martedì 30 dicembre 2014

Violento/a

Gli antropologi ci spiegano che la violenza è sempre stata un buon metodo per risolvere i conflitti. Di sicuro il più popolare.
I violenti sopravvivevano, i pacifici soccombevano.
Presso le tribù amazzoniche che vivono oggi sul pianeta in condizioni simili ai nostri antenati, nel tempo libero non si fa altro che parlare e vantarsi di quanti nemici sono stati stroncati con la forza. Si è praticamente incapaci di pensare se non in termini di "guerra al nemico".
Sarà per questo che ancora oggi - dove la violenza si esprime in modo più obliquo - sia l' uomo che la donna conservino istinti belluini.
Ci si chiede solo dove allignino meglio, c' è chi opta per l' uomo e chi invece, salomonicamente, li vede equi-distribuiti.
Penso di appartenere al primo gruppo e cerco di illustrare le mie ragioni partendo da una considerazione presa a prestito dalla psicologia evolutiva:
  1. la violenza dell' uomo è maggiormente proiettata nell' ambito sociale;
  2. la violenza della donna è maggiormente proiettata nell' ambito personale.
Viviamo tempi in cui si denuncia la "violenza in famiglia" e questo ci fa dimenticare l' ovvio: i nostri nemici stanno soprattutto fuori dalla famiglia.
Ora, poiché i nemici per lo più stanno "là fuori", è normale che il maschio, per quanto detto prima, sia più pronto a ricorrere all' aggressione e a sviluppare nel tempo un istinto aggressivo.
Millenni di guerre e conflitti tribali - per lo più ingaggiati dagli uomini - non passano senza lasciare traccia.
Vengo all' ovvia obiezione: e tutti gli episodi di cronaca in cui "lui" strapazza "lei" all' interno di una relazione di coppia?
Sembrerebbe che la violenza dell' uomo sia preponderante anche nella dimensione più intima.
L' osservazione è imbarazzante, la mia impalcatura è in pericolo.
Vedo solo questa doppia "contromossa" difensiva: non è sempre facile distinguere tra dimensione personale e dimensione sociale. Non è nemmeno sempre facile distinguere tra violenza e violenza.
violence
Distinguere tra pubblico e privato
Faccio un esempio.
Non penso che la disistima del partner sia un vulnus insopportabile per l' uomo, almeno finché questo sentimento non assurga ad una dimensione pubblica, finché cioè non viene in qualche modo ufficializzato e reso noto a tutti, magari attraverso la minaccia di un abbandono, mossa non più occultabile e destinata inevitabilmente a condizionare il giudizio sociale sul soggetto in questione.
A questo punto "lui" reagisce, ma reagisce proprio perché si abbandona la dimensione intima per entrare in una dimensione pubblica che pregiudica il suo status.
In caso contrario, quando la disistima è circoscritta nella sfera privata, quando i panni sporchi saranno lavati in famiglia, lui troverà modo di compensare questa mancanza, per esempio grazie agli amici, o grazie all' amante, oppure anche grazie a un hobby o a qualsiasi interesse da coltivare a latere.
Al contrario, la donna è meno interessata alla sfera pubblica, lei soffre l' ostilità del partner a prescindere e questo puo' solleticare la sua aggressività indipendentemente dalla minaccia di essere lasciata.
Distinguere tra violenza e violenza
C' è poi un' altra considerazione da fare, parto dall' aspetto più generale: noi oggi non siamo meno violenti dei nostri predecessori o dei nostri fratelli dell’ Amazzonia, siamo al limite più temprati dall' esperienza, sappiamo evitare i conflitti inutili anche se la nostra aggressività è tutt'altro che sopita, e lo vediamo bene quando ci viene offerta l' opportunità di assalire un imbelle senza conseguenze per la nostra persona. Pochi si tirano indietro.
Insomma, il violento s' impratichisce e diventa più raffinato ma non si libera del suo istinto. Sarà un paradosso ma in certi ambiti la "brutalità" segnala una scarsa abitudine alla pratica violenta, almeno dal punto di vista evolutivo.
Ora, siccome la donna pratica da sempre la violenza nell' ambito delle relazioni personali, possiede oggi in questo ambito un grado di raffinatezza che l' uomo non ha e spesso capisce meglio dell' uomo quanto la violenza bruta sia controproducente per ottimizzare la sua condizione, meglio dare forme alternative alla propria aggressività.
Riferimenti bibliografici
  1. Sulla violenza come fattore evolutivo: Napoleon Chagnon: Tribù pericolose. La mia vita presso gli Yanomamo.
  2. Sulla tipizzazione della violenza maschile e femminile: Roy Baumeister, Is There Anything Good About Men?: How Cultures Flourish by Exploiting Men.
  3. Su come nel tempo si raffini la violenza: Jeffrey Pfeffer, Power: Why Some People Have It and Others Don't.
Tutto il resto sono mie congetture bisognose di verifica.

Un’ etica per i cambiamenti climatici

PREMESSA
E' un piacere per me affrontare un tema su cui ho da poco cambiato idea discutendone con altri.
Eppure in materia avevo posizioni piuttosto consolidate, pensavo di stare in una botte di ferro. Insomma, ero tutto tranne che una "tabula rasa".
Personalmente trovo rincuorante che opinioni professate per anni possano mutare nel breve volgere di una franco scambio di idee. Significa che la ragione esercita ancora una sua forza sui nostri intelletti, significa che non siamo dei pupazzi in balia dei nostri bias cognitivi e che possiamo scampare alla fossilizzazione completa della conoscenza. Il, tutto, sia chiaro, al netto dell' eventualità sempre possibile che sia passato dalla ragione al torto.
Bene, ora entro subito nel merito con un paio di affermazioni che, quando si parla di etica, introducono una distinzione per me cruciale: quella tra deontologia e virtù.
Parto dal mio caso personale, quello che conosco meglio: personalmente trovo che sia una mancanza non andare a Messa la Domenica. Eppure, ammetto che chi si astiene non procura alcun danno al suo prossimo.
Allo stesso modo il Vegano trova che sia eticamente disdicevole mangiare uova. Eppure, chi divora un cereghino non aggredisce certo "suo fratello".
Sia io che il Vegano riteniamo che ci siano comportamenti sbagliati a prescindere dal danno arrecato al prossimo. Perché? Siamo forse dei tipi tanto strani?
Entrambi consideriamo che l' etica abbia a che fare anche con la "purezza". Siamo tutti e due, chi più e chi meno, un po' puritani.
Non violentare il prossimo per noi è il minimo, chi punta alla perfezione e alla purezza è tenuto ad andare oltre, l' uomo virtuoso non coincide con colui che si limita al rispetto pedissequo della regoletta deontologica.
Separare deontologia ed esercizio della virtù è importante anche perché consente di tracciare il confine della laicità: mentre non ha senso imporre agli altri la virtù con la forza, le regolette minimali del vivere civile possono richiedere un' applicazione coercitiva a cura, per esempio, dello stato.
Sia una persona retriva come me che una persona avanzata e à la page come il Vegano condividono quindi una dimensione puritana dell' etica.
Ma lo psicologo Johnatan Haidt va oltre: con i suoi esperimenti ci tiene a sottolineare che la dimensione puritana appartiene un po' a tutti.  Magari nel tempo varia: ieri era più concentrata sul sesso oggi sull'alimentazione, però prima o poi salta fuori in tutti. Diciamo che è una caratteristica umana.
Sembra proprio che io e il Vegano non siamo affatto dei "tipi strani".
Ebbene, in questo post vorrei mettere da parte proprio la dimensione puritana della faccenda, salvo recuperarla in extremis alla fine. Lo faccio perché tirare in ballo le virtù sarebbe come camminare su un terreno minato, meglio occuparsi di cio' che tutti condividiamo come rilevante, ovvero la dimensione della violenza e dell' intromissione indebita negli affari dei nostri simili.
Se chiedo a qualcuno di rispettare l' ambiente per preservarne l' aspetto incontaminato che  e al contempo per potersi elevare come abitante di questo pianeta, ho paura di non ricevere molto ascolto. Tuttavia, se faccio notare all'interlocutore come l' inquinamento da noi prodotto procuri anche gravi danni al nostro vicino, la sensibilità alle mie osservazioni si farà subito più acuta.
Sia le mentalità retrive che quelle avanzate, pur non ritrovandosi nei rispettivi precetti puritani, concordano  che sia sbagliato infliggere un danno ingiusto al nostro prossimo.
Fissarsi sul concetto di danno, ecco il rovello dell' uomo moderno.
Lo psicologo Piaget riteneva che una mente evoluta tendesse a ricondurre il fattore etico alla ferita inflitta al nostro simile mentre il filosofo John Stuart Mill, un padre della modernità, ha dichiarava che noi siamo liberi finché non danneggiamo l' altro.
Mentre la prima affermazione è stata successivamente revocata in dubbio, quest'ultima appare piuttosto vuota di senso - a me il filosofo John Stuart Mill sembra un po' sopravvalutato - sia perché falsa (la dimensione puritana continua a vivere un po’ in tutti nonostante i proclami) sia perché, anche se fosse vera, non fa che spostare i problemi anziché risolverli.
Quando rileva il danno che infliggiamo all' altro? Quando può dirsi realmente tale? Quando siamo responsabili del danno procurato? Mill tace, e non certo perché la risposta sia scontata.
Poiché professo una meta-etica fondata sul senso comune, il mio modo di procedere sarà il seguente; cercherò di ricavare delle regole etiche da situazioni concrete, cercherò poi di capire come si applicano le regole isolate al caso che ci preme, quello del riscaldamento globale, ed infine cercherò di capire quali eccezioni possano convivere felicemente con la regola emersa. Da ultimo, ma solo di passaggio, abbandonerò l' asfittico mondo delle regolette morali per aprirmi a quello delle virtù.
Illustrerò cinque casi di "danneggiamento" del prossimo cercando di giudicarli secondo quanto detta il senso comune. Forse, sulla base della soluzione data, potrà emergere una regola da applicare poi al sesto caso, quello del riscaldamento globale.
Negli esempi prefigurati fingerò che esista un' Autorità - per esempio quella statale - deputata a sanzionare il mancato rispetto della regola, in questo modo le analogie appariranno più vivide, spero.
Qualcuno potrebbe opinare che uno stato non dovrebbe mai dedicarsi a sanzionare precetti etici ma visti i limiti che ci siamo dati, vista la distinzione tra deontologia e virtù che abbiamo introdotto, l' obiezione si stempera: parlando unicamente di precetti intesi ad evitare danni a terzi è più che plausibile conferire un ruolo alla coercizione statale.
C' è un' ulteriore premessa al mio ragionamento: considero che la responsabilità morale sia personale. 
Insomma, i figli non sono responsabili per le colpe dei padri così come l' individuo non è responsabile per le colpe di altri che appartengono al suo gruppo.
In questo senso l' etica che propongo è di stampo libertario.
gw
IL LADRO  
Giovanni ruba il tablet di Giuseppe.
Cosa ci dice il senso comune? Facile: Giovanni è colpevole e per la sua mancanza merita una sanzione.
Violare platealmente una proprietà reca danno al legittimo proprietario e questo danno va in qualche modo risarcito dal colpevole.
A questo punto dovrei chiedermi il perché, dovrei fornire delle giustificazioni ma per ora prendo questo precetto come ovvio, almeno finché i fatti si presentano preclari come nell' esempio formulato.
Ciò non significa che manchino le eccezioni alla regola: se, per esempio, Giovanni ruba solo temporaneamente il tablet a Giuseppe per inviare una mail salva-vita che non puo' essere posposta per nessun motivo, allora per noi sarà doveroso scagionare il " ladro" pro tempore poiché ricorre un caso di "estrema necessità".
gww
L'ORATORE
Giovanni arringa la folla in piazza con discorsi militanti che Giuseppe, un passante, trova stomachevoli.
Senso comune: Giovanni è innocente.
Anche qui il danno esiste ed è ovvio: Giuseppe è fortemente disturbato dalle parole di Giovanni, la sua giornata è rovinata. Non si puo' nemmeno dire che manchi l' intenzionalità: Giuseppe, se non l' ho detto prima lo dico adesso, sa che certamente tra la folla ci saranno anche persone irritate dal suo passionale intervento.
Tuttavia, almeno alle nostre latitudini, esiste quella che chiamiamo "libertà di parola" e si ritiene che Giovanni non sia responsabile di nulla nel momento in cui esprime con franchezza le sue idee.
Ma perché nel primo caso il danno arrecato rende colpevole chi lo infligge mentre nel secondo caso no?
Innanzitutto, nel secondo caso il danno è soggettivo (psicologico).
I danni psicologici, diversamente da quelli oggettivi, sono difficilmente quantificabili. Ogni tentativo rischia di essere arbitrario e per molti opportunisti sarebbe facile fingersi lesi per ottenere un risarcimento. Le parole di Giovanni lusingano alcuni e irritano altri, poiché non esiste un bilancino per pesare costi e benefici si presume un pareggio e si consente all'oratore di tenere il suo comizio.
Ma l' aspetto decisivo è un altro: nel primo caso Giovanni e Giuseppe avrebbero potuto contrattare la compravendita del tablet, qui no: Giuseppe è un passante casuale sulla pubblica piazza e Giovanni, per quanto sia prevedibile che passanti come Giuseppe possano imbattersi nei suoi discorsi estremisti, non avrebbe mai potuto a priori contrattare con loro, e questo proprio perché sono passanti casuali, ovvero  indeterminati a priori.
La possibilità di contrattare è importante poiché consente di quantificare in modo attendibile i valori soggettivi abbattendo l' arbitrio e l' opportunismo che denunciavamo prima. Gli economisti chiamano questo toccasana "preferenza rivelata", qualcosa che vedremo meglio al punto successivo.
Per capire come la possibilità di contrattare sia decisiva, facciamo il caso di un eretico che dà scandalo "esibendosi" di punto in bianco in Chiesa senza aver interpellato nessuno. La Chiesa non è il bar, costui è colpevole poiché prende di mira persone ben circoscritte col chiaro scopo di scandalizzarle e offenderle. Isolare la "preda" è un gioco da ragazzi, circoscrivere l' auditorio più adatto per ottenere l' effetto voluto è facile visto che si raduna in Chiesa per abitudine consolidata. Ma alla stessa maniera, se uno l' avesse voluto, sarebbe stato facile anche contrattare a priori con loro, se l' eretico non l' ha fatto è perché sapeva che avrebbero mandato all' aria il suo progetto non dandogli la parola. L' esistenza della possibilità di contrattazione rende colpevole l' esibizionista, lo trasforma da oratore a provocatore.
gwww
MONICA
Giovanni ubriaca Monica e poi la stupra senza nessuna conseguenza fisica di rilievo per la vittima. Per dire come prosegue la storia faccio due ipotesi alternative, nella prima Monica resta ignara di tutto, nella seconda viene accidentalmente a sapere dell' accaduto.
Senso comune: Giovanni è colpevole in entrambe le ipotesi.
Anche se un filosofo utilitarista non vedrebbe nulla di male in tutto cio' ( poiché, almeno nella prima ipotesi, non esiste né un danno fisico né un danno psichico) il senso comune ci impone di condannare in entrambi i casi.
Perché?
Qui non esiste danno, o comunque esiste solo un danno psicologico.
Perché mai dovrei condannare in assenza di un danno?
Perché mai dovrei condannare in presenza di un mero danno psicologico visto che nel caso precedente, quello dell' oratore, dove il danno era parimenti psicologico, assolvevo? Cosa fa la differenza?
Essenzialmente la possibilità di contrattare a priori.
Monica non è nelle condizioni di Giuseppe, Monica non è un passante qualsiasi non identificabile a priori, Monica è lì davanti a me prima che tutto accada, esiste e con lei si puo' parlare chiaramente prima di agire. Se Giovanni non lo fa è lecito presupporre che si attenda un rifiuto, ovvero un mancato scambio, il che rende plausibile l' ipotesi che il danno ricevuto da Monica sia maggiore del godimento di Giovanni.
La prima ipotesi, quella dell' assenza di danno, è molto particolare e per ora la trascurerei ma la seconda per noi è preziosa poiché ci offre un criterio per capire se e quando l' atto con cui infliggiamo un danno psicologico sia condannabile: questo criterio è la “contrattabilità a priori”.
Naturalmente, anche qui esistono eccezioni fioccano. Facciamo il caso che degli squatter occupino il mio cottage di montagna liberandolo il mattino successivo senza arrecare danni materiali. Io ricevo solo un danno psicologico (so che degli estranei sono entrati in casa mia). La situazione è formalmente simile a quella di Monica e dovrebbe scattare la condanna. Ebbene,  qualora l' occupazione sia giustificata da cause di forza maggiore - per esempio: si erano persi nel bosco e la bufera che imperversava li aveva colti alla sprovvista -  gli occupanti sarebbero giustificati.
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IL MIOPE
Giovanni guida la sua auto. Poiché è miope e più spericolato della media impone un rischio agli altri automobilisti, specie dopo il tramonto.
Senso comune: Giovanni è innocente.
Il danno procurato da Giovanni è ovvio ma, per quanto detto prima, una sua responsabilità è da scartare visto che si tratta di un danno soggettivo non "contrattabile" a priori. 
In mancanza della "contrattabilità a priori” si è responsabili solo per i danni oggettivi. Ma il danno, in questo caso, diventa oggettivo solo quando si verifica l' incidente.
Le eccezioni alla regola sono costituite da quei casi che impediscono il rilascio o il rinnovo della patente. E' chiaro che un ipovedente o un ubriaco non possano guidare poiché esiste un' incontestabile evidenza della loro pericolosità.
E nel dir questo abbiamo isolato un criterio che rende tollerabile l' eccezione alla regola: l' incontestabile evidenza.
gwwwwww
LA FACCIATA
Giovanni guida la sua auto su una via ad alto scorrimento, proprio laddove Giuseppe abita. 
Povero Giuseppe, a causa dell' intenso traffico ogni anno deve ripulire la facciata della sua casa dalle polveri inquinanti che si sono nel frattempo depositate.
Senso comune: Giovanni è colpevole.
Qui il danno esiste ed è oggettivo: chi transita per quella via dovrebbe pagare un pedaggio da girare a Giuseppe - e a chi si trova nelle sue condizioni - affinché possa essere risarcito dei costi che è costretto a sopportare.
Eccezione: qualora la tecnologia atta a rilevare i pedaggi sia eccessivamente onerosa si potrebbe soprassedere con tanti saluti per Giuseppe.
 
corddal
LA REGOLA
Dai cinque casi trattati rileviamo la seguente regola: se è possibile una contrattazione a priori chi danneggia a posteriori è sempre responsabile, anche quando il danno procurato è soggettivo. In caso contrario chi danneggia è responsabile solo per i danni oggettivi.



In altri termini: non si è mai responsabili per i danni soggettivi non contrattabili a priori (vedi il caso dell’ ORATORE).
In presenza di evidenze incontestabili la regola è soggetta ad eccezioni.
Ora ho le domande giuste da pormi per affrontare il caso principale, quello del global warming.
cordall
I PRONIPOTI
Giovanni guidando la sua auto emette dei gas serra, tra 70 anni i pronipoti di Giuseppe potrebbero essere danneggiati da questo evento.
Il senso comune non mi dà una risposta chiara circa la colpevolezza di Giovanni, mi tocca ragionare sulla base della regola individuata in precedenza.
Prima domanda: di che natura è il danno prodotto?
Risposta: essendo un rischio, è di natura soggettiva.
Seconda domanda: danneggiato e danneggiante possono contrattare?
Per amor di discussione ammettiamo pure di essere responsabili verso un prossimo che ancora non esiste, rimane il fatto che difficilmente possiamo contrattare con lui: oltre a non esistere è "disperso". Nel malstrom dell' umanità a venire i  "danneggiati" si mescolano agli "avvantaggiati" in modo indeterminato e anche se volessimo eleggere un rappresentante dei "danneggiati" con cui contrattare avremmo problemi.
Ci sono poi ulteriori complicazioni: forse i candidati più credibili al ruolo di vittima sono i paesi poveri africani, ma quei paesi sono anche quelli che traggono il maggior beneficio dal consumo marginale dei carburanti fossili. A questo punto dovremmo esentarli, dovremmo cioè formulare una regola etica di portata non universale, inidonea al test kantiano. Se c' è qualcosa che ripugna al senso comune quando si fissano i doveri è proprio il ricorso al doppio standard.
Ultima domanda: il caso del riscaldamento globale puo' costituire un' eccezione alla regola?
Per affermarlo occorre avere un' "evidenza incontestabile". Non si tratta di un' evidenza dei danni, i danni vanno considerati insieme ai benefici. Perché ci sono anche i benefici: sia quelli che derivano da un riscaldamento del pianeta che quelli che derivano dall' arricchimento di chi usa l' energia senza vincoli. E' l' analisi costi/benefici che ci deve fornire "evidenze incontestabili".
Ebbene, i modelli previsionali di cui disponiamo sono sufficientemente curati da poter dire che ci forniscono un' "evidenza incontestabile"?
Io direi di no.
Si potrà sostenere che sono "modelli molto sofisticati", che alcuni sono migliori di altri, che alcuni, per esempio quelli elaborati dall' IPCC, siano i migliori in nostro possesso, che alla elaborazione di questi modelli presiede un personale altamente qualificato, tutto cio' è legittimo, tuttavia sarebbe temerario affermare che questi modelli siano accurati.
Del resto, le previsioni formulate grazie a quei modelli si sono rilevate finora sbagliate, e fin qui nulla di male. È piuttosto il fatto che si sbagli sempre nello stesso senso  a destare qualche comprensibile sospetto.
Appare giustificato ritenere che non abbiamo ancora capito come la CO2 interagisca con gli altri fattori ambientali nel determinare il riscaldamento del pianeta e nemmeno come i mutamenti ipotizzati possano tradursi in termini di costi e benefici concreti.
Non arrivo a dire che si tratta di "fiabe scritte col computer" ma che si tratti di stime necessariamente (molto) aleatorie, questo mi sembra ragionevole.
[... tanto per dirne una: in questi modelli di solito si pesa l' ipotesi di "catastrofi" in senso negativo ma non si tiene in alcun conto della possibile "catastrofe" in senso positivo. Faccio un esempio? L' avvento prossimo venturo dell' Intelligenza Artificiale  potrebbe costituire una rivoluzione alla stregua di quella agricola o industriale. Mancarla o ritardarla per una lacuna nei modelli sarebbe estremamente costoso, oserei dire "catastrofico"...] 
Purtroppo, fare queste considerazioni ci guadagna l' etichetta di "negazionisti".
Uno non nega che le temperature si stiano alzando.
Uno non nega che la CO2 riscaldi l' atmosfera.
Uno non nega che anche la CO2 emessa dall' uomo abbia un ruolo in questo fenomeno.
Uno, pur non negando le affermazioni fondamentali dell' attivismo verde, si becca del "negazionista". 
Si tratta del solito artificio retorico del Castello e della Torre: il castellano vive e vuole vivere comodamente nel confortevole Castello ma nel momento in cui è attaccato si rifugia nella Torre, per poi tornare a fare i suoi comodi tra gli arazzi: il militante parte da affermazioni difficilmente contestabili (Torre) per poi farne alcune molto dubbie (Castello), quelle che in realtà gli interessano di più per la loro portata ideologica. Nel momento in cui è sfidato su queste ultime (Castello) si rintana sulle prime (Torre) per poter dire: il mio pensiero è fondato su verità incontestabili, chi lo sfida è uno stupido e un superficiale.
Far rilevare che i modelli previsionali non sono e non possono essere molto accurati (Castello) per il militante significa negare le verità fondamentali del suo paradigma (Torre). Dopodiché, l' etichetta di "negazionista" ti resta attaccata e incide nel dibattito pubblico.
Chiudo la digressione per enunciare il verdetto che esce dall' analisi: Giovanni non ha alcuna responsabilità etica nel momento in cui emette i suoi gas serra.
cordalll
CONCLUSIONI GENERALI
Ho cercato di stabilire se esista una regola etica generale che condanni l' emissione dei gas serra, sembrerebbe che applicando il buon senso a situazioni analoghe non sia possibile ricavarla, oltretutto non sembra nemmeno che il caso specifico possa elevarsi ad eccezione.
Tuttavia, in premessa, ho anche detto che la mia analisi avrebbe trascurato la dimensione "virtuosistica" dell' etica umana.
Puo' darsi infatti che il dovere di limitare l' emissione di gas serra non costituisca il contenuto di alcuna "regola" deontologica ma emerga dall' esercizio di una virtù.
I cattolici definiscono questi doveri come supererogatori: sono dei doveri che assumiamo per perfezionare la nostra persona. Nessuno è tenuto ad essere un Santo, non c' è una regola che ce lo imponga, tuttavia dobbiamo tendere in quella direzione.
Ebbene, penso che i precetti ecologisti siano proprio di questo tipo: non si traducono in regole, non richiedono  un' autorità specifica che li faccia rispettare, sono qualcosa che riguarda la nostra interiorità e il nostro perfezionamento spirituale.
In quest' ottica ha senso praticare le "virtù verdi" nonché sensibilizzare in merito chi sta intorno a noi. Lo dico a denti stretti visto che d' istinto le prediche ecologiste mi hanno sempre ammorbato.
cordallll
SUBOTTIMO
Il mondo in cui vivo non sembra giungere alle conclusioni di cui sopra, l' autorità coercitiva per eccellenza - lo stato - sembra freneticamente all' opera per "risolvere il problema". Non prende minimamente in considerazione che la cosa possa essere estranea alle sue competenze universali.
Se le cose stanno in questi termini, inutile predicare nel deserto, meglio ripiegare e difendere una soluzione sub-ottima: per esempio una carbon tax da girare alle vittime. Meglio ancora se compensata con una diminuzione delle tasse su profitti e lavoro. Sebbene la misura non sia eticamente difendibile, per lo meno minimizza i danni poiché tratta correttamente il problema delle esternalità.
cordalsss
INCORAGGIAMENTO AI PERPLESSI
La tesi esposta in questo post lascia freddi i più: sarà anche rigorosa ma ci abbandona in balia della sorte, come possiamo affidarci alle virtù personali senza ricorrere ad un intervento dall'alto? Ecco, nei quattro punti che seguono cercherò di confortare i perplessi.
1) Se davvero le catastrofi paventate incombessero in modo credibile, un' etica del senso comune non potrebbe trascurarle, proprio perché flessibile e tollera le eccezioni. Ricordiamoci allora che  le previsioni più fosche sono fondate su una modellistica avventata.
2) L' effetto delle "prediche verdi" non dovrebbe essere poi così inesistente. Perché tanto scetticismo? Quando ci fa comodo attribuiamo tutto ciò che succede alla cultura, quando poi dobbiamo puntare sulla cultura, ecco che ogni fiducia su questo fattore viene meno.
3) L' utilizzo libero delle fonti energetiche favorisce la crescita economica, e noi sappiamo che la sensibilità ambientale cresce al crescere della ricchezza (effetto di Kuznet), in alcuni casi, nelle società ricche e secolarizzate, l' ambiente diventa una vera e propria religione sostitutiva.
4) Ma c' è dell' altro. Concentratevi sul caso della FACCIATA, lì concludevo per la colpevolezza di Giovanni.  L' inquinamento prodotto ai danni della casa e dei polmoni di Giuseppe lo costringe al risarcimento. Faccio solo notare che intervenire  nel senso indicato ha una conseguenza pratica evidente anche per il caso del riscaldamento globale: chi paga per risarcire Giuseppe inquinerà meno riducendo al contempo anche il suo contributo all' effetto serra.
BIBLIOGRAFIA
Premessa: John Stuart Mill, Saggio sulla libertà.
Il ladro: Jerry Gaus, The order of public reason.
L' oratore: David Friedman, L' ordine del diritto cap. 15.
Monica: Steven Landsburg, Censorship and Steubenville.
Il miope: David Friedman, L' ordine del diritto cap.14.
La facciata: Murray Rothbard, L' etica della libertà.
I pronipoti: George Reisman, ambientalismo di mercato.
Il subottimo: Greg Mankiw, The Pigou club manifesto
ILLUSTRAZIONI
Zaria Forman: Exploring Climate Change through Art - Giant Pastel Oceanscapes and Icebergs
Isaac Cordal:  Politician debating climate change
AGGIUNTE POSTUME


ADD1: Di fronte alle esternalità, gli economisti predicano soluzioni pigouviane, ovvero la carbon tax. Non pochi si oppongono, le ragioni più comuni sono le seguenti: 
  1. Negare le esternalità
  2. Negare il diritto ad un intervento governativo sulle esternalità 
  3. Sostenere che il governo già interviene a sufficienza 
  4. Prediligere interventi regolatori e di cap and trade 
  5. Public choice: il governo farà male, meglio si astenga.
La posizione qui illustrata è la 2: la regola di default fronte all' esternalità è la tolleranza, non la tassazione. E' per questo che esiste il diritto di stampa o il diritto a professare una certa religione minoritaria che gli altri trovano assurda o a sposare una ragazza odiata dai genitori. naturalmente esistono anche esternalità da impedire ma queste hanno caratteristiche bene precise.








































































































































La concezione tragica della vita

Aristotele: l' uomo è un essere razionale.

Aristotele: l' uomo è un essere sociale.

Arthur Melzer: quindi la vita dell' uomo è tragica.

Per alcuni razionalità e socialità non si accordano. Il rimedio?: le élites devono in qualche modo ingannare le masse per migliorare la loro condizione.

In fondo il politically correct appartiene a chi nutre una condizione tragica della vita.

Più informazione più problemi...

... se non hai un modello per filtrarle.

Perché? Due motivi:

1) più caos in cui perdersi;
2) più materiale per puntellare i propri pregiudizi.

Interessante il secondo motivo e le sue conseguenze: quando l' informazione esplode esplode anche il settarismo. Oltretutto esplode anche la possibilità di fare proseliti.

Con l' invenzione della stampa le eresie (che ci sono sempre state) si sono rafforzate e diffuse conducendo lentamente alle guerre di religione del 600, uno dei secoli più terribili.

Quando poi arrivano i modelli i progressi sono spettacolari. Probabilmente la rivoluzione industriale è il frutto proprio della più facile circolazione delle informazioni: gli uomini di sapere potevano connettersi tra loro anziché restare isolati.

La marghe prende il volo

https://www.youtube.com/watch?v=WuSKNrLJSmI

lunedì 29 dicembre 2014

Accuratezza e precisione

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I generi bassi

C' è sempre il problema della qualità dell' arte e dei "generi bassi". 

Ma se la bellezza è un' esperienza prima ancora che un requisito, possiamo tracciare un legittimo parallelo con la fede. 

Ora, possiamo avere la fede del raffinato teologo come possiamo avere la fede dell' ignorante pastorella (magari di Lourdes). 

Chi dei due sperimenta una fede più degna? Difficile dirlo, di sicuro la sperimentano viaggiando su mezzi differenti: il primo sfrutta i ponderosi libri di teologia per accendere la sua fiammella, la seconda sfrutta l' accorata preghiera della devozione popolare. 

Esiste una sorta di qualità sia nel primo tramite che nel secondo, una qualità che porta ad una fede degna sia nel primo caso che nel secondo. 

Così pure nella musica, per esempio, la bellezza puo' essere sperimentata sia apprezzando una grandiosa sinfonia che immergendosi in una canzone popolare costruita con tutti i crismi dell' autenticità.

martedì 23 dicembre 2014

Un Papa piacione?

Riccardo Mariani:



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Il gesuita

Riccardo Mariani:



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Letteratura cinica

La migliore letteratura cinica oggi la trovi nei... - Riccardo Mariani:



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Come capire se un uomo è libero?

Naturalmente nessuno è libero in senso assoluto, tutti noi siamo condizionati, tuttavia possiamo ritenerci liberi e responsabili se, AL MARGINE, è il nostro potere decisionale a determina la nostra traettoria.

Non conta quel che si fa e quanto sia prevedibile ma solo se si puo' fare altrimenti. E' prevedibile che io non mi amputi un braccio entro mezzanotte, tuttavia potrei farlo se solo lo volessi.

La questione del libero arbitrio si suddivide in due questioni da tenere ben distinbte:

1) L' uomo è libero? Si puo' concludere per il sì o per il no. Si puo' concludere, per esempio, che l' uomo è libero e il pesce gatto no.

2) Tizio è libero? Si puo' sostenere che benché l' uomo sia libero e responsabile delle sue azioni Tizio non lo è (per esempio perché è pazzo).

Limitatamente alla seconda questione c' è un metodo ortodosso per risolverla: chiedersi se con un compenso Tizio varia il suo comportamento. Se sì, allora PUO' variarlo è possiamo dire che è libero.
Se ti offro una somma di denaro affinché tu ti astenga dal bere e tu ci stai, allora, cio' indica che se solo lo volessi tu POTRESTI astenerti.

Oggi il mondo è più pacifico?

Steven Pinker nel suo famoso libro ritiene di sì ma ci sono almeno due obiezioni/precisazioni:

1) Taleb: trascurati i cigni neri, ovvero le possibilità di catastrofe totale. Oggi ne esistono le potenzialità, ieri no.

2) Hanson: beninteso, non siamo più pacifici, siamo solo più intelligenti: l' esperienza ci ha insegnato a smascherare e ad evitare i conflitti inutili, cio' non toglie che quando un conflitto ci avvantaggia, magari perché la vittima non potrà rispondere al nostro colpo, lo intraprendiamo senza pensarci due volte. La letteratura manageriale sulla vita in azienda illustra bene il punto.

lunedì 22 dicembre 2014

Perché la Chiesa non allevia il carico ai poveri?

C' è chi nota una certa incoerenza nei pronunciamenti di papa F. in materia economica. Dove si annida il mistero?
Non penso proprio che ci sia un “mistero” di papa Francesco in materia economica. Penso piuttosto che lui di queste cose non abbia la più pallida idea.
La sua mancanza di coerenza è radicata nel suo essere latinoamericano. Egli è come tanti demagoghi del Sud e del Centro America. Semplicemente non ha una coerente comprensione dell’economia.
La sua personalità lo spinge a fare scena, ad esempio con le sue ridicole auto utilitarie, e la gente cade nell’inganno, perché le masse si fanno ingannare dai demagoghi.
Sul volo di ritorno dalla Corea il papa ha rivelato di non aver mai fatto una vacanza in venticinque anni. Io non sono per niente un tifoso degli Stati Uniti, tanto meno delle pazzie della loro estrema destra. Ma lui semplicemente ha poca esperienza pratica di come funzionano o non funzionano le economie al di fuori dell’America Latina. E non c’è nessun modello di tale “funzionamento” in America Latina, dove il suo paese natale barcolla da una confusione all’altra.
Se si vuole capire chi è Bergoglio nelle questioni dell’economia e della società, non occorre guardare a qualche teoria economica, ma alla sua cultura e alla sua personalità. È l’analisi psicologica di Bergoglio che solleverà il coperchio sulla sua condotta. Questo è il mio punto di vista. 
Non dubito che lui abbia una metodologia teologica. Ma non ne ha una economica. E nemmeno l’hanno avuta, in questa materia, Ratzinger e Wojtyla. I testi papali su economia e politica sociale sono in gran parte dilettanteschi. Non l’ho mai detto in pubblico, ma penso che la dottrina sociale della Chiesa sia dilettantesca perché è ideologica, vale a dire non-empirica. Sono testi scritti da uomini che non otterrebbero mai successo nel campo pratico, e quindi non sono in grado di influenzare strategicamente quel campo da una prospettiva religiosa. Ecco perché non sono realizzativi: perché optano per una recita semplicistica di aforismi che forse fanno colpo sulle masse, ma non forniscono nessun punto d’appoggio per cambiare le circostanze concrete della vita. Sono di fatto privi d’efficacia per i poveri.

sabato 20 dicembre 2014

Islamic Banking

http://conversableeconomist.blogspot.it/2014/12/snapshots-of-islamic-banking.html

http://conversableeconomist.blogspot.it/2014/12/islamic-banking-from-us-angle.html

venerdì 19 dicembre 2014

Il riparto del dott. Sperner

Se siamo in due è facile: si compra la torta fifty-fifty, poi uno taglia le fette e l' altro sceglie le sue.

Ma se siamo in tre o più?

Niente panico, ci pensa il dottor Sperner.

http://www.nytimes.com/2014/04/29/science/to-divide-the-rent-start-with-a-triangle.html?_r=0

Il grande silenzio e il piccolo silenzio

David Brin e Robin Hanson discutono di vita... - Riccardo Mariani:



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mercoledì 17 dicembre 2014

Miracoli

Roberto (Little Bob) si presta a tornare sul... - Riccardo Mariani:



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AK fa ancora il film che avrebbe dovuto fare Jarmush ai bei tempi. Con quella verità che si accumula nelle facce prosciugando tutto il resto: dialoghi sceneggiatura e scenografia

I medici uccidono anche in Italia

Riccardo Mariani:



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La spesa sanitaria è aumentata del 43% (quarantatrè per cento!) in dieci anni. Guadagni in termini di salute... vicini allo zero. Ergo: ripristinare la vecchia spesa del 2004 con un mega-taglio in teoria non dovrebbe comportare inconvenienti di sorta. Vabbé, rispetto al 2004 ci sarà pure qualche vecchietto in più ma qui sembra che diversi medici si siano messi di buzzo buono per ammazzare i loro pazienti, altrimenti come spiegare uno “spreco” del genere? Eppure il trend è comune a tutti i paesi sviluppati. La gente non vuole rassegnarsi al fatto che parecchi medici di fatto uccidano i malati che hanno in cura. Domanda: perché di fronte a queste cifre quando parli di "tagli" chi ti ascolta, anziché considerarli l' ovvia conseguenza di simili performance, trema come una foglia e si indigna? E’ una domanda per lo psicologo, mica per l’ economista