Nell' ambito di molta musica contemporanea, ma anche dell' arte, del cinema, della pubblicità, dell' architettura, non è più così essenziale saper fare qualcosa. Esistono persone che di mestiere realizzano in modo egregio quello che gli altri pensano ma non sanno fare. L' importante per l' artista diventa "pensare", in ogni caso e possibilmente prima degli altri, la cosa giusta, al momento giusto. Francesco Bonami.
Senza arrivare alla radicalità dei nipotini di Duchamp, i ragazzi della Nonplace si muovono in un "giusto mezzo" tra idee ed artigianato, spargono un po' ovinque la loro elettronica discreta con la quale ibridano a puntino il "suonato preesistente". Non contenti, ci ri-suonano pure in parallelo i loro strumenti praticando una sorta di mimesi acustica.
Qualcuno lo chiamerebbe sabotaggio, esagerati!
Il parassita si sceglie un oggetto sonoro, vi s' installa e comincia a lavorarselo.
Niente scempi, per carità, solo un felice meticciato dove il cadavere acustico di suoni d' antan torna a nuova vita nelle forme di un simpatico zombie.
Nonplace 10th anniversary edition
sabato 20 novembre 2010
venerdì 19 novembre 2010
Anatomia di un soprammobile
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L' orgoglio degli Amberson
La famiglia degli Amberson è ricca e benestante. Il film descrive la sua ascesa e caduta agli inizi del XX secolo, alla vigilia della massiccia industrializzazione americana. Eugene Morgan, un giovane intraprendente, viene respinto da Isabel Amberson, che sposerà un altro uomo. Il figlio George e il suo orgoglio saranno all' origine della rovina della ricchissima famiglia...
In Quarto potere Orson giungeva alla conclusione per cui la felicità che inseguiamo sta sempre dietro di noi.
Nel marasma del castello che prende fuoco, Kane intravvede la scritta "Rosebud" sulla slitta che arde, e realizza questa verità.
Era la slitta di quando da bambino passava beato i pomeriggi nella neve davanti alla baracca. Una felicità che Kane ha poi ricercato invano durante tutto il film, nonostante diventi l' uomo più ricco e potente del paese. Ora Kane realizza: tutta la sua avidità era dettata dall' inane tentativo di la peretta felicità di quei pomeriggi.
Ma veniamo adesso al nostro film.
Georege, al contrario di Kane, sembra sapere fin da subito che il meglio è alle nostre spalle e fa di tutto per preservarlo fino ad adottare comportamenti patologici.
Che strano, in una memorabile sequenza vediamo George bambino, è un bambino dinamico e desideroso di agguantare la vita e strapazzarla. L' orgoglio produce in lui una spinta propulsiva.
Più tardi, dalla vita e dalla sua imprevedibilità, vorrà invece solo difendersi, e lo farà nel modo più sbagliato, arroccandosi nel suo orgoglio e nel "magnifico passato" che possono vantare gli Amberson. Un atteggiamento che farà morti e feriti intorno a lui.
Nel finale il Nuovo lo investirà... fisicamente.
Finirà infatti sotto un' auto (siamo alla fine del XIX secolo). Già, proprio quell' automobile inventata da Morgan, l' uomo che George ha sempre detestato senza mai nascondere il suo disprezzo, nonchè l' uomo destinato a surclassarlo socialmente grazie alla sua maggiore apertura. L' uomo che ha saputo fare i conti con il Nuovo.
Recentemente abbiamo discusso della tentazione di restare ancorati al passato e abbiamo chiamto questo autoinganno "status quo bias": lasciare le cose come stanno è la politica migliore.
Ma se il film si limitasse ad essere la narrazione di un disastroso "status quo bias", non vanterebbe la sottigliezza che invece possiede. Il film fa di più, insinua una scomoda verità: l' orgoglioso e arrognate (e stronzo) George, forse ha ragione.
A concedergli una chance rendendo l' onore delle armi è proprio Morgan in quella che forse è la scena madre del film.
In Quarto potere Orson giungeva alla conclusione per cui la felicità che inseguiamo sta sempre dietro di noi.
Nel marasma del castello che prende fuoco, Kane intravvede la scritta "Rosebud" sulla slitta che arde, e realizza questa verità.
Era la slitta di quando da bambino passava beato i pomeriggi nella neve davanti alla baracca. Una felicità che Kane ha poi ricercato invano durante tutto il film, nonostante diventi l' uomo più ricco e potente del paese. Ora Kane realizza: tutta la sua avidità era dettata dall' inane tentativo di la peretta felicità di quei pomeriggi.
Ma veniamo adesso al nostro film.
Georege, al contrario di Kane, sembra sapere fin da subito che il meglio è alle nostre spalle e fa di tutto per preservarlo fino ad adottare comportamenti patologici.
Che strano, in una memorabile sequenza vediamo George bambino, è un bambino dinamico e desideroso di agguantare la vita e strapazzarla. L' orgoglio produce in lui una spinta propulsiva.
Più tardi, dalla vita e dalla sua imprevedibilità, vorrà invece solo difendersi, e lo farà nel modo più sbagliato, arroccandosi nel suo orgoglio e nel "magnifico passato" che possono vantare gli Amberson. Un atteggiamento che farà morti e feriti intorno a lui.
Nel finale il Nuovo lo investirà... fisicamente.
Finirà infatti sotto un' auto (siamo alla fine del XIX secolo). Già, proprio quell' automobile inventata da Morgan, l' uomo che George ha sempre detestato senza mai nascondere il suo disprezzo, nonchè l' uomo destinato a surclassarlo socialmente grazie alla sua maggiore apertura. L' uomo che ha saputo fare i conti con il Nuovo.
Recentemente abbiamo discusso della tentazione di restare ancorati al passato e abbiamo chiamto questo autoinganno "status quo bias": lasciare le cose come stanno è la politica migliore.
Ma se il film si limitasse ad essere la narrazione di un disastroso "status quo bias", non vanterebbe la sottigliezza che invece possiede. Il film fa di più, insinua una scomoda verità: l' orgoglioso e arrognate (e stronzo) George, forse ha ragione.
A concedergli una chance rendendo l' onore delle armi è proprio Morgan in quella che forse è la scena madre del film.
Libertarianism A-Z: scuola di stato
Nella rubrichetta Libertarianism A-Z vorrei riproporre in modo succinto e in un linguaggio elementare le ragioni dei libertari nelle diverse questioni che ritroviamo ogni giorno sui giornali. Un buon libertario legge con passione il giornale ogni giorno, la sua filosofia è sempre chiamata in causa.
I libertari si oppongono alla gran parte dei proibizionismi che oggi diamo per scontati.
Ogni proibizione ha i suoi motivi e il libertario si avvale dell' economia per affermare che 1) le ragioni dei proibizionismi non sono ben fondate e/o 2) anche se per ragioni dei proibizionismi esistesse un fondamento, la libertà individuale resta comunque la soluzione migliore.
Per passare in rassegna le varie materie mi baserò sull' omonimo libro di Jeffrey Miron. Partiamo con un tema sempre all' ordine del giorno: la scuola di stato. Cosa ne pensano i libertari?
*********
Quasi tutti i paesi ritengono che la scuola vada sussidiata con fondi pubblici.
In merito si avanza l' argomento per cui un' educazione di base dei cittadini sia un vantaggio per l' intera comunità. In presenza di "esternalità" del genere, il mercato darebbe luogo ad una sottoproduzione di servizi scolastici.
L' argomento è però sopravvalutato poichè i benefici di un' educazione di base ricadono innanzitutto su chi la riceve, cosicchè possiamo dire che la magnitudo dell' esternalità è minima rispetto ai costi richiesti per neutralizzarla.
Altri avanzano argomenti paternalistici: la famiglia decide male.
Ma l' argomento paternalistico è sempre minato da almeno tre tare.
Altri ancora dicono che molti individui non possono "permettersi" la scuola.
Fosse anche vero, e nelle società ricche lo è sempre meno, questo è comunque un problema di "povertà", non di "scuola".
A prescindere dalla questione dei sussidi, anche ammettendo che vadano accordati, cio' non comporta in alcun modo l' esistenza di scuole statali.
Il metodo dei "voucher" è un buon sostituto ed evita brillantemente l' interferenza della politica e dei sindacati.
Entrambe le cose, politica e sindacati, arrecano danno alla scuola. La politica porta indottrinamento (... la Costituzione è bella, la democrazia è bella, il capitalismo è da regolare, il riciclo dei rifiuti aiuta l' ambiente, la separazione stato/chiesa è auspicabile...). I sindacati portano inefficienza (la scuola diviene un luogo fatto per chi ci lavora anzichè per chi ne fruisce).
Esiste poi un' evidenza, anche se non univoca, che i voucher migliorino la qualità scolastica. Esiste anche un' evidenza inequivocabile sul fatto che i voucher migliorino il grado di soddisfazione degli utenti.
I libertari si oppongono alla gran parte dei proibizionismi che oggi diamo per scontati.
Ogni proibizione ha i suoi motivi e il libertario si avvale dell' economia per affermare che 1) le ragioni dei proibizionismi non sono ben fondate e/o 2) anche se per ragioni dei proibizionismi esistesse un fondamento, la libertà individuale resta comunque la soluzione migliore.
Per passare in rassegna le varie materie mi baserò sull' omonimo libro di Jeffrey Miron. Partiamo con un tema sempre all' ordine del giorno: la scuola di stato. Cosa ne pensano i libertari?
*********
Quasi tutti i paesi ritengono che la scuola vada sussidiata con fondi pubblici.
In merito si avanza l' argomento per cui un' educazione di base dei cittadini sia un vantaggio per l' intera comunità. In presenza di "esternalità" del genere, il mercato darebbe luogo ad una sottoproduzione di servizi scolastici.
L' argomento è però sopravvalutato poichè i benefici di un' educazione di base ricadono innanzitutto su chi la riceve, cosicchè possiamo dire che la magnitudo dell' esternalità è minima rispetto ai costi richiesti per neutralizzarla.
Altri avanzano argomenti paternalistici: la famiglia decide male.
Ma l' argomento paternalistico è sempre minato da almeno tre tare.
Altri ancora dicono che molti individui non possono "permettersi" la scuola.
Fosse anche vero, e nelle società ricche lo è sempre meno, questo è comunque un problema di "povertà", non di "scuola".
Ma una scuola sussidiata ha i suoi costi: chi decide cosa si studia e come? Lo mettiamo o no il crocifisso in aula? Come rispondere? La privatizzazione consente ai genitori di scegliere un' impostazione base ma la standarizzazione uniforma anche il non uniformabile.
A prescindere dalla questione dei sussidi, anche ammettendo che vadano accordati, cio' non comporta in alcun modo l' esistenza di scuole statali.
Il metodo dei "voucher" è un buon sostituto ed evita brillantemente l' interferenza della politica e dei sindacati.
Entrambe le cose, politica e sindacati, arrecano danno alla scuola. La politica porta indottrinamento (... la Costituzione è bella, la democrazia è bella, il capitalismo è da regolare, il riciclo dei rifiuti aiuta l' ambiente, la separazione stato/chiesa è auspicabile...). I sindacati portano inefficienza (la scuola diviene un luogo fatto per chi ci lavora anzichè per chi ne fruisce).
Esiste poi un' evidenza, anche se non univoca, che i voucher migliorino la qualità scolastica. Esiste anche un' evidenza inequivocabile sul fatto che i voucher migliorino il grado di soddisfazione degli utenti.
Bene, ora possiamo concludere: sebbene l' argomento dell' esternalità abbia qualche fondamento difficilmente si presenta come "overwhelming" e, d' altro canto, i costi abbondano qualora si ceda a quelle ragioni. Cio' significa solo una cosa, ovvero che il sussidio ottimo si avvicina molto allo zero.
giovedì 18 novembre 2010
Dalla nostra inviata preferita
Dalle frequenze di Radio Tre l' agenzia Austen, bruciando sul tempo l' agenzia Corona, ci ha puntigliosamente messo a parte degli affari privatissimi della Signorina Emma Woodhouse.
E' una fortuna poter contare su una simile inviata nel fascinoso pianeta degli affari altrui!
Non so come valuterà la torbida vicenda quel marpione del garante-Privacy.
Spero solo che l' eccitazione inconcludente tipica di ogni politico che si ritrova per un secondo al centro della scena globale, non sfoci nella schizoide legiferazione ad-minchiam così caratteristica di chi non sa che pesci pigliare. L' unico bell' effetto sarebbe quello di non arricchire nessuno impoverendo noi "origlianti" orbandoci dell' ultima consolazione.
So di gente che in pubblico inarca il sopraciglio puritano e si vanta di schifare certe porcherie intimistiche, gente che con iattanza sbandiera di non essersi mai chinata verso un innocente spioncino. Ma si tratta solo di sepolcri imbiancati, ve lo dico io.
Perchè poi, nel chiuso delle quattro mura, la vedi che prosciuga i succhi rilasciati dalla signorina Austen sorbendoli con un istinto famelico che in vita loro avevano riservato al solo latte materno.
E' gente che dietro la patina dell' altero disinteresse tiene tutti i radar ben azionati. E' gente di cui ogni giorno riceviamo notizia dall' Onda Verde: sono quei tali che intasano il traffico nella corsia opposta all' incidente.
Oppure si tratta semplicemente di gente sfortunata che non si è mai imbattuta nell' irresistibile profilo sinuoso del buco della serratura così come lo intaglia la signorina Austen. Eh sì! I suoi buchi della serratura sembra che ballino la danza del ventre.
Ah signorina Austen, lo so bene che avevi già spifferato tutto mettendolo nero su bianco secoli fa. Sono io che arrivo in ritardo, ostacolato dall' orgoglio viriloide che ruggisce e digrigna ogni volta che la disubbidiente manina non risponde più ai comandi e afferra un profumatissimo libro "da donna".
Mamma mia la Austen, che occhiuto e orecchiuto paparazzo, sempre nel vivo della conversazione, sempre a tempo nella sincopata danza borghese, sempre sulla notizia. Vive accosta alla bella cerchia della countryside albionica e da questa posizione di favore ci scandisce l' immarcescibile rito della mondanità di laggiù.
Io che sono un sempliciotto, spinto dalla mia fondamentale vocazione all' indifferenza e a lasciar correre, non ci arriverei mai ad isolare il principio attivo di quelle alchimie matrimoniali che la Signorina Austen invece ci serve così ben illuminate dai fari del suo set fotografico.
Con quel periodare leggiadro e ben tornito, la nostra inviata speciale, riesce a non impaludarsi nelle metafisiche proustiane vincendo anche la concorrenza di questo aspirante monopolista delle intimità più recondite.
Lo sparviero è un osso durissimo per chiunque si avventuri nell' impresa di esaurire il dicibile.
E così, dopo l' agenzia Corona, anche la snobbissima agenzia Proust è sbaragliata e deve cedere il passo.
Se mai dal parrucchiere avete sfogliato il rotocalco proustiano, vi sarete accorti che là dentro l' aria sembra ipercalorica, cosicchè pare si possa vivere solo di quella azzannandola di tanto in tanto.
Se invece hai la mala sorte di nascere donna in un libro della signorina Austen, attenta a te. Devi subito abbandonare ogni ispirata contemplazione per alzarti le maniche.
Ti tocca trottare bella mia, levarti la paglia, appassionarti di corsa al gioco combinatorio degli incontri mondani finchè non ti cattura la malia della pantofola, accasarti finchè hai qualcosa da mettere in vetrina, ricercare la sicurezza di una vita tranquilla finchè hai benzina con cui spingere in avanti la tua carcassa, inquadrarti nell' ambiente e renderti sempre presentabile finchè sei presentabile in potenza.
La scrematura è severa e in poche sopravvivono: quelle in cui la passione regge la coda alla virtù, quelle in cui ogni slancio è illuminato dal buon senso e dall' immanente ironia, quelle in cui i modi pronti e decisi, privi d' artificio, vanno a braccetto con i complimenti studiati, quelle che sanno parlare senza aprire bocca. Quelle che sanno lubrificare scovando dove si annida la ruggine. Quelle come la signorina Emma.
***
Adesso la protagonista del jet set deve fare qualcosa di decisivo (forse ha dimenticato il sugo sul fuoco) e corre via più veloce del vento e della Vento, i segugi "minori" sgommano reattivi mettendosi sulle sue piste, ma presto sbandano perdendo ogni traccia. Puoi sentire da lontano il loro confuso abbaio ormai rotto e immotivato.
Nel momento in cui i teleobbiettivi di Corona vagolano sbalestrati, ecco scattare le molle della signorina Austen che scende in campo risoluta: le sue competenti ricerche nasali inquadrano la vittima nel mirino, poi si butta per le fratte finchè, con un a-fondo magistrale, abborda l' eroina costringendola a rilasciare subito dettagliatissima intervista.
Ma che sia dettagliatissima, che si vada a fondo, che si affronti e dipani ogni cavillo, vogliamo l' encefalogramma, vogliamo un po' di pornografia (dello Spirito). E che sia pronta in coincidenza con il nostro prossimo appuntamento dal parrucchiere.
Puritani, Censori, Garanti, Metafisici, Maschioni viriloidi, Proustiani, Paparazzi coronati! Non rompete gli zebedei e lasciateci leggere in santa pace.
E' una fortuna poter contare su una simile inviata nel fascinoso pianeta degli affari altrui!
Non so come valuterà la torbida vicenda quel marpione del garante-Privacy.
Spero solo che l' eccitazione inconcludente tipica di ogni politico che si ritrova per un secondo al centro della scena globale, non sfoci nella schizoide legiferazione ad-minchiam così caratteristica di chi non sa che pesci pigliare. L' unico bell' effetto sarebbe quello di non arricchire nessuno impoverendo noi "origlianti" orbandoci dell' ultima consolazione.
So di gente che in pubblico inarca il sopraciglio puritano e si vanta di schifare certe porcherie intimistiche, gente che con iattanza sbandiera di non essersi mai chinata verso un innocente spioncino. Ma si tratta solo di sepolcri imbiancati, ve lo dico io.
Perchè poi, nel chiuso delle quattro mura, la vedi che prosciuga i succhi rilasciati dalla signorina Austen sorbendoli con un istinto famelico che in vita loro avevano riservato al solo latte materno.
E' gente che dietro la patina dell' altero disinteresse tiene tutti i radar ben azionati. E' gente di cui ogni giorno riceviamo notizia dall' Onda Verde: sono quei tali che intasano il traffico nella corsia opposta all' incidente.
Oppure si tratta semplicemente di gente sfortunata che non si è mai imbattuta nell' irresistibile profilo sinuoso del buco della serratura così come lo intaglia la signorina Austen. Eh sì! I suoi buchi della serratura sembra che ballino la danza del ventre.
Ah signorina Austen, lo so bene che avevi già spifferato tutto mettendolo nero su bianco secoli fa. Sono io che arrivo in ritardo, ostacolato dall' orgoglio viriloide che ruggisce e digrigna ogni volta che la disubbidiente manina non risponde più ai comandi e afferra un profumatissimo libro "da donna".
Mamma mia la Austen, che occhiuto e orecchiuto paparazzo, sempre nel vivo della conversazione, sempre a tempo nella sincopata danza borghese, sempre sulla notizia. Vive accosta alla bella cerchia della countryside albionica e da questa posizione di favore ci scandisce l' immarcescibile rito della mondanità di laggiù.
Io che sono un sempliciotto, spinto dalla mia fondamentale vocazione all' indifferenza e a lasciar correre, non ci arriverei mai ad isolare il principio attivo di quelle alchimie matrimoniali che la Signorina Austen invece ci serve così ben illuminate dai fari del suo set fotografico.
Con quel periodare leggiadro e ben tornito, la nostra inviata speciale, riesce a non impaludarsi nelle metafisiche proustiane vincendo anche la concorrenza di questo aspirante monopolista delle intimità più recondite.
Lo sparviero è un osso durissimo per chiunque si avventuri nell' impresa di esaurire il dicibile.
E così, dopo l' agenzia Corona, anche la snobbissima agenzia Proust è sbaragliata e deve cedere il passo.
Se mai dal parrucchiere avete sfogliato il rotocalco proustiano, vi sarete accorti che là dentro l' aria sembra ipercalorica, cosicchè pare si possa vivere solo di quella azzannandola di tanto in tanto.
Se invece hai la mala sorte di nascere donna in un libro della signorina Austen, attenta a te. Devi subito abbandonare ogni ispirata contemplazione per alzarti le maniche.
Ti tocca trottare bella mia, levarti la paglia, appassionarti di corsa al gioco combinatorio degli incontri mondani finchè non ti cattura la malia della pantofola, accasarti finchè hai qualcosa da mettere in vetrina, ricercare la sicurezza di una vita tranquilla finchè hai benzina con cui spingere in avanti la tua carcassa, inquadrarti nell' ambiente e renderti sempre presentabile finchè sei presentabile in potenza.
La scrematura è severa e in poche sopravvivono: quelle in cui la passione regge la coda alla virtù, quelle in cui ogni slancio è illuminato dal buon senso e dall' immanente ironia, quelle in cui i modi pronti e decisi, privi d' artificio, vanno a braccetto con i complimenti studiati, quelle che sanno parlare senza aprire bocca. Quelle che sanno lubrificare scovando dove si annida la ruggine. Quelle come la signorina Emma.
***
Adesso la protagonista del jet set deve fare qualcosa di decisivo (forse ha dimenticato il sugo sul fuoco) e corre via più veloce del vento e della Vento, i segugi "minori" sgommano reattivi mettendosi sulle sue piste, ma presto sbandano perdendo ogni traccia. Puoi sentire da lontano il loro confuso abbaio ormai rotto e immotivato.
Nel momento in cui i teleobbiettivi di Corona vagolano sbalestrati, ecco scattare le molle della signorina Austen che scende in campo risoluta: le sue competenti ricerche nasali inquadrano la vittima nel mirino, poi si butta per le fratte finchè, con un a-fondo magistrale, abborda l' eroina costringendola a rilasciare subito dettagliatissima intervista.
Ma che sia dettagliatissima, che si vada a fondo, che si affronti e dipani ogni cavillo, vogliamo l' encefalogramma, vogliamo un po' di pornografia (dello Spirito). E che sia pronta in coincidenza con il nostro prossimo appuntamento dal parrucchiere.
Puritani, Censori, Garanti, Metafisici, Maschioni viriloidi, Proustiani, Paparazzi coronati! Non rompete gli zebedei e lasciateci leggere in santa pace.
Sergentemagiù Rigoni
Questi scrittori di guerra li riconosci subito, hanno tutti un rigo dal cominciamento che attacca d' impeto, come se la storia gli bruciasse tra le dita.
Poi si acquietano, ne hanno passate tante e ora ce le raccontano ritmati dalla lenta gravità delle loro stanchezze, svuotati da tutto per potersi svuotare da ogni rancore e da ogni rivalsa, neanche poi così contenti come si aspettavano di essere "tornati a baita".
Il cervello di quelli venuti giù dalla Russia poi, mentre raccontano, è ancora intontito dal crocchio della neve sotto lo scarpone, è ancora trapassato dal quadrante di Cassiopea fissato per ore durante le marce notturne.
Nella steppa hanno combattuto una guerra dura contro altri uomini, e una seconda ancora più dura contro i topi slavi che cercavano di condividere le loro coperte.
Poche soddisfazioni, pochissime. Giusto a Natale due fette di polenta e gatto, ma polenta dura eh? (alla bergamasca). Però due fette grandi come mattoni, Il tutto innaffiato con ottima acqua di neve, e per codina un caffè pestato nell' elmetto.
Che era Natale lo si capiva subito dal modo di bestemmiare. Uno smadonnamento fiorito, soave e disteso, non come quel rosario sparato senza neanche prendere fiato che partiva quando ti impigliavi nei gabbioni di filo spinato, e ci finiva dentro la naja, la fidanzata, la posta, gli imboscati, i russi, mussolini, e altri personaggi inventati sul momento. Il tutto da godere ticketless.
Anche quella guerra era più che altro un sovrapporsi di interminabili e snervanti momenti di pace.
Una pace satura di attività che non erano il massimo per lo sviluppo di un solido capitale umano. Potevi dedicarti all' ascolto degli starnuti del nemico, a vedere diventar bianchi e poi scoppiare i pidocchi buttati sulla piastra, allo staccio della farina, alla fumatina di una Milit, a cambiar trincea saltellando nella neve come un capretto a primavera, a pensare parole nuove da scrivere alla ragazza (parole nuove = parole diverse da baci, bene, amore, ritornerò), a fumarti la posta ricevuta, a giocarti a carte i soldi della deca, a evitare i conducenti che odoravano di mulo e che si grattavano la scabbia.
Poi finalmente, attesissima, liberatoria, arriva la guerra (detta anche la sagra). Con il miagolio nell' aria delle pallottole che passano di sopra.
Oggi pomeriggio ne muore solo uno che non conoscevi neanche tanto bene, Cade e la neve gli entra nella bocca, fai le tue cose e quando lo riguardi il sangue gli esce sempre più piano.
Ma smette subito anche questo pezzo di guerra che non voleva consumarsi, smette sussultando come smette la risata di un ubriaco, con qualche fucilata raminga che si attarda senza credere più in se stessa. La fucilata ingiustificabile di uno che è invasato dalla rabbia degli stanchi, degli stanchi di guerra e di vita.
Quando vedi il comandante più tignoso e incapace con la gamba in cancrena ti viene da dire che era un buon diavolo anche lui. E pure questo sentimento ti sale spinto dalla spossatezza, è una misericordia regalata dalla stanchezza. Era un tenente giovane e impazzito, la truppa aveva imparato l' arte di non obbedirgli assecondandolo. Il capitano era il primo ad inorgoglirsi per questa abilità sopraffina e provvidenziale che deve essere il bagaglio primario di ogni buon soldato.
Intanto - mentre passando vedi ancora alcuni alpini placidamente addormentati che muoiono immobili incassati come stravecchi piccioni dalla massa dimezzata definitivamente ai margini dello stormo - il Don è un Lete che spinge alcuni fortunati ormai indifferenti fuori dalla "sacca".
Poi si acquietano, ne hanno passate tante e ora ce le raccontano ritmati dalla lenta gravità delle loro stanchezze, svuotati da tutto per potersi svuotare da ogni rancore e da ogni rivalsa, neanche poi così contenti come si aspettavano di essere "tornati a baita".
Il cervello di quelli venuti giù dalla Russia poi, mentre raccontano, è ancora intontito dal crocchio della neve sotto lo scarpone, è ancora trapassato dal quadrante di Cassiopea fissato per ore durante le marce notturne.
Nella steppa hanno combattuto una guerra dura contro altri uomini, e una seconda ancora più dura contro i topi slavi che cercavano di condividere le loro coperte.
Poche soddisfazioni, pochissime. Giusto a Natale due fette di polenta e gatto, ma polenta dura eh? (alla bergamasca). Però due fette grandi come mattoni, Il tutto innaffiato con ottima acqua di neve, e per codina un caffè pestato nell' elmetto.
Che era Natale lo si capiva subito dal modo di bestemmiare. Uno smadonnamento fiorito, soave e disteso, non come quel rosario sparato senza neanche prendere fiato che partiva quando ti impigliavi nei gabbioni di filo spinato, e ci finiva dentro la naja, la fidanzata, la posta, gli imboscati, i russi, mussolini, e altri personaggi inventati sul momento. Il tutto da godere ticketless.
Anche quella guerra era più che altro un sovrapporsi di interminabili e snervanti momenti di pace.
Una pace satura di attività che non erano il massimo per lo sviluppo di un solido capitale umano. Potevi dedicarti all' ascolto degli starnuti del nemico, a vedere diventar bianchi e poi scoppiare i pidocchi buttati sulla piastra, allo staccio della farina, alla fumatina di una Milit, a cambiar trincea saltellando nella neve come un capretto a primavera, a pensare parole nuove da scrivere alla ragazza (parole nuove = parole diverse da baci, bene, amore, ritornerò), a fumarti la posta ricevuta, a giocarti a carte i soldi della deca, a evitare i conducenti che odoravano di mulo e che si grattavano la scabbia.
Poi finalmente, attesissima, liberatoria, arriva la guerra (detta anche la sagra). Con il miagolio nell' aria delle pallottole che passano di sopra.
Oggi pomeriggio ne muore solo uno che non conoscevi neanche tanto bene, Cade e la neve gli entra nella bocca, fai le tue cose e quando lo riguardi il sangue gli esce sempre più piano.
Ma smette subito anche questo pezzo di guerra che non voleva consumarsi, smette sussultando come smette la risata di un ubriaco, con qualche fucilata raminga che si attarda senza credere più in se stessa. La fucilata ingiustificabile di uno che è invasato dalla rabbia degli stanchi, degli stanchi di guerra e di vita.
Quando vedi il comandante più tignoso e incapace con la gamba in cancrena ti viene da dire che era un buon diavolo anche lui. E pure questo sentimento ti sale spinto dalla spossatezza, è una misericordia regalata dalla stanchezza. Era un tenente giovane e impazzito, la truppa aveva imparato l' arte di non obbedirgli assecondandolo. Il capitano era il primo ad inorgoglirsi per questa abilità sopraffina e provvidenziale che deve essere il bagaglio primario di ogni buon soldato.
Intanto - mentre passando vedi ancora alcuni alpini placidamente addormentati che muoiono immobili incassati come stravecchi piccioni dalla massa dimezzata definitivamente ai margini dello stormo - il Don è un Lete che spinge alcuni fortunati ormai indifferenti fuori dalla "sacca".
Meditazioni libertarie sul Vangelo del 21.11.2010
Vangelo secondo Luca 3, 1-18
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri! / Ogni burrone sarà riempito, / ogni monte e ogni colle sarà abbassato; / le vie tortuose diverranno diritte / e quelle impervie, spianate. / Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!». Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco». Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Un Vangelo denso che mette molta carne al fuoco e mi obbliga a scegliere.
E allora scelgo la fine: "Giovanni evangelizzava".
Di recente, l' evangelizzazione, ovvero lo sforzo per convertire al cristianesimo, non ha goduto di buona stampa.
Parlarne significava evocare il lavaggio della mente, quando andava bene; coercizioni ancora peggiori, quando andava male.
Sarà forse per questo che la Chiesa sembra oggi più preoccupata della Liturgia che non della Conversione (riferisco una frecciatina dal sen fuggita al mio parroco nel corso della preparazione al battesimo della Marghe).
Se ti voglio bene, se ho una parola che penso possa farti bene, perchè mai dovrei risparmiartela?
La ricerca della conversione è compatibile con la società moderna: si chiede solo possibilità di competere e libertà d' espressione. Il libertario non solo tollera ma esaudisce con entusiasmo a queste richieste.
Pensiamo solo alla Scuola, quanto lavoro ci sarebbe per riformare un' istituzione in cui, oggi, solo un guardiano del Potere puo' decidere chi entra per curare l' indottrinamento dei ragazzi!
Per evangelizzare bisognerebbe avvalersi di un linguaggio semplice, che sappia essere comprensibile anche a all' ateo e all' indifferente. Un linguaggio che sappia uscire dal gergo dottrinario senza tradire il nocciolo del messaggio. Un po' quello che, tra mille equilibrismi e mille incompetenze, provo a fare meditando sul Vangelo domenicale.
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri! / Ogni burrone sarà riempito, / ogni monte e ogni colle sarà abbassato; / le vie tortuose diverranno diritte / e quelle impervie, spianate. / Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!». Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco». Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Un Vangelo denso che mette molta carne al fuoco e mi obbliga a scegliere.
E allora scelgo la fine: "Giovanni evangelizzava".
Di recente, l' evangelizzazione, ovvero lo sforzo per convertire al cristianesimo, non ha goduto di buona stampa.
Parlarne significava evocare il lavaggio della mente, quando andava bene; coercizioni ancora peggiori, quando andava male.
Sarà forse per questo che la Chiesa sembra oggi più preoccupata della Liturgia che non della Conversione (riferisco una frecciatina dal sen fuggita al mio parroco nel corso della preparazione al battesimo della Marghe).
Se ti voglio bene, se ho una parola che penso possa farti bene, perchè mai dovrei risparmiartela?
La ricerca della conversione è compatibile con la società moderna: si chiede solo possibilità di competere e libertà d' espressione. Il libertario non solo tollera ma esaudisce con entusiasmo a queste richieste.
Pensiamo solo alla Scuola, quanto lavoro ci sarebbe per riformare un' istituzione in cui, oggi, solo un guardiano del Potere puo' decidere chi entra per curare l' indottrinamento dei ragazzi!
Per evangelizzare bisognerebbe avvalersi di un linguaggio semplice, che sappia essere comprensibile anche a all' ateo e all' indifferente. Un linguaggio che sappia uscire dal gergo dottrinario senza tradire il nocciolo del messaggio. Un po' quello che, tra mille equilibrismi e mille incompetenze, provo a fare meditando sul Vangelo domenicale.
Il potere e la gloria
Si puo' essere Santi e Peccatori al contempo?
La nostra mente non è abbastanza multitasking per concepire qualcosa del genere. Se il peccato è pensato a dovere, non riusciamo più a perdonare il colpevole, figuriamoci a "santificarlo"!
Di sicuro comunque si tratta di una miscela esplosiva che detona nei romanzi di molti scrittori cattolici dove di continuo si mette in scena il suddetto ircovervo.
Il Santo sul bilico della superbia occupa con teatralità un posto d' onore nei libri di Mauriac, di Bernanos, di Julien Green, di Eliot.
Ora, il Tipo l' ho incontrato di nuovo nelle pagine di Graham Greene.
"... Un piccolo grande uomo, un piccolo grande prete, si sente incomprensibilmente condannato a sopravvivere come l’ultimo indegno ministro di Dio nel Messico insanguinato dalla rivoluzione..."
Nella vita quotidiana Padre X, oltre che vigliacco, è un gran pettegolo.
Quando poi nella storia fiorisce la regolare cristianofobia con allegata caccia al prete - in questo caso ambientata nel corso della Rivoluzione Messicana - per negligenza è tra gli ultimi a telare. Prima di svignarsela si rende conto però che non è semplicemente "tra gli ultimi" ma è proprio l' ultimo. Cavolo!
Tutto cio' lo inorgoglisce e, tentato dalla superbia, decide eroicamente di restare per confessare e comunicare il popolo che lo chiede sottovoce ma in massa; il prete indegno si rende così complice di questa strisciante resistenza alla solita "creazione dell' uomo nuovo".
Fuggendo di villaggio in villaggio inseguito da un incorruttibile tenente e invocato ovunque da pezzenti desiderosi del santissimo sacramento, avrebbe molte occasioni per mettersi in salvo, ma alla salvezza rinuncia: il destino lo chiama e lui, nemmeno in assenza di testimoni, puo' fingere di non sentire. L' ultimo cristiano che dovrà confessare sarà se stesso.
I "romanzi cattolici" sono infestati da vite interiori esorbitanti, c' è sempre un gran meditare sulle sorti proprie e dell' umanità, il che fa diventare laboriosa la digestione dell' opera. Solo l' investigatore dei noir si strugge nella sua consapevolezza tanto quanto il peccatore dei romanzi cattolici. Entrambi appesantiscono e fanno stagnare i libri che li ospitano.
[E' anche il motivo per cui mi piace tanto Flannery O' Connor: nelle sue storie la croce è innalzata da figuri scarsamente inclini a fare il punto della situazione o l' esame di coscienza, una forza li coglie sbatacchiando loro e i loro possibili pensieri che non vogliamo conoscere; pochi "mumble mumble" e molta trance]
Però, se lo scrittore è di vaglia, e i citati lo sono, con un po' d' impegno qualche insegnamento lo cavi.
In questo caso ben due.
1. La grandezza della Chiesa Cattolica sta nell' aver costruito un carro che procede anche quando alla guida ci sono persone indegne. [Per la Rivoluzione, tanto per dire, è diverso: non appena cessano gli "incorruttibili" il carro capotta].
2. Il concetto di "destino" non si contrappone a quello di "libertà", bensì a quello di "caso".
La nostra mente non è abbastanza multitasking per concepire qualcosa del genere. Se il peccato è pensato a dovere, non riusciamo più a perdonare il colpevole, figuriamoci a "santificarlo"!
Di sicuro comunque si tratta di una miscela esplosiva che detona nei romanzi di molti scrittori cattolici dove di continuo si mette in scena il suddetto ircovervo.
Il Santo sul bilico della superbia occupa con teatralità un posto d' onore nei libri di Mauriac, di Bernanos, di Julien Green, di Eliot.
Ora, il Tipo l' ho incontrato di nuovo nelle pagine di Graham Greene.
"... Un piccolo grande uomo, un piccolo grande prete, si sente incomprensibilmente condannato a sopravvivere come l’ultimo indegno ministro di Dio nel Messico insanguinato dalla rivoluzione..."
Nella vita quotidiana Padre X, oltre che vigliacco, è un gran pettegolo.
Quando poi nella storia fiorisce la regolare cristianofobia con allegata caccia al prete - in questo caso ambientata nel corso della Rivoluzione Messicana - per negligenza è tra gli ultimi a telare. Prima di svignarsela si rende conto però che non è semplicemente "tra gli ultimi" ma è proprio l' ultimo. Cavolo!
Tutto cio' lo inorgoglisce e, tentato dalla superbia, decide eroicamente di restare per confessare e comunicare il popolo che lo chiede sottovoce ma in massa; il prete indegno si rende così complice di questa strisciante resistenza alla solita "creazione dell' uomo nuovo".
Fuggendo di villaggio in villaggio inseguito da un incorruttibile tenente e invocato ovunque da pezzenti desiderosi del santissimo sacramento, avrebbe molte occasioni per mettersi in salvo, ma alla salvezza rinuncia: il destino lo chiama e lui, nemmeno in assenza di testimoni, puo' fingere di non sentire. L' ultimo cristiano che dovrà confessare sarà se stesso.
I "romanzi cattolici" sono infestati da vite interiori esorbitanti, c' è sempre un gran meditare sulle sorti proprie e dell' umanità, il che fa diventare laboriosa la digestione dell' opera. Solo l' investigatore dei noir si strugge nella sua consapevolezza tanto quanto il peccatore dei romanzi cattolici. Entrambi appesantiscono e fanno stagnare i libri che li ospitano.
[E' anche il motivo per cui mi piace tanto Flannery O' Connor: nelle sue storie la croce è innalzata da figuri scarsamente inclini a fare il punto della situazione o l' esame di coscienza, una forza li coglie sbatacchiando loro e i loro possibili pensieri che non vogliamo conoscere; pochi "mumble mumble" e molta trance]
Però, se lo scrittore è di vaglia, e i citati lo sono, con un po' d' impegno qualche insegnamento lo cavi.
In questo caso ben due.
1. La grandezza della Chiesa Cattolica sta nell' aver costruito un carro che procede anche quando alla guida ci sono persone indegne. [Per la Rivoluzione, tanto per dire, è diverso: non appena cessano gli "incorruttibili" il carro capotta].
2. Il concetto di "destino" non si contrappone a quello di "libertà", bensì a quello di "caso".
Good Bye Lenin
Taroccare la Storia costa una gran fatica ma per amore lo si puo' fare, e magari anche divertendosi.
Good Bye Lenin, nei toni della commedia, racconta le peripezie di chi ci prova.
Benigni ne "La vita è bella" costruisce un nazismo di cartone affinchè si possa sognare di non essere oppressi. Alex fa di più: il comunismo di cartone che mette in piedi serve per poter sognare di non opprimere il prossimo. Sarei curioso dell' operazione inversa.
L' eutanasia della fanatica mamma viene accompagnata simulando il crollo del muro attraverso le cui brecce gli occidentali finalmente potranno unirsi al sogno - i sogni e le buone intenzioni sono i veri protagonisti del racconto - del comunismo realizzato e mammificato, abbandonando così un fatuo mondo ormai al collasso e dominato dalla dura legge paterna delle merci.
Un film bellino, mi uniformo al giudizio di Davide. Ma la morale?
La mia versione: prima ci autoingannavamo... ora ci ingannano.
Un' equiparazione che striscia parallela alla storia e che risulta difficile da accettare, una morale che quindi respingo ma che il film ha il merito di proporre in modo discreto e senza vincolarci ad essa. Scommetto infatti che molte altre letture sono possibili.
p.s. Metto di seguito, in ordine sparso, i miei prossimi cineclub - chi è interessato puo' averli sidponibili in rete. Ringrazio per i consigli ricevuti.
Aguirre furore di Dio
Fight club
Grizzly man
Inception
Gattaca
La nana
Match point (woody allen)
City Island
Il nastro bianco
Thank you for smoking
Moloch (il film su Hitler di Sukorov)
...
Good Bye Lenin, nei toni della commedia, racconta le peripezie di chi ci prova.
Benigni ne "La vita è bella" costruisce un nazismo di cartone affinchè si possa sognare di non essere oppressi. Alex fa di più: il comunismo di cartone che mette in piedi serve per poter sognare di non opprimere il prossimo. Sarei curioso dell' operazione inversa.
L' eutanasia della fanatica mamma viene accompagnata simulando il crollo del muro attraverso le cui brecce gli occidentali finalmente potranno unirsi al sogno - i sogni e le buone intenzioni sono i veri protagonisti del racconto - del comunismo realizzato e mammificato, abbandonando così un fatuo mondo ormai al collasso e dominato dalla dura legge paterna delle merci.
Un film bellino, mi uniformo al giudizio di Davide. Ma la morale?
La mia versione: prima ci autoingannavamo... ora ci ingannano.
Un' equiparazione che striscia parallela alla storia e che risulta difficile da accettare, una morale che quindi respingo ma che il film ha il merito di proporre in modo discreto e senza vincolarci ad essa. Scommetto infatti che molte altre letture sono possibili.
p.s. Metto di seguito, in ordine sparso, i miei prossimi cineclub - chi è interessato puo' averli sidponibili in rete. Ringrazio per i consigli ricevuti.
Aguirre furore di Dio
Fight club
Grizzly man
Inception
Gattaca
La nana
Match point (woody allen)
City Island
Il nastro bianco
Thank you for smoking
Moloch (il film su Hitler di Sukorov)
...
mercoledì 17 novembre 2010
Mica stupido il ragazzo
Turi gestisce una bisca in periferia. Lo fa con competenza e sensibilità, non è uno stupido.
Gli affari vanno bene, ci si incontra almeno due notti a settimana e il denaro scorre a fiumi.
Turi sa il fatto suo e i giocatori si fidano di lui.
Recentemente alla sala principale si è affiancata una sala secondaria dove è possibile scommettere in modo clandestino. Vista la fauna che frequenta il locale è facile prevedere che sarà allettata da questa nuova opportunità.
Anche in questo caso Turi non è stato affatto stupido, l' ha pensata bene, altrochè.
Per Turi i rischi sono tanti ma il gioco vale la candela, sta mettendo via un bel po' di soldi e riesce pure a riciclarli facendo affidamento su banchieri compiacenti del Nord con cui è venuto in contatto grazie ad un tizio di Milano che frequenta la bisca.
L' illegalità è un terreno irto di mille pericoli ma ora che Turi ha imparato a muoversi su quel terreno capisce che ci sono anche mille chances, specie se sei un tipo sveglio. E Turi non è affatto stupido.
Da qualche tempo alcuni dicono che nella sua sala circolano donnine che allietano regolarmente le serate dei vincitori. Ed è proprio così, Turi, che non è stupido, ha fiutato l' affare contattando Pippo che gli ha fornito la "materia prima".
E da dove spunta Pippo? Bè, è un ceffo losco e nell' ambiente ci si conosce un po' tutti, specie se non si è dei fessi.
Pippo è un tipo poco raccomandabile ma gli affari sono affari e questi sono affari veramente notevoli. In più Pippo è una via per arrivare a killer affidabili e Turi ha sempre intorno scocciatori di cui è bene liberarsi prima che possano fare veramente danno. Bisogna farlo presto e con discrezione.
Ora poi il buon Pippo ha avanzato anche proposte per una nuova joint venture, si parla di droghe, roba che rende, non bruscolini. I due vogliono allargarsi, mica sono degli stupidi.
E' un campo minato, il rischio è alto. Ma Turi è già dentro fino al collo, quel rischio non lo spaventa come spaventerebbe un principiante, lui ne gestisce già parecchio e questo è solo una piccola giunta che contribuisce a diversificare il rischio complessivo. Alla fine il rischio complessivo per lui diminuisce anzichè aumentare. Razionale il nostro Turi, nevvero?
E poi ormai è uno del ramo, ovvero, è un rischio che governato dalla sua esperienza si riduce considerevolmente.
Ma le assicurazioni non bastano mai e la migliore assicurazione in questi casi è la corruzione. Con la corruzione ti assicuri su tutto.
Turi già stipendiava la polizia di quartiere, ora, per essere lasciato in pace, guarda in alto, alla politica, e comincia a riciclare lì una parte dei profitti. Ne vale la pena e Turi, non essendo stupido, lo sa.
Le nuove conoscenze gli consentono di manovrare anche gli appalti, ne girano parecchi in una Regione come quella in cui vive ed opera Turi, una Regione alluvionata da sempre con l' elemosina di altre Regioni. Nessuno si sorprenderà se dirò che Turi, da un giorno all' altro, si butta nell' edilizia.
Il lavoro non manca di certo ma le scartoffie lo opprimono e le tasse limitano la rendita. La soluzione è subito pronta: un bell' unguento ad Agenzia Entrate e Ispettorato del Lavoro e il gioco è fatto. Turi non è scemo, per altre ragioni possiede tonnellate di quel miracoloso unguento e nessuno come lui sa somministrarlo. Lo fa da sempre e le economie di scala per certe cose pesano.
Ora finalmente si puo' lavorare in nero cosicchè i ricavi lievitano. Al resto ci pensa la concorrenza sleale di cui Turi puo' godere. Mica stupido il ragazzo.
Turiddu è ricco e felice, oltretutto non manca l' opportunità di arrotondare.
Le banche abbandonano proprio le imprese più bisognose, che vigliacche.
Nessuna paura! C' è Turi, lui presta... con tassi a doppia cifra (mica è stupido)... ma presta.
Alle frontiere diversi disperati chiedono di entrare, e sono pure carichi di denaro. Non saranno carichi d' oro ma loro sono in tanti e portano con loro i risparmi di una vita. Turiddu subodora l' affare e si butta nel ramo dell' immigrazione clandestina. Le conoscenze giuste le ha già.
A proposito di conoscenze, visto che Turi ha dovuto approfondire i rapporti con la polizia di confine, già che c' è mette su un bel contrabbando. Uno solo? Visto che non è stupido ne mette su due, anzi tre, anzi quattro...
Domani ci sono le elezioni ma Turi snobba la politica, non snobba invece i politici che foraggia regolarmente ricevendo in cambio i loro servigi.
Vince Bronko che entrerà in carica l' indomani.
Alle 8.00 di mattina, appena dopo l' insediamento, viene emanato un decreto legge urgente di sole 9 righe. E' un "decreto anti-mafia" e Turi dovrebbe leggere con attenzione tutte e nove le righe.
- bische liberalizzate;
- scommesse liberalizzate;
- prosituzione liberalizzata;
- usura liberalizzata;
- droga liberalizzata;
- corruzione liberalizzata;
- elemosina tra Regioni azzerati;
- tasse decimate;
- deregolamentazione del commercio;
- tariffe doganali abolite.
Quand' anche Turi non si interessi di politica, questo genere di politica s' interesserà molto presto di lui.
E Turi, che non è stupido, lo capisce.
La sua destrezza di criminale lo portava ad essere il migliore in quei campi, ora che la destrezza da criminale non serve più per certi affari, sarà ancora il migliore?
Cosa resta a Turi? Il campo delle estorsioni? Inutile rischiare la galera per quattro misere lire, Turi non è uno stuipido.
Cosa resta a Turi? Il campo del riciclaggio? Ma praticamente nessuno ha più niente da riciclare?
Forse gli resta la sua capacità di corrompere. Mmmmm con così poche regole il grasso non cola più da quelle bistecche. Con 10 regole ci sono 10 motivi per corrompere ma se la regola è una sola?
Le regole sono diminuite e gli anni di galera sono aumentati, meglio lasciar perdere.
Le regole sono diminuite ma la polizia è rimasta la stessa e si dedica in massa a far rispettare le poche regole rimaste. Meglio guardare altrove.
Turi non è stupido, e l' ha capito.
In realtà a Turi qualcosa è rimasto: la sua non-stupidità.
Nei settori dove lavorava prima aveva maturato un' abilità che andava al di là delle protezioni criminali di cui godeva. Sono mercati giovani e gli ex-onesti non possono essere esperti quanto gli ex-criminali come lui.
Lui sa scegliere la "roba" migliore, le sue donnine sono uno schianto e i suoi locali sono sempre i più accoglienti. Si è dimostrato umano con i mutuatari e loro ancora si rivolgono a lui. Turi conosce i suoi polli.
Turi non era uno stupido, ci sa fare anche nei suoi campi specifici. Solo che oggi si dà da fare nella legalità.
Se non si è stupidi si capisce al volo quel che conviene e a Turi conviene diventare un ex-criminale a tutti gli effetti.
Paga poche tasse per il semplice fatto che le tasse sono poche, i suoi affari prosperano anche più di prima poichè puo' farli alla luce del sole risparmiando parecchio: non serve più alcuna polizzaper i rischi più seri.
Oggi è uno dei maggiori contribuenti del Paese, un Paese che va avanti grazie anche a Turi, un Paese che deve dire grazie se Turi non è uno stupido.
Era un demonio ed è diventasto un eroe civile. Mica stupido il ragazzo.
***
Conoscete Roberto Saviano? E' uno scrittore importante che ci ha raccontato la Mafia.
In fondo la Mafia che ci racconta Saviano la conoscevamo già.
Eppure una cosa nuova Saviano ce la dice, ci dice: i criminali mafiosi non sono degli stupidi.
Saviano ci narra di questa intelligenza del crimine parlandoci in lungo e in largo dei suoi investimenti e della capacità di fare affari.
Saviano è molto allarmato quando dice che il crimine non è stupido.
Strano perchè nel mio apologo è proprio facendo leva sulla non-stupidità del crimine che si trasforma l' inferno in un paradiso.
Io, al contrario di Saviano, tiro un sospiro di sollievo sentendo che il crimine non è stupido, cio' sigbifica solo che c' è una concreta possibilità di salvezza. Reputo che sia abbastanza stupido non capirlo e non rallegrarsi a questa buona notizia.
Mi sembra che sia diventato inutile aggiungere qui il mio giudizio su Saviano, a prescindere dal suo coraggio.
Meglio puntare sull' intelligenza dei criminali o sulla loro "conversione"? Saviano e Bronko fanno in merito scelte differenti, non c' è che dire. Una legge in meno a volte è meglio di mille prediche.
***
P.S. questo post è ispirato alle parole che Roberto Saviano ha recentemente riservato a Gianfranco Miglio e mira a mettere in evidenza come il giovane probabilmente non comprenda i pensieri del vecchio saggio in tema di mafia e mettendolo alla berlina non aiuta nemmeno gli altri a farlo.
Gli affari vanno bene, ci si incontra almeno due notti a settimana e il denaro scorre a fiumi.
Turi sa il fatto suo e i giocatori si fidano di lui.
Recentemente alla sala principale si è affiancata una sala secondaria dove è possibile scommettere in modo clandestino. Vista la fauna che frequenta il locale è facile prevedere che sarà allettata da questa nuova opportunità.
Anche in questo caso Turi non è stato affatto stupido, l' ha pensata bene, altrochè.
Per Turi i rischi sono tanti ma il gioco vale la candela, sta mettendo via un bel po' di soldi e riesce pure a riciclarli facendo affidamento su banchieri compiacenti del Nord con cui è venuto in contatto grazie ad un tizio di Milano che frequenta la bisca.
L' illegalità è un terreno irto di mille pericoli ma ora che Turi ha imparato a muoversi su quel terreno capisce che ci sono anche mille chances, specie se sei un tipo sveglio. E Turi non è affatto stupido.
Da qualche tempo alcuni dicono che nella sua sala circolano donnine che allietano regolarmente le serate dei vincitori. Ed è proprio così, Turi, che non è stupido, ha fiutato l' affare contattando Pippo che gli ha fornito la "materia prima".
E da dove spunta Pippo? Bè, è un ceffo losco e nell' ambiente ci si conosce un po' tutti, specie se non si è dei fessi.
Pippo è un tipo poco raccomandabile ma gli affari sono affari e questi sono affari veramente notevoli. In più Pippo è una via per arrivare a killer affidabili e Turi ha sempre intorno scocciatori di cui è bene liberarsi prima che possano fare veramente danno. Bisogna farlo presto e con discrezione.
Ora poi il buon Pippo ha avanzato anche proposte per una nuova joint venture, si parla di droghe, roba che rende, non bruscolini. I due vogliono allargarsi, mica sono degli stupidi.
E' un campo minato, il rischio è alto. Ma Turi è già dentro fino al collo, quel rischio non lo spaventa come spaventerebbe un principiante, lui ne gestisce già parecchio e questo è solo una piccola giunta che contribuisce a diversificare il rischio complessivo. Alla fine il rischio complessivo per lui diminuisce anzichè aumentare. Razionale il nostro Turi, nevvero?
E poi ormai è uno del ramo, ovvero, è un rischio che governato dalla sua esperienza si riduce considerevolmente.
Ma le assicurazioni non bastano mai e la migliore assicurazione in questi casi è la corruzione. Con la corruzione ti assicuri su tutto.
Turi già stipendiava la polizia di quartiere, ora, per essere lasciato in pace, guarda in alto, alla politica, e comincia a riciclare lì una parte dei profitti. Ne vale la pena e Turi, non essendo stupido, lo sa.
Le nuove conoscenze gli consentono di manovrare anche gli appalti, ne girano parecchi in una Regione come quella in cui vive ed opera Turi, una Regione alluvionata da sempre con l' elemosina di altre Regioni. Nessuno si sorprenderà se dirò che Turi, da un giorno all' altro, si butta nell' edilizia.
Il lavoro non manca di certo ma le scartoffie lo opprimono e le tasse limitano la rendita. La soluzione è subito pronta: un bell' unguento ad Agenzia Entrate e Ispettorato del Lavoro e il gioco è fatto. Turi non è scemo, per altre ragioni possiede tonnellate di quel miracoloso unguento e nessuno come lui sa somministrarlo. Lo fa da sempre e le economie di scala per certe cose pesano.
Ora finalmente si puo' lavorare in nero cosicchè i ricavi lievitano. Al resto ci pensa la concorrenza sleale di cui Turi puo' godere. Mica stupido il ragazzo.
Turiddu è ricco e felice, oltretutto non manca l' opportunità di arrotondare.
Le banche abbandonano proprio le imprese più bisognose, che vigliacche.
Nessuna paura! C' è Turi, lui presta... con tassi a doppia cifra (mica è stupido)... ma presta.
Alle frontiere diversi disperati chiedono di entrare, e sono pure carichi di denaro. Non saranno carichi d' oro ma loro sono in tanti e portano con loro i risparmi di una vita. Turiddu subodora l' affare e si butta nel ramo dell' immigrazione clandestina. Le conoscenze giuste le ha già.
A proposito di conoscenze, visto che Turi ha dovuto approfondire i rapporti con la polizia di confine, già che c' è mette su un bel contrabbando. Uno solo? Visto che non è stupido ne mette su due, anzi tre, anzi quattro...
Domani ci sono le elezioni ma Turi snobba la politica, non snobba invece i politici che foraggia regolarmente ricevendo in cambio i loro servigi.
Vince Bronko che entrerà in carica l' indomani.
Alle 8.00 di mattina, appena dopo l' insediamento, viene emanato un decreto legge urgente di sole 9 righe. E' un "decreto anti-mafia" e Turi dovrebbe leggere con attenzione tutte e nove le righe.
- bische liberalizzate;
- scommesse liberalizzate;
- prosituzione liberalizzata;
- usura liberalizzata;
- droga liberalizzata;
- corruzione liberalizzata;
- elemosina tra Regioni azzerati;
- tasse decimate;
- deregolamentazione del commercio;
- tariffe doganali abolite.
Quand' anche Turi non si interessi di politica, questo genere di politica s' interesserà molto presto di lui.
E Turi, che non è stupido, lo capisce.
La sua destrezza di criminale lo portava ad essere il migliore in quei campi, ora che la destrezza da criminale non serve più per certi affari, sarà ancora il migliore?
Cosa resta a Turi? Il campo delle estorsioni? Inutile rischiare la galera per quattro misere lire, Turi non è uno stuipido.
Cosa resta a Turi? Il campo del riciclaggio? Ma praticamente nessuno ha più niente da riciclare?
Forse gli resta la sua capacità di corrompere. Mmmmm con così poche regole il grasso non cola più da quelle bistecche. Con 10 regole ci sono 10 motivi per corrompere ma se la regola è una sola?
Le regole sono diminuite e gli anni di galera sono aumentati, meglio lasciar perdere.
Le regole sono diminuite ma la polizia è rimasta la stessa e si dedica in massa a far rispettare le poche regole rimaste. Meglio guardare altrove.
Turi non è stupido, e l' ha capito.
In realtà a Turi qualcosa è rimasto: la sua non-stupidità.
Nei settori dove lavorava prima aveva maturato un' abilità che andava al di là delle protezioni criminali di cui godeva. Sono mercati giovani e gli ex-onesti non possono essere esperti quanto gli ex-criminali come lui.
Lui sa scegliere la "roba" migliore, le sue donnine sono uno schianto e i suoi locali sono sempre i più accoglienti. Si è dimostrato umano con i mutuatari e loro ancora si rivolgono a lui. Turi conosce i suoi polli.
Turi non era uno stupido, ci sa fare anche nei suoi campi specifici. Solo che oggi si dà da fare nella legalità.
Se non si è stupidi si capisce al volo quel che conviene e a Turi conviene diventare un ex-criminale a tutti gli effetti.
Paga poche tasse per il semplice fatto che le tasse sono poche, i suoi affari prosperano anche più di prima poichè puo' farli alla luce del sole risparmiando parecchio: non serve più alcuna polizzaper i rischi più seri.
Oggi è uno dei maggiori contribuenti del Paese, un Paese che va avanti grazie anche a Turi, un Paese che deve dire grazie se Turi non è uno stupido.
Era un demonio ed è diventasto un eroe civile. Mica stupido il ragazzo.
***
Conoscete Roberto Saviano? E' uno scrittore importante che ci ha raccontato la Mafia.
In fondo la Mafia che ci racconta Saviano la conoscevamo già.
Eppure una cosa nuova Saviano ce la dice, ci dice: i criminali mafiosi non sono degli stupidi.
Saviano ci narra di questa intelligenza del crimine parlandoci in lungo e in largo dei suoi investimenti e della capacità di fare affari.
Saviano è molto allarmato quando dice che il crimine non è stupido.
Strano perchè nel mio apologo è proprio facendo leva sulla non-stupidità del crimine che si trasforma l' inferno in un paradiso.
Io, al contrario di Saviano, tiro un sospiro di sollievo sentendo che il crimine non è stupido, cio' sigbifica solo che c' è una concreta possibilità di salvezza. Reputo che sia abbastanza stupido non capirlo e non rallegrarsi a questa buona notizia.
Mi sembra che sia diventato inutile aggiungere qui il mio giudizio su Saviano, a prescindere dal suo coraggio.
Meglio puntare sull' intelligenza dei criminali o sulla loro "conversione"? Saviano e Bronko fanno in merito scelte differenti, non c' è che dire. Una legge in meno a volte è meglio di mille prediche.
***
P.S. questo post è ispirato alle parole che Roberto Saviano ha recentemente riservato a Gianfranco Miglio e mira a mettere in evidenza come il giovane probabilmente non comprenda i pensieri del vecchio saggio in tema di mafia e mettendolo alla berlina non aiuta nemmeno gli altri a farlo.
Riflettere per anni
Parlando di Robin Hanson:
"... ancora secondo Robin, i soldi che le società avanzate spendono per l' assistenza sanitaria sono sprecati. Giacchè i medici uccidono tante persone quante ne salvano, vivremmo altrettanto a lungo anche senza di loro. Tutto questo sa un po' di follia ma il fatto è che i dati, oltre un certo livello, non mostrano alcuna correlazione, sia a livello internazionale che a livello nazionale, tra spesa sanitaria e aspettativa di vita...
... Bryan Caplan, altro mio amico e collega, la mette così: "Quando l' economista tipo mi illustra la sua ultima ricerca, la mia reazione standard è "Ah... forse". Poi l' accantono per sempre. Quando è Robin Hanson a illustrarmi la sua ultima ricerca, la mia reazione standard è: "No, impossibile". Poi ci rifletto per anni".
Tyler Cowen - No crac.
"... ancora secondo Robin, i soldi che le società avanzate spendono per l' assistenza sanitaria sono sprecati. Giacchè i medici uccidono tante persone quante ne salvano, vivremmo altrettanto a lungo anche senza di loro. Tutto questo sa un po' di follia ma il fatto è che i dati, oltre un certo livello, non mostrano alcuna correlazione, sia a livello internazionale che a livello nazionale, tra spesa sanitaria e aspettativa di vita...
... Bryan Caplan, altro mio amico e collega, la mette così: "Quando l' economista tipo mi illustra la sua ultima ricerca, la mia reazione standard è "Ah... forse". Poi l' accantono per sempre. Quando è Robin Hanson a illustrarmi la sua ultima ricerca, la mia reazione standard è: "No, impossibile". Poi ci rifletto per anni".
Tyler Cowen - No crac.
martedì 16 novembre 2010
Mi sono preso un po' di tempo per leggere lo pseudoromanzo "Se una notte d' inverno un viaggiatore...". Lo dico a giustificazione della tardiva replica. D' altronde il forum serve anche a questo: fornire pretesti di lettura.
A quanto pare anche il romanzo di cui parliamo ha funzionato bene sopratutto come pretesto. Pretesto per un dibattito serrato intorno alle nuove scritture dell' epoca.
Calvino fa partire dieci storie come fossero dieci treni che sfumano all' orizzonte e di cui presto perderemo le tracce. Forse vuole catturare la naturale benevolenza con cui ogni lettore si equipaggia nell' accingersi a prendere in mano un libro. Solo che questo caso è diverso: io-lettore so in anticipo che oltre all' attacco non ci sarà nulla, che i treni sono diretti in un non-luogo.
D' altronde la figura del lettore non sembra in cima alle preoccupazioni di Calvino. Lui è concentrato sullo scrivente, sulla fonte dell' affabulazione: propone il suo racconto come un ponte sul vuoto e procede in cerca di fortuna buttando avanti notizie e sensazioni per creare uno sfondo di rivolgimenti tra i quali spera presto o tardi di aprire un varco.
"Mi faccio largo nella profusione di dettagli che coprono un vuoto di cui il mio slancio di scrittore non vuole accorgersi". Devo ammettere che aderisco a queste sensazioni solo grazie alla mia minuscola esperienza di scrivente, ma, in quanto lettore, rimango estraneo.
Il laccio che mi lega alla storia è sempre lasco, salto pagine su pagine e quando riprendo a leggere non mi pento mai dei buchi che ho lasciato dietro di me. E' la classica sintomatologia di chi ha tra le mani un testo sperimentale. Alla fine i capitoli più interessanti sono quelli che descrivono la cornice, ovvero quelli più esplicitamente metaromanzeschi. E non si puo' nemmeno dire che producano un anticlimax, visto che non c' è traccia di atmosfere da "rompere".
In fondo Calvino non ha nulla da dirci e paga cara questa lacuna. Non capirlo è stata l' ingenuità delle nostre avanguardie recenti.
Questo "nulla" a volte appare nella sua fredda luminosità da galleria degli specchi, altre volte viene occultato alla bell' e meglio da una saturazione di storie che, come avvoltoi, girano intorno a quella principale costituendo una perenne distrazione per chi racconta, specie per chi non ha particolari urgenze di dirci qualcosa, e Calvino appartiene proprio a questa schiatta. Alla fine la moltitudine di favole in campo non produce sinergie ma solo straniamenti.
Quanto al nostro discorso sulle allegorie, sono sempre dell' avviso che l' idea di vedere questi testi come neo allegorici, per quanto vada presa con le pinze, sia una buona intuizione, anche se mi permetterai di buttare lì una riserva.
Posto che l' astrazione allegorizzata dovrebbe essere la Scrittura, Calvino non dà mai l' impressione di volersi realmente affrancare dal suo mondo, al limite ci resoconta i segni di quel movimento invisibile che è la lettura: la rotazione di uno sguardo che scorre un rigo, il balletto della pupilla tra il nero delle parole... Cio' lo rende piuttosto improduttivo come fonte di allegorie propriamente dette.
Rendiamo comunque omaggio all' amore per i libri che aveva questo autore, e ai mille pretesti inventati da una fantasia sbrigliata per passarci insieme più tempo possibile.
A quanto pare anche il romanzo di cui parliamo ha funzionato bene sopratutto come pretesto. Pretesto per un dibattito serrato intorno alle nuove scritture dell' epoca.
Calvino fa partire dieci storie come fossero dieci treni che sfumano all' orizzonte e di cui presto perderemo le tracce. Forse vuole catturare la naturale benevolenza con cui ogni lettore si equipaggia nell' accingersi a prendere in mano un libro. Solo che questo caso è diverso: io-lettore so in anticipo che oltre all' attacco non ci sarà nulla, che i treni sono diretti in un non-luogo.
D' altronde la figura del lettore non sembra in cima alle preoccupazioni di Calvino. Lui è concentrato sullo scrivente, sulla fonte dell' affabulazione: propone il suo racconto come un ponte sul vuoto e procede in cerca di fortuna buttando avanti notizie e sensazioni per creare uno sfondo di rivolgimenti tra i quali spera presto o tardi di aprire un varco.
"Mi faccio largo nella profusione di dettagli che coprono un vuoto di cui il mio slancio di scrittore non vuole accorgersi". Devo ammettere che aderisco a queste sensazioni solo grazie alla mia minuscola esperienza di scrivente, ma, in quanto lettore, rimango estraneo.
Il laccio che mi lega alla storia è sempre lasco, salto pagine su pagine e quando riprendo a leggere non mi pento mai dei buchi che ho lasciato dietro di me. E' la classica sintomatologia di chi ha tra le mani un testo sperimentale. Alla fine i capitoli più interessanti sono quelli che descrivono la cornice, ovvero quelli più esplicitamente metaromanzeschi. E non si puo' nemmeno dire che producano un anticlimax, visto che non c' è traccia di atmosfere da "rompere".
In fondo Calvino non ha nulla da dirci e paga cara questa lacuna. Non capirlo è stata l' ingenuità delle nostre avanguardie recenti.
Questo "nulla" a volte appare nella sua fredda luminosità da galleria degli specchi, altre volte viene occultato alla bell' e meglio da una saturazione di storie che, come avvoltoi, girano intorno a quella principale costituendo una perenne distrazione per chi racconta, specie per chi non ha particolari urgenze di dirci qualcosa, e Calvino appartiene proprio a questa schiatta. Alla fine la moltitudine di favole in campo non produce sinergie ma solo straniamenti.
Quanto al nostro discorso sulle allegorie, sono sempre dell' avviso che l' idea di vedere questi testi come neo allegorici, per quanto vada presa con le pinze, sia una buona intuizione, anche se mi permetterai di buttare lì una riserva.
Posto che l' astrazione allegorizzata dovrebbe essere la Scrittura, Calvino non dà mai l' impressione di volersi realmente affrancare dal suo mondo, al limite ci resoconta i segni di quel movimento invisibile che è la lettura: la rotazione di uno sguardo che scorre un rigo, il balletto della pupilla tra il nero delle parole... Cio' lo rende piuttosto improduttivo come fonte di allegorie propriamente dette.
Rendiamo comunque omaggio all' amore per i libri che aveva questo autore, e ai mille pretesti inventati da una fantasia sbrigliata per passarci insieme più tempo possibile.
Libri che leggono altri libri
Ci sono alcuni libri che, per me, hanno un doppio valore.
Primo, perchè mi piacciono e godo nel leggerli.
Secondo, perchè mi hanno fatto riscoprire altri loro "fratellini" che dapprima mi avevano deluso.
**
Quello che a molti capita con i Promessi Sposi a me capitò con Mobydick.
Ripensando a quell' avventura direi che il "senso del dovere" è una qualità preziosa per il cittadino. Ma non per il lettore.
E' il "senso del dovere", prima ancora della scuola in sè, a rovinarci molte esperienze di lettura.
Per un malinteso senso del dovere, diversi anni fa, presi in mano Mobidick. Ma di mano mi scappò, tant' è che cadde in terra. Lo raccolsi ma cadde di nuovo.
Il Capolavoro non si lasciava impugnare. Come mai?
Sarà perchè quando i capolavori sono tali all' inizio della lettura anzichè alla fine, non si riescono mai a stanare e restano celati dietro spesse cortine.
A nulla valgono torrenziali prefazioni, scrupolose note a piè di pagina, efficaci sintesi, originali percorsi critici. Sempre sfuggenti restano.
Si direbbe persino che chi ci incoraggia verso di loro tema in segreto che anche noi si possa partecipare al godimento della bellezza.
Quasi che la bellezza del capolavoro sia una torta data da dividere tra tutti. Per ciascuno che si aggiunge al tavolo la fetta si assottiglia.
Nel frattempo Achab correva dietro la balena cumulando frustrazioni e io correvo dietro ad Achab ancora più deluso.
In quelle condizioni cosa potevo fare? Mi dibattevo goffamente...impigliato nelle gomeme, ancorato dalle ancore, arpionato come un San Sebastiano, bloccato sulle sartie preda delle vertigini.
Reso così il contesto, si puo' ben capire perchè arrivai in fondo alla mia impresa "doverosa" con spirito loffio e felicemente dimentico di tutte le pagine che mi lasciavo alle spalle.
Ascoltavo distratto le urla di Achab in attesa della mia liberazione e la mia liberazione arrivò con l' ultimo rigo dell' ultimo capitolo.
***
Quindici anni dopo, aggirandomi per librerie ormai lettore anarcoide privo di ogni "senso del dovere" e governato solo da istinti e curiosità transuenti, feci il mio incontro con la corrente pulsante del fantasmagorico "battezzatore" caraibico Derek Walcott.
E' stata questa specie di "Oh Capitano, mio Capitano" che mi ha istruito su come cavalcare la salsa onda oceanica. Che mi ha insegnato a domarne la veemenza e a gridare con la giusta impostazione di voce: "all' abbordaggio!!"
L' incessante filo di febbre che gli accende la pupilla, il suo verso informe, opulento e dilagante, mi ha convertito definitivamente alle sproporzioni della Parola Epica.
Una parola gremita di ambizioni e che deve uscire sbrodolante dalla conchiglia delle labbra...ormai quella lezione mi si è fissata in testa con la solidità di una paranoia.
Non pensavo che alla mia età potesse nascermi dentro questo ulteriore piccolo "io", un fratellino. Non te l' aspetti davvero di germogliare ancora in tempo di morte.
Grazie a lui ho toccato con mano la dismisura di una lingua inventata apposta per nominare esseri che oltrepassano le nostre facoltà.
...Le Balene Bianche, tanto per dirne una.
Tutto cio' ha avuto parecchie conseguenze.
Per esempio: con uno spintone selvaggio sono stato ributtato a bordo del Pequod. Si (ri)salpa e si guadagna all' istante il mare aperto. Ma questa volta sento l' odore pungente di ogni alga nel cervello.
La mia astenia di fronte alle pagine di Mobydick è un ricordo del passato.
Sotto la paterna scorta dell' Omero negroide che mi siede accanto, trovo il coraggio per riprendere in mano il Grande Classico. E il Grande Classico si ridesta dal torpore prendendomi saldamente tra le sue bibliche mani.
I libri di Walcott, tutti insieme, fanno ressa intorno spiegandomi per filo e per segno ogni paragrafo del Mobydick. L' egida della sua vasta mano negra si posa sul mio capino e io mi sento onniscente: capisco tutto. Lo capisco subito.
Ormai mi hanno talmente "introdotto" che Achab è per me come un Fratello della Costa con cui spartire il bottino; la portentosa schiena del Capodoglio, invece, mi è talmente familiare che l' accarezzo con lo sguardo come fosse il mio pesce rosso vinto al luna park...
Missione compiuta quindi: il Mobydick è letto con gusto, assimilato, metabolizzato e apprezzato.
Quindici anni e anch' io ho stanato l' abissale e maligna bellezza di questo grande libro/balena.
Valeva proprio la pena di aspettare per poter fare il viaggio più avventuroso con un compagno come il mitico Derek.
Primo, perchè mi piacciono e godo nel leggerli.
Secondo, perchè mi hanno fatto riscoprire altri loro "fratellini" che dapprima mi avevano deluso.
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Quello che a molti capita con i Promessi Sposi a me capitò con Mobydick.
Ripensando a quell' avventura direi che il "senso del dovere" è una qualità preziosa per il cittadino. Ma non per il lettore.
E' il "senso del dovere", prima ancora della scuola in sè, a rovinarci molte esperienze di lettura.
Per un malinteso senso del dovere, diversi anni fa, presi in mano Mobidick. Ma di mano mi scappò, tant' è che cadde in terra. Lo raccolsi ma cadde di nuovo.
Il Capolavoro non si lasciava impugnare. Come mai?
Sarà perchè quando i capolavori sono tali all' inizio della lettura anzichè alla fine, non si riescono mai a stanare e restano celati dietro spesse cortine.
A nulla valgono torrenziali prefazioni, scrupolose note a piè di pagina, efficaci sintesi, originali percorsi critici. Sempre sfuggenti restano.
Si direbbe persino che chi ci incoraggia verso di loro tema in segreto che anche noi si possa partecipare al godimento della bellezza.
Quasi che la bellezza del capolavoro sia una torta data da dividere tra tutti. Per ciascuno che si aggiunge al tavolo la fetta si assottiglia.
Nel frattempo Achab correva dietro la balena cumulando frustrazioni e io correvo dietro ad Achab ancora più deluso.
In quelle condizioni cosa potevo fare? Mi dibattevo goffamente...impigliato nelle gomeme, ancorato dalle ancore, arpionato come un San Sebastiano, bloccato sulle sartie preda delle vertigini.
Reso così il contesto, si puo' ben capire perchè arrivai in fondo alla mia impresa "doverosa" con spirito loffio e felicemente dimentico di tutte le pagine che mi lasciavo alle spalle.
Ascoltavo distratto le urla di Achab in attesa della mia liberazione e la mia liberazione arrivò con l' ultimo rigo dell' ultimo capitolo.
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Quindici anni dopo, aggirandomi per librerie ormai lettore anarcoide privo di ogni "senso del dovere" e governato solo da istinti e curiosità transuenti, feci il mio incontro con la corrente pulsante del fantasmagorico "battezzatore" caraibico Derek Walcott.
E' stata questa specie di "Oh Capitano, mio Capitano" che mi ha istruito su come cavalcare la salsa onda oceanica. Che mi ha insegnato a domarne la veemenza e a gridare con la giusta impostazione di voce: "all' abbordaggio!!"
L' incessante filo di febbre che gli accende la pupilla, il suo verso informe, opulento e dilagante, mi ha convertito definitivamente alle sproporzioni della Parola Epica.
Una parola gremita di ambizioni e che deve uscire sbrodolante dalla conchiglia delle labbra...ormai quella lezione mi si è fissata in testa con la solidità di una paranoia.
Non pensavo che alla mia età potesse nascermi dentro questo ulteriore piccolo "io", un fratellino. Non te l' aspetti davvero di germogliare ancora in tempo di morte.
Grazie a lui ho toccato con mano la dismisura di una lingua inventata apposta per nominare esseri che oltrepassano le nostre facoltà.
...Le Balene Bianche, tanto per dirne una.
Tutto cio' ha avuto parecchie conseguenze.
Per esempio: con uno spintone selvaggio sono stato ributtato a bordo del Pequod. Si (ri)salpa e si guadagna all' istante il mare aperto. Ma questa volta sento l' odore pungente di ogni alga nel cervello.
La mia astenia di fronte alle pagine di Mobydick è un ricordo del passato.
Sotto la paterna scorta dell' Omero negroide che mi siede accanto, trovo il coraggio per riprendere in mano il Grande Classico. E il Grande Classico si ridesta dal torpore prendendomi saldamente tra le sue bibliche mani.
I libri di Walcott, tutti insieme, fanno ressa intorno spiegandomi per filo e per segno ogni paragrafo del Mobydick. L' egida della sua vasta mano negra si posa sul mio capino e io mi sento onniscente: capisco tutto. Lo capisco subito.
Ormai mi hanno talmente "introdotto" che Achab è per me come un Fratello della Costa con cui spartire il bottino; la portentosa schiena del Capodoglio, invece, mi è talmente familiare che l' accarezzo con lo sguardo come fosse il mio pesce rosso vinto al luna park...
Missione compiuta quindi: il Mobydick è letto con gusto, assimilato, metabolizzato e apprezzato.
Quindici anni e anch' io ho stanato l' abissale e maligna bellezza di questo grande libro/balena.
Valeva proprio la pena di aspettare per poter fare il viaggio più avventuroso con un compagno come il mitico Derek.
Sull' asse Milano/Roma
Le "Luci della centrale elettrica" non sono un gruppo punk. E' un cantautore che con buona vena e due accordi cerca di dare un' idea degli anni '00 a nord di Milano.
Gli "Ardecore" non sono una band di rock duro ma un' accolita di improvvisatori in vacanza che hanno deciso di rinverdire la tradizione romanesca: voglia di frizzo alternata all' impudica esibizione di moncherini per raccattare elemosine. Il popolino strega l' élite.
Gli "Ardecore" non sono una band di rock duro ma un' accolita di improvvisatori in vacanza che hanno deciso di rinverdire la tradizione romanesca: voglia di frizzo alternata all' impudica esibizione di moncherini per raccattare elemosine. Il popolino strega l' élite.
Mance e altra beneficienza
La mancia, sebbene ci faccia sentire generosi, non è che uno spreco. Il mercato dei camerieri è competitivo e la maggior parte di loro vengono pagati per quanto valgono. Se i clienti danno loro di più, i datori di lavoro avranno la scusa per pagarli meno. I camerieri non percepiranno più soldi ma i titolari dei ristoranti sì, a spese dei clienti. E' questoil genere di altruismo che avevamo in mente?
Tyler Cowen - No-crac
Tratto del capitolo che analizza il modo migliore per fare beneficienza.
Secondo Tyler chi vuole fare beneficienza deve prima pensare a cosa manca realmente: certo, mancano i soldi. Ma per le grandi cause i nostri soldi sono una goccia nel mare. Cio' che manca veramente sono i donatori, e sul loro numero possiamo incidere più di quanto crediamo..
Nel campo della beneficienza c' è sempre la "causa del mese" che produce un "effetto valanga" straordinario. Una volta è lo tsunami, poi c' è Katrina... Ecco, dovremmo dedicarci alla "causa del mese" contribuendo all' "effetto valanga" che fa donare anche chi di solito non dona.
Evitiamo cause stantie che creano il "mendicante di professione"; evitiamo dunque di fare l' elemosina per le strade di Calcutta. Se proprio cerchiamo un meritevole per strada, beneficiamo il barbone avvolto nei cartoni, non se l' aspetterà.
Sarà bene anche una piccola donazione regolare. E' molto importante per gli enti filantropici avere un archivio dei "fedelissimi", ma attenzione: chiediamo al nostro ente di fiducia di non vendere mai in nessun caso il nostro nome ad altri enti, è una procedura comunissima che mina un bene primario nel nostro caso: la fedeltà.
Tyler Cowen - No-crac
Tratto del capitolo che analizza il modo migliore per fare beneficienza.
Secondo Tyler chi vuole fare beneficienza deve prima pensare a cosa manca realmente: certo, mancano i soldi. Ma per le grandi cause i nostri soldi sono una goccia nel mare. Cio' che manca veramente sono i donatori, e sul loro numero possiamo incidere più di quanto crediamo..
Nel campo della beneficienza c' è sempre la "causa del mese" che produce un "effetto valanga" straordinario. Una volta è lo tsunami, poi c' è Katrina... Ecco, dovremmo dedicarci alla "causa del mese" contribuendo all' "effetto valanga" che fa donare anche chi di solito non dona.
Evitiamo cause stantie che creano il "mendicante di professione"; evitiamo dunque di fare l' elemosina per le strade di Calcutta. Se proprio cerchiamo un meritevole per strada, beneficiamo il barbone avvolto nei cartoni, non se l' aspetterà.
Sarà bene anche una piccola donazione regolare. E' molto importante per gli enti filantropici avere un archivio dei "fedelissimi", ma attenzione: chiediamo al nostro ente di fiducia di non vendere mai in nessun caso il nostro nome ad altri enti, è una procedura comunissima che mina un bene primario nel nostro caso: la fedeltà.
lunedì 15 novembre 2010
Mulholland drive: lavori in corso.
I due più notevoli cineasti americani degli anni Novanta sono in tre: Quentin Tarantino e i fratellini Coen.
Tutti appartengono alla genealogia inaugurata da David Lyinch, autore spesso trascurato che invece, solo per questo, merita il culto che lo circonda.
Se volete toccare con mano la parentela osservate questo killer in azione e sappiatemi dire.
Certo, Mulholland drive è un film degli anni 00, ma l' accento della scena è tipico e questa è solo una riproposizione.
E poi Mulholland drive è il film che abbiamo visto ieri sera, e mi serviva una scusa. Abbiamo trattenuto il fiato a lungo, è una vetta lynchiana in grado di rinverdire i fasti di Twin Peaks.
Tuttavia è anche una storia decisamente criptica che ha scatenato gli ermeneutici.
Io ho avanzato un' ipotesi che mi soddisfa: si tratta in realtà di due storie divise dal sipario rosso che compare nello spettacolo dell' illusionista.
La prima storia è quella della smemorata, la seconda racconta un amore deluso con relativa vendetta.
Puo' ingannare il fatto che siano due storie giustapposte e che la prima occupi tre quarti del film.
Due storie sono coerenti al loro interno anche se tra loro non comunicano. Un po' come la fisica contemporanea, che spiega il mondo naturale con due teorie internamente coerenti ma tra loro incomunicabili.
Ma cio' che inganna ancor di più sta nel fatto che la seconda storia riutilizza personaggi e situazioni che già la prima storia ci aveva presentato, anche per questo procede molto più speditamente; l' artificio ci inganna facendoci credere che la storia sia unica, cosicchè cerchiamo dei collegamenti che in realtà, dobbiamo rassegnarci stremati, non esistono. A meno di digerire un numero inaccettabile di incoerenze.
Come se non bastasse le due storie sono entrambe monche in diversi punti. Fa niente, le amputazioni non generano assurdità. Ci sono parecchi thrillere che ci lasciano sospesi.
Ma perchè raccontare due storie con tanti vicendevoli rimandi ingannatori?
Penso che uno sceneggiatore di professione sarebbe meno sorpreso di noi.
E' pratica comune iniziare a buttar giù una storia promettente per constatare poi in seguito che non va da nessuna parte. Si ricomincia allora a raccontare una nuova storia cercando di non "sprecare" personaggi e pezzi di narrazione ideati in precedenza che riteniamo funzionare.
Basterebbe scrivere su un blog per rendersi conto di questa caratteristica andatura dello scrivere, mica c' è bisogno di inventare il plot di un film.
Sì, penso che il Mulholland drive ci racconti il mondo degli sceneggiatori e le intermittenze della loro scrittura. Siamo nel bel mezzo della scrittura di un film.
Tutti appartengono alla genealogia inaugurata da David Lyinch, autore spesso trascurato che invece, solo per questo, merita il culto che lo circonda.
Se volete toccare con mano la parentela osservate questo killer in azione e sappiatemi dire.
Certo, Mulholland drive è un film degli anni 00, ma l' accento della scena è tipico e questa è solo una riproposizione.
E poi Mulholland drive è il film che abbiamo visto ieri sera, e mi serviva una scusa. Abbiamo trattenuto il fiato a lungo, è una vetta lynchiana in grado di rinverdire i fasti di Twin Peaks.
Tuttavia è anche una storia decisamente criptica che ha scatenato gli ermeneutici.
Io ho avanzato un' ipotesi che mi soddisfa: si tratta in realtà di due storie divise dal sipario rosso che compare nello spettacolo dell' illusionista.
La prima storia è quella della smemorata, la seconda racconta un amore deluso con relativa vendetta.
Puo' ingannare il fatto che siano due storie giustapposte e che la prima occupi tre quarti del film.
Due storie sono coerenti al loro interno anche se tra loro non comunicano. Un po' come la fisica contemporanea, che spiega il mondo naturale con due teorie internamente coerenti ma tra loro incomunicabili.
Ma cio' che inganna ancor di più sta nel fatto che la seconda storia riutilizza personaggi e situazioni che già la prima storia ci aveva presentato, anche per questo procede molto più speditamente; l' artificio ci inganna facendoci credere che la storia sia unica, cosicchè cerchiamo dei collegamenti che in realtà, dobbiamo rassegnarci stremati, non esistono. A meno di digerire un numero inaccettabile di incoerenze.
Come se non bastasse le due storie sono entrambe monche in diversi punti. Fa niente, le amputazioni non generano assurdità. Ci sono parecchi thrillere che ci lasciano sospesi.
Ma perchè raccontare due storie con tanti vicendevoli rimandi ingannatori?
Penso che uno sceneggiatore di professione sarebbe meno sorpreso di noi.
E' pratica comune iniziare a buttar giù una storia promettente per constatare poi in seguito che non va da nessuna parte. Si ricomincia allora a raccontare una nuova storia cercando di non "sprecare" personaggi e pezzi di narrazione ideati in precedenza che riteniamo funzionare.
Basterebbe scrivere su un blog per rendersi conto di questa caratteristica andatura dello scrivere, mica c' è bisogno di inventare il plot di un film.
Sì, penso che il Mulholland drive ci racconti il mondo degli sceneggiatori e le intermittenze della loro scrittura. Siamo nel bel mezzo della scrittura di un film.
venerdì 12 novembre 2010
Economia dell' anima
L' economia non si occupa di soldi, si occupa di scarsità.
Il suo concetto chiave è quello di "incentivo". I soldi forniscono buoni incentivi, ma ne esistono anche altri.
Nell' era dell' abbondanza, quella in cui viviamo, i soldi scarseggiano sempre meno, cosicchè l' economia finisce per occuparsi sempre più d' altro.
Chiediamoci cosa scarseggia realmente nella cornucopia della contemporaneità?
Mi viene in mente il mondo della cultura: mai come oggi siamo sommersi da un profluvio di cultura che sgorga da ogni dove. I "Capolavori" ci tengono sotto assedio, è perfino difficile schivarli. Con pochi euro ti porti a casa l' integrale delle cantate di Bach in esecuzione prestigiosa.
E nel frattempo accatastiamo libri intonsi, per non parlare dei cd acquistati che giacciono inascoltati.
Cosa manca allora?
Bè, mancano: attenzione, tempo e reale interesse.
E' una "triade" cruciale e per produrla in modo efficiente dobbiamo consultare un buon economista che si occupi di questi beni, un economista dell' anima come Tyler Cowen, per esempio.
Lui ci dirà che dobbiamo partire riconoscendo una triste verità: pochi di noi sono interessati all' "arte per l' arte", quasi tutti ci esaltiamo invece per quell' arte in grado di ornare ed esaltare il cosiddetto "Fattore-Io".
Coltivare la nostra autoimmagine attraverso i consumi culturali è decisivo, vogliamo stare al centro della scena, anche quando siamo semplici spettatori.
Riconoscere il ruolo chiave del "Fattore-Io" è la prima mossa per rendere più efficiente la produzione della triade e vivere "felici & acculturati".
Chi se lo dimentica è destinato a fallire facendo naufragio nella noia.
I sovietici si erano dimenticati il naturale egoismo degli uomini, se trattando di cultura dimentichiamo il nostro naturale narcisismo siamo destinati alla stessa fine.
Guardando Dogville, è solo un esempio, ho vinto i momenti di stanca anche perchè ero impegnato a spremere l' essenza del film visto che volevo scrivere due righe sul blog.
L' impegno che avevo preso con me stesso mi ha fatto superare quella noia intermittente che non risparmia nessun "capolavoro" e che spesso ci demotiva (chissà perchè i film "artistici" scivolano misteriosamente sempre sul fondo della pila dei dvd ancora da visionare).
Improvvisamente Grace ha cessato di essere la protagonista della storia e io, con la breve riflessione finale che mi ero impegnato a svolgere, ho guadagnato il centro della scena.
Non c' è niente che ci appassiona tanto quanto il "Fattore-Io", se riuscissimo in qualche modo ad ancorarlo al prodotto culturale, anch' esso diverrà attraente.
In altre parole, saremo riusciti a produrre "attenzione, tempo e interesse" per la cultura.
Chi disconosce il "Fattore-Io", lo ripeto, non è un buon "economista dell' anima", spesso finirà per annoiarsi e rinunciare alla cultura.
Ormai, per ogni disco o concerto ascoltato, per ogni film visto, per ogni libro letto, mi sono impegnato a scrivere sempre due righe, una breve riflessione a posteriori. Lo faccio anche per agganciare il "Fattore Io" all' opera d' arte.
La riflessione scritta è uno scudo nei confronti della quantità sterminata di cultura che ci assedia, la sua importanza non è funzionale solo al dialogo che ne puo' scaturire con chi mi è vicino ma anche alla produzione di "attenzione", un bene così scarso nell' era dell' abbondanza.
Ma ci sono anche altri trucchi.
Guardando i film con Sara facciamo spesso scommesse sui finali.
A noi basta poter dire "te l' avevo detto" per appagare il nostro "Fattore Io"; ma si possono puntare anche soldi, volendo.
About Elly è un film che ci ha appassionato molto e ce lo siamo bevuti tutto d' un fiato a notte fonda: c' era in ballo una bella scommessa e, chissà perchè, il film è diventato subito avvincente.
Di "About Elly", oggettivamente, si possono dire almeno due cose: 1) è un film dallo spessore culturale indubitabile, ha fatto messe di premi un po' ovunque ricevendo gli "osanna" della critica più sofisticata; 2) ma è anche un film piuttosto noioso e lento, Diana puo' confermare.
Ebbene, direi allora che la tecnica delle scommesse ci ha consentito di produrre "attenzione, tempo e reale interesse" da dedicare a questo prezioso manufatto culturale.
*****
Perchè io sono un lettore entusiasta che non smetterebbe mai di leggere mentre la Sara si trascina sempre con lo stesso libro in mano per mesi quasi fosse un cilicio?
Perchè il volume "I Miserabili" giace da mesi sul comodino della Sara? Nel corso di tutto questo tempo io avrei potuto leggere l' opera omnia di Shakespeare!
Io, in effetti, avrei sempre voglia di leggere: leggo in bagno, leggo in treno, leggo di notte quando tutti dormono, leggo la domenica e preferirei leggere piuttosto che "andare in vacanza"; i miei libri sono pasticciati, pieni di orecchie, spesso con la rilegatura a pezzi e le copertine perdute in qualche vagone di Trenitalia.
Per la Sara il momento deputato è uno solo: "a letto prima di dormire". Senonchè, quasi sempre, quando giunge il "momento deputato", allunga uno sguardo malinconico verso il volume accuratamente rilegato con sovracopertina, e dopo breve ed appannata riflessione rinuncia, sarà per domani. Ripone il sofisticato segnalibro all' altezza dell' ex-libris tra le pagine immacolate e chiude dolcemente tomo e occhi. E' proprio una lettrice d' altri tempi.
La differenza tra me e lei è l' interesse reale per quel che si ha in mano.
Ma attenzione, c' è qualcosa che complica il quadretto dato finora.
Sara è anche persona molto più curiosa ed intelligente di me, che sono piuttosto tardo; la sua vitalità mi sopravanza in tutti i campi e la sua capacità di interessarsi a tutto e a tutti mi sorprende; inoltre, avendo una laurea in lettere, è anche più ferrata in materia.
Ma allora cosa c' è che non va in lei nel comparto "libri & lettura"?
Probabilmente, nell' era dell' abbondanza, per leggere con entusiasmo i grandi capolavori della letteratura, più che la laurea in lettere, serve la laurea in economia. L' "economista interiore" a cui si affida Sara, non le consente di produrre in modo efficiente "attenzione e interesse", due risorse fondamentali.
Innanzitutto, qundo ho in mano un libro, io "salto" e "abbandono" spesso e volentieri, cosicchè mi trovo a leggere quasi sempre roba per me di estremo interesse.
La Sara, per contro, non si limita a tenere il segno della pagina, tiene anche il sotto-segno del paragrafo: deve ripartire da lì o va tutto a monte. Probabilmente, l' economista interiore a cui si affida crede che al mondo esista un solo libro. Non ha capito che se c' è qualcosa che non scarseggia è proprio la materia prima, ovvero i capolavori letterari.
La sapienza nel "saltare" uno non l' improvvisa, se la costruisce nel tempo imparando a conoscere se stesso e i vari generi letterari. Si commettono errori e si ricomincia. Ma chi non comincia mai, l' esperienza non se la farà mai e rimarrà per la vita un lettore assonnato.
L' economista Robert Hall diceva che chi non ha mai perso un aereo passa troppo tempo in aereoporto.
Il "Fattore Io" è decisivo per imparare a "saltare" leggendo, e qui torniamo a bomba.
Lasciamo per un attimo perdere i "salti" per noia conclamata, quelli li sanno fare tutti, è altresì vero che nei grandi capolavori è difficile imbattersi in pagine noiose, specie se parliamo di autori vicino a noi che rispecchiano la sensibilità contemporanea.
Si puo' "saltare" anche quando si è preso possesso pienamente del libro. Ovvero, dopo che si è guadagnata una propria interpretazione originale, il che equivale ad aver marcato il territorio.
"Mettere le nostre mani" sul capolavoro appaga il "Fattore-Io".
Dapprima si continua a leggere con il cuore in gola in cerca di conferme e smentite, quasi si fosse in lotta con il libro così come Giuseppe era in lotta con l' Angelo. Questa lotta è esaltante: le conferme appagano il mio narcisismo, le smentite feriscono e disorientano costringendomi a rimettere insieme i pezzi in altro modo. Sia le une che le altre, però, moltiplicano il mio interesse in modo efficacissimo (nel frattempo la saretta, non solo si è addormentata ma si è messa anche a russare).
Con opportuni ritocchi, poi, la mia visione diventa finalmente in grado di "accogliere" il libro; si raggiunge un equilibrio. Il libro ora scorre placido tra due argini che ho costruito e il "Fattore Io" lo osserva compiaciuto. E' tempo di cambiare libro, anche se l' ultima pagina è lontana.
Una sola avvertenza: prima di leggere un grande capolavoro del passato, specie se voluminoso, giova leggerne un sunto.
Bisogna infatti mettersi nella zucca un concetto base: nei grandi capolavori, il valore è dato dallo stile e dalla profondità psicologica. Una volta che abbiamo la "storia" sotto controllo potremo concentrarci sull' essenziale, magari aprendo il libro a caso e leggendo capitoli spaiati presi qua e là.
Chi invece si dispiace di "rovinarsi" in questo modo le sorprese che puo' riservare una storia ben architettata, si rassegni e rinunci all' alta letteratura, non è roba per lui. Investa piuttosto il suo tempo altrove, il mondo è pieni di libri di serie B con trame ricche di colpi di scena. Oppure continui a leggere per tutta la vita "I Miserabili"... per vedere "come va a finire" (ogni riferimento è casuale).
***
La Sara è musicista diplomata, spesso si esibisce in concerti come cantante e, in più, insegna musica ai bambini.
Eppure, in casa nostra, l' appassionato di musica sono io, nessuno lo contesta.
Come mai?
La musica fa parte a pieno titolo della cultura, e, nel mondo dell' abbondanza culturale, senza un buon "economista interiore" in grado di produrre la triade non vai da nessuna parte.
Se devi fare un concerto ci vuole poco per foraggiare il "Fattore-Io": sei già fisicamente al centro della scena.
Anche qundo la musica la devi insegnare tutto è facilitato: il "Fattore Io" è addirittura in cattedra.
La Sara, per esempio, non suona mai il flauto traverso, lo strumento in cui si è diplomata e che giace impolverato nelle custodie; non deve fare concerti con quello, non deve insegnarlo in classe. Che senso avrebbe sfoderarlo visto che non ci sono impegni in vista? Poichè il suo "Fattore Io" non è coinvolto in alcun modo, il suo interesse scema.
Per me le cose sono andate in modo dverso.
Da piccolo ascoltavo non so più quali canzoni e viaggiavo con la mente, mi pensavo protagonista di storie fantastiche che avevano per colonna sonora quella musica. Insomma, il giradischi suonava e io facevo tanti sogni ad occhi aperti.
Ho sempre valutato questo fatto pensando che la musica stimolasse l' attività onirica, il che è senz' altro vero; ma la cosa più interessante, e l' ho scoperto dopo, era in realtà un' altra: la mia capacità di sognare stimolava il mio interesse per la musica.
Quei primi sogni ad occhi aperti mi hanno fatto appassionare e nel corso del tempo ho investito molto in questa passione mettendo a punto altri trucchi per alimentarla.
Affinchè la Sara si scaldi per la musica occorre la prospettiva di avere un pubblico davanti, o una classe di bambini. A me basta molto meno, ho impasrato a vivificare il mio narcisismo in ambienti più spogli: la mia cameretta.
Notiamo per favore una cosa: davanti ad una platea o davanti ad una classe ci passi 1/1000 della tua vita, ma in ambienti poco stimolanti come la tua cameretta ci passi 1/40 della tua vita.
Avete capito adesso perchè in famiglia l' appassionato di musica sono io? Perchè la mia passione viene fuori in qualsiasi momento e tutti i giorni, non abbisogna certo che ci sia un "concerto in vista".
Nel frattempo le tecniche elaborate dal mio economista interiore si sono un po' raffinate, gli ingenui "sogni ad occhi aperti" hanno ceduto il passo ad altro.
Faccio solo degli esempi: non ho mai ascoltato ed approfondito tanto Mozart come da quando ho deciso che si tratta di un compositore sopravvalutato.
Raccolgo prove a sostegno di questa tesi che chiama in causa il mio "Fattore Io" e le cerco avidamente mentre ascolto musica. Anche per questo, in genere, ascolto la musica con interesse ed attenzione, soprattutto Mozart che è diventata una mia priorità. Anche se non ho in programma alcun concerto ho pur sempre questa opinione da sostenere e difendere. La mi opinione è molto più "maneggevole" di un concerto, ce l' ho sempre con me in ogni luogo cosicchè il mio "Fattore Io" è sempre sollecitato a produrre attenzione per la musica.
Concluderei dicendo che il timore reverenziale è dannoso quando si vuole produrre interesse. Una cultura di mostri sacri diventa subito scolastica e "scuola" è spesso sinonimo di "noia".
Il trucco ha funzionato anche con le correnti del minimalismo americano, proprio non riuscivo a digerire quella patina. Alla fine si puo' ben dire che conosca meglio la musica di cui diffido rispetto a quella in cui, in teoria, mi identifico.
Anche un po' di filosofia non guasta: costruiamo una nostra personale estetica portatile della musica. Ogni esecuzione diventa una sfida poichè siamo chiamati a spiegare quella musica sulla base di una visione personale.
Inutile dire che io coltivo una filosofia della musica, la Sara assolutamente no, si limita a provare per il concerto.
Un altro trucco consiste nell' adottare questo dogma: in ogni musica c' è del buono e del cattivo.
Cosa c' è di cattivo in Bach? Non esci da questa stanza finchè non me lo dici in modo convinto. Per scoprirlo devi ascoltare, e probabilmente lo ascolterai come non lo avevi mai ascoltato primae.
Ma, per rispondere alla domanda, ascolterai con attenzione anche musiche che senti lontane: il raga, il raggea, il gamelan balinese, l' afro-pop, la musica rinascimentale, la jungle...
La catalogazione delle collezioni puo' essere un modo per mettere a nostra disposizioni quantità rilevanti di "attenzione" e "interesse" per la cultura.
La catalogazione della propria collezione musicale è importante. La Sara ha sempre messo via in ordine alfabetico (ha una gran fretta di fare ordine).
Ricordo che in passato scelsi di ordinare la collezione per "genealogie".
Non è semplice, innanzitutto si richiede di individuare una serie di autori che costituiscano il "canone fondamentale" e che con il loro stile abbiano chiaramente influenzato una genia di musicisti a venire.
Facciamo il caso dei pianisti Jazz. Fats Waller, Art tatum, Thelonious Monk, Bill Evans, Bud Powell, Cecil Taylor, Misha Mengelberg potrebbero costituire "il canone" genealogico.
Ma se ascolto un disco di Muhal Richard Abrams, poi dove lo metto? Forse tra i Tayloriani? Ma non facciamo ridere i polli! Dopo indagini diligenti si scoprirà che Muhal merita a pieno titolo di entrare nel canone.
Stabilire il canone, stabilire se Muhal merita un posto nel canone, stabilire se Tizio sia o meno un "evansiano", richiede un ascolto attento, e spesso anche un riascolto. la sistemazione della Nostra collezione produce dunque "attenzione" solleticando il nostro "Fattore Io".
Altro che ordine alfabetico.
L' ascolto al buio è un altro trucco che funziona: il suono deve arrivare senza preavviso, sono io che mi auto-annunciare la musica risalendo all' autore!
Venticinque anni fa non c' erano funzioni random: ricordo il mio povero fratellino schiavizzato e costretto a pescare a caso tra i vinili un ellepì da mettere poi sul giradischi stando ben attenti a collocare il braccio in modo casuale (l' avevo persino bacchettato perchè tendeva a scegliere sempre la parte centrale). Nel frattempo io giacevo bendato concentrandomi per la prova.
Bisogna ingegnarsi, o si finisce puntualmente a concerti in cui la fine ha tutta l' aria di un sollievo. Con L' Oro del Reno ce la si puo' fare ma il Crepuscolo degli Dei è una mazzata che farebbe sprofondare l' attenzione di chiunque.
***
Tylor Cowen è prodigo di consigli geniali su come andare la Museo senza farsi venire le "gambe da Museo" dopo due sale.
Cowen ci mette sul chi vive: l' economista dell' anima qui trova pane per i suoi denti, i Musei vivono di sovvenzioni, cosicchè pensano a tutto tranne che a facilitare la vita dei vivsitatori.
In più la grande arte non è appropriabile, un duro colpo per il nostro "Io" che si puo' consolare giusto con qualche riproduzione ingombrante e, di solito, pessima. Oppure con ponderosi cataloghi, comunque costosi.
Io, devo ammetterlo, non sono ancora riuscito a domare una bestia furiosa come quella del Museo. L' idea di andare in un museo non mi elettrizza quasi mai.
Preferisco andarci da solo perchè so che cercherò di affaticarmi poco guardando pochi quadri e la cosa appare ai più stravagante.
Cerco di non leggere mai nessun tipo di targhetta, titoli compresi.
A volte, se ci sono venti sale, mi obbligo a visitarne tre scelte a caso.
Evito accuratamente di informarmi in loco, mi limito a "vedere". Informarsi a casa invece sarebbe buona cosa.
In passato, per ogni sala vista, sceglievo il quadro migliore. Ora scelgo il peggiore, è più stimolante.
Faccio interminabili soste sui divanetti, mi sparo tutti gli audiovisivi. Anche due volte.
Se la mostra presenta un capolavoro, a volte mi limito a quello.
Tyler consiglia di pensare alla possibilità di portarsi a casa un quadro, magari rubandolo. Questo mette in campo sia il nostro gusto estetico che i vincoli di arredamento. Sono d' accordo con lui: è dura trarre piacere dalla visita ad un Museo senza la capacità di sognare ad occhi aperti.
La visita al Museo non mi ha mai arrichito ma puo' essere un buon pretesto per "pensare all' arte", e a volte qualcosa di buono ne esce. Sono pensieri che potrei fare al gabinetto ma, ripeto, questo genere di attività richiede quasi sempre un pretesto, e la visita al museo puo' offrirlo.
Purtroppo o per fortuna, per pensare un po' di più bisogna guardare un po' di meno e per guardare un po' meno in un Museo c' è bisogno di grande autocontrollo.
***
L' alcolista non vorrebbe bere, eppure beve. Il drogato non vorrebbe farsi, eppure si fa.
Chi compra un libro, finchè è in libreria, nutre un sincero interesse. A casa spesso le cose cambiano e il feeling con il mattone che ci siamo trascinati tra le mura domestiche spesso muta.
Eppure l' economia ci dice che alcolisti e drogati sono persone razionali.
Basta considerarle come esseri abitati da due individui: la prima non vuole bere, la seconda sì. Mercanteggiano in base al proprio potere negoziale e all' intensità delle voglie fino a che non raggiungono un accordo. Di solito ci si fa un goccetto.
A prescindere dall' intensità del desiderio, spesso uno dei due dispone di trucchetti più efficienti per negoziare. Ovvero, dispone di una mente economica più brillante.
Se noi tra quelle due vogliamo avvantaggiare chi "vuole smettere", forniamogli una consulenza economica, visto che sull' entità dei desideri non abbiamo potere.
Allo stesso modo l' economista dell' anima fornisce alla persona che vuole acculturarsi il modo migliore per farlo sconfiggendo con una serie di trucchetti il Mr. Hyde che è in lui e che si presenterà puntualmente per posizionare l' incelofanato dvd della Corazzata Potionkin nel ripiano più alto fuori da ogni "tentazione culturale".
L' economia ha da dirci qualcosa ovunque ci siano mercati. E ci sono mercati ovunque, soprattutto dentro di noi.
Il suo concetto chiave è quello di "incentivo". I soldi forniscono buoni incentivi, ma ne esistono anche altri.
Nell' era dell' abbondanza, quella in cui viviamo, i soldi scarseggiano sempre meno, cosicchè l' economia finisce per occuparsi sempre più d' altro.
Chiediamoci cosa scarseggia realmente nella cornucopia della contemporaneità?
Mi viene in mente il mondo della cultura: mai come oggi siamo sommersi da un profluvio di cultura che sgorga da ogni dove. I "Capolavori" ci tengono sotto assedio, è perfino difficile schivarli. Con pochi euro ti porti a casa l' integrale delle cantate di Bach in esecuzione prestigiosa.
E nel frattempo accatastiamo libri intonsi, per non parlare dei cd acquistati che giacciono inascoltati.
Cosa manca allora?
Bè, mancano: attenzione, tempo e reale interesse.
E' una "triade" cruciale e per produrla in modo efficiente dobbiamo consultare un buon economista che si occupi di questi beni, un economista dell' anima come Tyler Cowen, per esempio.
Lui ci dirà che dobbiamo partire riconoscendo una triste verità: pochi di noi sono interessati all' "arte per l' arte", quasi tutti ci esaltiamo invece per quell' arte in grado di ornare ed esaltare il cosiddetto "Fattore-Io".
Coltivare la nostra autoimmagine attraverso i consumi culturali è decisivo, vogliamo stare al centro della scena, anche quando siamo semplici spettatori.
Riconoscere il ruolo chiave del "Fattore-Io" è la prima mossa per rendere più efficiente la produzione della triade e vivere "felici & acculturati".
Chi se lo dimentica è destinato a fallire facendo naufragio nella noia.
I sovietici si erano dimenticati il naturale egoismo degli uomini, se trattando di cultura dimentichiamo il nostro naturale narcisismo siamo destinati alla stessa fine.
Guardando Dogville, è solo un esempio, ho vinto i momenti di stanca anche perchè ero impegnato a spremere l' essenza del film visto che volevo scrivere due righe sul blog.
L' impegno che avevo preso con me stesso mi ha fatto superare quella noia intermittente che non risparmia nessun "capolavoro" e che spesso ci demotiva (chissà perchè i film "artistici" scivolano misteriosamente sempre sul fondo della pila dei dvd ancora da visionare).
Improvvisamente Grace ha cessato di essere la protagonista della storia e io, con la breve riflessione finale che mi ero impegnato a svolgere, ho guadagnato il centro della scena.
Non c' è niente che ci appassiona tanto quanto il "Fattore-Io", se riuscissimo in qualche modo ad ancorarlo al prodotto culturale, anch' esso diverrà attraente.
In altre parole, saremo riusciti a produrre "attenzione, tempo e interesse" per la cultura.
Chi disconosce il "Fattore-Io", lo ripeto, non è un buon "economista dell' anima", spesso finirà per annoiarsi e rinunciare alla cultura.
Ormai, per ogni disco o concerto ascoltato, per ogni film visto, per ogni libro letto, mi sono impegnato a scrivere sempre due righe, una breve riflessione a posteriori. Lo faccio anche per agganciare il "Fattore Io" all' opera d' arte.
La riflessione scritta è uno scudo nei confronti della quantità sterminata di cultura che ci assedia, la sua importanza non è funzionale solo al dialogo che ne puo' scaturire con chi mi è vicino ma anche alla produzione di "attenzione", un bene così scarso nell' era dell' abbondanza.
Ma ci sono anche altri trucchi.
Guardando i film con Sara facciamo spesso scommesse sui finali.
A noi basta poter dire "te l' avevo detto" per appagare il nostro "Fattore Io"; ma si possono puntare anche soldi, volendo.
About Elly è un film che ci ha appassionato molto e ce lo siamo bevuti tutto d' un fiato a notte fonda: c' era in ballo una bella scommessa e, chissà perchè, il film è diventato subito avvincente.
Di "About Elly", oggettivamente, si possono dire almeno due cose: 1) è un film dallo spessore culturale indubitabile, ha fatto messe di premi un po' ovunque ricevendo gli "osanna" della critica più sofisticata; 2) ma è anche un film piuttosto noioso e lento, Diana puo' confermare.
Ebbene, direi allora che la tecnica delle scommesse ci ha consentito di produrre "attenzione, tempo e reale interesse" da dedicare a questo prezioso manufatto culturale.
*****
Perchè io sono un lettore entusiasta che non smetterebbe mai di leggere mentre la Sara si trascina sempre con lo stesso libro in mano per mesi quasi fosse un cilicio?
Perchè il volume "I Miserabili" giace da mesi sul comodino della Sara? Nel corso di tutto questo tempo io avrei potuto leggere l' opera omnia di Shakespeare!
Io, in effetti, avrei sempre voglia di leggere: leggo in bagno, leggo in treno, leggo di notte quando tutti dormono, leggo la domenica e preferirei leggere piuttosto che "andare in vacanza"; i miei libri sono pasticciati, pieni di orecchie, spesso con la rilegatura a pezzi e le copertine perdute in qualche vagone di Trenitalia.
Per la Sara il momento deputato è uno solo: "a letto prima di dormire". Senonchè, quasi sempre, quando giunge il "momento deputato", allunga uno sguardo malinconico verso il volume accuratamente rilegato con sovracopertina, e dopo breve ed appannata riflessione rinuncia, sarà per domani. Ripone il sofisticato segnalibro all' altezza dell' ex-libris tra le pagine immacolate e chiude dolcemente tomo e occhi. E' proprio una lettrice d' altri tempi.
La differenza tra me e lei è l' interesse reale per quel che si ha in mano.
Ma attenzione, c' è qualcosa che complica il quadretto dato finora.
Sara è anche persona molto più curiosa ed intelligente di me, che sono piuttosto tardo; la sua vitalità mi sopravanza in tutti i campi e la sua capacità di interessarsi a tutto e a tutti mi sorprende; inoltre, avendo una laurea in lettere, è anche più ferrata in materia.
Ma allora cosa c' è che non va in lei nel comparto "libri & lettura"?
Probabilmente, nell' era dell' abbondanza, per leggere con entusiasmo i grandi capolavori della letteratura, più che la laurea in lettere, serve la laurea in economia. L' "economista interiore" a cui si affida Sara, non le consente di produrre in modo efficiente "attenzione e interesse", due risorse fondamentali.
Innanzitutto, qundo ho in mano un libro, io "salto" e "abbandono" spesso e volentieri, cosicchè mi trovo a leggere quasi sempre roba per me di estremo interesse.
La Sara, per contro, non si limita a tenere il segno della pagina, tiene anche il sotto-segno del paragrafo: deve ripartire da lì o va tutto a monte. Probabilmente, l' economista interiore a cui si affida crede che al mondo esista un solo libro. Non ha capito che se c' è qualcosa che non scarseggia è proprio la materia prima, ovvero i capolavori letterari.
La sapienza nel "saltare" uno non l' improvvisa, se la costruisce nel tempo imparando a conoscere se stesso e i vari generi letterari. Si commettono errori e si ricomincia. Ma chi non comincia mai, l' esperienza non se la farà mai e rimarrà per la vita un lettore assonnato.
L' economista Robert Hall diceva che chi non ha mai perso un aereo passa troppo tempo in aereoporto.
Il "Fattore Io" è decisivo per imparare a "saltare" leggendo, e qui torniamo a bomba.
Lasciamo per un attimo perdere i "salti" per noia conclamata, quelli li sanno fare tutti, è altresì vero che nei grandi capolavori è difficile imbattersi in pagine noiose, specie se parliamo di autori vicino a noi che rispecchiano la sensibilità contemporanea.
Si puo' "saltare" anche quando si è preso possesso pienamente del libro. Ovvero, dopo che si è guadagnata una propria interpretazione originale, il che equivale ad aver marcato il territorio.
"Mettere le nostre mani" sul capolavoro appaga il "Fattore-Io".
Dapprima si continua a leggere con il cuore in gola in cerca di conferme e smentite, quasi si fosse in lotta con il libro così come Giuseppe era in lotta con l' Angelo. Questa lotta è esaltante: le conferme appagano il mio narcisismo, le smentite feriscono e disorientano costringendomi a rimettere insieme i pezzi in altro modo. Sia le une che le altre, però, moltiplicano il mio interesse in modo efficacissimo (nel frattempo la saretta, non solo si è addormentata ma si è messa anche a russare).
Con opportuni ritocchi, poi, la mia visione diventa finalmente in grado di "accogliere" il libro; si raggiunge un equilibrio. Il libro ora scorre placido tra due argini che ho costruito e il "Fattore Io" lo osserva compiaciuto. E' tempo di cambiare libro, anche se l' ultima pagina è lontana.
Una sola avvertenza: prima di leggere un grande capolavoro del passato, specie se voluminoso, giova leggerne un sunto.
Bisogna infatti mettersi nella zucca un concetto base: nei grandi capolavori, il valore è dato dallo stile e dalla profondità psicologica. Una volta che abbiamo la "storia" sotto controllo potremo concentrarci sull' essenziale, magari aprendo il libro a caso e leggendo capitoli spaiati presi qua e là.
Chi invece si dispiace di "rovinarsi" in questo modo le sorprese che puo' riservare una storia ben architettata, si rassegni e rinunci all' alta letteratura, non è roba per lui. Investa piuttosto il suo tempo altrove, il mondo è pieni di libri di serie B con trame ricche di colpi di scena. Oppure continui a leggere per tutta la vita "I Miserabili"... per vedere "come va a finire" (ogni riferimento è casuale).
***
La Sara è musicista diplomata, spesso si esibisce in concerti come cantante e, in più, insegna musica ai bambini.
Eppure, in casa nostra, l' appassionato di musica sono io, nessuno lo contesta.
Come mai?
La musica fa parte a pieno titolo della cultura, e, nel mondo dell' abbondanza culturale, senza un buon "economista interiore" in grado di produrre la triade non vai da nessuna parte.
Se devi fare un concerto ci vuole poco per foraggiare il "Fattore-Io": sei già fisicamente al centro della scena.
Anche qundo la musica la devi insegnare tutto è facilitato: il "Fattore Io" è addirittura in cattedra.
La Sara, per esempio, non suona mai il flauto traverso, lo strumento in cui si è diplomata e che giace impolverato nelle custodie; non deve fare concerti con quello, non deve insegnarlo in classe. Che senso avrebbe sfoderarlo visto che non ci sono impegni in vista? Poichè il suo "Fattore Io" non è coinvolto in alcun modo, il suo interesse scema.
Per me le cose sono andate in modo dverso.
Da piccolo ascoltavo non so più quali canzoni e viaggiavo con la mente, mi pensavo protagonista di storie fantastiche che avevano per colonna sonora quella musica. Insomma, il giradischi suonava e io facevo tanti sogni ad occhi aperti.
Ho sempre valutato questo fatto pensando che la musica stimolasse l' attività onirica, il che è senz' altro vero; ma la cosa più interessante, e l' ho scoperto dopo, era in realtà un' altra: la mia capacità di sognare stimolava il mio interesse per la musica.
Quei primi sogni ad occhi aperti mi hanno fatto appassionare e nel corso del tempo ho investito molto in questa passione mettendo a punto altri trucchi per alimentarla.
Affinchè la Sara si scaldi per la musica occorre la prospettiva di avere un pubblico davanti, o una classe di bambini. A me basta molto meno, ho impasrato a vivificare il mio narcisismo in ambienti più spogli: la mia cameretta.
Notiamo per favore una cosa: davanti ad una platea o davanti ad una classe ci passi 1/1000 della tua vita, ma in ambienti poco stimolanti come la tua cameretta ci passi 1/40 della tua vita.
Avete capito adesso perchè in famiglia l' appassionato di musica sono io? Perchè la mia passione viene fuori in qualsiasi momento e tutti i giorni, non abbisogna certo che ci sia un "concerto in vista".
Nel frattempo le tecniche elaborate dal mio economista interiore si sono un po' raffinate, gli ingenui "sogni ad occhi aperti" hanno ceduto il passo ad altro.
Faccio solo degli esempi: non ho mai ascoltato ed approfondito tanto Mozart come da quando ho deciso che si tratta di un compositore sopravvalutato.
Raccolgo prove a sostegno di questa tesi che chiama in causa il mio "Fattore Io" e le cerco avidamente mentre ascolto musica. Anche per questo, in genere, ascolto la musica con interesse ed attenzione, soprattutto Mozart che è diventata una mia priorità. Anche se non ho in programma alcun concerto ho pur sempre questa opinione da sostenere e difendere. La mi opinione è molto più "maneggevole" di un concerto, ce l' ho sempre con me in ogni luogo cosicchè il mio "Fattore Io" è sempre sollecitato a produrre attenzione per la musica.
Concluderei dicendo che il timore reverenziale è dannoso quando si vuole produrre interesse. Una cultura di mostri sacri diventa subito scolastica e "scuola" è spesso sinonimo di "noia".
Il trucco ha funzionato anche con le correnti del minimalismo americano, proprio non riuscivo a digerire quella patina. Alla fine si puo' ben dire che conosca meglio la musica di cui diffido rispetto a quella in cui, in teoria, mi identifico.
Anche un po' di filosofia non guasta: costruiamo una nostra personale estetica portatile della musica. Ogni esecuzione diventa una sfida poichè siamo chiamati a spiegare quella musica sulla base di una visione personale.
Inutile dire che io coltivo una filosofia della musica, la Sara assolutamente no, si limita a provare per il concerto.
Un altro trucco consiste nell' adottare questo dogma: in ogni musica c' è del buono e del cattivo.
Cosa c' è di cattivo in Bach? Non esci da questa stanza finchè non me lo dici in modo convinto. Per scoprirlo devi ascoltare, e probabilmente lo ascolterai come non lo avevi mai ascoltato primae.
Ma, per rispondere alla domanda, ascolterai con attenzione anche musiche che senti lontane: il raga, il raggea, il gamelan balinese, l' afro-pop, la musica rinascimentale, la jungle...
La catalogazione delle collezioni puo' essere un modo per mettere a nostra disposizioni quantità rilevanti di "attenzione" e "interesse" per la cultura.
La catalogazione della propria collezione musicale è importante. La Sara ha sempre messo via in ordine alfabetico (ha una gran fretta di fare ordine).
Ricordo che in passato scelsi di ordinare la collezione per "genealogie".
Non è semplice, innanzitutto si richiede di individuare una serie di autori che costituiscano il "canone fondamentale" e che con il loro stile abbiano chiaramente influenzato una genia di musicisti a venire.
Facciamo il caso dei pianisti Jazz. Fats Waller, Art tatum, Thelonious Monk, Bill Evans, Bud Powell, Cecil Taylor, Misha Mengelberg potrebbero costituire "il canone" genealogico.
Ma se ascolto un disco di Muhal Richard Abrams, poi dove lo metto? Forse tra i Tayloriani? Ma non facciamo ridere i polli! Dopo indagini diligenti si scoprirà che Muhal merita a pieno titolo di entrare nel canone.
Stabilire il canone, stabilire se Muhal merita un posto nel canone, stabilire se Tizio sia o meno un "evansiano", richiede un ascolto attento, e spesso anche un riascolto. la sistemazione della Nostra collezione produce dunque "attenzione" solleticando il nostro "Fattore Io".
Altro che ordine alfabetico.
L' ascolto al buio è un altro trucco che funziona: il suono deve arrivare senza preavviso, sono io che mi auto-annunciare la musica risalendo all' autore!
Venticinque anni fa non c' erano funzioni random: ricordo il mio povero fratellino schiavizzato e costretto a pescare a caso tra i vinili un ellepì da mettere poi sul giradischi stando ben attenti a collocare il braccio in modo casuale (l' avevo persino bacchettato perchè tendeva a scegliere sempre la parte centrale). Nel frattempo io giacevo bendato concentrandomi per la prova.
Bisogna ingegnarsi, o si finisce puntualmente a concerti in cui la fine ha tutta l' aria di un sollievo. Con L' Oro del Reno ce la si puo' fare ma il Crepuscolo degli Dei è una mazzata che farebbe sprofondare l' attenzione di chiunque.
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Tylor Cowen è prodigo di consigli geniali su come andare la Museo senza farsi venire le "gambe da Museo" dopo due sale.
Cowen ci mette sul chi vive: l' economista dell' anima qui trova pane per i suoi denti, i Musei vivono di sovvenzioni, cosicchè pensano a tutto tranne che a facilitare la vita dei vivsitatori.
In più la grande arte non è appropriabile, un duro colpo per il nostro "Io" che si puo' consolare giusto con qualche riproduzione ingombrante e, di solito, pessima. Oppure con ponderosi cataloghi, comunque costosi.
Io, devo ammetterlo, non sono ancora riuscito a domare una bestia furiosa come quella del Museo. L' idea di andare in un museo non mi elettrizza quasi mai.
Preferisco andarci da solo perchè so che cercherò di affaticarmi poco guardando pochi quadri e la cosa appare ai più stravagante.
Cerco di non leggere mai nessun tipo di targhetta, titoli compresi.
A volte, se ci sono venti sale, mi obbligo a visitarne tre scelte a caso.
Evito accuratamente di informarmi in loco, mi limito a "vedere". Informarsi a casa invece sarebbe buona cosa.
In passato, per ogni sala vista, sceglievo il quadro migliore. Ora scelgo il peggiore, è più stimolante.
Faccio interminabili soste sui divanetti, mi sparo tutti gli audiovisivi. Anche due volte.
Se la mostra presenta un capolavoro, a volte mi limito a quello.
Tyler consiglia di pensare alla possibilità di portarsi a casa un quadro, magari rubandolo. Questo mette in campo sia il nostro gusto estetico che i vincoli di arredamento. Sono d' accordo con lui: è dura trarre piacere dalla visita ad un Museo senza la capacità di sognare ad occhi aperti.
La visita al Museo non mi ha mai arrichito ma puo' essere un buon pretesto per "pensare all' arte", e a volte qualcosa di buono ne esce. Sono pensieri che potrei fare al gabinetto ma, ripeto, questo genere di attività richiede quasi sempre un pretesto, e la visita al museo puo' offrirlo.
Purtroppo o per fortuna, per pensare un po' di più bisogna guardare un po' di meno e per guardare un po' meno in un Museo c' è bisogno di grande autocontrollo.
***
L' alcolista non vorrebbe bere, eppure beve. Il drogato non vorrebbe farsi, eppure si fa.
Chi compra un libro, finchè è in libreria, nutre un sincero interesse. A casa spesso le cose cambiano e il feeling con il mattone che ci siamo trascinati tra le mura domestiche spesso muta.
Eppure l' economia ci dice che alcolisti e drogati sono persone razionali.
Basta considerarle come esseri abitati da due individui: la prima non vuole bere, la seconda sì. Mercanteggiano in base al proprio potere negoziale e all' intensità delle voglie fino a che non raggiungono un accordo. Di solito ci si fa un goccetto.
A prescindere dall' intensità del desiderio, spesso uno dei due dispone di trucchetti più efficienti per negoziare. Ovvero, dispone di una mente economica più brillante.
Se noi tra quelle due vogliamo avvantaggiare chi "vuole smettere", forniamogli una consulenza economica, visto che sull' entità dei desideri non abbiamo potere.
Allo stesso modo l' economista dell' anima fornisce alla persona che vuole acculturarsi il modo migliore per farlo sconfiggendo con una serie di trucchetti il Mr. Hyde che è in lui e che si presenterà puntualmente per posizionare l' incelofanato dvd della Corazzata Potionkin nel ripiano più alto fuori da ogni "tentazione culturale".
L' economia ha da dirci qualcosa ovunque ci siano mercati. E ci sono mercati ovunque, soprattutto dentro di noi.
Paternalismo
Se dico che gli uomini castani non sanno prendere le giuste decisioni, butto le premesse per un intervento paternalistico. Ma un intervento del genere ha almeno tre inconvenienti:
1. danneggia i "castani" che sanno decidere per conto loro.
2. chi decide al posto dei "castani"? I "biondi"?
3. slippery slope.
1. danneggia i "castani" che sanno decidere per conto loro.
2. chi decide al posto dei "castani"? I "biondi"?
3. slippery slope.
giovedì 11 novembre 2010
Il problema sono gli asili?
Siete sicuri che il problema della bassa fertilità delle italiane sia la carenza di asili?
La spiegazione più coerente con l' evidenza ribalta il nesso di causalità: ci sono pochi asili perchè ci sono pochi bambini.
La donna italiana lavora poco e, come se non bastasse, il gap sugli stipendi non le consente di finanziare la cura dei figli appaltandola a terzi. Il gap è dovuto al fatto che la donna italiana è molto più impegnata nei lavori di casa rispetto all' uomo.
Bisogna intervenire?
E perchè mai? Questa condizione sembrerebbe essere culturale, ovvero basata sulle preferenze di una popolazione.
Perchè dovremmo cambiare dall' alto delle preferenze?
La spiegazione più coerente con l' evidenza ribalta il nesso di causalità: ci sono pochi asili perchè ci sono pochi bambini.
La donna italiana lavora poco e, come se non bastasse, il gap sugli stipendi non le consente di finanziare la cura dei figli appaltandola a terzi. Il gap è dovuto al fatto che la donna italiana è molto più impegnata nei lavori di casa rispetto all' uomo.
Bisogna intervenire?
E perchè mai? Questa condizione sembrerebbe essere culturale, ovvero basata sulle preferenze di una popolazione.
Perchè dovremmo cambiare dall' alto delle preferenze?
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