martedì 7 giugno 2011

La razionalità del mercato

Justin, let me first note that in your book, which I very much enjoyed, you make many gracious acknowledgements to the efficient markets hypothesis (EMH), such as the basic implication that it is very, very difficult to outperform the market. To outperform the market is incredibly hard, as evidenced by data not merely on retail investors who trade too much and tend to get into the market at exactly the wrong time, but professionals too, as mutual fund managers underperform their passive investment alternatives like night follows day. This is not a minor acknowledgment, but basically is the EMH theory.

Yet you call efficient markets a “myth” and say the theory “deluded” investors. “Efficient markets” appears to be a loaded phrase, with lots of baggage unrelated to the original definition presented by Eugene Fama back in 1965, which is that current market price is the best predictor of future price.

I think this distaste for efficient markets comes from two sources. First, many people distrust the “invisible hand.” They do not think markets are fair games that reward virtue and promote social welfare. Secondly, there are critics (stockbrokers, talking heads on CNBC, financial journalists) whose livelihood depends on markets being wrong; otherwise their special insight as to why one should be in telecoms, or bonds, would have no value.

Government fails more often than markets do

By definition, an efficient outcome is one that cannot be improved upon. I am no anarcho-capitalist. I think a collective must have rules, even government. Yet I think government power should be minimized, because government failure is far more common than market failure, as the I.Q. of a group is diminished by centralized interaction. Not only do government bureaucrats suffer from the same cognitive and emotional limitations as consumers and investors, they are politically motivated rather than merely self-interested.

Justin, you mention in your post that Robert Shiller noted that housing was on an unprecedented tear in 2004. But Shiller did not predict an aggregate housing decline; instead, he merely stated the recent increase in home prices was unlikely to continue. In the 2005 edition of Irrational Exuberance, he wrote that in some cities “the price increases may start to slow down, and then to fall. At the same time, it is likely the boom will continue for quite a while in other cities.”

Now, compare this modest warning by a lone economist to the forces promoting home lending from all directions. It was not just a Wall Street phenomenon, but one pushed by our government, legislators, regulators, and even academics (for evidence, see Stan Liebowitz’s “Anatomy of a Train Wreck“).

In 2002, President Bush bragged in a speech about how Freddie Mac had began a program to “help deserving families who have bad credit histories to qualify for homeownership loans.” Bank acquisitions were evaluated in part by their Community Reinvestment Act record, which necessitated lowering underwriting criteria on homes. Furthermore, the Federal Housing Administration was, and is, offering loans with only three percent down, and during the boom, the Department of Housing and Urban Development promoted a program where even this minor investment could be paid for by the homebuilder, allowing a homebuyer to purchase an overpriced house with no money down. As the Republicans discovered in 2004 when they tried to add more oversight to Fannie Mae, there was little legislative appetite for anything close to more stringent lending standards during the boom.

The market diagnosed the bubble

In light of this governmental housing exuberance, I doubt that a more powerful government would have mitigated the boom — rather, it would have made this crisis worse. Indeed, it was only the collapse of the subprime market at the beginning of 2007 as reflected by the ABX-HE subprime housing index that alerted people to the severity of this problem, and shut off financing by mid-2007, six months later. Market prices, not legislators, instigated the end of the insanity. How quickly are failed governmental initiatives usually stopped, once identified?

No one thinks markets are perfect, and EMH never says this. The proof that markets are efficient is that it is so improbable one can generate alpha — something you, like most EMH critics, concede. But the implications do not seem obvious. That you were able to find one person in 2004 and turn his measured warning into something that would have drastically reversed the regulatory emphasis on weakening underwriting standards is classic hindsight wisdom.

The nice thing is that markets rely on decentralized self-interest to keep prices in line, which is surely more dependable than legislators building patronage systems and pandering to their base with other people’s money. Letting markets, as opposed to bureaucrats, signal people how to get paid and how to invest, is simply better than the undefined alternative.

Il prezzo della coerenza

Se avessimo conquistato il potere

avremmo fatto impallidire anche Pol Pot

Alberto Franceschini

La storia del comunismo italiano è anche la storia delle Brigate Rosse e la storia delle Brigate Rosse è la storia di un movimento politico-religioso di stampo puritano.

Come nella profezia di Chesterton, dopo aver soppresso il Dio trascendente, l’ uomo si è trasformato da “credente” in ateo “credulone”.

Ripensando al terrorismo oggi ci vengono in mente strani personaggi un po’ comici e fuori dal tempo. Ma allora i “comici” sparavano.

PULP CHAPLIN

Il militante brigatista, come ogni discepolo, veniva sottoposto ad un processo politico-psicologico che spogliava le sue vittime di ogni umanità. Prima di essere ucciso il “nemico” era degradato ad una specie inferiore in grado di suscitare solo sdegno e ribrezzo. Si trasformava nel “porco” (rivendicazione Labate) o nel “lurido porco” (rivendicazione Taliercio).

Il mondo è un “pantano” (Gramsci) immerso nelle “tenebre della schiavitù” (Lenin) e alcuni uomini (i democristiani) ne sono responsabili, ucciderli è un atto di giustizia.

I brigatisti hanno bene o male una storia comune, sono tutti figli dello “gnosticismo rivoluzionario” e della “pedagogia dell’ intolleranza”. Una micidiale pozione messa a punto nei sofisticati laboratori del partito Comunista Italiano.

L’ interpretazione del marxismo come fenomeno religioso è oggi condivisa anche da autorevoli studiosi marxisti (Hobsbawn), in esso palingenetica speranza millenarista e preteso scientismo andavano di pari passo. Fu proprio Frederich Engels a richiamare di continuo le analogie tra prassi religiosa e prassi rivoluzionaria.

La mentalità gnostica presenta alcuni temi ricorrenti: l’ attesa della fine, il catastrofismo, l’ ossessione della purezza. L’ adepto adempie alla sua funzione azionato dal “motore dell’ odio”, un motore che deve essere continuamente lubrificato. Nei testi sacri sventolati nelle piazze sessantottine l’ odio di classe veniva teorizzato come “principio di ogni saggezza”.

Il messianesimo politico deve aleggiare di continuo affinché i doveri siano chiari: radere al suolo tutti gli aspetti della vita presente per edificare la “società degli onesti”. Il brigatista “si sente più pulito” (Minervino) e grida al mondo intero di essere animato da una “purezza assassina e dispotica finalizzata a reprimere gli impuri in nome di una fede incrollable” (Morucci).

La logica brigatista prevedeva la purificazione del mondo mediante lo sterminio del nemico. “Chiedevamo alla politica di essere pura così come Savonarola lo chiedeva alla sua Chiesa” (Morucci).

Il grande ispiratore del comunismo italiano e quindi anche dei brigatisti fu Antonio Gramsci, il suo discorso era intriso fin nelle fondamenta da una concezione gnostica della Storia. Considerandosi depositario di una “conoscenza superiore” si sentiva in dovere di “imporla con ogni mezzo”.

Il catastrofismo è una sua prerogativa, si sentiva vittima di “un mondo malato” dominato da “una terribile e asfissiante realtà borghese” che spinge tutti verso un “marasma omicida”. Solo la rivoluzione comunista farà tabula rasa.

Ma le masse non vedono, hanno bisogno di essere guidate. Una “minoranza illuminata” deve condurre il popolo verso la “redenzione”.

“Redimere” e “purificare”: siamo in presenza di un linguaggio religioso che Gramsci rivendicava con orgoglio. Nel suo periodare fiorisce il lessico misticheggiante e i militanti del partito diventano i “costruttori della Citta dell’ Uomo” che s’ ispira alla “Città di Dio”. La sete di santità e martirio è ovunque.

Gramsci indossa di continuo i panni del moralizzatore che denuncia lusso, ricchezza e profitto. Come ogni sacerdote che si rispetti si rivolge agli “uomini di buona volontà”. Li esorta ad uscire dalle “tenebre borghesi che incombono” facendosi carico delle sorti del mondo.

Gramsci, come i brigatisti, odiava i tiepidi prima ancora che i suoi nemici diretti (guardare alle vittime dei brigatisti è illuminante).

Per la sua concezione integralista della politica era intollerabile non “schierarsi in modo rigorosamente partigiano”.

La mentalità dal codice binario, nonché il sentimento prezzemolino dell’ “odio”, produsse uno slogan politico di grande successo: “odio gli indifferenti”.

“Odio gli indifferenti… e sento di poter essere inesorabile, sento di non dover sprecare la mia pietà… verso chi non parteggia…” (per capire quanto in Italia il passato sia stato elaborato a dovere basterebbe aggiungere che tra la commozione generale queste parole sono state appena riproposte come esempio di virtù civica nientemeno che in quel di San Remo).

Per Gramsci questo mondo è un “pantano lurido e nauseabondo”. Soluzione: distruggere e purificare.

Togliatti, Longo, Berlinguer raccolsero il testimone e, sebbene dovettero frenare il loro impeto causa un contesto internazionale poco favorevole, non esclusero mai una “trasformazione socialista anche violenta in Italia” (Togliatti).

A questo punto la domanda è scomoda ma ineludibile: quali furono le responsabilità del PCI nella genesi delle BR?

La risposta sembra altrettanto ineludibile: il gruppo che fondò le BR pagò il prezzo della coerenza con l’ educazione rivoluzionaria ricevuta nelle sezioni del partito. La responsabilità ci fu e fu una responsabilità pedagogica.

Rossana Rossanda riconobbe per prima il forte legame tra l’ indottrinamento ricevuto nel PCI e l’ ideologia brigatista. Leggendo i documenti prodotti dall’ organizzazione terrorista sembrava di “sfogliare l’ album di famiglia”. Quanti bei ricordi!

Il PCI del dopoguerra si caratterizzò per l’ esaltazione della violenza eversiva.

La violenza era ritenuto uno strumento del tutto legittimo per instaurare il socialismo, anche se ormai il fascismo era stato abbattuto. Nel 48, poco prima delle elezioni, Togliatti chiese lumi a Kostylev (ambasciatore URSS a Roma) circa l’ eventuale insurrezione in caso di sconfitta alle urne. Kostylev chiese a Molotov che chiese a Stalin: “per quanto riguarda l’ insurrezione armata del partito comunista italiano riteniamo che il contesto internazionale non la renda ancora attuabile”. Salvati dal baffone, ma si puo’? E poi ci chiediamo perché il  sentimento patriottico è tanto flebile.

Ci si limitò così a delegittimare i vincitori delle elezioni. La vulgata ufficiale era chiara: ricatti e brogli consentirono a De Gasperi il colpo di stato grazie al quale governava un governo “più illegittimo di quello fascista”. In queste condizioni esisteva chiarissimo un “diritto alla resistenza” (Longo).

Ma il PCI era un partito democratico, penserà l’ ingenuo. Ma ceeeeerto! Cio’ non toglie che “è del tutto superfluo domandarsi se sia lecito o meno ricorrere alla violenza per conquistare il potere perché democratica per definizione è la rivoluzione socialista, qualunque sia il modo in cui la si ottiene” (Togliatti).

C’ è da stupirsi se i migliori allievi di questa scuola (noti anche come “la meglio gioventù”) descrivessero Moro come il “gerarca più autorevole della DC” (primo comunicato dopo il rapimento) e la DC come “immondo partito”.

Nel “pacchetto educativo” del PCI, oltre alla delegittimazione dell’ avversario, ricorrevano le tecniche di “demonizzazione” e l’ esaltazione della violenza. Gli eroi erano Lumumba e Che Guevara (“la loro lotta è inseparabile dalla nostra”).

Nel corso del 68 – si preparavano nuove elezioni - il PCI, lungi dal prendere le distanze dalle frange più radicali ambisce ad organizzarle. Anche gli studenti più facinorosi sono descritti come “vittime dell’ irresponsabilità di governo”. “La loro è la violenza buona, creatrice di ordine e libertà”. Nessuna presa di distanza, dunque: bisogna convincere i terroristi in erba che il PCI è realmente rivoluzionario e non integrato al sistema: “… siamo il partito di Ho Ci Min e di Giap, siamo il partito della rivoluzione” (Occhetto).

Giocando con le parole, una volta evocate le forze dell’ eversione, il PCI non seppe più contenerle e la frittata si abbatté sull’ Italia. Nel 1972, quando ormai le BR erano pienamente operative, Amendola invitò il partito ad un “fermo atteggiamento critico”. Ma ormai si era civettato troppo a lungo e i figli avevano imparato fin troppo bene la lezione dei padri.

***

Il libro di questo storico “giovane promessa” è documentatissimo e mi interessa perché non si tratta solo di “storia”. Molti di quei protagonisti sono in campo ancora oggi, ma soprattutto è in campo una certa eredità culturale mai adeguatamente espulsa.

Non sono tanto ingenuo da credere al “Partito dell’ Odio” vs. il “Partito dell’ Amore” ma credo fermamente in un’ asimmetria dell’ odio  e cerco di spiegarmela.

Dopo questa lettura un paio di buone spiegazione le ho:

1. Chi non mette la politica al primo posto – quasi fosse una religione - difficilmente potrà mai provare un “odio politico” sincero. Fa molto meglio chi già in partenza teorizza la “centralità della politica”.

2. Un conto è chi “odia” improvvisando in seguito ad una stizza estemporanea o sospinto dalla spirale degli insulti reciproci, un altro conto è chi odia coltivando e mettendo a punto con cura il suo sentimento forte dall’ avere alle spalle la migliore tradizione politica in materia. 

Alessandro Orsini – Anatomia delle Brigate Rosse.

 

 

 

Capitale erotico

We present a new theory of erotic capital as a fourth personal asset, an important addition to economic, cultural, and social capital. Erotic capital has six, or possibly seven, distinct elements, one of which has been characterized as ‘emotional labour’. Erotic capital is increasingly important in the sexualized culture of affluent modern societies. Erotic capital is not only a major asset in mating and marriage markets, but can also be important in labour markets, the media, politics, advertising, sports, the arts, and in everyday social interaction. Women generally have more erotic capital than men because they work harder at it. Given the large imbalance between men and women in sexual interest over the life course, women are well placed to exploit their erotic capital. A central feature of patriarchy has been the construction of ‘moral’ ideologies that inhibit women from exploiting their erotic capital to achieve economic and social benefits. Feminist theory has been unable to extricate itself from this patriarchal perspective and reinforces ‘moral’ prohibitions on women's sexual, social, and economic activities and women’s exploitation of their erotic capital

lunedì 6 giugno 2011

“Scommettere” o “comunicare”?

Anche in politica molti ritengono che la “comunicazione” conti.

Dato questo per assodato, come reagisce l’ intellettuale?

Ce ne sono di due tipi.

1. C’ è chi si adopera perché conti meno.

2. C’ è chi si adopera perché conti in favore della propria parte.

Per i primi sarebbe meglio valorizzare la “ragione”. La centralità della comunicazione dovrebbe essere rimpiazzata dalla centralità degli interessi: quando sono in ballo i nostri interessi le “trappole comunicative” s’ inceppano. Parola d’ ordine: più scommesse, meno retorica.

Per i secondi la cornice coincide con il quadro e l’ abbellimento con l’ abito. In poche parole: la “comunicazione è già sostanza”.

sparrows

Voi con chi state?

Moralismo cattivo e moralismo buono

In una serie di vecchi post me la prendevo con il neo-femminismo puritano. Il capo d’ imputazione era forte: “moralismo”.

Dico “forte” perché so che da quelle parti un’ etichetta del genere, che altrove sarebbe un vanto, è mal digerita.

In effetti, essere considerati dei “moralisti” non è molto “cool” al giorno d’ oggi, eppure non voglio dar l’ impressione che sia sempre un atteggiamento condannabile.

Vediamo allora di distinguere il “moralismo cattivo”, imho quello delle neo-femministe, da uno più accettabile se non auspicabile.

[“Moralista” = è colui che non si limita ad osservare una certa regola etica di comportamento ma fa di tutto, o comunque s’ impegna, affinché anche gli altri si uniformino alle sue preferenze]

***

Se la morale non esistesse, esisterebbero solo individui egoisti che perseguono razionalmente il loro bene personale.

Ma attenzione, anche l’ egoista razionale, grazie al miracolo laico dell scambio, puo’ fare del bene: Tizio, infatti, si arricchisce e soddisfa i suoi obiettivi quanto più soddisfa prontamente i bisogni di Caio.

Questo è tanto vero che per alcuni autori è tutto: la morale si produce in modo endogeno, fine del discorso.

Per questi autori non serve un “uomo morale”, figuriamoci se serve un “moralista”.

Ma questa logica incontra ostacoli non da poco che si manifestano nel cosiddetto dilemma del prigioniero:

priso

Provate a leggere che che si tratta, vi accorgerete che in quei casi se mi comporto da egoista non costruirò mai “un mondo migliore”.

Ci sono molti dilemmi che derivano da quello originario. Sono tutti casi in cui la tentazione opportunistica (free riding) compromette il bene comune.

Questa critica non è tanto rivolta agli “egoisti”, in fondo costoro non hanno come obiettivo quello di migliorare il mondo in cui vivono, quanto a chi sostiene che un “mondo egoista” possa essere anche un “mondo migliore” per tutti.

Spesso la politica è chiamata in causa per raddrizzare queste storture, senonché quasi sempre la toppa che mette è peggio del buco.

La cosa migliore sarebbe allora l’ entrata in scena del cosiddetto “Uomo Etico” (UE).

UE segue dei principi etici e a quei principi uniforma con zelo i suoi comportamenti nella speranza di creare il fatidico mondo migliore.

Ebbene, possiamo dire fin da subito che non riuscirà mai a dar corpo alla speranza perché quei suoi principi, qualsiasi essi siano, libereranno interazioni in stile “dilemma del prigioniero”. Situazioni in cui per perseguire gli obiettivi di UE sarebbe meglio non adottare i principi di UE.

James Jean

Ogni etica del “buon senso” (ama i tuoi figli, la tua famiglia, la tua patria…) è soggetta al “dilemma”, esattamente come la razionalità egoista.

Solo chi si pone per obiettivo diretto “la costruzione di un mondo migliore” (conseguenzialismo), evita il “dilemma”. Vivendo in un mondo dove il battito d’ ali di una farfalla scatena gli uragani, giusto uno “gnostico” cova progetti tanto ambiziosi. E i danni dello gnosticismo sono noti.

Oltre a essere proco verosimile, un’ etica conseguenziale ha altri difetti: conduce spesso a conclusioni ripugnanti ed è auto-rimuovente.

Scartata la politica e scartato il “conseguenzialismo”, per fortuna ci sono altri rimedi. Ma per sfortuna dobbiamo constatare che sono tutti rimedi-monchi.

Si può chiedere all’ uomo di coltivare un certo altruismo, ma l’ altruismo crea altro opportunismo. Si possono chiedere “test kantiani” (faccio solo cio’ che sarebbe un bene se facessero tutti), ma il test kantiano spesso è assurdo. Si puo’ invocare la fiducia nel prossimo, ma la fiducia nel prossimo non garantisce una buona uscita dal dilemma.

Alla fin fine il miglior modo per uscire da dilemma è quello di appellarsi ad una sincerità introspettiva.

Da quanto detto comprendiamo quale sia l’ ossatura di un’ etica ben costruita: sani prinicipi + riluttanza all’ opportunismo nei casi evidenti di free riding.

Ma un’ etica aprioristica (fondata sui principi) revisionata in questo modo non puo’ più nemmeno dirsi aprioristica visto che per evitare i comportamenti opportunistici ci tocca calcolare esattamente le conseguenze dei nostri atti.

E’ un ibrido!

Per costruirla gli aprioristi e i conseguenzialisti devono allearsi e rendersi conto che stanno scalando la stessa montagna da versanti diversi.

L’ ossatura della mia etica laica preferita per costruire un “mondo migliore” è all’ incirca questa: rispetto della proprietà + sincerità.

Trasparenza e Proprietà. E’ un’ etica piuttosto borghese, lo ammetto.

Oltretutto la “sincerità” e il culto della “proprietà”, spesso creano danni. Ma non esiste al momento una formula per delimitare la parte benefica!

In genere mi attengo alla mia “etica da un rigo”, a meno che qualcuno mi dimostri in modo evidente che ci sono inconvenienti. Esempio: la bugia pietosa porta benefici evidenti, e io rinuncio al mio “principio di sincerità”. I problemi di "common knowledge" impediscono alla "sincerità" di essere un principio assoluto. Un ubriaco alla guida costituisce un pericolo evidente, e io rinuncio al mio principio di proprietà.

L’ uso dell’ economia mi consente di ridurre al minimo le mie “rinunce” poichè l’ economia rende difficoltoso enucleare “evidenze” contrarie ai miei principi. E quando il calcolo delle “evidenze” si fa confuso ed incerto, l’ appello ai principi diventa decisivo.

Ed ora veniamo ad una conclusione possibile.

Penso che l’ atteggiamento moralistico abbia un qualche senso nel momento in cui crea ostacoli al free rider.

Ecco allora la risposta che cercavamo: il “moralismo buono” consiste nel sanzionare moralmente chi è aggressivo con la proprietà altrui, nonché l’ ipocrisia (insincerità) di chi sfrutta le situazioni stilizzate nel “dilemma del prigioniero”.

Tutto il resto è moralismo cattivo, il moralismo di chi al mercato compra le carote facendo la “predica” a chi preferisce le zucchine.

Derek Parfit – Reasons and Persons

sabato 4 giugno 2011

L’ angelo e la diva

 

Ombra mai fu
di vegetabile,
cara ed amabile,
soave più
 

jackieevancho1(guarda il video)

Sì lo so, un bambino dovrebbe cantare come lui, un vero piccolo lord inglese.

Voce d' angelo, uditorio compunto, location prestigiosa, spartito alla mano, assistenza professionale, pronuncia curata, formazione impeccabile…

Ma a me oggi piace lei!

Americanina dal sangue impuro… tutta pepe e tutta sogni… arrivata fresca fresca da qualche reality dove ha combattuto all’ arma bianca… con le sue mosse da divetta dietro alle quali non riesce a sopprimere un sorriso da bimba e una felicità che sprizza…

Anche se siamo solo nell’ ufficio del babbo.

Classifiche riviste e corrette a tavolino

Per molti, almeno in via teorica, vige una sacra alleanza tra merito e mercato, per altri il divorzio è inevitabile.

In realtà i secondi confondono il concetto di “merito” con quello di “giustizia”.

Errore imperdonabile in un mondo dove l’ esistenza di molte risorse non è associabile ad alcun merito.

Se in una lotteria metto in palio un milione di euro, so già che finiranno nelle tasche di chi non vanta alcun merito nella produzione di quella ricchezza.

Detto questo, chi si occupa di merito è autorizzato a disinteressarsi della faccenda, una tasca vale l’ altra.

Ma chi dorme solo se “giustizia è fatta”, potrebbe pensare che sia auspicabile una distribuzione a pioggia del montepremi, in modo da neutralizzare i capricci della fortuna.

Negli affari umani, neutralizzare l’ influsso della fortuna è esercizio complicato, oserei dire temerario.

Faccio un esempio anche se mi sembra quasi inutile.

Alla fine della stagione calcistica il vincitore del campionato di calcio raccoglierà il frutto sia dei meriti che della fortuna. Per quanto le speculazioni si sprecheranno, non esiste bilancia in grado di discernere con esattezza le due componenti. Se esistesse, isoleremmo i meriti per riassegnare i titoli.

Circa quest’ opera di discernimento, esiste in proposito una legge ben precisa: chi vi si astiene non intaccherà mai i meriti in campo. In caso contrario i rischi di distorcerli irrompono.

Chi si limita al merito, così come chi identifica la giustizia con il merito, ha una scelta obbligata: non ostacolare mai la fortuna.

Il CONI e la Lega Calcio non sono istituzioni che ispirano grande fiducia, ma perlomeno una lezione elementare di buon senso l’ hanno appresa: non ritoccare mai la classifica finale in base a speculazioni elucubrate a tavolino.

E’ una lezione che la politica stenta ad apprendere, forse perché i politici ricavano la loro commissione d’ agenzia proprio sul “ritocco” di cui sopra.

Link che a me sono stati utili: unodue - tre

venerdì 3 giugno 2011

Quanta spesa serve?

20%

Esagerando.

Quanto dista la perfezione?

A un certo punto, dopo pranzo, per ragioni a lui stesso poco chiare, il passeggiatore si alza come fanno i sonnambuli e comincia il suo giro per i marciapiedi della città.

Nel corridoio prende d’ infilata una fuga di stanze, poi una tromba di scale ed è fuori nell’ aria aperta, pronto ad inabissarsi nella sua Anversa, l’ ombrello aperto contro l’ eventuale turbinio dei fiocchi, la lente affumicata a scudarlo contro l’ eventuale l’ impudicizia del raggio meridiano.

Via, via, libero.

Libero dal risucchio della Casa, libero dalla gravità dell’ Ufficio.

Libero di sgabbiare dalla feriale riflessione logica come dal groviglio festivo dei sentimenti domestici. Libero dalle tirannidi in grande stile come dal dispotismo spicciolo.

Il mondo più banale gli viene incontro senza filtri e senza preliminari, le mute stranezze costruite dagli uomini si avvicendano davanti a lui; dominato da un’ insopprimibile coazione all’ordine, comincia ad abbozzare appunti nella testa cercando di domare quell’ anonimo ginepraio attraverso la scrittura mentale.

Riuscirà solo a trasformarlo in un cumulo di dettagli senza sbocco.

Procede frettoloso e leggermente curvo in avanti, i pensieri vengono armoniosi e svagati con la stessa facilità dei passi, fioccano false idee a cui è bello restar fedeli per un attimo, almeno fino alla svolta del semaforo laggiù in fondo.

Se il pensiero è troppo vivo, la bocca biascica qualcosa di simile ad uno scongiuro. Messi in salvo da una sorta di rapimento, la fuggevole e velenosa attenzione altrui non riesce a ferirci.

Sono commenti estemporanei sempre provvisori e sempre più estesi, ogni correzione apporta migliorie anche se non si capisce bene la perfezione quanto disti.

Sale l’ ansia.

Intanto, man mano che procede, la passeggiata scivola nel ricordo, come quelle vite che si pietrificano nella memoria trasformandosi in qualcosa di simile a mischie irrigidite nell’ attimo.

Un Fernet sorbito al bancone suddivide i due grandi silenzi di quel pomeriggio peripatetico.

Al vero passeggiatore le mete si rivelano solo una volta raggiunte: la Stazione, il Palazzo di Giustizia, e infine, fiutando tracce di sofferenza, lo zoo.

Lo zoo: è sempre bello, dopo una giornata trascorsa in perfetta solitudine, farsi sondare dallo sguardo prostrato delle belve che scrutano dalla penombra della loro cattività. Specie da quell’ orsetto lavatore che ci dedica la sua seria espressione mentre non smette di lavare sempre lo stesso pezzo di mela con una dedizione che, superando ogni ragionevole scrupolo, sembra quasi cercare col gesto una formula magica per evadere dalla gabbia.

E’ tempo di rientrare, la piccola parentesi subacquea volge al termine, il congedo a quei marciapiedi è uno strazio giornaliero che si ripete inveterato da anni.

Si rientra nel chiuso accolti dallo sfarfallio azzurrino dei televisori, si rientra sognando uditori immaginari a cui elargire l’ effimero frutto di una fantasia fiorita nei silenzi prima che la fatica della camminata ottundesse tutto.

Ancora poco e incontreremo un’ anima, stando sotto un tetto è più difficile evitarsi. Qualcuno con occhi troppo spalancati, qualcuno più rigido di un cadavere in abiti domenicali ci rivolgerà la parola, e qualunque cosa dirà avremo l’ impressione di dover fronteggiare una violenza verbale sconvolgente.

Cercheremo di sostituire la protezione assicurata in città dall’ anonimia con una nuova barriera costituita da un fare confuso, inaffidabile, da risposte laconiche e monosillabi smozzicati. Speriamo funzioni, speriamo di poter riguadagnare al più presto quella solitudine in cui abbiamo investito tutto.

Sebald è autore che più di altri ci ha spiegato quanto sia impossibile “scrivere” una passeggiata, ma, nel farlo, più di qualsiasi altro autore c’ è andato vicino.

Nessuno è stato tanto eloquente parlando di balbuzie, nessuno ha saputo decorare tanto bene un’ amputazione.

Valio Ska

Una passeggiata, dunque. Compiendola, la creatività scatenata di una mente sensibile ci illude sui nostri talenti di “osservatore”. Una volta al desco i limiti affiorano e il crampo che blocca ogni predestinato non-scrittore (praticamente tutti noi) ci attanaglia fatalmente.

… di quell’ esperienza mi rimanevano nella testa solo abbozzi ormai inutilizzabili e mal fatti… li considerai ugualmente nel tentativo di dare loro indirizzi nuovi affinché prendessero ancora vita davanti ai miei occhi… nulla… la scrittura ora mi atterriva… eppure leggere era sempre stata la mia preoccupazione preferita… amavo starmene in compagnia di un libro fino a sera inoltrata, fino a che non riuscivo a decifrare più una sola parola e i pensieri iniziavano a girare in cerchio… la scrittura, sogno segreto, mi risultava invece di un peso tale che una sola frase era capace di assorbire la giornata prosciugandola di ogni gioia… avevo appena finito di buttar giù una di queste frasi imbastite con tanta fatica che subito si manifestava la penosa erroneità delle mie costruzioni e l’ inadeguatezza delle parole da me impiegate… se nondimeno, per una sorta di autoinganno, riuscivo talvolta a ritenere adempiuto il mio peso giornaliero, la mattina dopo, al primo sguardo gettato sul foglio, vedevo immancabilmente venirmi incontro errori, incongruenze e abbagli della peggior specie… poco o molto che avessi scritto, quando lo leggevo mi pareva sbagliato da cima a fondo… dovevo assolutamente riprendere tutto dall’ inizio… presto mi risultò impossibile azzardare il primo passo… simile ad un funambolo incapace di mettere un piede davanti all’ altro… avvertivo solo ondeggiare la piccola piattaforma sotto di me… i lumini che segnavano l’ inizio e la fine della corda da percorrere erano stati a lungo preziosi riferimenti, ora mi parevano esche maligne messe lì da una mente sofisticata per sviarmi… di quando in quando capitava ancora che un ragionamento si delineasse con perfetta chiarezza nella mia testa, ma, mentre cio’ accadeva, sapevo già che non sarei stato in grado di trattenerlo perché, appena afferravo la matita, le infinite possibilità della lingua, alla quale un tempo potevo abbandonarmi fiducioso, lo riducevano ora ad un’ accozzaglia di frasi insulse… non c’ era locuzione nel testo che non finisse per rivelarsi una penosa stampella, non c’ era parola che non suonasse svuotata e mendace… era come se in me scoppiasse una malattia latente da un pezzo… come se avesse preso piede qualcosa di ottuso e caparbio che, a poco a poco, avrebbe paralizzato tutto… dietro la fronte avvertivo già quell’ infame torpore che prelude al declino della personalità, sentivo di non possedere realmente né memoria né raziocinio… qualcuno me li aveva prestati per un attimo e ora tornava a riprenderseli…

W. G. Sebald - Austerlitz

Fuori dall’ eden

L’ infelicità perfetta?… la battaglia di ogni giorno contro bambini cresciutelli…

La felicità perfetta? Nelle braccia della mamma!

giovedì 2 giugno 2011

W il Re

(2.6.2005)
Che palle questo 2 giugno. Propongo una cinquantina di ragioni per perorare la superiorità dei regimi monarchici. Premetto che Il concetto di repubblica è mutato rispetto al passato, oggi si identifica piuttosto con quello di democrazia. Userò quest' ultimo come termine di paragone.
1) l' orizzonte del monarca è di lungo periodo, quello del politico democratico (se è un tipo razionale) arriva ad una spanna dal naso.
2) il monarca non distruggerà mai la sua "gallina dalle uova d' ora". Il politico democratico razionale è un razziatore e non ha "galline dalle uova d' oro". Il monarca è un locatore, il democratico un locatario: chi tratterà meglio la casa ?
3) tutti i governi tendono ad espandersi ma per alcuni (monarchie) è più costoso.
4) il monarca è giudice e non legislatore, la legge è naturale e quindi certa. Il democratico la inventa ogni giorno arbitrariamente. Speriamo che si svegli con il piede giusto.
5) solo la monarchia prevede una limitazione dei poteri (vedi locke, e altri, sul diritto alla rivoluzione e confronta con la nostra costituzione).
6) la monarchia di solito emerge naturalmente, la democrazia solo grazie a guerre e rivoluzioni.
7) anche le monarchie furono tentate di governare attraverso lo strumento dello stato, per esempio nel periodo dell' assolutismo. Questo è un difetto. Un difetto che è presente in modo consustanziale nelle democrazie.
8) la finanza si sviluppo' molto di più nel XIX secolo che nel XX. Il periodo 1930/1980 fu il periodo più nero per le libertà economiche.
9) le spese militari nella monarchia sono molto più basse che in democrazia.
10) la monarchia attua una redistribuzione dei reddito infinitamente più bassa che non le democrazie.
11) i monarchi non hanno mai esportato la monarchia (non esiste una ideologia monarchica).
12) il monarca riceve fin da subito un istruzione specifica per il suo duro compito. Noi in parlamento ci mandiamo cicciolina (e rosy bindi).
13) il monarca è in condizioni psicologiche migliori per governare: sa che deve dimostrare tutto. Il parlamentare razionale, una volta eletto, ha finito di lavorare.
14) il monarca è immune dall' azione delle lobbies (espressamente dedicato a gianni riccò).
15) il monarca è internazionalista. Tutti i monarchi europei erano parenti. Sono scongiurati i rischi di razzismo e nazionalismo che infatti sono tipici della democrazia.
16) grazie al cosmopolitismo dei monarchi le migrazioni erano pressochè libere.
17) nelle monarchie esiste una coscienza di classe ben precisa (ruler e ruled). La democrazia si fonda invece sull' inganno del popolo sovrano. Non dice che esiste un popolo suddito.
18) oggi (in democrazia) siamo meno liberi: facciamo più scelte liberamente ma facciamo anche molte più scelte in assoluto. A parità di scelte oggi esistono più vincoli.
19) le guerre dei monarchi coinvolgono meno civili.
20) la democrazia introduce la barbarie della coscrizione obbligatoria.
21) la coscrizione obbligatoria richiede indottrinamento e propaganda (mai tante palle come nella I e II guerra mondiale, non c' è da meravigliarsi se non si credette ai campi di concentramento).
22) nella guerra dei democratici è richiesto che il popolo odi il nemico.




























23) in democrazia non alligna la passione per la vita militare ed i suoi nobili ideali.
24) le democrazie in guerra sono irrazionali ( "lepri impazzite"). Il Vietnam è un buon catalogo di errori tipici.
25) la guerra dei monarchi spesso si risolveva in un dispiegamento di forze.
26) le guerre dei monarchi sono pagate sostanzialmente dal re.
27) il re pagava le sue guerre indebitandosi a tassi elevati visto che poteva fallire.
28) la guerra democratica è devastante. La democrazia introduce concetti come "guerra totale", "resa senza condizioni" "dictat" ecc.
29) le democrazie non sanno fare la pace: a Vienna i monarchi trattarono con deferenza i rivoluzionari sconfitti. A Versailles gli sconfitti furono umiliati e proprio lì nacquero potenzialmente le dittature del XX secolo.
30) l' ideologia democratica ha prodotto: fascismo, nazismo, comunismo,socialismo, socialdemocrazia, liberalismo centralista. Non basta ?
31) l' atto di nascita delle democrazie moderne è la rivoluzione francese, praticamente un genocidio franco-francese seguito da guerre imperialiste. Non basta ?
32) de sade è il patrono della democrazia moderna (fondò la section de piques, una sorta di ss della democrazia).
33) per l' elezione di hitler affluenza record del 98%. Chissà ciampi come sarebbe stao contento.
34) il duce fu chiamato benito in onore di benito suarez "uccisore di monarchi".
35) il socialismo è la naturale prosecuzione della democrazia (le ammiraglie sovietiche si chiamavano Marat, Danton...).
36) le democrazie inventano i campi di concentramento (gb nella guerra boera).
37) la democrazia si lega a doppio filo con il nazionalismo (risorgimento, panslavismo).
38) uniformi, militarismo, masse, grandi numeri. Tutto fa democrazia.
39) contro la democrazia: Socrate (condannato per le sue tirate antidemocratiche), Platone, Aristotele (esiliato dalla democrazia), Tommaso (democrazia come il migliore dei governi diabolici), Polibio (la democrazia evolve in tirannia).
40) per Roma abbandonare la monarchia volle dire correre verso l' impero e i tiranni.
41) la dichiarazione d' indipendenza americana non fa cenno alla democrazia considerata come il demonio dai padri fondatori.
42) Alla sua nascita il Parlamento Inglese diede buona prova di se' con riforme efficienti. Ma non tanto perchè decidesse con metodi democratici quanto piuttosto perchè si trattava, di fatto, di un' assemblea di proprietari (i beneficiari delle riforme agricole) che nulla avevano a che spartire con il suffragio universale.
43) l' istituto dell' authority testimonia di come anche in un regime democratico si debba ricorrere all' introduzione di elementi monarchici.
44) oggi è impossibile riproporre le vecchie dinastie. Gli unici possibili sostituti dei monarchi sono i grandi monopolisti che si sono guadagnati onestamente la loro posizione senza aiuti politici. Liberiamoli dall' anti trust e dagli ammazza monarchi di oggi come il patetico Mario Monti.
45) W mia nonna che votando in solitudine per il re ancora oggi in famiglia è biasimata.
46 Dylan Matthews sulla monarchia
  • Le democrazie parlamentari hanno bisogno di un arbitro che decida chi deve formare il governo...
  • In questo ruolo i monarchi lavorano meglio: 1) nn sono a scadenza e nn devono garantire il futuro né a se stessi né ai figli 2) nn sono politici e quindi nn coltivano ideologie...
  • Le recenti performance anti-costituzionali di Giorgio Napolitano sono sotto gli occhi di tutti. Mai sarebbero state tollerate in un monarca. Napolitano è la regola non l'eccezione...
  • I cambi di governo senza elezioni sono più prob. con i Presidenti eletti, i quali sopiscono anche l'interesse x la politica...
  • Sembra strano ma la Monarchia costa meno della Presidenza della Rep. Anche quelle + costose come quella inglese posiedono un brand che compensa i costi.
continua
47)






















Chi cono i più generosi?

Conservatori o progressisti? Americani o europei.

La risposta ovvia è qui documentata.

http://www.american.com/archive/2008/march-april-magazine-contents/a-nation-of-givers

Kalam Cosmological Argument

E’ possibile che nel mondo reale esista una catena infinita di eventi?

La domanda non è peregrina perché il concetto di “catena infinita di eventi” è utilizzato per esempio come alternativa al concetto di Dio nell’ argomento cosmologico.

Dobbiamo a George Cantor quanto sappiamo sugli infiniti.

William Lane Craig ha notato che applicando alcuni teoremi cantoriani alla realtà naturale otteniamo risultati paradossali. Per esempio, procedendo all’ infinito indietro nel tempo costateremmo che gli anni sono più numerosi dei giorni:

  Suppose we imagine the column of past years stretching away from our left eye infinitely far into the distance, and parallel to it, stretching away from our right eye, the column of past days, also receding infinitely far. The two columns should be aligned at the near end, starting at the present, and the members of the two columns should be matched against each other one to one. I can now explain the sense in which the column of past days is not larger than the column of past years: it will not stick out beyond the far end of the other column, since neither column has a far end

Siamo nel cuore del Kalam Cosmological Argument

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mercoledì 1 giugno 2011

Pessimistic bias

La crisi capita a fagiolo per ripetere che:

that last decade was a decade of unprecedented peace and prosperity across the globe

Complimenti a chi è vissuto accorgendosi della realtà.

La ricetta migliore per uscire dalla crisi: tagli alla spesa.

Se ci si divide ancora sul breve termine, sul medio ormai il consenso c’ è.

E adesso… un po’ di musica commerciale

Libertarianism A-Z: pena di morte

Si dice che la pena di morte garantisca deterrenza, ma l’ evidenza è debole.

Si dice anche che assicuri un risparmio di costi. Vero, ma non nella misura che si crede considerando la serie infinita di appelli a cui accede il condannato.

Quanto alle questioi morali (“se lo merita”), ognuno ha i suoi principi.

Senza contare che non uccidere il condannato consente di riparare ai propri errori.

martedì 31 maggio 2011

Nel paese dei muri con le orecchie

Per molti di noi “essere buoni” implica in qualche modo anche il “saper fare di conto”: poiché una buona azione deve produrre buone conseguenze, è necessario saperle prevedere e soppesare, almeno per quanto nelle nostre forze.

Oggi ancora più che un tempo le conseguenze sembrano al centro di ogni ragionamento etico. Pragmatici e utilitaristi danno grande enfasi all’ effetto ultimo di cio’ che si compie.

Possiamo chiamare “conseguenzialista” chi simpatizza con questo approccio.

Si è parlato tanto di “etica della responsabilità” (attenta alle conseguenze) contrapponendola all’ “etica delle intenzioni” (attenta all’ interiorità). Se non ti schieri per la prima vivi nel passato.

Ma c’ è un “ma” e con un esempio cerco di indicare dove si trovi la pietra d’ inciampo di ogni visione “conseguenzialista”.

… L’ albergo dove alloggia Clara prende fuoco e le fiamme divampano in pochi secondi. Lei fa appena in tempo a mettere in salvo suo figlio che giocava nell’ atrio. Ricostruendo a posteriori l’ accaduto ci si accorge che la donna avrebbe potuto salvare i due bimbi tragicamente periti che stazionavano più vicino a lei se non fosse corsa d’ istinto verso suo figlio che in quel momento giocava più distante. Giovanni, un pragmatista, chiamato a giudicare l’ operato di Clara da un punto di vista etico, applicando il suo approccio non puo’ esimersi da una condanna. Non è possibile fare altrimenti visto che, sebbene dirlo non sia facile, due vite pesano più di una. Anche Clara, a sorpresa, si dice una seguace del pragmatismo e capisce che ha agito in modo eticamente scorretto, eppure non si sente colpevole, non riesce a pronunciare una sincera condanna su di sé e sul suo operato in quelmaledetto giorno. In fondo l’ amore che ha coltivato per tutta la vita verso suo figlio aveva anche una funzione “pragmatica” e non poteva certo “liberarsene” in un attimo nel corso di quei terribili secondi…

Tutti comprendiamo lo stato di Clara e riflettendo sul suo dramma scorgiamo qual è il limite delle teorie etiche conseguenzialiste: spesso individuano comportamenti scorretti che poi non riescono a “condannare”. Una grave dissociazione. Clara si è comportata in modo sbagliato ma non è colpevole.

Per riepilogare da un’ angolazione leggermente diversa, secondo il pragmatista “rubare è sbagliato finché procura del male”, ma, affinché la gente si educhi a non rubare, potrebbe essere più efficace farle credere che rubare sia un “male in sé”, senza far intervenire nel ragionamento tanti faticosi distinguo. Un auto-inganno di questo tipo sembra proprio la soluzione più efficace. Ma credere che “rubare sia sbagliato in sé” vuol dire cessare di aderire al pragmatismo.

Insomma, capita spesso che il pragmatismo ci spinga verso teorie etiche diverse dal pragmatismo. Se il pragmatismo viene “professato” cessa di funzionare al meglio.  Una teoria etica del genere si suole etichettare come “auto rimuovente”.

Oltre ad essere auto-rimuovente il conseguenzialismo è probabilmente “esoterico”, ovvero: funziona al meglio solo se  creduto vero e praticate da pochi. Questa élite è tenuta a sussurrare la sua fede in circoli ristretti stando ben attenta al fatto che anche i muri possono ascoltare.

A voce alta, quando sentono popolo e muri, meglio sarebbe emettere un edificante fiotto d’ ipocrisie ben confezionate.

E se si vive davvero nel paese in cui “anche i muri hanno orecchi”, allora possiamo arrivare a dire che il pragmatismo si auto-confuta.

Michael Beitz i muri hanno orecchie  link

Ma è funzionale che una teoria etica sia auto-rimuovente? E’ morale che una teoria etica sia “esoterica” e “ipocrita”?

Ci sono buone ragioni per rispondere di no ad entrambe le questioni. Specie se dobbiamo fornire una risposta che travalichi il circolo esoterico.

Spero di aver seminato qualche dubbio ai pragmatisti che magari saranno indotti a cercare sul mercato dell’ etica qualcosa di più promettente. La merce non manca. 

Derek Parfit – Reasons and Persons

lunedì 30 maggio 2011

Rete a strascico

1. Il segreto? Pratica, pratica, pratica... Sì, ma quando iniziare? Presto… ancora prima… (domanda: ma sono seduti perché non ancora in grado di camminare?)… la marghe è già out…

 

2. Poi, ad una certa età, ecco la regressione… spunta la voglia di tornare nella propria cameretta e strimpellare inascoltati il toy piano della Bontempi…

 

2. E dopo i piccoli che giocano a fare i grandi, dopo i grandi che giocano a fare i piccoli… gli uomini che giocano a fare le donne… When a man sings like a woman...

 

sabato 28 maggio 2011

USA vs. UE

Ross Douthat has just published an excellent column on America at the end of the 2000s, and he cites an essay by our friend and National Review contributing editor Jim Manzi that appears in the latest issue of National Affairs.

Social democracy has its benefits, but global competitiveness isn’t one of them. As Jim Manzi points out, in an essay on “Keeping America’s Edge” in the latest issue of National Affairs, “from 1980 through today, America’s share of global output has been constant at about 21 percent. Europe’s share, meanwhile, has been collapsing in the face of global competition — going from a little less than 40 percent of global production in the 1970s to about 25 percent today.”

A friend objected to this passage, arguing that U.S. population growth over that period accounts for the difference. Population growth does account for some of the difference, but it doesn’t eliminate the growth gap. This is despite the fact that the U.S. economy should have performed less well on this front according to the Solow-Swan model of convergence. For the most advanced and productive economy, further productivity gains are necessarily more “expensive” because they reflect the cost of experimentation designed to push beyond existing best practices. Many of those experiments will fail. This is the essence of entrepreneurship. Other economies can “follow-the-leader” by learning from its mistakes and apply domestic savings to the practices and technologies that emerge from the Darwinian competition that defines a competitive, entrepreneurial economy. 

That is, European productivity growth should have been much higher than U.S. levels, according to the logic of conditional convergence. It was not, however. The real mystery is why Europe has been underperforming. One assumes that labor market rigidities are part of the problem, but there’s room for disagreement. As for the higher productivity per worker hour in France, it is to some extent an artifact of lower rates of labor force participation — if we excluded more young workers, low-skill immigrants, and part-timers from the workforce, we’d presumably have much higher productivity per worker hour. The post-1981 increase in work effort in the U.S. has, as economist Edward Prescott has noted, came primarily from high earners in response to lower marginal tax rates at the top. Before then, Europeans tended to work longer hours than Americans. As Casey Mulligan always says, incentives matter. One thing that saddens me is that this kind of nuanced picture is hard to get across on, say, radio or television. I was just on an excellent public radio program, and one of my fellow guests said that “we tried tax cuts and deregulation and they didn’t work!” How exactly does one respond to this? From my perspective, some tax cuts are good — like tax cuts that aim to increase work effort — and others are bad — like tax cuts that aren’t paid for by spending cuts. And as for deregulation, again: some kinds of deregulation are good, like when it leads to increased competition and lower prices, and others are bad, like “deregulation” that centralizes power in the hands of politically-connected elites.  Liberals often accuse conservatives of peddling “bumper sticker” solutions — simple nostrums like tax cuts as the cure for all that ails us, etc. My sense is that many (not all) liberals have a “bumper sticker” solution as well: “Trust Us.” My sense is that it’s not tax cuts and deregulation that failed in the 2000s. Rather, it was the doctrine of trusting Washington. But this is all very abstract.

La spirale del tempo e i suoi scherzetti

Molte persone mettono la ragione al primo posto. Deve stare lì, al centro della loro vita. Mai acconsentirebbero di bere al calice colmo del cosiddetto “siero dell’ irrazionalità”. Chi vi si presta, infatti, sa che dovrà cedere a condotte irrazionali.

Bene, forse un atteggiamento del genere è proprio quello che dovremmo insegnare ai nostri figli. Perché no?

Solo che dovremmo insegnare loro anche a non identificare “ragione” e “logica”.

Chi compie questa identificazione, infatti, è nei guai per il semplice fatto che “logica” e “vita” sono incompatibili.

Se la ragione si riducesse alla logica, una vita imperniata sulla ragione sarebbe contraddittoria.

E’ il “fattore tempo” che gioca di questi scherzetti: l’ uomo vive immerso nel tempo e il tempo è una spirale che si succhia la logica.

I conti non vi tornano? Illustro questa singolarità con due vividi esempi.

1. Giovanni è un tipo razionale (logico) e trasparente (non riesce a nascondere le sue reali intenzioni). Ora la sua macchina è in panne nel deserto, l’ acqua è finita da un pezzo e se non passa qualcuno al più presto rischia grosso; per fortuna un tale passa di là e Giovanni, fermandolo, gli promette mille euro per uno strappo fino alla città dove abita, lì potrà prelevare la somma del compenso promesso. Ma il tale tira dritto e per Giovanni si mette davvero male. D’ altronde non poteva andare altrimenti: Giovanni, essendo un tipo razionale, non avrebbe mai rispettato la promessa una volta arrivato in città e il tale l’ ha capito subito visto che Giovanni è anche un tipo “trasparente”. Meglio sarebbe stato per Giovanni, prima di contrattare con il suo potenziale “salvatore”, essersi abbeverato al “siero dell’ irrazionalità” (ce l’ ha nel cruscotto"): ma una simile “debolezza” è interdetta dalla regola di vita che si è dato. Ripensiamo ora a questa storia e tiriamo una morale: il comportamento autodistruttivo di Giovanni è imputabile al principio che lui segue: essere sempre razionale, ovvero non bere mai dal “siero”.

 aspiral clocks

(aspiral clocks)

2. Giacomo – noto a tutti per la sua razionalità - è in casa con i suoi due figli e la moglie; fa irruzione un rapinatore e scatta l’ allarme: tra 50 minuti la polizia arriverà, il losco individuo lo sa, ha fretta e formula con chiarezza il suo ricatto: Giovanni deve rivelare la combinazione della cassaforte, in caso contrario verrà ucciso un famigliare ogni cinque minuti. Giovanni riflette: se parlo ci ucciderà tutti comunque perché ho visto la targa della sua auto e lui lo sa, se non parlo ci ucciderà uno alla volta per rendere credibile la minaccia. Sono in un vicolo cieco… aiuto!. In realtà una buona strategia ci sarebbe: bere dal “siero dell’ irrazionalità”; in questo modo sarebbe il rapinatore ad entrare in difficoltà: i ricatti sono efficaci solo se formulati a persone ragionevoli. Inoltre Giacomo potrebbe non rivelare mai la targa del delinquente: farlo sarebbe razionale per chi vuole recuperare la refurtiva – e il rapinatore lo sa. Ma se Giacomo “beve” non potrà più essere considerato razionale e questo rassicurerebbe il rapinatore che non è certo in cerca di aggravanti per il suo crimine; Giacomo avrebbe probabilmente salva la sua vita al prezzo dell’ oro. Purtroppo la strategia vincente, ovvero la strategia più razionale, cozza contro i principi di Giacomo che, essendo una persona razionale, ha giurato di non abbeverarsi mai al siero.  

Queste considerazioni spingono verso un’ idea un po’ diversa di ragione. In particolare ci portano a dire che se l’ intuizione (senso comune) non facesse parte della ragione, la ragione sarebbe in qualche modo auto contraddittoria, il che, a sua volta, non sarebbe accettabile.

Derek Parfit – Reasons and Persons – Oxford press

p.s. ho iniziato a leggere questo libro perché in molti – in troppi per fare orecchie di mercante - dicono essere il più importante libro di filosofia morale scritto ai nostri tempi. Parfit confuta il razionalismo e l’ utilitarismo applicati all’ etica proponendo una specie di apriorismo.

giovedì 26 maggio 2011

Jakson Pollock compreso a quattro anni

Lezioni d’ arte moderna con “effetti collaterali”…

link

Ma allora, l' università italiana è sotto finanziata sì o no?

Roberto Perotti sui costi dell' Università italiana:



... su una cosa studenti, rettori, politici e giornalisti sembrano d' accordo: l' università italiana soffre di una drammatica carenza di risorse... in effetti qualsiasi indicatore di spesa per studente sembra confermarlo, inclusi i dati OCSE... ma un' investigazione più approfondita rivela che per tutti i paesi eccetto l' Italia queste cifre si riferiscono alla spesa per studente "equivalente a tempo pieno"... cioè: tenendo conto degli studenti frequentanti... uno studente che in un anno fa solo metà degli esami riceve un peso di 0.5 e così via... uno studente che non frequenta e non dà esami non sottrae tempo ai docenti e non impone costi all' ateneo... se un ateneo spende 10 euro ed ha due studenti, di cui uno non frequenta, tutta la spesa è di fatto diretta verso un unico studente... per mancanza di informazioni, tuttavia, il dato italiano riguarda la "spesa per studente iscritto"... la differenza è rilevante perchè è ben noto che in Italia i fuori corso abbondano... facendo le dovute conversioni la spesa italiana per studente ci colloca tra i paesi più generosi... Un metodo alternativo ma molto simile consiste nel calcolare, anzichè la spesa annuale per studente, la spesa complessiva per gli studi universitari dello studente medio... anche in questo caso risulta che l' Italia spenda più della media OCSE e comunque più di molti paesi con con cui è plausibile un paragone...

E ancora sulla qualità della ricerca in Italia: 



... c' è un' idea diffusa che nonostante la cronica mancanza di risorse l' Italia abbia una ricerca all' avanguardia... ma in genere si menzionano i buoni piazzamenti di una singola Università italiana senza tenere conto della sua enorme dimensione rispetto agli standard internazionali, oppure si trascura la qualità a vantaggio della quantità... aggiustando le classifiche anche solo per uno dei due fattori (dimensione/qualità) la posizione delle Università Italiane crolla...

Roberto Perotti – L’ università truccata

Recentemente Giuseppe De Nicolao ha criticato le posizioni di Perotti.

Dall' articolo le sue critiche erano incomprensibili, qui ho reperito una sintesi più compiuta del suo pensiero.

A me De Nicolao non convince: sui finanziamenti sembra contestare la mossa del Perotti dicendo che lo studioso, con la sua nozione di "spesa equivalente per studente", corregge i dati OCSE "solo per l' Italia".

Senonché, lo stesso Perotti spiegava che questa mossa si rendeva necessaria poiché l' Italia, e solo l' Italia, presentava all' istituto un dato disomogeneo.

Quando finalmente entrambi gli studiosi prendono in esame un dato comune (spesa complessiva per formazione terziaria dello studente medio), Perotti commenta asciutto che "la spesa resta più elevata della media OCSE", De Nicolao che "non sembra comunque un costo ai vertici mondiali". Mah, di sicuro ora è un po' più difficile parlare di "cronico sotto-finanziamento".

Passando alla delibazione qualitativa della ricerca italiana, De Nicolao non sembra convinto della misura (Fattore d' impatto standardizzato) utilizzata da Perotti e che consente, tenendo conto delle enormi dimensioni di taluni istituti, di collocare le università italiane in fondo alla classifica.

Detto questo, introduce delle condizioni restrittive sintetizzate in un "criterio di ammissibilità" con il quale, secondo me, si fa rientrare la quantità dalla finestra proprio quando lo scopo è quello di cacciarla dalla porta sterilizzandola. Tralasciare le bad performances di un ricercatore non sembra certo una grande idea, anche se fa comodo.

Un criterio restrittivo un po' troppo restrittivo per non pensarlo come "tortura" su dati restii a confessare quello che vorremmo sentirci dire.

Anche la riluttanza del De Nicolao a "pesare" la popolazione dei vari paesi confrontanti è quantomeno sospetta, chi negherebbe che la cosa conta? L' Argentina ha sempre avuto una nazionale di calcio più forte del Paraguay, e questo a parità di talenti; il motivo è semplice: pescare in un bacino più ampio di potenziali calciatori è un privilegio non da poco.

Diciamo poi una cosa: queste ricerche si compiono su un terreno sdrucciolevole visto che che le conducono dei professori/riceratori che, necessariamente, presentano forti conflitti d' interesse. E allora, un altro punto a favore del Perotti.

Che poi nella ricerca italiana manchino i capitali privati questo è un fatto. Solo che è un' aggravante qualora si consideri che una buona dose della colpa è anche dell' organizzazione che non riesce ad attrarli, nonché di una cultura diffidente che quando il "privato" si avvicina non sa far altro che lanciare l' allarme generale seguito dal lamento generale seguito dallo sciopero generale.

mercoledì 25 maggio 2011

Non proprio un fenicottero

Chi è la persona più disgustosa del pianeta?

Diviiiine… rispondono in coro i fan.

In effetti il programma politico dell’ obeso travestito promette bene: condonare tutti gli omicidi di primo grado, uccidere chi vi si oppone, perorare la causa del cannibalismo, decretare l’ incesto obbligatorio e mangiare merda.

Le premesse ci sono: il disgusto è la sua politica, il disgusto la sua vita.

Ma ora il primato della divina vacilla, i coniugi Marble vogliono soffiarle la palma cercando di realizzare un progetto semplice quanto ripugnante: rapire delle autostoppiste hippies, farle stuprare dal loro servo sifilitico, confinarle in cantina e vendere i bambini a coppie lesbiche. E la cosa sembra funzionare, già diversi adorabili paffutelli sono finiti in mani poco raccomandabili venduti a caro prezzo: il crimine si autofinanzia. [… successivamente sarà la nostra eroina a liberare le autostoppiste che furiose come baccanti evireranno il servo…]

Il guanto di sfida è lanciato sotto forma di “stronzo umano”: è infatti il regalino che la coppia recapita via posta alla drag queen in occasione del suo compleanno.

Offesa mortale.

La competizione (gli americani ce la mettono ovunque) puo’ partire. La stampa scandalistica è mobilitata per questo incontro al vertice.

Seguendo Divine partiamo anche noi per un viaggio alla scoperta della “demenza”.

fenicotteri

La demenza è come una coltellata: il fendente doveva colpire di taglio e invece colpisce di piatto. Doveva uccidere e invece si limita ad ammaccarci facendoci ritrarre inorriditi.

Ci si offre lo spettacolo di un progetto criminale fallito. Il fallimento deve essere ridicolo almeno quanto il progetto turpe. Una forma del ridicolo che non possiamo scrollarci di dosso con una risata, qualcosa che ci resta addosso come una zecca infastidendoci per il resto della giornata.

L’ aurea del “fallimento” avvolge le gesta degli eroi dementi; si accontentano di qualcosa che a noi sfugge, o che per lo meno ci sembra poco: con loro sulla scena tutto si fa sciatto, fuori fuoco… la trama sfilacciata, la bella musica sprecata per commentare immagini statiche (titoli di testa), la sceneggiatura scadente, la recitazione dilettantesca (si strabuzzano gli occhi manco fosse un film muto, vedi la scena del “culo parlante”). L’ imperizia e la trascuratezza (Massey si presenta senza parrucca) sono i dioscuri che vegliano sull’ opera mal concepita e realizzata frettolosamente.

E’ una violenza superficiale, mira al vomito, non alle turbe.

Ad intristire chi viene a contatto con il demenziale non è il livello delle bassezze raggiunte, bensì lo spettacolo di tanta energia dissipata.

Lo spreco del fuori-misura, del mal calibrato ci fa stringere il cuore.

Quel turbamento profondo che gli aggressori non sono riusciti a darci, ci raggiunge osservando questa entropia. L’ esagerazione diventa l’ unico metro, nell’ esagerazione il genio prima si diluisce e poi scompare. Tutto è occultato dall’ orrido corpaccione della protagonista.

Lot-19---Jean-Dubuffet

Il film è zeppo di battute che non fanno avanzare la storia, uno strano miscuglio tra Beckett e pornografia. Sketch improvvisati lì per lì minano la compattezza e rendono la vicenda sempre più sincopata e contorta. Non sappiamo decidere se Divine assomiglia più a Sbirulino o a Manson.

E non cascateci se qualcuno al Manifesto vi vende tutto cio’ facendolo passare per un attacco al mondo borghese. Quasi che Divine fosse un “divin marchese” De Sade che con le sue orge iper programmate preannuncia l’ avvento di una nuova ragione.

Il “mondo borghese” in realtà gongola se in scena si esibisce l’ assoluta cecità delle alternative.

A scandalizzarsi, più che il borghese, è l’ animalista che vede sopprimere un pollo in scena nel corso di un animato rapporto sessuale in cui è coinvolto con due umani (Waters si giustificherà: lo abbiamo mangiato la sera stessa con la troupe). E’ il militante anti-omofobia che vede l’ adozione lesbica trattata, in termini di disgusto, al pari dello stupro.

***

Divine è una farfallina colorata (l’ ombretto fuori misura a far da ala): come le farfalle ama posarsi vanitosamente sul letame per far spiccare i suoi colori, come le farfalle conduce una vita che puo’ essere condotta solo per un giorno.

Solo chi desidera vivere un giorno è pregato di seguirla.

L’ allegra “trasvalutazione di tutti i valori” di cui si fa artefice non risparmia nulla puntando diretta al grado zero dell’ anarchia. E’ pantagruelica, coprolalica, non ha niente di metodico, niente di destinato a stare in piedi.

Eppure sentiamo che si difende e combatte contro il cattivo delle fiabe. In questo panorama appiattente, come fanno ad esserci ancora dei cattivi cattivissimi come i Marble?

Di primo acchito direi che la loro disgustosa azione è dettata dall’ invidia e dalla voglia di prevalere, non dalla gioia del repellente in sé per sé.

Ma anche Divine è invidiosa. E allora?

Solo una fede acritica ci leva dalle ambasce, e Divine punta senza mezzi termini su quello parlando chiaramente in conferenza stampa: “io sono Dio e il suo profeta contemporaneamente”. All’ orda è sufficiente, chi contrasta il dio si trasforma nel male, per definizione.

La sfida con i Marble – naturalmente - sarà vinta dall’ eroina: dopo un processo farsa sparerà a bruciapelo in testa alla coppia eseguendo la condanna fra crasse risate e sotto un’ eccitante pioggia di sangue. Seguirà conferenza stampa; poi festa con tutti i fricchettoni dei dintorni. Il chiasso farà intervenire una volante affinché si abbassino i toni, ma l’ equipaggio sarà colpito, ucciso e mangiato crudo. Al capo tribù Divine l’ onore di succhiare le pupille del sergente. Poi, dopo aver ammortizzato i capricci del figlio con una fellatio, Divine suggella la giornata con l’ impresa passata alla storia del cinema: trattenendo i conati ingurgiterà gli escrementi appena prodotti da un barboncino (tutto vero!).

Bene, adesso direi che ne sapete abbastanza per decidere se lanciare il video. 

 

John Waters – Pink Flamingos

martedì 24 maggio 2011

Una risonanza non si nega a nessuno.

Mi sono occupato di una paziente di 23 anni che aveva sofferto per lunghi mesi di dolori alla schiena prima che un neurologo le prescrivesse una risonanza magnetica, aspettandosi un' ernia al disco. Ho trovato invece un cancro alle ovaie espanso fino alla spina dorsale... La paziente, sottoposta ad un impegnativo intervento chirurgico e ad una massiccia chemioterapia, è stata curata dalla provvidenza...

Dr. Mark Siegel
Per capire cosa sia la Sanità oggi bisogna innanzitutto ficcarsi in testa questo concetto: praticamente tutti gli esami medici esistenti potrebbero essere in qualche modo decisivi per curarvi, anche se quasi sicuramente saranno inutili. Lo stesso dicasi per la consultazione degli specialisti.

Aggiungo solo che sia gli esami che i servizi resi dallo specialista hanno costi elevati… di più!

Tutto cio' è un portato dell' abbondanza: ieri non esistevano queste possibilità e non esistevano quindi nemmeno tutti i problemi connessi all' abbondanza.

Una volta il mondo era più semplice: per le infezioni c' erano gli antibiotici, per le malattie più gravi le vaccinazioni. Il resto non era granché e si poteva anche crepare in pace.

Visto come stanno le cose, la cura si trasforma puntualmente in un inferno per il budget di chi si affida al principio di precauzione, e in campo sanitario il bias della precauzione è diffusissimo. Se poi, come dice Hanson, la spesa sanitaria è diventata essenzialmente "segnale del prendersi cura”, il baratro finanziario è dietro l’ angolo!

Fare o non fare un esame?
La razionalità imporrebbe calcoli astrusi e innaturali (alberi di probabilità, indicizzazioni, formule di bayes…). Meglio allora lasciarla perdere ed affidarsi al principio di precauzione. Così ragionano un po’ tutti in questo ambito.

Se nel 2011 dite ad un medico: "questo è il tuo paziente, sta male, esegui la diagnosi e la terapia che ritieni più opportune", lui sarà facilmente in grado di giustificare la spesa di un’ autentica fortuna, e lo farà senza indugio, specie se lo minacciate con possibili denunce qualora fallisca nell' intento.

L' abbondanza ci ha messo in crisi, siamo all' angolo.

Tutto sommato l' Europa riesce ancora a porre un freno a questa deriva poiché l' accesso alle cure e agli esami non è libero ma razionato tramite l' intermediazione del medico. Un noto primario ebbe a dire in un' eloquente intervista: "il governo ci dica qual è il budget e noi medici ci adegueremo". Parole sante che spiegano bene come funziona da noi. Il medico è un sacerdote intermediario riconosciuto dal Potere che somministra la “credenza” e controlla il popolo dei malati.

Anche i "segnalatori" più indefessi si tranquillizzano se il loro "medico di fiducia" non ordina certi esami.
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Ma gli USA, essendo un paese libero, hanno un accesso libero alle cure: paga l' assicurazione.

E si capisce allora come la spesa sanitaria sia esplosa: quando tizio si ammala si presenta dal medico e chiede di essere curato, poiché il conto verrà saldato dall' assicurazione, il medico si sbizzarrisce, le uniche statistiche che avrà in testa sono quelle relative alle denunce di malpractice.

Cresce la spesa, cresce il costo dell' assicurazione, crescono i non assicurati.

D' altra parte, che gli americani godano di maggiori cure mediche non è poi così evidente. Al margine il miglioramento in termini di salute (e minor sofferenza) è minimo. Gran parte della spesa serve a “segnalare il prendersi cura”. Il colpo di grazia, poi, lo dà uno stile di vita insalubre. L’ osservatore dei dati resta confuso e pensa ad una cattiva organizzazione del sistema, non parliamo poi dell’ osservatore “ideologizzato”.
Eppure, la maggiore quantità e qualità dell' offerta sanitaria d' oltreoceano sembra un dato ormai acclarato.

Per carità, una domanda così forte di "salute" ha anche aspetti positivi: gran parte dell' innovazione nel settore si finanzia ormai quasi esclusivamente su quel libero mercato, l' unico nel mondo che tiri veramente. Noi europei in questo siamo free rider che campano da decenni importando i frutti del dinamismo yankee in campo sanitario.

Al mercato non si puo' rinunciare, pena l' immobilismo.

Come rimediare?

Fare in modo che il malato paghi anche di tasca sua: alzare la franchigia assicurativa lasciando che le compagnie si occupino solo di eventi catastrofici (sopra i 30.000 euro?). Insomma, trasformare la "copertura dei costi sanitari" - ora incentivata in vari modi - in una vera "assicurazione sanitaria".
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Ottima lettura il libro scritto sul tema da Arnold Kling: crisi d' abbondanza. Fa il punto con chiarezza su cos’ è e come funziona la sanità oggi nel mondo. Per chi invece vuole trepidare ed indignarsi anziché capire, non resta che stare al palo dell’ aneddotica scandalista in stile Gabanelli/Lucarelli. Con tutti i fari puntati sulla scena del delitto.

lunedì 23 maggio 2011

Libertarianism A-Z: democrazia

Molti antepongono il valore della democrazia a quello del capitalismo pensando che la vera origine della nostra ricchezza sia lì: sbagliato, la relazione andrebbe capovolta.

E per capirlo basterebbe porre mente alle molte politiche sbagliate implementate dalle democrazie. Per politiche sbagliate intendo le politiche che impoveriscono la comunità colpendo proprietà privata e rule of law: protezionismo, industria di stato, politicizzazione dei sindacati, iper-regolamentazione…

L’ accumulazione di ricchezza privata e un solido ceto medio è il miglior baluardo contro forme oppressive di governo. Conosciamo troppi paesi che nessuno considererebbe liberi dove si vota regolarmente.

L’ invenzione dell’ odio e dell’ amore

I normali problemi che presenta a tutti la vita dell’ uomo medio sembra fossero insormontabili per Henry Treadwell, cosicché decise di cercarne di più difficili conducendo una vita estrema, da super eroe.

E’ un tipico modo per mascherare la propria inettitudine: si alza l’ asticella per fallire gloriosamente quando si presente un fallimento con ignominia.

Le sue vacanze erano al contempo noiose ed eccitanti: noiose perché sempre nello stesso posto, eccitanti perché questo posto erano le penisole dell’ Alaska, paradiso del feroce orso Grizzly.

Il regolamento parla chiaro: distanza di minimo 100 metri dalle terrificanti creature. Henry Treadwell, telecamerina in spalla, invece sgrullava loro il capoccione. Ci si sedeva sopra quasi fossero poltrone. Faceva così il fuorilegge e ne andava fiero.

GREAZZLY  BEAR BEAN BAG

Le fidanzate lo mollavano puntualmente, se per eccesso di eccitazione o per eccesso di noia non lo so.

Treadwell si sentiva chiamato a salvare questi bestioni dalle minacce incombenti. Il suo era un trasporto mistico, si sentiva “chiamato” a farlo, una voce aveva detto: “tocca a te!”, si sentiva in missione per conto di Dio e pronto a sacrificare tutto.

Senonché non incombeva proprio nessuna minaccia: gli orsi proliferavano iper protetti in una riserva naturalistica.

Cio’ non diminuiva la sua dedizione, anzi, questi intoppi di logica elementare rinfocolavano la fantasia favorendo i voli pindarici. Ora si vedeva come un samurai intento a resistere, e dovendo inventarsi un nemico esagerò: l’ Uomo. Sì, l’ uomo, l’ emancipazione dall’ umanità intera divenne la sua meta. La “civiltà” andava combattuta a partire da quei figli di puttana dei guardia-parco.

Fece una fine tragica: il pilota dell’ aereo che doveva recuperarlo al termine della tredicesima estate non sentì i consueti schiamazzi dell’ istrione. Trovò invece un Grizzly che rovistava in una gabbia toracica umana. La testa, con un sorrisino sulle labbra, era in cima alla collina, il braccio con l’ orologio funzionante sul sentiero, i vestiti e il resto delle membra nello stomaco dell’ esemplare che venne successivamente abbattuto e squartato.

Il martirio da sempre cercato si era compiuto: mangiato dagli orsi. Finalmente con loro, per sempre. Già in passato lo si era sentito affermare che “solo con la morte avrebbe potuto cambiare le cose”.

Come ogni mistico, Henry non si limitava ad “amare” gli orsi, voleva entrare in comunione con loro, voleva essere uno di loro. Era una sua fissa e lo ripeteva sempre.

Come ogni mistico, Treadwell aveva un’ inclinazione caotica, le fidanzate al suo fianco servivano ad “ordinare” le sue euforie.

Amy fu l’ ultima, morì con lui, la possiamo sentire nell’ audio della tragedia (la telecamera ha il tappo): Henry, già mezzo mangiato, le dice di andarsene e mettersi in salvo, lei invece si attarda fatalmente con inutili padellate sulla testa del mostro.

I suoi amici – invasati quanto lui – dicono che l’ orso che gli fece la pelle era un infame che a lui neanche piaceva.

Ma le parole più convincenti le ho sentite pronunciare dagli abitanti del villaggio alaskano più prossimo ai recessi frequentati da Treatwell. Parlo del “baffo” e del reggente il museo, entrambi esprimono lo stesso concetto con sfumature un po’ diverse.

Il primo, con la schiettezza del cowboy artico, ci dice che il biondino trattava gli orsi come fossero gente con un costume da orso. Ha resistito tanto a lungo perché gli orsi lo credevano un ritardato mentale e per un po’ hanno gradito il chiassoso spettacolino. Poi qualcuno si era stufato e l’ aveva sventrato con l’ artiglio del mignolo.

Il secondo è un eschimese scienziato ed esprime l’ opinione della comunità indigena: l’ invadenza di Treadwell non era “rispetto” verso l’ animale, tutt’ altro; lui era animato da buone intenzioni ma ha recato solo danno alla fauna selvaggia che tanto amava; da 7.000 anni noi osserviamo un confine invisibile che ci separa dagli orsi. Treadwell non l’ ha fatto e queste cose hanno un prezzo.

Non c’ è solo clownerie in questa storia. Anche molta poesia, le immagini con la volpe Spirit, per esempio. Ma c’ è soprattutto la vicenda personale di HT: gli orsi lo salvarono dall’ alcolismo motivandolo e HT, sentendo che doveva loro la vita, voleva dirlo al mondo riconsegnandola platealmente ai legittimi proprietari. Ci mise 13 anni ma alla fine ci riuscì.

Ora, io mi domando e chiedo: poteva mai una simile tempra di santo, mistico, buffone non attrarre l’ interesse di Werner Herzog?

No, infatti questo è il tributo che gli reca riutilizzando le 100 ore di filmati che HT aveva girato in una delle più profonde solitudini mai viste.

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domenica 22 maggio 2011

Libertarianism A-Z: laicità

Un Governo laico non deve schierarsi “contro” l religioni, deve essere “neutrale” evitando di concedere privilegi.

Ma deve essere anche ben conscio che non esiste il mito della neutralità se non in forma di ulteriore religione.

Non ha senso, per esempio, richiedere una divisa al cittadino conforme alla neutralità: significherebbe propagandare una religione (laicismo) offrendo ad essa dei privilegi ingiusti.

L’ unica forma di neutralismo accettabile è il non-intervento.

Non trovate tutto cio’ molto semplice?

Di sicuro più semplice rispetto all’ ambigua formula “libera Chiesa in libero Stato”.

sabato 21 maggio 2011

Libertarianism A-Z: riciclaggio

Il riciclaggio della spazzatura passa per essere la panacea di tutti i mali. Le cose non stanno esattamente così, basta ricordare alcuni punti.

1. La tecnologia per rendere sicura una discarica è disponibile da anni.

2. Il posto per le discariche è disponibile con abbondanza e il sistema delle aste rende eque le procedure di allocazione.

3. Il riciclaggio per l’ uso che fa di sostanze chimiche non è certo a impatto zero. Non parliamo della flotta di camion che invadono le città nottetempo.

4. Il riciclaggio ha altissimi costi occulti: quelli dei privati cittadini (medici, ingegneri, professori) assunti loro malgrado come spazzini.

5. Per controllare il consumo delle risorse esistono i prezzi che funzionano molto meglio che non il “paternalismo riciclone”.