mercoledì 17 febbraio 2010

La domanda di Nozick

A volte si identifica la Schiavitù con un certo genere di indigenza non meglio precisato.

Ovvero: quel "genere di indigenza" non costituirebbe un effetto probabile dell' essere schiavi, bensì la natura stessa di quella condizione.

Se fosse così per essere schiavi basterebbe essere affetti da quel particolare tipo di miseria materiale. Forse non necessiterebbe neanche più che esista un "padrone".

Peccato che percorrendo quella via s' incorra in continui paradossi che rendono la condizione di "schiavo" appetibile rispetto, per esempio, a quella di chi versa in condizioni ancora peggiori.

Per metterci una pezza potremmo dire che la miseria dello schiavo non ha eguali. Che è il più basso tra i gironi infernali. Ma ecco che subito nuovi inconvenienti ci incalzano.

Se fosse così infatti, parlando degli Stati Uniti pre guerra di secessione, dovremmo considerare schiavi parecchi bianchi "liberi" del nord e considerare uomini liberi parecchi neri "schiavi" del sud. Sappiamo bene infatti come il tenore di vita di questi ultimi fosse più alto.

A questo punto che fare? Così non si puo' andare avanti.

Probabilmente il difetto sta nel manico, il fioccare dei paradossi indica solo l' inadeguatezza della definizione implicitamente adottata.

Ma perchè nonostante i continui "segnali" molti insistono nel percorrere quello che sembra essere decisamente un vicolo cieco? Perchè non si rassegnano al semplice fatto che la schiavitù, per sua natura, non puo' emergere da un accordo?

Probabilmente perchè cambiare significa fare i conti con cio' che è noto come la "domanda di Nozick".

Ecco la storiella da cui origina la domanda, la divido in nove punti.

(1) C’è uno schiavo, completamente alla mercé dei voleri del suo padrone. Viene spesso maltrattato, fatto lavorare agli orari più improbabile, malnutrito.

(2) Il padrone diventa un po’ più gentile e picchia lo schiavo soltanto quando non rispetta ripetutamente le sue istruzioni. Comincia a concedergli un po’ di tempo libero.

(3) Il padrone comincia ad avere non uno ma un gruppo di schiavi, e comincia a dividere un minimo di cose fra di loro, tenendo conto dei loro bisogni e prendendo atto dei loro meriti e della loro fatica.

(4) Il padrone consente ai suoi schiavi di lavorare quattro giorni per sé, e chiede loro di faticare sui suoi possedimenti solo per tre giorni a settimana. Il resto del tempo è tutto loro.

(5) Il padrone concede ai suoi schiavi di lasciare la sua casa e di andare a lavorare dove desiderino, per ottenere un salario. Chiede loro soltanto che gli rendano 3/7 dei loro guadagni. Mantiene inoltre il potere di richiamarli alla piantagione per delle emergenze, di proibire loro attività che possano mettere in pericolo il suo ritorno finanziario sul capitale investito (non possono fare fumare, consumare droghe, bere stando alla guida, andare in moto senza casco), e di aumentare o diminuire la quota di reddito che gli preleva.

(6) Il padrone consente a 10.000 suoi schiavi, cioè tutti eccetto te, di votare, e loro possono decidere assieme qual è la porzione di reddito (loro e tuo) alla quale rinunciare, e che uso ne viene fatto.

(7) Nonostante tu non abbia ancora il diritto di voto, hai il diritto di discutere con gli altri 10.000, per persuaderli circa l’uso migliore che sia possibile fare delle risorse "comuni".

(8) Avendo apprezzato il tuo utile contributo, i 10.000 ti consentono di votare quando vi sia un pareggio nelle votazione.

(9) I 10.000 accettano che tu voti con loro. Quando vi sarà una situazione di parità fra gli altri votanti, il tuo voto sarà decisivo. Altrimenti, no.

Ed ecco la domanda: quando nelle nove scene, questa ha smesso di essere la storia di uno schiavo?

Forse mai, forse è solo una storia di "padroni benevoli", forse è una parafrasi dello Zio Tom... ma solo chi è disposto a pensarlo è sulla buona strada per aggirare le incongruenze che ci incagliavano in partenza. Gli altri, coloro che non "osano" pensare ad una simile risposta, ci restano invischiati senza speranza.