giovedì 10 luglio 2008

Proposizione Vonnegut

Il dibattito sull' estetica originato da questo post e proseguito nei link allegati, ferve. Ora il contributo di Vonnegut:

"... Maestro, come distinguere un buon quadro da uno cattivo?"

"Basta solo, mia cara, guardare un milione di quadri e non potrai sbagliarti"

"vero, vero".

Hat tip a Matteo (che mi ha regalato il libro).

mercoledì 9 luglio 2008

Indeterminazione, gratuità e la fuga nel passato

Questo è un post di servizio, Davide non riesce a riperire, non dico musica, ma nemmeno informazioni su Nin La Quan, batterista anomalo, titolare di un power quartett hardcore metal con Doneda e Repecaud, ma anche collaboratore regolare di Xenaxis.

Purtroppo i lavori più rock li ho solo in vinile (risalgono agli anni 80) e la conversione sarebbe troppo laboriosa.

Qui c' è invece un lavoretto per sole percussioni, forse è un po' ostico, ma trattasi di esemplificare.

Poi ci sono i giapponesi Ground Zero, da un cd di una decina di anni fa traggo questo pezzo, un po' truculento ma anche ironico. Insomma, ambiguo. Bello l' omaggio al forsennato e spoglio drumming in stile punk.

Metto questi due pezzi non perchè rappresentino qualcosa di particolare. Discutendo ho fatto una ventina di nomi, ne avrei potuti fare altri 50. Siccome da un accertamento a campione di Davide, è nei suoi diritti, questi mancavano all' appello...

Per i pochi scambi avuti so già che Davide non gradisce questa musica. In merito ho una mia congettura: non penso sia un fatto di "gusto", quanto piuttosto un semplice rifiuto dei parametri fondativi della sensibilità contemporanea, la quale difficilmente prescinde dalla materia bruta, indomabile (lato demenziale) e/o dall' incontro allucinato (lato straniante e umoristico). Tutte cose che ho tentato di dire meglio qui.

Ma l' arte compare imprevista anche fuori di ogni progetto estetico, all' improvviso. Per esempio in un pezzo folk che ascolto molto in questo periodo e che ho già linkato. Compare e si concentra struggente nell' assolo del clarinetto di Mirabassi. E vaffanbagno se è solo timido e romantico e non invece allucinato o demenziale. Salvo il fatto che che dell' Accademia, anche in questo caso, c' è solo la tecnica magistrale. Piaciuto? Allora beccatevi un bacio. Anzi Il Primo Bacio.

Indeterminazione e gratuità. Vi disturbano? Non vi resta che rifugiarvi nel passato

Se l' arte ci parla del mondo come fa la scienza, allora le due discipline potrebbero procedere a braccetto nella storia. In fondo, la sensibilità dell' uomo è unica e unico il suo sguardo sul mondo. Quando la scienza muta, puoi scommettere che alcune ripercussioni si avranno anche in campo artistico.

Voler tracciare però un parallelo rigoroso, è stato fatto, fa sfiorare il ridicolo a chi lo propone, quindi meglio procedere con i piedi di piombo.

Osservo dapprima che le scienze del secolo passato hanno accolto e tentato di descrivere alla meglio i fenomeni caotici.

E' accaduto persino nelle scienze più "dure" come la fisica: come formalizzare il comportamento delle particelle subatomiche senza ripiegare sulla statistica? Come descrivere la dinamica dei gas senza ricorrere allo studio degli errori e delle approssimazioni? E non parlo poi di quelle discipline, come la biologia, che da sempre si confrontano con l' indeterminato.

Il meccanicismo newtoniano è andato ormai in pensione, nemmeno si parla più di "leggi naturali", si fa molto prima a considerare probabilistica la natura di certe regolarità, anche delle più affidabili. Per qualcuno le teorie quantistiche nemmeno erano "scienza". Anche Einstein opinò osservando come Dio non giocasse a dadi. Oggi mi sembra che la discussione sia chiusa.

Secondo me questo movimento nelle scienze ha un corrispettivo nell' arte, parlo ora della musica: il rumore e l' aleatorietà assumono un ruolo centrale; una certa concezione del suono "ben temperato" segue con la sua sorte il "meccanicismo" e va in pensione.

L' aleatorietà nelle esecuzioni (improvvisazione) è la quinta essenza dell' indeterminazione, le parentele lì sono chiare, non c' è nulla da aggiungere. Ma anche il rumore ha una struttura sonora indeterminata, per quanto lo si controlli, altrimenti non sarebbe rumore.

Naturalmente, poichè l' arte si incarna in un linguaggio, "rumore" e "aleatorietà" devono trovare accoglienza in un contesto che li disciplini in modo creativo, che ne faccia un uso espressivo organizzandoli a dovere.

E' possibilissimo "controllare" il rumore e l' aleatorio, ce lo dice in primo luogo la scienza: la statistica controlla i suoi errori attraverso intervalli di confidenza. Altro esempio, Kantor, maneggiando gli infiniti, ci ha detto che alcuni infiniti sono più grandi di altri, che il loro mondo è estremamente vario e sorprendente, esempio: se abbiamo infiniti mattoni possiamo costruire infinite case e le case saranno più numerose dei mattoni.

L' arte di oggi è soprattutto quella che sa controllare il "rumore". E il "rumore" puo' essere "suonato" in infiniti modi. E' vario e sorprendente.

Ma le accademie musicali, pur accortesi per tempo che la via era questa, mi sembra che abbiano fallito nell' impresa.

Da Pousser a Stockhausen, da Maderna a Evangelisti, da Nono a Manzoni, per non parlare della "musica concreta", hanno proposto un rumorismo freddo e, secondo me, male integrato con la tradizione. Molti sono scappati, pochi hanno capito, nessuno ha goduto.

Con molto più profitto quelle strade sono state battute da chi partiva dal Rock e dal Jazz. Musiche che, anche se elementare, avevano sviluppato una loro tradizione dialogante con "rumore" e "aleatorietà".

E' bastato che una generazione di musicisti usciti da lì, una generazione di musicisti consapevoli, virtuosi e colti cominciasse a nutrire vere ambizioni artistiche, ed ecco che i risultati sono venuti.

Il loro "rumorismo" si è rivelato molto più vitale, molto più carico da un punto di vista esistenziale. Pieno di umorismo, truculenza divertita, gioie, dolori e tutte le infinite vie di mezzo, di sopra e di sotto. Al loro confronto, gli accademici sembravano invece impegnati in una pedante tassonomia da conferenzieri.

Dopo la lunga premessa esprimo la mia prima tesi: penso che la lingua musicale del nostro tempo sia debitrice dei musicisti usciti dai laboratori del rock, del jazz e del folk non omologato, prima ancora che della tradizione accademica impantanatasi a Darmstadt.


***


L' indetrminazione è solo un aspetto della scienza moderna. L' altro è la gratuità.

La legge scientifica ha assunto una natura statistica, cio' significa che la scienza rinuncia ad indagare le cause prime. Rinuncia a "dare spiegazioni", si limita a descrivere come dicono Mach e Duhem.

Il "fenomeno" esce dal nulla, non è mai spiegato alla radice. magari non lo faceva neanche prima, ma l' ambizione non era mai dismessa. La scienza ora diventa pragmatica e non soccorre più l' uomo nella sua esigenza profonda di capire le ragioni profonde.

Il mondo "non spiegato" assume natura allucinatoria. L' artista novecentesco, in tutti i settori, ha captato questa vuoto, questa sentimento dell' assurdo, questa vena allucinata e l' ha riprodotta.

La musica accademica ha una sua tradizione dello straniamento che fa capo a Stravinsky. Una tradizione presto tarpata però, forse per la paura di mischiare certi ambienti "seri" con il grottesco e l' umoristico inevitabile quando qualcuno cerca di sollevarsi prendendosi per i capelli.

E anche qui le musiche popolari soccorrono. Mai come qui possono dire la loro e l' hanno detta: cosa si presta alla degradazione più che la già vile canzonetta? E gli autori pop con ambizioni artistiche spesso hanno sfruttato queste possibilità.

La musica si irrigidisce in una mera canzone di genere raggelata, una musica commerciale, sradicata, che si limità ad una vile, chiassosa ed inspiegabile presenza. Puro oggetto pop iperealistico, epifania non attesa e disturbante.

Tesi seconda: anche il sentimento di gratuità, di straniamento, di assurdo trova nella musica popolare (pop), adeguatamente virgolettata da artisti consapevoli, il canale migliore attraverso cui esprimersi.

P.S. questo post fa parte di una discussione con davide, puo' essere utile un rimando qua, qua e qua.

Nuove aristocrazie

La meritocrazia sembra sia un' invezione del socialismo europeo, in particolare fu partorita all' interno del labour party dall' eminenza grigia Michael Young.

L' intento era quello rendere tollerabili anche forti diseguaglianze in presenza di una forte mobilità sociale. Una vera rivoluzione che oggi potremmo chiamare anti-sessantottina.

I risultati non furono molto soddisfacenti poichè i ragazzi migliori selezionati nei test provenivano tutti da famiglie ad alto reddito.

I nostalgici del buon vecchio egalitarismo alzarono subito la voce.

Ma altre minacce incombevano sul progetto.

Dopo un periodo di riflessione Young prese le distanze dalla sua creatura: era partito con l' intento di abbattere i provilegi ma si accorgeva che stava creando una nuova aristocrazia fondata sul talento e probabilmente sulla genetica (aristocrazia dello sperma fortunato). Era infatti molto probabile che i "migliori" conducendo vita simile si sposassero tra loro.

Forse la meritocrazia non era concetto molto idoneo a conciliarsi con l' ideale socialista.

Il libro di Young è piuttosto visionario, si conclude con la rivoluzione dei QI bassi, il proletariato del futuro.

In una società come quella USA, poco "socialista" e poco amante delle paturnie filosofiche - alle visioni di Young avrebbe potuto interessarsi giusto Hollywood - ci si preoccupo' poco di questi sviluppi inquietanti.

In fondo la selezione meritocratica sarebbe andata a vantaggio di tutti. Anche perchè l' élite avrebbe pur sempre agito in un quadro liberale, vera garanzia di tutta l' operazione.

Gli eredi di Young non abbandonano il progetto e si dimostrano più fiduciosi del maestro. Cercano d' insistere sulle pari opportunità a partire dall' inizio, dall' ambiente famigliare di partenza e dalla possibilità di uniformarlo.

Forse, in termini di efficientismo, una simile variante è saggia. Ma non mi sembra certo in grado di tranquillizzare granchè chi nutra preoccupazioni vicine a quelle di Young.





***




Cosa ostacola l' introduzione di meritocrazia:



  1. L' invidia. L' egalitarismo meritocratico non allevia le pene dell' invidioso.

  2. La funzionalità. I test sono un valido strumento di selezione? Ovviamente non sempre, spesso ci sono dei dubbi, spesso richiedono un' integrazione sostanziosa. Con queste premesse è facile sostenere che non siano MAI validi. Chiediamoci: meglio una diseguaglianza ingiusta o una eguaglianza ingiusta? Coloro i quali reputano che un' ingiustizia valga l' altra (pochi), sono più disponibili a lavorare con i test e a migliorarli.

  3. L' effetto valanga. Una valutazione ne trascina con sè altre. Se posso stimare quantitativamente la preparazione di un allievo, posso stimare anche il contributo dell' insegnante e strutturare meritocraticamente anche quel settore. Cio' rende sospetta tanta opposizione ai test: anche chi si dimostrerebbe disponibile, consapevole delle conseguenze, alza un muro.

  4. Avversione al rischio. Una società stagnante (magari egalitaria e assistenziale) favorisce, seleziona e sviluppa l' avversione al rischio. Cio' spiega perchè spesso al merito si oppone anche il soggetto che, in termini di neutralità del rischio, migliorerebbe la sua condizione con le riforme.


  5. ...

martedì 8 luglio 2008

Dopo gli animali, dopo i marziani, c' è chi si interroga sui diritti dei graffiti.

Da oggi non camminerete più troppo attaccati ai muri. Come tirar fuori qualcosa di creativo dalle tecniche della stop-motion. E occhio, anzi orecchio, anche alla didascalia musicale di Martignoni.



MUTO a wall-painted animation by BLU from blu on Vimeo.

Tutto realizzato graffitando i muri del garage dietro casa.

Droga libera. Beato il Paese che non ha bisogno di eroi (anti-mafia).

Nella sua lotta per depenalizzare il crimine che non nuoce agli altri, il libertario affonda regolarmente il suo vascello sullo scoglio delle droghe pesanti.

Liberalizzarle sembra decisamente impossibile, i rischi che la domanda s' impenni sono troppo elevati.

Ma anche il proibizionismo ha fallito viste le mafie che tiene in piedi regalando loro fortune inenarrabili. Anzi, la mafia così come la conosciamo oggi, esiste grazie alla droga, fonte primaria nelle entrate delle cosche. Non parlo poi dei costi e dei fallimenti della lotta ai traffici internazionali.

Ho sempre pensato che gli eroi anti-mafia non servano a granchè. Molto più utile sarebbe una legge sulle droghe.

Questa mi sembra una buona idea, almeno per partire con tentativi sensati.

Di cosa si tratta? Semplice, legalizzare la vendita di droga imponendo prezzi decrescenti in relazione allo stadio di assuefazione del consumatore. Il tutto accompagnato da una schedatura del drogato e da un luogo fisico dove consumare la droga stessa.

Qualcuno ha paura che la droga legalizzata convogli verso il vizio molta gioventù.

Ma per i ragazzi puliti la vendita legale sarebbe interdetta (è il prezzo più alto). In un centro autorizzato mai nessuno comincerà a drogarsi. E difficilmente si potrà iniziare a farlo fuori: che se ne fa la mafia degli spacciatori di un cliente che subito li abbandonerà? Di sicuro il martellante marketing ora in voga, non avendo più senso, si sgonfierebbe.

Altri temono la microcriminalità dei drogati.

Ma la schedatura degli acquirenti offre uno strumento indiretto d' indagine notevole per combattere una microcriminalità che oggi è prevalentemente impunita.

Senza contare che la schedatura offre la possibilità di introdurre altri disincentivi. Per esempio il mancato accesso ad una serie di posizioni per chi non intraprende certi percorsi riabilitativi.

A costoro che hanno a cuore la criminalità faccio solo notare le ingenti forze di polizia che si libererebbero per essere destinate alla lotta contro crimini diversi da quelli legati allo spaccio.

Altri ancora non si fidano dei rivenditori privati.

Un privatizzatore come me si fida che i controlli pubblici, dalle e ridalle, raggiungano una certa efficienza, anche in virtù delle schedature e dei registri di carico e scarico obbligatori e rigorosi. Ma questo non è l' argomento in ballo, concedo pure che tutta l' operazione venga gestita dal SSN.

Alcuni dicono, ma perchè io cittadino dovrei pagare la droga al tossico?

E chi l' ha detto? I margini dei malavitosi (soprattutto quello richiesto per l' illegalità dell' operazione) sono tali che la concorrenza nei loro confronti sarebbe vincente senza uscirne con delle perdite. Avete presente quanto costa l' oppio al produttore? L' operazione si autofinanzierebbe.

Zingales dice che i successi nella battaglia anti-fumo sono stati raggiunti "ghettizzando" i consumatori.

Aggiungo che anche l' immagine dell' eroinomane come persona "lercia" ha contribuito a spostare i consumi su cocaina e acidi (droghe più "pulite" e signorili).

Ebbene, consumare la coca in uno squallido stanzone anzichè nella discoteca trendy, insieme con la schedatura tra gli sfigati, puo' offrire un contributo notevole a sgonfiare molta mitologia malefica.

Mi piacerebbe capire se e dove inciampa questo "primo passo".

lunedì 7 luglio 2008

Imprenditori in polvere

Perchè il numero di microimprese in Italia è tanto elevato? Perchè la nostra struttura produttiva si discosta tanto da quella di molti Paesi più avanzati di noi?

E' un aspetto preoccupante, molte riforme risultano impraticabili a causa dell' estrema dispersione degli imprenditori.

Non mancano però gli aspetti positivi: si diffonde meglio una salutare mentalità imprenditoriale (è il popolo delle partite IVA). Quella mentalità più matura che sostituisce il tiro alla fune ideologico delle "conquiste" con il bilancino dei pro e contro.

Ora però non vorrei occuparmi se "piccolo" sia più o meno bello, do la precedenza alle domande del primo capoverso e offro due ipotesi:



  1. La regolamentazione posta sul lavoro dipendente è repressiva; si cerca di aggirarla puntando a forme elusive di imprenditorialità e trziarizzazione; conquiste come lo Statuto dei Lavoratori, nonchè la sciagurata giurisprudenza che ha innescato, hanno semplicemente ucciso cio' che volevano tutelare estinguendo la figura del Lavoratore in favore di quella ambigua di Microimprenditore.



  2. Il nostro welfare è stato costruito anche mediante una tolleranza spinta dell' evasione fiscale, soprattutto al sud. Cio' ha consentito di mantenere in vita parecchie microimprese improduttive. Ma perchè un microimprenditore improduttivo non cessa la sua attività per andare "sotto padrone"? A parte la scarsità di domanda (vedi 1), è sempre meglio "comandare" che "essere comandati". Specie se uno è abituato così. La differenza che si spunta con l' evasione impedisce di cedere le leve del comando, anche quando la barca fa acqua. A proposito, la preferenza verso il comandare piuttosto che verso l' ubbidire, giustificherebbe i redditi talvolta inferiori che il micro-imprenditore spunta rispetto agli stipendi dei suoi dipendenti!

Forme di welfare: microcredito ed evasione fiscale

Questo articolo sembra fare il punto in maniera credibile sulla pratica del microcredito.

Per alcuni, per esempio gli assegnatari del Nobel a Yanus, l' idea appariva forse come epocale.

Anche per questo alcune conclusioni meritano di essere evidenziate.

Non ci si aspetti che il microcredito risolva o allievi in modo significativo il problema della povertà. In genere è una boccata d' ossigeno, ma poche persone escono dalla loro condizione grazie a queste pratiche.

Il microcredito è sempre esistito, lo si sappia. Coloro che prendono i soldi dalle banche del microcredito, li prendevano senza molte difficoltà anche ieri. Ogni villaggio ha infatti sempre avuto il suo "prestatore" che agiva al di fuori del circuito bancario. Solo che le banche di oggi chiedono tassi intorno al 50-100%, il "prestatore" era invece più esoso, nonchè scrupoloso nel riscuotere. E' un miglioramento, certo, non una soluzione rivoluzionaria.

Il microcredito generalmente non aiuta lo start-up di nuove aziende. I denari ottenuti così vengono consumati in seno alla famiglia o risparmiati con l' acquisto di una mucca o di una capra (non si creda che la mucca sia un investimento! E' un risparmio: nessun povero risparmia in contanti, verrebbero subito parenti ed amici a chiedere favori non rifiutabili; la mucca invece non puo' essere fatta a pezzi). Al massimo si investe in beni da usare promiscuamente sia nell' azienda che in famiglia (per esempio il cellulare).

Non si creda nemmeno che il microcredito sia esente dall' incorporazione in titoli collaterali. Visto che siamo nel mezzo di una crisi subprime, ovvero di titoli minati da mutui concessi ai meno abbienti, la cosa non puo' che preoccupare.

Conclusione: quasi sempre il microcredito si risolve in una specie di elemosina con un lato positivo: consente al povero di mantenere un' attività che lo impegna durante la giornata e, quindi, una propria dignità personale. E' un' assistenza anche psicologica. Dall' altro canto cancrenizza le cose come stanno mantenendo in vita una miriade di imprese non produttive.

In un certo senso il microcredito ha effetti simili all' evasione fiscale tollerata a lungo specie nel sud Italia. Mancando di un vero welfare, si sorvola sull'evasione diffusa dei piccoli: costoro possono stare a galla conducendo la loro aziendina senza costituire un problema sociale: sbarcano il lunario e sono alle prese con un' attività che li impegna fattivamente e dà loro qualche soddisfazione illusoria. I pregi e i difetti sono i medesimi del microcredito: si campa ma ci si immobilizza con una produttività deprimente.

La struttura polverizzata del nostro sistema produttivo forse è dovuta anche a questo: 1) evasione fiscale tollerata che consente al micro imprenditore di portare avanti la sua impresa improduttiva (in fondo è meglio comandare che essere comandati) 2 e regolamentazione del lavoro dipendente oppressiva.



http://www.wilsoncenter.org/index.cfm?fuseaction=wq.essay&essay_id=361250

Finalmente 2 film (3)

ci riprovo, vediamo un po' se questa volta ci sono riuscita.

Sennò scriverò il link per esteso....

ciao
d

Il declino della guerra

Now let's try a thought experiment. What if that same tribal rate were true for modern states? In this purely hypothetical situation, we would be seeing 165 thousand Canadian deaths every year from warfare alone, 2.5 million deaths in the European Union, and 6.6 million in China! Clearly nothing like this is happening.

Here is another way of thinking about it: Richard Rhodes once calculated that warfare of all kinds caused 100 million military and civilian deaths worldwide during the 20th century. But if the entire world had been suffering war-related deaths at the tribal rate then, as Keeley points out, there would have been two billion deaths due to war over the course of that war-torn century.

The dramatic decline in the risk of death due to warfare during the last two or so millennia demands for explanation. There are numerous theories, of course, but essentially all of them include the idea that the growth of states has acted to decrease the risk of death due to warfare — despite the well-documented propensity of states to engage in war, and the staggering growth in military firepower


http://tqe.quaker.org/2007/TQE159-EN-War.html

L' animalismo portatore di diseguaglianze

La cultura animalista soffre di un doppio blocco:

Da un lato non puo' affermare risolutamente che, in tema di diritti, le "differenze non contino". Infatti gli stessi animalisti, parlando di "diritti", rispettano molte differenze: un gorilla non è un topo, un topo non è una pulce, una pulce non è una pianta.

Dall' altro non possono nemmeno affermare che le "differenze contano", altrimenti sarebbe lecito introdurle anche tra gli uomini.

Il fatto è che il GAP vorrebbe dedurre i diritti etici di un soggetto dalle sue capacità. Questa procedura potrebbe sedurre qualcuno ma poi non manca di rivelare i suoi pericoli.

Non c' è dubbio che il gorilla abbia delle capacità, per esempio linguistiche, maggiori rispetto alla pulce. Ecco che allora, secondo il GAP, a lui spetterebbe una generosa manciata dei diritti.

Ma i diritti si conquistano davvero con le "capacità"?

Se fosse così bisognerebbe introdurre molte distinzioni anche tra gli uomini. Per esempio, in una democrazia, potremmo rendere ineleggibili le persone che a 18 anni abbiano l' IQ sotto una certa soglia.

Una conquista etica fondamentale, l' eguaglianza dei diritti, andrebbe così a farsi benedire.

Questi "pasticci" sono tipici di chi vorebbe dedurre dei "valori" da dei "fatti".

Certo, i fatti sono fondamentali per giudicare, ma i valori hanno un' origine differente. Derivano da un Principio.

Un uomo ha dei diritti in quanto "Uomo", non in quanto "essere capace di fare certe cose". Esiste qualcosa che chiamiamo "umanità", da lì dentro escono i nostri diritti.

Questa parola, "umanità", possiamo renderla con altre parole: "auto-coscienza", "imputabilità", "libertà", "responsabilità"...

Non sono i fatti a decidere se un essere è "responsabile", l' ultima parola spetta sempre a noi e alla nostra sensibilità nell' individuare un Principio.

Qualcuno dirà: "Ma come riconosco l' "Uomo"? Come riconosco il Principio?". Secondo me con la Ragione. Soccorre infatti la coerenza. Se l' uomo è "respnsabile" delle sue azioni e io tratto "quella" creatura "come se" fosse responsabile - per esempio processandola quando commette un omicidio o un furto - allora sono di fronte ad un Uomo.

Su questi temi è difficile trovare qualcosa in rete oltre a molta fuffa, specie sul fronte anti-animalista. Diversi filosofi si pronunciano sul tema ma c' è poco di "dedicato". Segnalo pertanto il blog di Waseley Smith. Magari si puo' iniziare da questo post.

Strade: meno regole, più cervelli

Le regole sono costose e, a volte, per la nostra sicurezza, è meglio levarle che metterle.

Ne sa qualcosa chi si occupa di frodi finanziarie, ora la questione è affrontata anche da chi si occupa della circolazione sulle nostre strade.

Per combattere il traffico e gli incidenti nelle grandi città europee (specie al nord), il nuovo trend sembra consistere nel bonificare le strade stesse dall' eccesso di segnaletica e di semafori.

Anche da noi le "rotonde" stanno soppiantando la regolamentazione più rigida.

Un ruolo sempre maggiore è affidato alle teste degli automobilisti e al loro buon senso.

Molti incidenti sono divuti alle distrazioni, se la concentrazione viene spesso sollecitata i rischi scendono. I pazzi, poi, non sono così frequenti e, oltretutto, un semaforo non è per loro una barriera invalicabile.

In piccolo e in laboratorio, anche qui spunta il solito adagio: solo la fiducia nell' uomo è portatrice di libertà.

sabato 5 luglio 2008

Finalmente due film (2)

(Volevo inserire questo commento nel thread sui film "Il Divo" e "Gomorra", ma non sapevo se avrei potuto linkare il video. Provo così.)

Ripensando al monologo finale di Andreotti nel "Divo", in cui parla dell'orrore e della 'necessità' del male, mi è tornato in mente questo.

ciao
d

venerdì 4 luglio 2008

Dear God (da vedere)

quel video era davvero stupendo. Sembra diretto da Michel Gondry, oggi.
d

(Non so se sono riuscita ad allegare il video, era una prova.
Lo scoprirò tra poco)

Dear God

Una lettera fimata Andy Partridge, XTC (1986)

Musiche sudate

La storia di Harry Partch sarà anche interessante abbellita com' è da così tante irregolarità, ma la mausica che ho potuto ascoltare su "HP collection volume 1" non è all' altezza.

Una musica bella da fortografare. Non basta. Gli strumenti da lui inventati hanno strane fogge che definisco liberty in assenza di meglio. Meno sorprendente all' ascolto.

Si sente comunque il profumo della giovane terra d' America. In più è pervasa dalla fierezza fintamente dimessa di certi lavori manuali.

Qualcuno laggiù, in quelle terre semi-vergini da sinfonie, ha pensato bene di modificare gli strumenti tradizionali "preparandoli", Partch se li è costruiti direttamente da zero con olio di gomito, martello, sega e goniometro.

Anche la sua musica sembra costruita con olio di gomito, martello e sega. La cosa più bella che esce da tanto lavorio sono i trucioli.

Mamma mia. Sorprendono sempre le mille forme che assume l' immaturità artistica, ci vorrebbe un Thomas Mann per cantarle: una musica lavorata da mille lime, annaffiata da sudori d' operaio, crivellata da instabili trapani briko, ci tocca poi bocciarla perchè, afflitta da schematismi, suona come "troppo pensata".

Mi consolo degustando il sapore ruspante dell' artigiano che ci dà dentro nel retrobottega, durante il tempo libero rubato alla banca, all' assicurazione e alle bollette che incalzano. Un tempo passato a declinare gentilmente l' invito al pub per un goccio con gli amici.

Un' arte coltivata nei week end subendo i rimbrotti della moglie... e intando il garage s' ingombra di quei misteriosi macchinari così diversi dal pianoforte della nonna (pensa lei)... e intanto anche stavolta dobbiamo rinunciare alla gita promessa... e tutto per quei suoni strampalati che non assomigliano per niente a quelli che escono dalla radio... ma cosa s' è messo in testa Harry... Harry, ne valeva la pena? Non potevi seguire i Padri e dedicarti ai parafulmini?... almeno quelli erano brevettabili.

E poi quelle titolazioni... roba tipo: "Let us contemplate undazed the endless reaches of my innocence - thaitian dance"... preferisco cento volte "Be my Baby"

Non capisco mai se vince l' uomo o la natura

Qualche idea per viaggiare nel week-end. E non dimenticate l' essenziale.

Divulgazione per "capire" o per "provare"?

Nella puntata del 18.6.2008 ascoltabile qui, l' arguto Pontiggia affronta la relazione che lega il linguaggio specialistico a quello di tutti i giorni.

In un primo tempo si diffida delle forme gergali per l' uso improprio che ne viene spesso fatto. Mascherato dietro la cortina del liguaggio specialistico, l' esperto coltiva i suoi interessi a danno dell' interlocutore profano che si puo' facilmente tagliare fuori. Questo è vero ma gli abusi sono all' ordine del giorno, bisognerebbe andare oltre.

Veniamo dunque alla parte interessante. Secondo Pontiggia lo specialista onesto sente l' esigenza di mettere alla prova le sue conclusioni tentando di trasporle in un messaggio semplice e comprensibile più o meno a tutti.

La divulgazione sarebbe dunque un esperimento volto a provare la bontà di scoperte relegate nel dominio degli esperti.

E' difficile prendere le distanze da Pontiggia, questa volta ci provo.

Personalmente ho sempre pensato che lo specialista "traduca" la sua teoria al fine di poterla "capire" meglio lui stesso, non per metterla alla prova.

La funzione del linguaggio specialistico è quella del rompighiaccio, con esso è più facile avanzare nella conoscenza. E' la nostra arma per progredire nella giusta direzione. Un' arma tagliente, efficace, rigorosa, fin troppo potente. Dopo che siamo tanto avanzati, infatti, è necessario fermarsi e orientarsi. Ecco allora che soccorre il linguaggio ordinario.

La validità di un pensiero è saldamente fondata, per esempio, sul linguaggio matematico. Interpretare quelle conclusioni trasponendole in un linguaggio piano non mette in pericolo la loro validità. Semplicemente ce le fa capire meglio.

Prendiamo la teoria quantistica. Nel momento in cui Einstein o Bohr tentano di interpretarla divulgandola, non la stanno "mettendo alla prova", la validità della teoria è già nelle loro mani. Molto più semplicemente cercano di capirla più a fondo integrandola con l' immagine più generale che abbiamo del mondo. E' un esercizio di comprensione che riguarda loro innanzitutto.

Se tutto questo è vero, si noti una funzione provvidenziale del "gergo": fa avanzare la nostra conoscenza anche in direzioni "scomode" per l' ideologia dello scopritore. Dovendo "scoprire" prima ancora di "capire", a costui non faranno velo i pregiudizi.

mercoledì 2 luglio 2008

Quando il razzismo conviene a tutti, che si fa?

Robert Fogel nel suo famoso Time on the Cross (1974) dimostrava che la qualità di vita di uno schiavo del sud prima della guerra civile americana era notevolmente più alta rispetto a quella di un operaio del nord.

Lo Schiavo viveva meglio rispetto all' Uomo Libero. Sia materialmente che psicologicamente.

Lo Schiavo, per esempio, lavorava molto meno, non rischiava mai il licenziamento e anche il trattamento disciplinare nei suoi confronti era più umano.

Non che Fogel fosse uno schiavista, dal punto di vista morale si opponeva strenuamente all' istituzione, ma, dati alla mano, non riusciva a negare il benessere prodotto un po' per tutti dalla schiavitù.

In precedenza, molti storici avevano visto il sistema schiavista come inefficiente. Ma Fogel negava anche questo: il sistema schiavista, per lui, era un' organizzazione efficiente e funzionante. Più efficiente rispetto all' agricoltura praticata da soggetti liberi.

Con conclusioni del genere non poteva pensare di passarla liscia. Certo, i suoi sistemi d' indagine storica, fondati sul metodo quantitativo, gli valsero il Nobel negli anni novanta, eppure non mancarono risposte altrettanto articolate che tentarono di invalidare almeno in parte il suo lavoro.

Da notare una cosa: Fogel rifiuta la Schiavitù ma non tace il benessere che è in grado di produrre per tutti (schiavi e padroni). Ci si chiede, in nome di che cosa "rifiutasse" la schiavitù?

Forse in nome di "valori non negoziabili"? Probabilmente sì, visto che se quei valori fossero negoziabili, se cioè contasse solo il benessere materiale, allora converrebbe negoziarli visto che, in base a questo parametro, l' opzione per la schiavitù sarebbe dovuta.

Il gioco uomo libero/uomo schiavo è molto complesso. Al punto che forse noi oggi siamo più schiavi di ieri ma anche più liberi visto il trattamento privilegiato e la protezione che ci riserva il "padrone".

Da notare un altro scherzo della storia: gli argomenti di Fogel sembrerebbero benvenuti per quelle mentalità nostalgiche del vecchio Sud. In realtà costoro abbracciarono la posizione antitetica: la schiavitù era un metodo di produzione inefficiente e si sarebbe esaurita da sola. Proseguono poi affermando che il Nord non capì questa elementare verità scatenando una guerra sanguinosa quanto stupida.

Quando ha senso "cercare" e non ha senso "trovare"

Secondo il filosofo Popper, dove inizia la cratività si arresta il linguaggio.

Chi parla di scienza puo' trascurare senza colpa i temi che riguardano l' origine delle idee. Si tratta di temi che implicano elementi irrazionali ("...ogni scoperta contiene un elemento irrazionale, o un'intuizione creativa...).

L' origine delle idee è un antro oscuro dove solo l' ingenuo e l' idiota tentano di penetrare.

Un' idea puo' sorprenderci in sogno e, parimenti, essere la pietra angolare di una favolosa teoria scientifica.

Anche Israel riprende questo canone commentando Boncinelli.

Chi si oppose al canone fu il Nobel Herbert Simon. Secondo lui anche le macchine erano in grado entro certi limiti di innovare.

Costruì dei software attraverso i quali fece "riscoprire" alle macchine parecchie leggi scientifiche in tutti i campi.

la posizione di Simon è senz' altro difendibile: tutti riconosciamo tra le doti fondamentali dello scacchista anche la creatività. Eppure ci sono macchine che giocano in maniera eccellente e vincono anche con i "grandi" campioni. Come potrebbero farlo in assenza di una dote tanto decisiva?

L' attività innovativa esalta la creatività. Eppure la stragrande maggioranza della ricerca innovativa si svolge oggi con equipe organizzate in modo ferreo. Da lì escono la maggior parte dei brevetti. E' forse insensato tutto questo?

Non attendiamoci che la diatriba Simon/Popper abbia mai una soluzione definitiva. Anzi, diffidiamo piuttosto di chi su questi temi prende posizioni risolute. Le macchine continueranno a sorprenderci ma saranno sempre gli uomini a programmarle.

Potremmo concludere con questo paradosso: pensare che esista l' algoritmo della creatività è insensato. Eppure non è insensato cercarlo.

Un dibattito di livello tra le "curve" Popper/Simon si è tenuto 5 o 6 anni fa sulle pagine della rivista Sistemi Intelligenti. Purtroppo sembra che non ne esista traccia in rete. Pazienza, non esiste più nemmeno la biblioteca dove mi ero fermato a leggerne e, tra article, replay, joint e rejoint, tutto si chiudeva, ovvio, senza vincitori nè vinti.