, chissà perchè, si rifiutano di capire che il Dio cristiano non è altri che una sovrapersona che racchiude in sè tre persone. Eppure il primo concetto è perfino più astruso del secondo

C.S. Lewis

Volendo approfondire la dottrina cattolica e non sentendosi all' altezza di abbordare la teologia più sofisticata, non restano che gli autori inglesi (Lewis, Chesterton, Belloc...).

Essere cattolici in Inghilterra significava portare a spasso lo stigma del ribelle, significava vivere fuori dal recinto e avere tutti contro. Tutto cio' sviluppava i muscoli della fede. L' unica via d' uscita praticabile infatti consisteva nel forgiare un linguaggio rigoroso (alla lunga mai contraddittorio) e facilmente comprensibile (la comprensione crea interazione ed evita l' isolamento). Anche per questo la sparuta bandella di Cattolici summenzionati era al centro della vita polemica e culturale di quel paese.

Dedicato a...

Cio' che i cristiani intendono dire non puo' essere identificato con le loro raffigurazioni mentali. Detto questo qualcuno potrebbe proporre: e allora non possiamo toglierle di mezzo? Costoro non hanno notato che quando, per seguire il loro tentativo, accantonano immagini antropomorfe riescono solo a sostituirle con immagini ancora più ingenue. "Non credo in un dio personale - dice qualcuno - ma in una grande forza spirituale". La parola "forza" lascia spazio a tutti i tipi di immagine che abbiano a che fare con venti, onde, elettricità e gravità. "Non credo ad un dio personale - dice un altro - ma credo che tutti facciamo parte di un grande Essere. Costui ha solo scambiato l' immagine di un padre buono con quella di un gas o di un liquido di vasta estensione. Ha perso o guadagnato? A una ragazza che conoscevo, i genitori di "mente elevata" avevano insegnato che Dio era la sostanza perfetta. Più tardi capii che la piccola vedeva Dio come un enorme budino. Volenti o nolenti se vogliamo parlare di cose che trascendono i nostri sensi dobbiamo farlo ricorrendo all' immagine di oggetti sensibili. L' assurdità delle immagini non implica affatto l' assurdità delle dottrine e, dopotutto, l' uomo è quanto di più elevato incontriamo nella nostra esperienza sensoriale.

C.S. Lewis

Dedicherei il pensierino ad Odifreddi, l' unico teologo (naturalmente improvvisatosi tale sui due piedi) che se nei testi legge "... si assise alla destra del Padre..." pensa davvero che il Padre abbia una destra e una sinistra, anzi, pensa che il Padre abbia uno sgabello a destra e uno sgabello a sinistra... e magari cerca pure di avvistare gli sgabelli con il telescopio. Poi, quando non li vede, dice che l' umanità è un branco di cretini, tranne lui e qualche suo amico che gira sempre con il telescopio sotto braccio. Il tutto con la serenità che sa mantenere chi non è mai sfiorato dal dubbio.

venerdì 30 luglio 2010

Naturalmente artificiali





link

link

Vivivivi? Gangangangang!

Per ventinove giorni Konrad Lorenz ha covato le sue venti preziose uova di oca selvatica. Finalmente è arrivato il gran giorno, ed eccola qua, la prima ochetta:

A lungo, molto a lungo mi fissò l'ochetta, e quando io feci un movimento e pronunciai una parolina, quel minuscolo essere improvvisamente allentò la tensione e *mi salutò*: col collo ben teso e la nuca appiattita, pronunciò rapidamente il verso con cui le oche selvatiche esprimono i loro stati d'animo, e che nei piccoli suona come un tenero, fervido pigolio.

Fin qui tutto bene. Lorenz ha già un piano: affiderà le ochette, e questa in particolare, all'oca domestica che si è piazzata nella cuccia del cane sfrattato, poraccio.

Infilai la mano sotto il ventre tiepido e morbido della vecchia e vi sistemai ben bene la piccina, convinto di aver assolto il mio compito.

Seee, macché. Non funziona così.

(...) Pochi minuti, durante i quali meditavo soddisfatto davanti al nido dell'oca, quando risuonò da sotto la biancona un flebile pigolio interrogativo: 'vivivivivi?'. In tono pratico e tranquillizzante la vecchia oca rispose con lo stesso verso, solo espresso nella sua tonalità: 'gangangangang'. Ma invece di tranquillizzarsi come avrebbe fatto ogni ochetta ragionevole, la mia rapidamente sbucò fuori da sotto le tiepide piume, guardò su con un solo occhio verso il viso della madre adottiva e poi si allontanò singhiozzando: 'fip... fip... fip... '.

Lorenz ci riprova, la ficca di nuovo sotto la biancona, ma niente: 'fip...fip...fip...' L'ochetta Martina non molla. Una 'madre' ce l'ha già, e non è la biancona. Lorenz si arrende.

Posai la cestina con la culla riscaldata proprio in un angolo della camera e mi infilai anch'io sotto le coperte. Proprio nell'attimo in cui stavo per addormentarmi udii Martina emettere, già tutta assonnata, ancora un sommessso 'virrrr'. Io non mi mossi, ma poco dopo risuonò più forte, come in tono interrogativo, quel richiamo 'vivivivi?' che Selma Lagerloef nella sua stupenda storia del piccolo Nils Holgerson, che ha avuto su di me tanta influenza quand'ero bambino, traduce con geniale, penetrante intuizione nella frase: 'io sono qui, tu dove sei?'. 'Vivivivi?: io sono qui, tu dove sei?'. Io continuai a non rispondere, rannicchiandomi sempre più tra le coltri, e sperando intensamente che la piccola si sarebbe addormentata. Macchè! Ecco di nuovo il suo 'vivivivivi?', ma ora con una mincciosa componente tratta dal lamento dell'abbandono: un 'io sono qui, tu dove sei?' pronunciato con il viso atteggiato al pianto, con gli angoli della bocca abbassati e il labbro inferiore voltato in fuori; cioè, presso le oche, con il collo tutto ritto e le piume del capo arruffate. E un istante dopo ecco uno scoppio di striduli e insistenti 'fip... fip... '. Dovetti uscire dal letto e affacciarmi sul cestino; Martina mi accolse beata salutandomi con un 'vivivivivi'. Non voleva più smettere, tanto era il sollievo di non sentirsi più sola nella notte. La posi dolcemente sotto la coperta termostatica: 'virrrr, virrrr'. Si addormentò subito, deliberatamente, e io feci lo stesso. Ma non era passata neppure un'ora (erano circa le dieci e mezzo), quando di nuovo risuonò il 'vivivivivi' interrogativo, e si ripetè la sequenza di cui sopra. E poi di nuovo alle dodici meno un quarto, e all'una. Alle tre meno un quarto mi levai e decisi di cambiare radicalmente la disposizione degli elementi nell'esperimento. Presi la culla e me la posi a portata di mano presso la testata del letto. Quando, secondo le previsioni, alle tre e mezzo si fece sentire il solito interrogativo 'io sono qui, tu dove sei?', io risposi nel mio stentato linguaggio di oca selvatica con un 'gangangangang' e diedi qualche colpetto alla coperta termostatica. 'Virrrr,' rispose Martina 'io sto già dormendo, buonanotte'. Presto imparai a dire 'gangangangang' senza neppure svegliarmi, e credo che ancor oggi risponderei così se, nel profondo del sonno, udissi qualcuno sussurrarmi sommessamente 'vivivivivi?'.
da L'anello di Re Salomone, di Konrad Lorenz (1949)

giovedì 29 luglio 2010

Il costo della scelta

Scegliere costa: http://en.wikipedia.org/wiki/Search_theory

E questo costo forse ci dice qualcosa anche sul ciclo economico: http://econlog.econlib.org/archives/2010/07/the_recalculati_2.html

Ma scegliere ci rende felici: Life goals and choices have as much or more impact on life satisfaction than variables routinely described as important in previous research, including extroversion and being married or partnered. http://www.bigquestionsonline.com/blogs/heather-wax/goals-religion-and-personal-choices-can-affect-long-term-happiness

sabato 24 luglio 2010

Due buone ragioni

Il matematico Antonio Ambrosetti ci parla dei saggi antireligiosi che sono tornati di moda in questi ultimi anni, Odifreddi, Paulos...

Questi autori si definiscono spesso come "matematici", ma la cosa andrebbe controllata.

Prendiamo Paulos, pur insegnando matematica non lo si puo' certo definire un "matematico": ha pubblicato pochissimo (due lavori), con scarsi riscontri e in ambiti diversi da quello matematico.

La sua attività principale consiste nella cura di testi anti-religiosi e nella partecipazione a dibattiti televisivi.

Il caso di Odifreddi non si differenzia granchè.

Ambrosetti prosegue spiegando quando una persona puo' definirsi "matematico": un laureato che insegna al Liceo o all' Università è fuori dal consesso. almeno quanto un laureato in economia che lavora in banca non puo' essere considerato un "economista".

Bisogna invece partecipare attivamente e con risultati di sostanza alla ricerca matematica. Non basta qualche lavoro estemporaneo.

Infine Ambrosetti spiega perchè le dimostrazioni matematiche hanno poco a che vedere con l' esistenza o l' inesistenza di Dio: ogni dimostrazione implica assiomi indimostrati e dipende da quelli. ma ci sono anche ipotesi e definizioni a complicare la faccenda.

Se non siamo tutti atei o tutti credenti non è certo a causa dell' irrazionalità dilagante, manca un accordo unanime su assiomi, ipotesi e definizioni. Per evitare di essere stucchevoli, meglio lasciar perdere le "dimostrazioni".

Da ultimo Ambrosetti spiega perchè il suo lavoro di matematico (vero) lo ha avvicinato alla fede.

I motivi sono essenzialmente due.

1. la ricerca matematica ci fa toccare con mano la finitezza delle nostre conoscenze: solo la mente divina possiede la conoscenza infinita.

2. la ricerca matematica ci fa toccare con mano la non arbitrarietà della nostra conoscenza: solo un Dio puo' star dietro e condividere un significato tanto forte.

Non si tratta di dimostrazioni matematiche, è vero, ma sono comunque DUE BUONE RAGIONI per cui un matematico puo' sentirsi chiamato verso la fede.

Antonio Ambrosetti, Giovanni Prodi, Ennio De Giorgi - e mi fermo qui - sono forse le nostre menti matematiche più creative ed hanno seguito proprio quel richiamo.

Tutto cio' è rassicurante.

Antonio Ambrosetti - la matematica e l' esistenza di Dio - Lindau

venerdì 23 luglio 2010

Il creazionista giuridico

Il creazionista giuridico crede che al di fuori della legge di governo ci sia solo il comando morale. Il diritto si occupa della prima, l' etica dei secondi.

Chi si oppone alla legge puo' farlo solo in nome dell' etica.

Cosa è in grado di provare l' infondatezza di questa posizione?

Innanzitutto il fatto che esistono fior di diritti senza governi.

Recentemente leggevo Moby Dick, in particolare le pagine in cui Melville si dilunga sul diritto che regola la caccia alle balene.

Non esisteva un "governo" dei balenieri, eppure esisteva un diritto. Il diritto che tanto appassiona lo scrittore si era sedimentato nella pratica concreta dell' esecizio di quella professione.

E non parliamo certo di "norme etiche": parliamo del diritto ad inseguire la balena per 8 miglia che acquisisce chi scaglia il primo arpione che attinge la bestia.

Si possono fare decine di esempi simili al diritto dei balenieri. Decisamente troppi per non considerare tutto cio' un' "overwhelming evidence" contro l' ipotesi del creazionista giuridico.

Per il creazionista giuridico non puo' esister un ordine giuridico senza un dio. Pardon, senza un legislatore che tenga tutto sotto controllo dall' alto.

Il creazionista giuridico non riesce a concepire che l' evolouzione relazionale tra i soggetti è in grado di produrre ordini sofisticati. Eppure disponiamo ormai di una lunga serie di esemplificazioni concrete. Quella che in passato poteva essere considerata un' ipotesi, oggi è poco più che una superstizione.

Un testo che esprime al meglio questi concetti è il classico di Bruno Leoni: "La libertà e la legge". Purtroppo per molti anni da noi il creazionista Bobbio ha oscurato l' evoluzionista Leoni.

Vorrei solo aggiungere una cosa.

A volte mi capita di auspicare che una certa legge giuridica possa venir trasgredita, anche se so in anticipo che cio' condurrà Tizio alla rovina.

Facciamo un esempio che ci capiamo meglio: auspico che l' uso della droga sia liberalizzato anche se so che in questo modo Tizio si distruggerà.

Francamente non penso che questo mio auspicio abbia natura etica, al contrario. Eppure sono pronto alla disobbedienza civile per perorare quella causa. Ma a cosa mi appello se non mi appello all' etica?