mercoledì 15 giugno 2011

Torno subito

Quel due giugno di sei anni fa era ancora più noioso ed inutile di una parata militare.

Forse per il solleone, forse perché sotto l’ influsso di eretiche letture, mi venne fatto di elencare nel vecchio forum di fahre 45 ragioni per cui i regimi monarchici si fanno preferire alla repubblica democratica (qui il post originale).

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In realtà si trattava solo di una lunga domanda senza punto interrogativo (se li metti non ti rispondono o lo fanno senza passione): perché mai dovrei credere nella democrazia?

In assenza di spieghe convincenti (qui la discussione) continuai a coltivare il mio cripto-monarchismo.

Ma anche a tenere ben tese le orecchie in attesa di udire parole illuminanti.

E finalmente, dalla lontana Chicago, una voce si alzò:

Donald Wittman: The myth of democratic failure – The University of Chicago Press

Il meriggiare pallido e assorto doveva essere davvero neghittoso se è vero com’ è vero che le 43 obiezioni potevano in fondo ridursi ad una: in democrazia informarsi non è conveniente per l’ elettore.

Persino recarsi al seggio non è conveniente. Sarà per questo che le gallonate autorità democratiche insistono su questo pseudo dovere ricorrendo ad imbarazzanti argomenti vodoo (gli unici a loro disposizione).

Donald Wittman, è di diversa pasta, non deve reggere uno Stato, di lui ci si puo’ fidare.

Comincia con l’ ammettere: difficilmente l’ elettore democratico andrà mai incontro all’ informazione.

Ma prosegue: anche perché sarà l’ informazione a venire da lui.

Se c’ è un minimo di competizione elettorale i politici (a caccia di rendite enormi) faranno il diavolo a quattro pur d’ inseguire il riluttante elettore ed informarlo sulle malefatte del concorrente.

E in effetti siamo sommersi di sexy-informazioni. Ci si metterebbe in mutande pur di pietire l’ ascolto.

Ma un dubbio continua a mordere: puo’ uno scolaro svogliato imparare la lezione quand’ anche disponga di un precettore disposto ad inseguirlo fino a casa? I vecchi dicevano che l’ asino puo’ essere condotto all’ acqua ma non puo’ essere costretto a bere.

Un dubbio resta, ma le ragioni di Wittman sono potenti. A me convince.

Mi accorgo di sapere più dei ministri che stanno a Roma rispetto agli assessori del Comune che sta a 150 metri dal mio divano. Quando l’ informazione si mette in testa di inseguirti ti bracca. Me ne accorgo e mi convinco.

Convince anche quando fa notare come un elettore razionale tiene conto che il politico è mediamente egoista quanto lui, e vota di conseguenza evitando le trappole.

Wittman, dunque, convince.

Eppure non avrà da me né un’ abiura completa, né una conversione a tracentosessanta gradi.

Ok, è riuscito a smontare in marchingegno ben oliato come quello dell’ “ignoranza razionale”, eppure resta ancora lì, intatto, quello dall’ “irrazionalità razionale”.

Nella sua apologia ha trascurato il sottile fascino esercitato dell’ ideologia: il sistema democratico spinge a non informarsi, ma invita soprattutto ad abbandonarsi all’ ideologia. Ci dice ogni giorno che possiamo permettercelo!

Non è un caso se la Propaganda marchia a fuoco la Democrazia quasi fosse il suo vitellino prediletto.

Professare un’ ideologia puo’ essere bello.

Giuro! Vivi da pascià, la salute migliora a vista d’ occhio. Rifiorisci. Hai da dire la tua su tutto e tutti. La lettura del giornale ti manda in estasi ogni mattino consentendoti di scatenare finte rabbie che attirano l’ attenzione. C’ è anche il brividino dell’ avventura: passi per un tipo con le idee chiare, magari un “estremista” che se lo puo’ permettere, un radicale reso tale dagli approfondimenti che gli hanno svelato il giro del fumo, ora sei una minoranza preziosa in via di estinzione. Dal gregge all’ élite, dall’ élite all’ unicum. L’ importante, comunque, è “essere”. Chiedete a qualsiasi psicologo e ditemi se “essere” è secondario per la salute psico-fisica dell’ individuo. Finalmente ti esprimi gridando a pieni polmoni (i polmoni del dubbioso cogitabondo sono messi peggio di quelli del fumatore). Hai una tua identità mentre prima non eri né carne né pesce.

Vuoi mettere?

Se poi prendi un granchio, niente di male, puoi sorvolare agilmente in assenza di controprove che non verranno mai (“il mondo è così complesso”) ma soprattutto il conto si paga alla romana.

E allora, sotto con le ordinazioni!

Concludendo, caro Wittman, io sono disposto a concessioni importanti, sono disposto a ripetere in coro con te che se noi non “andiamo” dall’ informazione, l’ informazione “verrà” da noi. Ok.
 

Ma, se permetti, continuo anche a pensare che quello dell’ informazione sia un vano tragitto: non ci troverà a casa!

Troverà invece appeso alle porte del cervello un bel cartello con su scritto: “sono in visita presso Signora Ideologia, torno subito dopo le elezioni o forse mai. A presto!”.

Il dogma

Frederick Wiseman ha simpatie radicali e qui gira il basic training dei marines americani in partenza per il Vietman.

Avete presente cosa puo’ fare e dire un radicale quando parla di marines e di Vietman?

Avete presente cosa puo’ fare e dire quando ne parla nel 1970?

Se le Torri le ha stese Bush, e c’ erano migliaia di giornalisti “sul pezzo”, chissà, stando a quella vulgata, cosa diavolo succede nel blindato fortino di Fort Knox. Come minimo si praticano lavaggi del cervello con turni anche di notte e la cupola degli scienziati pazzi si riunisce ogni tre per due con quella dei politici stupidi per varare sempre nuovi piani di conquista e destabilizzazione. L’ immaginazione ideologica puo’ correre libera a briglia sciolta.

Eppure:

1. Eppure, grazie a Wiseman, ora so per certo che l’ Accademia della Guardia di Finanza di Bergamo è luogo molto più alienante e giocosamente oppressivo rispetto al Fort Knox dell’ epoca d’ oro.

2. Eppure, il documentario rimane bello e attendibili (anche se in mancanza di sottotitoli la mia comprensione è inesorabilmente amputata).

Perché?

Onestà intellettuale? Forse.

L’ elemento soggettivo è importante, ma è anche radicato nel soggetto: va solo dove va lui, cammina sulle sue gambe.

più fruttuoso impegnarsi per scovare un elemento oggettivo esportabile ovunque.

E allora faccio la mia ipotesi: perché manca la voce fuori campo. Wiseman gira con un braccio legato privandosi volontariamente di questo espediente.

Averlo avrebbe potuto trasformare tutto in una “gabanellata” a tesi telecomandata.

Di più: manca qualsiasi voce o faccia che non sia quella dei protagonisti.

Di più: manca qualsiasi suono estraneo all’ ambiente.

Un film sul convento dei marines dove parlano solo i marines. Puro montaggio senza altre voci che “riassumono”, “razionalizzano”, “edificano”, “moralizzano”, “inquietano” o “tirano le somme”.

Visione cruda e senza filtri.

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Dovrebbe essere il Dogma triersiano dei documentaristi di ogni tempo..

martedì 14 giugno 2011

L’ asilo conta?

Mica tanto: http://econlog.econlib.org/

Al bar

Scendete ora giù al bar e chiedete a bruciapelo al vostro compagno di bevute quanto fa “171 x 24”, quello vi guarda senza rispondere, strizza gli occhi, corruga la fronte, chiede brancolando carta e penna e si apparta finché s’ è fatta l’ ora dell’ aperitivo.

In effetti non è un’ operazione semplice.

Eppure, se alla stessa persona fate domande molto più complicate – mafari che tirino in ballo centinaia di variabili, magari implicanti valutazioni generali sull’ economia o sulla politica estera – quello non vi farà neanche finire e attaccando con grande verve vi esporrà la sua convinta opinione sui fatti.

Ma come mai sappiamo risolvere tanto velocemente solo i problemi più incasinati?

Per chi difende la libertà la domanda non è pellegrina dato che la libertà trionfa laddove riconosciamo la nostra ignoranza: non esiste soluzione univoca, liberi tutti! Se invece ci districhiamo davvero così bene su questioni tanto complesse, la libertà diventa un orpello inutile: esiste una soluzione, applichiamola!

Purtroppo, a quanto pare, i nostri limiti così evidenti quando trattiamo problemi semplici, spariscono all’ improvviso quando le complicazioni si stratificano.

Il fatto è che una domanda facile (171 x 24) non la si puo’ cambiare, se ne sta lì implacabile davanti a noi come una sfinge sfacciata. Al contrario, una domanda difficile (“quanto bisognerebbe dedicarsi al salvataggio delle specie animali in via di estinzione?”) è proteiforme, sfaccettata. E tu puoi scegliere di rispondere alla faccia più benevola pensando di aver risposto a tutte.

Qualche esempio testato in laboratorio:

Quanto bisognerebbe dedicarsi al salvataggio delle specie in via di estinzione?

Nella nostra testa lentamente si trasforma in:

Come mi sento pensando all’ ultimo panda che tira le cuoia?

Oppure:

Quanto sei felice in questo ultimo periodo?

Diventa:

Come ti senti ora?

Oppure:

Di che popolarità gode il Presidente ora?

Diventa:

Di che popolarità ha goduto il Presidente negli ultimi sei mesi?

Oppure:

Dovrebbero essere punite le banche che hanno consigliato male i pensionati?

Diventa:

Quanto ti monta la rabbia sentendo notizie sulla speculazione?

Oppure:

Questa donna si presenterà alle elezioni, che opportunità avrà di vincere?

Diventa:

Questa donna ha la faccia da vincente?

Conclude lo psicologo:

… le scorciatoie facilitano reazioni rapide a domande che se prese sul serio richiederebbero una notevole mole di duro lavoro… trucchi del genere evitano di farsi toccare con mano le nostre incertezze facendoci scampare l’ ammissione d’ ignoranza…

Ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi:

E’ giusto avere un salario minimo per tutti?

Diventa:

Sarei contento se il padrone desse un aumento a chi guadagna poco?

Oppure:

Quale politica per la crescita?

Diventa:

Quale politica colpirebbe chi mi è antipatico?

Oppure:

L’ art. 18 andrebbe abrogato?

Diventa:

E’ sgradevole essere licenziati?

Oppure:

Come andrebbe graduata la progressività del sistema fiscale?

Diventa:

Ammiro o disprezzo i ricchissimi?

Morale: al bar la libertà è indifendibile.

Peccato che i bar non stiano solo qua sotto: ce ne sono anche in banca, al ministero, in parrocchia… Ma soprattutto ne sono piene le Università.

Musica per omuncoli

Benvenuti nel paradiso dell’ idiotismo elettroacustico.

Qui persino l’ ottusità è sgargiante e diffonde ovunque il buon umore e la cordialità (del cocainomane).

Vietato cantare. Gradite invece le lallazioni prodotte da adulti neonati mentre girano in tondo con accelerazioni da comica finale.

Edward Nino Hernandez

Un mondo sotto spirito che grazie a dosati elettroshock viene rianimato di tanto in tanto per scatenare la sua funebre vivacità marionettistica. Dietro le transenne il popolo dei curiosi lo guarda come uno di quei fiori kitsch che sbocciano ogni dieci anni.

Carim Nahaboo

link

Dan Deacon - Bromst - Cak

p.s. (che non c’ entra niente) auguroni al nostro mitico davide che oggi aggiunge una primavera alla sua saggezza!

Luce dalle crepa

There is a crack in everything. That’s how the light gets in.

Leonard Cohen

Quando una situazione puo’ essere descritta in almeno due modi differenti, entrambi coerenti al loro interno ma tra loro inconciliabili, parliamo di “ambiguità”.

Se una giovane è anche vecchia, siamo in un caso del genere.

giovane vecchia

Di fronte all’ ambiguità molti si sentono mancare la terra sotto i piedi e annaspano. Ultimamente va molto di moda trovare rifugio sul solido terreno delle scienze.

Illusi!

Luogo comune: l’ ambiguità valorizza forse l’ arte, ma quando si pensa seriamente è la chiarezza a divenire un valore.

Tutto giusto. Ma perché allora proprio la scienza cumula una quantità di conoscenze dove l’ ambiguità regna sovrana? E non parlo di curiosità da zoo safari ma di dinamite posta ai piedi dei piloni centrali che reggono l’ edificio del sapere. E’ questo un fallimento?

Di seguito, una dozzina di esempi.

1. Moltiplicazione. 3x2=6. Questo “sei” è un “oggetto” o un’ “operazione”?

2. Variabile X. Rappresenta una qualsiasi delle soluzioni possibili o l’ insieme delle soluzioni possibili?

3. Calcolo. Ogni calcolo integrale è riducibile a calcolo differenziale (e viceversa). Ma cosa si adatta meglio alla realtà?

4. Logica. La logica classica è un’ enorme tautologia e l’ essenza della tautologia sta proprio nella sua ambiguità.

5. Meccanica quantistica. Ma l’ elettrone è un’ onda o una particella?

6. Relatività. La realtà è materia o energia?.

7. Neuroscienze. Pensiamo con il cervello o con la mente? Con il cervello, ci dice la mente.

8. Scienza. Cos’ è? Una collezione di “leggi” o un’ attività umana?

9. Leggi della finanza. Esistono o no? Sembra di sì, ma se ci si adegua si dissolvono.

10. Significato. Lo trovo nel dizionario o nell’ uso?

11. Visione binoculare. L’ immagine reale si forma nell’ occhio destro o nel sinistro?

12. Matematica. I grandi matematici innovarono la loro disciplina attraverso "invenzioni" o attraverso "scoperte".

13. Evoluzionismo. Innesca la vita o è innescato dalla vita?

14 Caso, Infinito… Sono concetti definibili o no?

La risposta migliore è sempre la stessa: entrambe le cose. Anche se non riusciamo e non possiamo pensarle insieme!

Diffidate di chi trascura uno dei due corni del dilemma e tende a svalutarne l' importanza.

Ok, il cervello riconcilia le immagini che abbiamo negli occhi producendo l’ immagine che vediamo. Anche le ambiguità possono essere riconciliate ad un livello superiore, senonché tornano puntualmente a riproporsi anche a quel livello.

Prendiamo il concetto di “matematica”. Il formalista cerca di dimenticarsi della matematica come “attività umana”. Ma poi l’ ambiguità che crede di superare pensando in questo modo la realtà, torna a riproporsi in vesti curiose proprio nel cuore dei suoi teoremi.

Che vita d’ inferno quella dello scienziato che non ama l’ ambiguità.

Ma torniamo alla domanda iniziale. Questa ipertrofia dell’ ambiguo è un fallimento del sapere?

La scienza osserva e poi ragiona a tavolino. Solo che il tavolino su cui ragiona sembra avere tre gambe.

Tutto cio’ potrebbe essere visto come un bene, se esistessero zeppe in grado di fermarlo rischieremmo l’ immobilità assoluta. In questo modo siamo invece condannati al movimento e al cambiamento.

Speriamo che questo “cambiamento” sia anche un “avanzamento”. Ma qui interviene la fede.

Chi è in cerca di precisione e certezze stia dunque alla larga dalla scienza e dal pensiero scientifico, sarebbe una fatica immane quel far finta di non vedere a cui sarebbe costretto. La scienza ci consegna oggetti bellissimi ma anche fatalmente crepati, solo chi apprezza la luce che entra da quelle crepe si troverà a suo agio.

William Byers – The blind spot

lunedì 13 giugno 2011

1+1=2?

Era già un pezzo notevole (il primo di questa playlist); ora una chicca di Frankel prova ad illustrarlo.

Ottima occasione per osservare da vicino l’ incastro tra due bellezze. Come si relazionano?

Sinergia? Conflitto? Erosione?

 

Purtroppo, nell’ investirci, il nuovo prodotto ci chiama a dare delle precedenze, e l’ immagine se la prende senza tanti riguardi.

L’ ambiguità dei suoni risulta amputata, qualcuno ha già scelto per noi.

Il fascino della musica, quello di portarci ad un crocicchio ricco di alternative, si dissolve: siamo incamminati su una strada. E’ bellissima, è asfaltatissima, è scorrevole e ben illuminata. Mille promettenti negozi la costeggiano.

Ma è… “una”. Non l’ abbiamo scelta ed è senza ritorno.

domenica 12 giugno 2011

Libertarianism A-Z: compravendita di organi

Proibire la compravendita di organi umani ha poco senso. Uno scambio migliora la condizione di entrambe le parti ma questo scambio in particolare allevierebbe le sofferenze di molti per non dire delle vite umane che si salverebbero.

Qualcuno obietta che individui disperati o poco lungimiranti ci andrebbero di mezzo. In realtà dottori, ospedali, amici e parenti limiterebbero di molto gli abusi. A tutto cio’ si affiancherebbero regole sicure per il consenso.

Basterebbe un piccolo compenso per aumentare di molto le liste dei donatori. molti sarebbero felici di registrarsi per 100 euro. Compagnie private curerebbero questi registri rivendendoli agliospedali.

Libertarianism A-Z: tassa sulreddito

I principali sistemi fiscali si basano sulla tassazione del reddito, non è la tassa ottima (meglio tassare il consumo) cio’ nonostante vediamo quale struttura è preferibile.

Meglio evitare privilegi e esenzioni particolari.Anche quando sono ragionevoli complicano all’ inverosimile il sistema.

Inoltre alimentano la lotta politica e le azioni delle lobbies: perché impegnarsi sul lavoro quando conviene far casino e premere sul legislatore?

Opportuno poi minimizzare l’ aliquota marginale: una flat tax coglie al meglio questo obiettivo.

Da ultimo, una negative income tax realizza le politiche del reddito minimo garantito.


sabato 11 giugno 2011

Libertarism A-Z: tassa sulle imprese

Tassare il reddito d’ impresa costituisce una doppia tassazione qualora sia tassato anche il reddito distribuito.

Spesso la doppia tassazione è scongiurata ma solo attraverso complicate leggi fiscali che rendono il sistema molto oscuro e vulnerabile alle elusioni.

La tassa sulle imprese abbassa i salari e aumenta i prezzi: non è mai un bell’ affare.

Inoltre disincentiva il risparmio poiché non ha più molto senso investire in azioni.

Poiché tassare la produzione deprime l’ economia, ecco fioccare le esenzioni a macchia di leopardo, una pratica che è fonte di disordine e iniquità in campo fiscale.

La tassazione dell’ impresa fomenta la fuga verso il no-profit tramite mille forme di elusione fiscale.

La chiarezza di un sistema fiscale è perduta per sempre una volta stabilito che non solo le persone ma anche le cose pagano le tasse.

Dipingere la parola

Caleb Burnheim ha scritto parecchia avventurosa musica per archi nel tentativo di riproporre creativamente le tristi inflessioni vocali del suo idolo, il cantautore inglese Nick Drake. Microtoni, glissandi, archetti modificati… le ha provate tutte per inseguire quel modo tutto particolare di pitturare le parole.

Per noi è una benedizione che ascoltando le scheletriche ballate del depresso menestrello dall’ alto dei suoi diplomi non le abbia liquidate con un: “niente male per essere solo spazzatura!”, e nemmeno: “ottimo per la pausa caffé, in attesa di cominciare il lavoro serio sulla carta pentagrammata”. E nemmeno le abbia pensate come hobby da sfruttare per dar la stura ai suoi numeri da virtuoso.

No, per lui quella musica indolente e triste era un “mistero artistico” autentico che lo riguardava da vicino in quanto musicista, e con la sua opera e il suo linguaggio personale ha tentato di dare un resoconto credibile di cio’ che lo aveva colpito.

word painting

Il piccolo Nick Muhly, da corista di collegio, si è arrotondato la bocca su molta della tradizione anglicana e oggi, nella sua musica corale, le reminiscenze di questo passato (molto prossimo) traboccano: un fraseggio stretto dal Te Deum di Howells, un salto vocale da una canzone di Tye, un colpo di glottide nel mottetto pentecostale o un responsorio a velocità variabile, ricordo del Taverner della settimana santa.

Il climax a lungo sospeso della sua musica attende che affiorino in modo rapsodico queste trovatine eclettiche che finiscono qua e là per agglutinarsi in agitati caleidoscopi.

Il giovanotto predilige la musica sacra perché la Scrittura è zeppa di “you”, che con il “me” risulta essere parolina particolarmente musicabile e pitturabile; e anche perché lì la tradizione del “word painting” è consolidata. Non a caso, pur di infilare qualcosa di profano che si prestasse ad una fantasiosa sonorizzazione lessicale, si è affidato a Whitman, poeta le cui gioie assomigliano a quelle del bambino che trova la figurina mancante intonando salmi laudatori, e le cui rabbie lo portano ad inveire come un Geremia ad Arcore. Ma soprattutto è un tale che non esita a dire chi è (i “me” si sprecano, per la gioia del pittore di parole) e a parlare guardandoti negli occhi mentre ti mette spalle al muro infarcendo il suo sermone laico con un mitragliante “you”.

link

Nico Muhly – A good understanding - Decca

La verità nella carta bollata e la verità negli occhi

Ci sono molti che considerano la scienza moderna un monolite, a costoro la mitica “comunità scientifica” appare alla stregua di un tribunale chiamato ad emettere sentenze.

Un simile approccio lega inestricabilmente “scienza” e “certezza” facendo della prima la “religione del nostro tempo” (la vecchia viene mandata in pensione).

Si compone una graduatoria ordinando le ipotesi in funzione della loro “certezza”. In cima svetta la teoria “ provata scientificamente”.

Questo modo di procedere risponde ad un bisogno: l’ uomo è da sempre a caccia di rassicurazioni e oggi le rinviene nei solidi contenuti della produzione scientifica.

Altri, pensando alla scienza, preferiscono enfatizzare i processi rispetto ai contenuti. Costoro sponsorizzano una “scienza-meraviglia” da contrapporre alla “scienza-certezza”.

Per loro lo scienziato è un “curioso”, non un “sacerdote”. Il suo marchio di fabbrica lo rintraccerete negli occhi con cui guarda al mondo, non nella sicumera con cui prova un teorema.

curiosità

Il curioso, va da sé, apprezza la “diversità” ed evita di delegittimarla con graduatorie o condanne inappellabili. Sa che anche nelle istanze quantomeno dubbie c’ è sempre qualcosa che vale la pena “rubare”.

Avete presente lo scommettitore? Per lui l’ esistenza di posizioni minoritarie è da benedire per almeno due motivi: 1. gli alti rischi hanno un loro fascino e 2. che senso avrebbe scommettere (occupazione tanto amata) se un cavallo attirasse su di sé tutte le puntate. 

Ecco. lo “scienziato curioso” ha un istinto simile.

Secondo William Byers la prima posizione è, tanto per cominciare, pericolosa.

Pensate solo al mondo contemporaneo e alle crisi profonde che vive: terrorismo, economia, ambiente. La loro presenza e la loro entità ci colpisce nell’ intimo, sembriamo più vulnerabili dei nostri avi che tiravano avanti indifferenti in ambienti altrettanto se non ancora più ostili.

Ma colpiscono e sconvolgono soprattutto chi pensava che padroneggiando una solida scienza avremmo agevolmente scampato pericoli di questa portata.

Ma, per William Byers, la falsa credenza della “scienza-certezza” non è solo pericolosa, è anche tipica di chi, non frequentando la scienza, non percepisce il volume impressionante d’ incertezze che sprigiona il suo dispiegarsi.

E qui si scatena nel merito.

Veramente singolare questa marcia verso la verità a suon d’ incertezze. Un’ incertezza che fa strabuzzare gli occhi: a chi dallo spavento, a chi dall’ entusiasmo.

L’ autore mi convince su cio’ di cui sono già convinto, per esempio quando dipinge la scienza come un forum caratterizzato dall’ inclusione piuttosto che dalla proscrizione. Un po’ meno quando traccia una così netta cesura tra “certezza” e “meraviglia”.

William Byers – The blind spot – Princeton press

 

 

 

venerdì 10 giugno 2011

Si salvi chi puo’!

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Capitalisti nati

Bambini e proprietà:

Rather than being learned from parents, a concept of property rights may automatically grow out of 2- to 3-year-olds’ ideas about bodily rights, such as assuming that another person can’t touch or control one’s body for no reason, Friedman proposed.
...
Friedman’s team presented a simple quandary to 40 preschoolers, ages 4 and 5, and to 44 adults. Participants saw an image of a cartoon boy holding a crayon who appeared above the word “user” and a cartoon girl who appeared above the word “owner.” After hearing from an experimenter that the girl wanted her crayon back, volunteers were asked to rule on which cartoon child should get the prized object.
About 75 percent of 4- and 5-year-olds decided in favor of the owner, versus about 20 percent of adults.

Capire il “tubo”

Arrivano i referendum! Di solito preferisco non impelagarmi in argomenti di attualità ma, richiesto di un’ opinione sulla “questione dell’ acqua” in altra sede, non mi costa niente riportarla anche qui.
In realtà non si tratta nemmeno di un’ opinione, giusto quattro pensierini in croce che servono da premessa per iniziare un discorso sensato.
Nel frattempo davanti a noi si staglia l’ attivissimo popolo dei pervertitori linguistici che con trucchetti da due lire appena possono trasformano con la bacchetta magica lo “statale” in “pubblico”. Questo è il momento in cui producono il massimo sforzo.
Ebbene, lasciamoli perdere e veniamo al sodo:
1. Se al mondo c’ è qualcosa che non manca è l’ acqua.
Non è che siamo fortunati, è che altrimenti la natura avrebbe scelto per noi un altro pianeta, risolvendo l’ affare in partenza.  Quel che manca sono i “tubi”, in ballo non c’ è un problema di “diritti” ma di “creazione della ricchezza”. Fatto l’ “uomo” (con l’ aiuto della natura e del buon dio), bisogna fare l’ “uomo ricco” (con l’ aiuto della saggezza).
Gregory Thielker  DIPINGERE CON LA PIOGGIA
2. Il privato è sempre più efficiente dello stato.
Se le scienze umane sono mai riuscite a spiegare qualcosa, è proprio questo. E la teoria sembra quadrare: in caso contrario la Germania est avrebbe assorbito la Germania ovest, La Corea del Nord avrebbe fagocitato quella del sud e Cuba manderebbe aiuti umanitari in California e Giappone.
3. la privatizzazione della gestione idrica e il problema della povertà sono cose distinte.
Un prezzo troppo basso crea persino più danni sociali di un prezzo troppo alto (lettura obbligatoria: l’ assalto ai forni  descritto da Manzoni nei Promessi Sposi). Il fatto è che se voglio fare l’ elemosina a un bisognoso, molto meglio dieci euro e un mondo pieno di scaffali da cui servirsi piuttosto che un bicchiere d’ acqua su cui faccio la cresta.
4. Ci sono mille tipi (contratti) di privatizzazione ma una sola statalizzazione.
L’ apertura ai privati ci proietta in un mondo dove possiamo sempre imparare dai nostri errori. Sbagliare non è mai bello, la strada del “trial and error” è faticosa ma anche l’ unica che ci spinge in avanti.
piove
Pongo queste premesse con l’ aiuto del buon senso e del prezioso libretto di Frederik Segerfeldt (Water for Sale) in cui sono analizzati nel dettaglio venti casi di privatizzazione nel mondo.
Ottima occasione, questa dei referendum, per rispolverarlo.
Sembra comunque che che per il “no” sull’ acqua il referendum sia perduto. Il termine “privatizzazione” da noi fa paura, specie se al governo c’ è la destra. Uno spin-doctor onesto potrebbe proporre “responsabilizzazione”.
A proposito di esiti: per chi fa sul serio credendo di poter incidere, niente voto. Cavolo, se il voto fosse anche un dovere, il suo valore-netto come diritto scenderebbe ulteriormente fino a rasentare pericolosamente lo zero.
E il nucleare? Le discussioni in tema sono ancora fumanti.
E il terzo quesito? Francamente non so neanche cosa sia e non ho tempo d’ informarmi. Purtroppo la democrazia funziona così, baby.
p.s. La Lega sembra per il “no” sull’ acqua. Non stento a crederlo, ha occupato in grande stile i consigli delle municipalizzate con i candidati perdenti alle elezioni. Sono minimo tre mila e rotti euro al mese, mica paglia, da noi questa sistemazione “romaladronesca” è nota come “il paradiso dei trombati”. Il pdl dà invece libertà di voto, un’ altra delusione e un’ altra occasione per augurarsi sia investito dall’ ennesima tramvata.
p.s. i cattolici si dividono, certo non pensavo una schiera tanto nutrita per i “no” sull’ acqua. Ci sono i conservatori ma anche parecchi progressisti (anche qui). Che strano, uno di notte si sogna la Bindi…

Gerarchia dell’ interventismo

Crisi? Lo stato interviene? Ok, ma che si rispetti una gerarchia:
1. Politica monetaria convenzionale: abbassare i tassi a breve.
2. Politica monetaria non convenzionale: abbassare i tassi a lungo (penali sulla liquidità).
3. Politica fiscale convenzionale di primo grado: stimolare cio’ che stimolerebbe la politica monetaria (investimenti).
4. Politica fiscale convenzionale di secondo grado: abbassare tasse.
5. Politica fiscale convenzionale di terzo grado: aumentare la spesa pubblica.
The first level of the hierarchy applies when the zero lower bound on the
short-term interest rate is not binding. In this case, conventional monetary
policy is sufficient to restore the economy to full employment. That is, all
that is needed is for the central bank to cut the short-term interest rate. Fiscal
policy should be set based on classical principles of cost-benefit analysis, rather than Keynesian principles of demand management. Government
consumption should be set to equate its marginal utility with the marginal
utility of private consumption. Government investment should be set to equate
its marginal product with the marginal product of private investment
The second level of the hierarchy applies when the short-term interest
rate hits against the zero lower bound. In this case, unconventional monetary policy becomes the next policy instrument to be used to restore full
employment. A reduction in long-term interest rates may be sufficient when
a cut in the short-term interest rate is not. And an increase in the long-term
nominal anchor is, in this model, always sufficient to put the economy back
on track. This policy might be interpreted, for example, as the central bank
targeting a higher level of nominal GDP growth. With this monetary policy
in place, fiscal policy remains classically determined.
The third level of the hierarchy is reached when monetary policy is
severely constrained. In particular, the short-term interest rate has hit the
zero bound, and the central bank is unable to commit to future monetary
policy actions. In this case, fiscal policy may play a role. The model, however, does not point toward conventional fiscal policy, such as cuts in taxes
and increases in government spending, to prop up aggregate demand. Rather,
fiscal policy should aim at incentivizing interest-sensitive components of
spending, such as investment. In essence, optimal fiscal policy tries to do
what monetary policy would if it could
The fourth and final level of the hierarchy is reached when monetary
policy is severely constrained and fiscal policymakers can rely on only a n. gregory mankiw and matthew weinzierl 247
limited set of fiscal tools. If targeted tax policy is for some reason unavailable, then policymakers may want to expand aggregate demand by increasing government spending, as well as cutting the overall level of taxation to
encourage consumption. In a sense, conventional fiscal policy is the demand
management tool of last resort.

giovedì 9 giugno 2011

Fertile trascuratezza

Con una caparbietà solenne si cerca di attingere al pozzo nero dei riti atavici. 

A proposito di “nero”, pensano di farci credere che come moderni astronomi fissano il nero del cielo stellato, ma secondo me è sempre il nero dell’ africa ad ipnotizzarli. Dove ieri c’ era la savana, ora regna il disordine del ghetto.

La cerimonia è seguita da fedeli che ciondolano nei banchi e si chiude puntualmente con la festaiola polifonia negroide ispirata ai barattoli che la sposa trascinerà via con sé.

Suprema arte di marciare implacabili e disallineati. Ogni volta che il caporale dà il passo, cresce il fascino della diserzione.

Fertile trascuratezza, quanti capolavori hai ancora in mente di regalarci?

Sono veramente pochi i dischi di un’ ora che si fanno ascoltare per un’ ora di filata mentre alla nostra porta tutta la musica del mondo bussa per entrare!

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link

Robert Mazurek and his Exploding Star Orchestra – We are all from somewhere else

L’ appropriazione indebita

Non ho mai ucciso un comunista. L’ anticomunismo, sbollita la rabbia giovanile, l’ ho trovato una pratica assurda: uno stratagemma per tenerci occupati e confondere quelli che devono essere i veri obiettivi

Pierluigi Concutelli – Io, l’ uomo nero.

Secondo Orsini il brigatista è un tipo antropologico particolare: non ha interessi propri, affari privati, sentimenti, legami personali, affetti di un qualche tipo.

Non li ha e non deve averli. Se qualcosa resta deve liberarsene. E’ un uomo sradicato, alienato (e rinato solo grazie all’ ideologia).

Il terrorista deve essere solo. In questo senso vive un suo celibato. Il terrorista è coerente. In questo senso fa sempre cio’ che dice.

E’ o deve diventare privo di ogni egoismo, sempre pronto come un automa a gettare il cuore oltre l’ ostacolo sacrificandosi per gli altri.

Buzzfeed aiutiamo il giappone

Una condizione sacerdotale, la sua.

L’ ideologia della Chiesa (riveduta e corretta) sembra essere una fonte d’ ispirazione inesauribile: il capitalismo esalta la ricchezza, la Chiesa premia la povertà. La Chiesa predica poi la comunione dei beni e si offre spesso quale baluardo alla modernità.

Ma questo è proprio il ruolo che il brigatista rivendica a sé. Non a caso ama ritrarsi come un cristiano delle catacombe.

Il brigatista è pronto a fiancheggiare la Chiesa più retriva, come le rivolte afghane; sostiene la ribellione irachena come il terrorismo islamico. Anche la Tav in Val di Susa gli va bene. Tutto pur di colpire il suo nemico: la civiltà moderna.

Curcio leggeva Camus e parlava spesso del fatto di non aver avuto un padre. Più volte ebbe a dire seriamente “Dio è mio padre”.

Ecco, se c’ è un prototipo dell’ alienato questi è Curcio.

Nasce a Monterotondo da Jolanda Curcio (18 anni), il papà, Renato Zampa, lo conobbe a 12 anni. Jolanda lo affida alla famiglia Paschetto di Torre Pellice (alta montagna piemontese). A 10 anni finisce nel collegio dei preti Don Bosco di Centocelle. Si chiude in “una sfera di silenzio e rifiuto autistico”. Non parla, non studia. Incontra solo l’ ultimo parente che gli è rimato: Luigi Zampa, uno zio. Bocciato viene trasferito ad Imperia presso un’ altra famiglia. Bocciato di nuovo, solo la minaccia dell’ istituto di correzione lo spinge a studiare il minimo indispensabile per il diploma, che consegue dopo una fuga a Milano dove trova lavoro come ascensorista all’ Hotel Cavalieri. Con il diploma in tasca viene assunto alla Pirelli, una vita insostenibile per un ribelle del genere. Nel corso di una domenica qualunque chiede un passaggio non sa neanche lui per dove. Finisce a Genova, dove vive da barbone, scivola nell’ alcolismo e assume metadrina. Capisce che la sua esperienza è senza ritorno, scappa a Trento dove ha sentito dire che inaugurano una nuova facoltà di sociologia. Frequenta i corsi fondando una comune in una casa semi crollante sulle rive dell’ Adige. Di politica non sa ancora nulla, sa solo che odia profondamente questo mondo e vorrebbe distruggerlo. Il marxismo leninismo fornirà gli strumenti e le soddisfazioni surrogatorie del caso.

Il brigatista si ritiene un Messia chiamato ad “accelerare la Storia”, uno che “uccide per amore”.

Il riformista è per lui “un sadico che non si decide a staccare la spina”.

Biagi, D’ Antona avevano cercato di riformare il mercato del lavoro e devono pagare poiché le riforme con un qualche successo riducono l’ odio contro il capitalismo. Lenci fu condannato a morte da Prima Linea per i suoi progetti architettonici rivolti a migliorare la vita dei detenuti. Viscardi, direttore del carcere di Bergamo, fu eliminato per aver creato un clima ben accetto ai reclusi.

Tutto quel che Orsini sottolinea per molti ha un difetto terribile: vale anche per i terroristi neri. 

 

L’ autore lo sa e a loro dedica l’ appendice, sfilano le figure di Pierluigi Concutelli, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Franco Freda, Alessandro Aliprandi, Roberto Nistri.

Nulla sembra distinguerli dai “rossi”. Concutelli non fu meno rivoluzionario di Curcio o di Moretti. La vocazione lo spinse a combattere persino in Angola.

[… in questo senso il marxismo si rese colpevole di appropriazione indebita allorché tentò di avocare a sé la Rivoluzione. Nel libro è Moravia a difendere in modo che oggi suona patetico questa “esclusiva”…]

Non solo, anche il nemico era comune: il mercante e tutti coloro che coltivano il proprio “particulare”. Con loro intendevano colpire l’ individualismo, il profitto, la ricchezza, la concorrenza, la desacralizzazione del sacro, la libertà d’ espressione, l’ egoismo, la mancanza di solidarietà e il mondo borghese in genere.

Quanto alla costruzione da erigere domani, al di là di qualche accenno all’ Uomo Nuovo, non era certo al centro della loro attenzione.

Quanti documenti lasciarono i brigatisti sulla società che avrebbero voluto costruire? Orsini, uno dei pochi ad averli letti tutti risponde: nessuno.

I rivoluzionari per vocazione sono in realtà dei reazionari impenitenti, uomini offesi ed indignati da tutto cio’ che la modernità occidentale rappresenta.

mercoledì 8 giugno 2011

1-Bit Symphony

Il maestro Tristan Perich si dà alla musica elettronica (pura!) e cerca di cacciare a forza un’ intera orchestra sinfonica nel chip.

 

Qui invece la grammatica mozartiana è tradotta nella grammatica delle facce…

 

Una riforma seria

Perotti sulla riforma fiscale:

Non ci sono scappatoie: per una riforma fiscale seria bisogna ridurre la spesa. Questo non accadrà nel prossimo futuro.

Ripassiamo a cosa serve la statistica…

… con il sito delle correlazioni stupide.

martedì 7 giugno 2011

Libertarianism A-Z: salario libero

La fissazione di un salario minimo ha l’ obiettivo di garantire dignità al lavoratori non specializzati.

Ma spesso il salario minimo si trasforma in un salario pari a zero (disoccupazione) colpendo proprio coloro che vorrebbe aiutare, i benefici saranno raccolti da altri.

Spesso i posti a salario minimo sono accaparrati dai teenager figli di papà alle loro prime esperienze anziché ai capifamiglia low skill poco abbienti.

In generale, però, nei paesi ricchi il mercato garantisce salari superiori a quello fissato per legge, cosicché il tutto si trasforma in mere politiche populiste, ovvero in medaglie che il politico sfoggia tronfio davanti al suo elettorato.

La razionalità del mercato

Justin, let me first note that in your book, which I very much enjoyed, you make many gracious acknowledgements to the efficient markets hypothesis (EMH), such as the basic implication that it is very, very difficult to outperform the market. To outperform the market is incredibly hard, as evidenced by data not merely on retail investors who trade too much and tend to get into the market at exactly the wrong time, but professionals too, as mutual fund managers underperform their passive investment alternatives like night follows day. This is not a minor acknowledgment, but basically is the EMH theory.

Yet you call efficient markets a “myth” and say the theory “deluded” investors. “Efficient markets” appears to be a loaded phrase, with lots of baggage unrelated to the original definition presented by Eugene Fama back in 1965, which is that current market price is the best predictor of future price.

I think this distaste for efficient markets comes from two sources. First, many people distrust the “invisible hand.” They do not think markets are fair games that reward virtue and promote social welfare. Secondly, there are critics (stockbrokers, talking heads on CNBC, financial journalists) whose livelihood depends on markets being wrong; otherwise their special insight as to why one should be in telecoms, or bonds, would have no value.

Government fails more often than markets do

By definition, an efficient outcome is one that cannot be improved upon. I am no anarcho-capitalist. I think a collective must have rules, even government. Yet I think government power should be minimized, because government failure is far more common than market failure, as the I.Q. of a group is diminished by centralized interaction. Not only do government bureaucrats suffer from the same cognitive and emotional limitations as consumers and investors, they are politically motivated rather than merely self-interested.

Justin, you mention in your post that Robert Shiller noted that housing was on an unprecedented tear in 2004. But Shiller did not predict an aggregate housing decline; instead, he merely stated the recent increase in home prices was unlikely to continue. In the 2005 edition of Irrational Exuberance, he wrote that in some cities “the price increases may start to slow down, and then to fall. At the same time, it is likely the boom will continue for quite a while in other cities.”

Now, compare this modest warning by a lone economist to the forces promoting home lending from all directions. It was not just a Wall Street phenomenon, but one pushed by our government, legislators, regulators, and even academics (for evidence, see Stan Liebowitz’s “Anatomy of a Train Wreck“).

In 2002, President Bush bragged in a speech about how Freddie Mac had began a program to “help deserving families who have bad credit histories to qualify for homeownership loans.” Bank acquisitions were evaluated in part by their Community Reinvestment Act record, which necessitated lowering underwriting criteria on homes. Furthermore, the Federal Housing Administration was, and is, offering loans with only three percent down, and during the boom, the Department of Housing and Urban Development promoted a program where even this minor investment could be paid for by the homebuilder, allowing a homebuyer to purchase an overpriced house with no money down. As the Republicans discovered in 2004 when they tried to add more oversight to Fannie Mae, there was little legislative appetite for anything close to more stringent lending standards during the boom.

The market diagnosed the bubble

In light of this governmental housing exuberance, I doubt that a more powerful government would have mitigated the boom — rather, it would have made this crisis worse. Indeed, it was only the collapse of the subprime market at the beginning of 2007 as reflected by the ABX-HE subprime housing index that alerted people to the severity of this problem, and shut off financing by mid-2007, six months later. Market prices, not legislators, instigated the end of the insanity. How quickly are failed governmental initiatives usually stopped, once identified?

No one thinks markets are perfect, and EMH never says this. The proof that markets are efficient is that it is so improbable one can generate alpha — something you, like most EMH critics, concede. But the implications do not seem obvious. That you were able to find one person in 2004 and turn his measured warning into something that would have drastically reversed the regulatory emphasis on weakening underwriting standards is classic hindsight wisdom.

The nice thing is that markets rely on decentralized self-interest to keep prices in line, which is surely more dependable than legislators building patronage systems and pandering to their base with other people’s money. Letting markets, as opposed to bureaucrats, signal people how to get paid and how to invest, is simply better than the undefined alternative.

Il prezzo della coerenza

Se avessimo conquistato il potere

avremmo fatto impallidire anche Pol Pot

Alberto Franceschini

La storia del comunismo italiano è anche la storia delle Brigate Rosse e la storia delle Brigate Rosse è la storia di un movimento politico-religioso di stampo puritano.

Come nella profezia di Chesterton, dopo aver soppresso il Dio trascendente, l’ uomo si è trasformato da “credente” in ateo “credulone”.

Ripensando al terrorismo oggi ci vengono in mente strani personaggi un po’ comici e fuori dal tempo. Ma allora i “comici” sparavano.

PULP CHAPLIN

Il militante brigatista, come ogni discepolo, veniva sottoposto ad un processo politico-psicologico che spogliava le sue vittime di ogni umanità. Prima di essere ucciso il “nemico” era degradato ad una specie inferiore in grado di suscitare solo sdegno e ribrezzo. Si trasformava nel “porco” (rivendicazione Labate) o nel “lurido porco” (rivendicazione Taliercio).

Il mondo è un “pantano” (Gramsci) immerso nelle “tenebre della schiavitù” (Lenin) e alcuni uomini (i democristiani) ne sono responsabili, ucciderli è un atto di giustizia.

I brigatisti hanno bene o male una storia comune, sono tutti figli dello “gnosticismo rivoluzionario” e della “pedagogia dell’ intolleranza”. Una micidiale pozione messa a punto nei sofisticati laboratori del partito Comunista Italiano.

L’ interpretazione del marxismo come fenomeno religioso è oggi condivisa anche da autorevoli studiosi marxisti (Hobsbawn), in esso palingenetica speranza millenarista e preteso scientismo andavano di pari passo. Fu proprio Frederich Engels a richiamare di continuo le analogie tra prassi religiosa e prassi rivoluzionaria.

La mentalità gnostica presenta alcuni temi ricorrenti: l’ attesa della fine, il catastrofismo, l’ ossessione della purezza. L’ adepto adempie alla sua funzione azionato dal “motore dell’ odio”, un motore che deve essere continuamente lubrificato. Nei testi sacri sventolati nelle piazze sessantottine l’ odio di classe veniva teorizzato come “principio di ogni saggezza”.

Il messianesimo politico deve aleggiare di continuo affinché i doveri siano chiari: radere al suolo tutti gli aspetti della vita presente per edificare la “società degli onesti”. Il brigatista “si sente più pulito” (Minervino) e grida al mondo intero di essere animato da una “purezza assassina e dispotica finalizzata a reprimere gli impuri in nome di una fede incrollable” (Morucci).

La logica brigatista prevedeva la purificazione del mondo mediante lo sterminio del nemico. “Chiedevamo alla politica di essere pura così come Savonarola lo chiedeva alla sua Chiesa” (Morucci).

Il grande ispiratore del comunismo italiano e quindi anche dei brigatisti fu Antonio Gramsci, il suo discorso era intriso fin nelle fondamenta da una concezione gnostica della Storia. Considerandosi depositario di una “conoscenza superiore” si sentiva in dovere di “imporla con ogni mezzo”.

Il catastrofismo è una sua prerogativa, si sentiva vittima di “un mondo malato” dominato da “una terribile e asfissiante realtà borghese” che spinge tutti verso un “marasma omicida”. Solo la rivoluzione comunista farà tabula rasa.

Ma le masse non vedono, hanno bisogno di essere guidate. Una “minoranza illuminata” deve condurre il popolo verso la “redenzione”.

“Redimere” e “purificare”: siamo in presenza di un linguaggio religioso che Gramsci rivendicava con orgoglio. Nel suo periodare fiorisce il lessico misticheggiante e i militanti del partito diventano i “costruttori della Citta dell’ Uomo” che s’ ispira alla “Città di Dio”. La sete di santità e martirio è ovunque.

Gramsci indossa di continuo i panni del moralizzatore che denuncia lusso, ricchezza e profitto. Come ogni sacerdote che si rispetti si rivolge agli “uomini di buona volontà”. Li esorta ad uscire dalle “tenebre borghesi che incombono” facendosi carico delle sorti del mondo.

Gramsci, come i brigatisti, odiava i tiepidi prima ancora che i suoi nemici diretti (guardare alle vittime dei brigatisti è illuminante).

Per la sua concezione integralista della politica era intollerabile non “schierarsi in modo rigorosamente partigiano”.

La mentalità dal codice binario, nonché il sentimento prezzemolino dell’ “odio”, produsse uno slogan politico di grande successo: “odio gli indifferenti”.

“Odio gli indifferenti… e sento di poter essere inesorabile, sento di non dover sprecare la mia pietà… verso chi non parteggia…” (per capire quanto in Italia il passato sia stato elaborato a dovere basterebbe aggiungere che tra la commozione generale queste parole sono state appena riproposte come esempio di virtù civica nientemeno che in quel di San Remo).

Per Gramsci questo mondo è un “pantano lurido e nauseabondo”. Soluzione: distruggere e purificare.

Togliatti, Longo, Berlinguer raccolsero il testimone e, sebbene dovettero frenare il loro impeto causa un contesto internazionale poco favorevole, non esclusero mai una “trasformazione socialista anche violenta in Italia” (Togliatti).

A questo punto la domanda è scomoda ma ineludibile: quali furono le responsabilità del PCI nella genesi delle BR?

La risposta sembra altrettanto ineludibile: il gruppo che fondò le BR pagò il prezzo della coerenza con l’ educazione rivoluzionaria ricevuta nelle sezioni del partito. La responsabilità ci fu e fu una responsabilità pedagogica.

Rossana Rossanda riconobbe per prima il forte legame tra l’ indottrinamento ricevuto nel PCI e l’ ideologia brigatista. Leggendo i documenti prodotti dall’ organizzazione terrorista sembrava di “sfogliare l’ album di famiglia”. Quanti bei ricordi!

Il PCI del dopoguerra si caratterizzò per l’ esaltazione della violenza eversiva.

La violenza era ritenuto uno strumento del tutto legittimo per instaurare il socialismo, anche se ormai il fascismo era stato abbattuto. Nel 48, poco prima delle elezioni, Togliatti chiese lumi a Kostylev (ambasciatore URSS a Roma) circa l’ eventuale insurrezione in caso di sconfitta alle urne. Kostylev chiese a Molotov che chiese a Stalin: “per quanto riguarda l’ insurrezione armata del partito comunista italiano riteniamo che il contesto internazionale non la renda ancora attuabile”. Salvati dal baffone, ma si puo’? E poi ci chiediamo perché il  sentimento patriottico è tanto flebile.

Ci si limitò così a delegittimare i vincitori delle elezioni. La vulgata ufficiale era chiara: ricatti e brogli consentirono a De Gasperi il colpo di stato grazie al quale governava un governo “più illegittimo di quello fascista”. In queste condizioni esisteva chiarissimo un “diritto alla resistenza” (Longo).

Ma il PCI era un partito democratico, penserà l’ ingenuo. Ma ceeeeerto! Cio’ non toglie che “è del tutto superfluo domandarsi se sia lecito o meno ricorrere alla violenza per conquistare il potere perché democratica per definizione è la rivoluzione socialista, qualunque sia il modo in cui la si ottiene” (Togliatti).

C’ è da stupirsi se i migliori allievi di questa scuola (noti anche come “la meglio gioventù”) descrivessero Moro come il “gerarca più autorevole della DC” (primo comunicato dopo il rapimento) e la DC come “immondo partito”.

Nel “pacchetto educativo” del PCI, oltre alla delegittimazione dell’ avversario, ricorrevano le tecniche di “demonizzazione” e l’ esaltazione della violenza. Gli eroi erano Lumumba e Che Guevara (“la loro lotta è inseparabile dalla nostra”).

Nel corso del 68 – si preparavano nuove elezioni - il PCI, lungi dal prendere le distanze dalle frange più radicali ambisce ad organizzarle. Anche gli studenti più facinorosi sono descritti come “vittime dell’ irresponsabilità di governo”. “La loro è la violenza buona, creatrice di ordine e libertà”. Nessuna presa di distanza, dunque: bisogna convincere i terroristi in erba che il PCI è realmente rivoluzionario e non integrato al sistema: “… siamo il partito di Ho Ci Min e di Giap, siamo il partito della rivoluzione” (Occhetto).

Giocando con le parole, una volta evocate le forze dell’ eversione, il PCI non seppe più contenerle e la frittata si abbatté sull’ Italia. Nel 1972, quando ormai le BR erano pienamente operative, Amendola invitò il partito ad un “fermo atteggiamento critico”. Ma ormai si era civettato troppo a lungo e i figli avevano imparato fin troppo bene la lezione dei padri.

***

Il libro di questo storico “giovane promessa” è documentatissimo e mi interessa perché non si tratta solo di “storia”. Molti di quei protagonisti sono in campo ancora oggi, ma soprattutto è in campo una certa eredità culturale mai adeguatamente espulsa.

Non sono tanto ingenuo da credere al “Partito dell’ Odio” vs. il “Partito dell’ Amore” ma credo fermamente in un’ asimmetria dell’ odio  e cerco di spiegarmela.

Dopo questa lettura un paio di buone spiegazione le ho:

1. Chi non mette la politica al primo posto – quasi fosse una religione - difficilmente potrà mai provare un “odio politico” sincero. Fa molto meglio chi già in partenza teorizza la “centralità della politica”.

2. Un conto è chi “odia” improvvisando in seguito ad una stizza estemporanea o sospinto dalla spirale degli insulti reciproci, un altro conto è chi odia coltivando e mettendo a punto con cura il suo sentimento forte dall’ avere alle spalle la migliore tradizione politica in materia. 

Alessandro Orsini – Anatomia delle Brigate Rosse.

 

 

 

Capitale erotico

We present a new theory of erotic capital as a fourth personal asset, an important addition to economic, cultural, and social capital. Erotic capital has six, or possibly seven, distinct elements, one of which has been characterized as ‘emotional labour’. Erotic capital is increasingly important in the sexualized culture of affluent modern societies. Erotic capital is not only a major asset in mating and marriage markets, but can also be important in labour markets, the media, politics, advertising, sports, the arts, and in everyday social interaction. Women generally have more erotic capital than men because they work harder at it. Given the large imbalance between men and women in sexual interest over the life course, women are well placed to exploit their erotic capital. A central feature of patriarchy has been the construction of ‘moral’ ideologies that inhibit women from exploiting their erotic capital to achieve economic and social benefits. Feminist theory has been unable to extricate itself from this patriarchal perspective and reinforces ‘moral’ prohibitions on women's sexual, social, and economic activities and women’s exploitation of their erotic capital

lunedì 6 giugno 2011

“Scommettere” o “comunicare”?

Anche in politica molti ritengono che la “comunicazione” conti.

Dato questo per assodato, come reagisce l’ intellettuale?

Ce ne sono di due tipi.

1. C’ è chi si adopera perché conti meno.

2. C’ è chi si adopera perché conti in favore della propria parte.

Per i primi sarebbe meglio valorizzare la “ragione”. La centralità della comunicazione dovrebbe essere rimpiazzata dalla centralità degli interessi: quando sono in ballo i nostri interessi le “trappole comunicative” s’ inceppano. Parola d’ ordine: più scommesse, meno retorica.

Per i secondi la cornice coincide con il quadro e l’ abbellimento con l’ abito. In poche parole: la “comunicazione è già sostanza”.

sparrows

Voi con chi state?

Moralismo cattivo e moralismo buono

In una serie di vecchi post me la prendevo con il neo-femminismo puritano. Il capo d’ imputazione era forte: “moralismo”.

Dico “forte” perché so che da quelle parti un’ etichetta del genere, che altrove sarebbe un vanto, è mal digerita.

In effetti, essere considerati dei “moralisti” non è molto “cool” al giorno d’ oggi, eppure non voglio dar l’ impressione che sia sempre un atteggiamento condannabile.

Vediamo allora di distinguere il “moralismo cattivo”, imho quello delle neo-femministe, da uno più accettabile se non auspicabile.

[“Moralista” = è colui che non si limita ad osservare una certa regola etica di comportamento ma fa di tutto, o comunque s’ impegna, affinché anche gli altri si uniformino alle sue preferenze]

***

Se la morale non esistesse, esisterebbero solo individui egoisti che perseguono razionalmente il loro bene personale.

Ma attenzione, anche l’ egoista razionale, grazie al miracolo laico dell scambio, puo’ fare del bene: Tizio, infatti, si arricchisce e soddisfa i suoi obiettivi quanto più soddisfa prontamente i bisogni di Caio.

Questo è tanto vero che per alcuni autori è tutto: la morale si produce in modo endogeno, fine del discorso.

Per questi autori non serve un “uomo morale”, figuriamoci se serve un “moralista”.

Ma questa logica incontra ostacoli non da poco che si manifestano nel cosiddetto dilemma del prigioniero:

priso

Provate a leggere che che si tratta, vi accorgerete che in quei casi se mi comporto da egoista non costruirò mai “un mondo migliore”.

Ci sono molti dilemmi che derivano da quello originario. Sono tutti casi in cui la tentazione opportunistica (free riding) compromette il bene comune.

Questa critica non è tanto rivolta agli “egoisti”, in fondo costoro non hanno come obiettivo quello di migliorare il mondo in cui vivono, quanto a chi sostiene che un “mondo egoista” possa essere anche un “mondo migliore” per tutti.

Spesso la politica è chiamata in causa per raddrizzare queste storture, senonché quasi sempre la toppa che mette è peggio del buco.

La cosa migliore sarebbe allora l’ entrata in scena del cosiddetto “Uomo Etico” (UE).

UE segue dei principi etici e a quei principi uniforma con zelo i suoi comportamenti nella speranza di creare il fatidico mondo migliore.

Ebbene, possiamo dire fin da subito che non riuscirà mai a dar corpo alla speranza perché quei suoi principi, qualsiasi essi siano, libereranno interazioni in stile “dilemma del prigioniero”. Situazioni in cui per perseguire gli obiettivi di UE sarebbe meglio non adottare i principi di UE.

James Jean

Ogni etica del “buon senso” (ama i tuoi figli, la tua famiglia, la tua patria…) è soggetta al “dilemma”, esattamente come la razionalità egoista.

Solo chi si pone per obiettivo diretto “la costruzione di un mondo migliore” (conseguenzialismo), evita il “dilemma”. Vivendo in un mondo dove il battito d’ ali di una farfalla scatena gli uragani, giusto uno “gnostico” cova progetti tanto ambiziosi. E i danni dello gnosticismo sono noti.

Oltre a essere proco verosimile, un’ etica conseguenziale ha altri difetti: conduce spesso a conclusioni ripugnanti ed è auto-rimuovente.

Scartata la politica e scartato il “conseguenzialismo”, per fortuna ci sono altri rimedi. Ma per sfortuna dobbiamo constatare che sono tutti rimedi-monchi.

Si può chiedere all’ uomo di coltivare un certo altruismo, ma l’ altruismo crea altro opportunismo. Si possono chiedere “test kantiani” (faccio solo cio’ che sarebbe un bene se facessero tutti), ma il test kantiano spesso è assurdo. Si puo’ invocare la fiducia nel prossimo, ma la fiducia nel prossimo non garantisce una buona uscita dal dilemma.

Alla fin fine il miglior modo per uscire da dilemma è quello di appellarsi ad una sincerità introspettiva.

Da quanto detto comprendiamo quale sia l’ ossatura di un’ etica ben costruita: sani prinicipi + riluttanza all’ opportunismo nei casi evidenti di free riding.

Ma un’ etica aprioristica (fondata sui principi) revisionata in questo modo non puo’ più nemmeno dirsi aprioristica visto che per evitare i comportamenti opportunistici ci tocca calcolare esattamente le conseguenze dei nostri atti.

E’ un ibrido!

Per costruirla gli aprioristi e i conseguenzialisti devono allearsi e rendersi conto che stanno scalando la stessa montagna da versanti diversi.

L’ ossatura della mia etica laica preferita per costruire un “mondo migliore” è all’ incirca questa: rispetto della proprietà + sincerità.

Trasparenza e Proprietà. E’ un’ etica piuttosto borghese, lo ammetto.

Oltretutto la “sincerità” e il culto della “proprietà”, spesso creano danni. Ma non esiste al momento una formula per delimitare la parte benefica!

In genere mi attengo alla mia “etica da un rigo”, a meno che qualcuno mi dimostri in modo evidente che ci sono inconvenienti. Esempio: la bugia pietosa porta benefici evidenti, e io rinuncio al mio “principio di sincerità”. I problemi di "common knowledge" impediscono alla "sincerità" di essere un principio assoluto. Un ubriaco alla guida costituisce un pericolo evidente, e io rinuncio al mio principio di proprietà.

L’ uso dell’ economia mi consente di ridurre al minimo le mie “rinunce” poichè l’ economia rende difficoltoso enucleare “evidenze” contrarie ai miei principi. E quando il calcolo delle “evidenze” si fa confuso ed incerto, l’ appello ai principi diventa decisivo.

Ed ora veniamo ad una conclusione possibile.

Penso che l’ atteggiamento moralistico abbia un qualche senso nel momento in cui crea ostacoli al free rider.

Ecco allora la risposta che cercavamo: il “moralismo buono” consiste nel sanzionare moralmente chi è aggressivo con la proprietà altrui, nonché l’ ipocrisia (insincerità) di chi sfrutta le situazioni stilizzate nel “dilemma del prigioniero”.

Tutto il resto è moralismo cattivo, il moralismo di chi al mercato compra le carote facendo la “predica” a chi preferisce le zucchine.

Derek Parfit – Reasons and Persons

sabato 4 giugno 2011

L’ angelo e la diva

 

Ombra mai fu
di vegetabile,
cara ed amabile,
soave più
 

jackieevancho1(guarda il video)

Sì lo so, un bambino dovrebbe cantare come lui, un vero piccolo lord inglese.

Voce d' angelo, uditorio compunto, location prestigiosa, spartito alla mano, assistenza professionale, pronuncia curata, formazione impeccabile…

Ma a me oggi piace lei!

Americanina dal sangue impuro… tutta pepe e tutta sogni… arrivata fresca fresca da qualche reality dove ha combattuto all’ arma bianca… con le sue mosse da divetta dietro alle quali non riesce a sopprimere un sorriso da bimba e una felicità che sprizza…

Anche se siamo solo nell’ ufficio del babbo.

Classifiche riviste e corrette a tavolino

Per molti, almeno in via teorica, vige una sacra alleanza tra merito e mercato, per altri il divorzio è inevitabile.

In realtà i secondi confondono il concetto di “merito” con quello di “giustizia”.

Errore imperdonabile in un mondo dove l’ esistenza di molte risorse non è associabile ad alcun merito.

Se in una lotteria metto in palio un milione di euro, so già che finiranno nelle tasche di chi non vanta alcun merito nella produzione di quella ricchezza.

Detto questo, chi si occupa di merito è autorizzato a disinteressarsi della faccenda, una tasca vale l’ altra.

Ma chi dorme solo se “giustizia è fatta”, potrebbe pensare che sia auspicabile una distribuzione a pioggia del montepremi, in modo da neutralizzare i capricci della fortuna.

Negli affari umani, neutralizzare l’ influsso della fortuna è esercizio complicato, oserei dire temerario.

Faccio un esempio anche se mi sembra quasi inutile.

Alla fine della stagione calcistica il vincitore del campionato di calcio raccoglierà il frutto sia dei meriti che della fortuna. Per quanto le speculazioni si sprecheranno, non esiste bilancia in grado di discernere con esattezza le due componenti. Se esistesse, isoleremmo i meriti per riassegnare i titoli.

Circa quest’ opera di discernimento, esiste in proposito una legge ben precisa: chi vi si astiene non intaccherà mai i meriti in campo. In caso contrario i rischi di distorcerli irrompono.

Chi si limita al merito, così come chi identifica la giustizia con il merito, ha una scelta obbligata: non ostacolare mai la fortuna.

Il CONI e la Lega Calcio non sono istituzioni che ispirano grande fiducia, ma perlomeno una lezione elementare di buon senso l’ hanno appresa: non ritoccare mai la classifica finale in base a speculazioni elucubrate a tavolino.

E’ una lezione che la politica stenta ad apprendere, forse perché i politici ricavano la loro commissione d’ agenzia proprio sul “ritocco” di cui sopra.

Link che a me sono stati utili: unodue - tre

venerdì 3 giugno 2011

Quanta spesa serve?

20%

Esagerando.

Quanto dista la perfezione?

A un certo punto, dopo pranzo, per ragioni a lui stesso poco chiare, il passeggiatore si alza come fanno i sonnambuli e comincia il suo giro per i marciapiedi della città.

Nel corridoio prende d’ infilata una fuga di stanze, poi una tromba di scale ed è fuori nell’ aria aperta, pronto ad inabissarsi nella sua Anversa, l’ ombrello aperto contro l’ eventuale turbinio dei fiocchi, la lente affumicata a scudarlo contro l’ eventuale l’ impudicizia del raggio meridiano.

Via, via, libero.

Libero dal risucchio della Casa, libero dalla gravità dell’ Ufficio.

Libero di sgabbiare dalla feriale riflessione logica come dal groviglio festivo dei sentimenti domestici. Libero dalle tirannidi in grande stile come dal dispotismo spicciolo.

Il mondo più banale gli viene incontro senza filtri e senza preliminari, le mute stranezze costruite dagli uomini si avvicendano davanti a lui; dominato da un’ insopprimibile coazione all’ordine, comincia ad abbozzare appunti nella testa cercando di domare quell’ anonimo ginepraio attraverso la scrittura mentale.

Riuscirà solo a trasformarlo in un cumulo di dettagli senza sbocco.

Procede frettoloso e leggermente curvo in avanti, i pensieri vengono armoniosi e svagati con la stessa facilità dei passi, fioccano false idee a cui è bello restar fedeli per un attimo, almeno fino alla svolta del semaforo laggiù in fondo.

Se il pensiero è troppo vivo, la bocca biascica qualcosa di simile ad uno scongiuro. Messi in salvo da una sorta di rapimento, la fuggevole e velenosa attenzione altrui non riesce a ferirci.

Sono commenti estemporanei sempre provvisori e sempre più estesi, ogni correzione apporta migliorie anche se non si capisce bene la perfezione quanto disti.

Sale l’ ansia.

Intanto, man mano che procede, la passeggiata scivola nel ricordo, come quelle vite che si pietrificano nella memoria trasformandosi in qualcosa di simile a mischie irrigidite nell’ attimo.

Un Fernet sorbito al bancone suddivide i due grandi silenzi di quel pomeriggio peripatetico.

Al vero passeggiatore le mete si rivelano solo una volta raggiunte: la Stazione, il Palazzo di Giustizia, e infine, fiutando tracce di sofferenza, lo zoo.

Lo zoo: è sempre bello, dopo una giornata trascorsa in perfetta solitudine, farsi sondare dallo sguardo prostrato delle belve che scrutano dalla penombra della loro cattività. Specie da quell’ orsetto lavatore che ci dedica la sua seria espressione mentre non smette di lavare sempre lo stesso pezzo di mela con una dedizione che, superando ogni ragionevole scrupolo, sembra quasi cercare col gesto una formula magica per evadere dalla gabbia.

E’ tempo di rientrare, la piccola parentesi subacquea volge al termine, il congedo a quei marciapiedi è uno strazio giornaliero che si ripete inveterato da anni.

Si rientra nel chiuso accolti dallo sfarfallio azzurrino dei televisori, si rientra sognando uditori immaginari a cui elargire l’ effimero frutto di una fantasia fiorita nei silenzi prima che la fatica della camminata ottundesse tutto.

Ancora poco e incontreremo un’ anima, stando sotto un tetto è più difficile evitarsi. Qualcuno con occhi troppo spalancati, qualcuno più rigido di un cadavere in abiti domenicali ci rivolgerà la parola, e qualunque cosa dirà avremo l’ impressione di dover fronteggiare una violenza verbale sconvolgente.

Cercheremo di sostituire la protezione assicurata in città dall’ anonimia con una nuova barriera costituita da un fare confuso, inaffidabile, da risposte laconiche e monosillabi smozzicati. Speriamo funzioni, speriamo di poter riguadagnare al più presto quella solitudine in cui abbiamo investito tutto.

Sebald è autore che più di altri ci ha spiegato quanto sia impossibile “scrivere” una passeggiata, ma, nel farlo, più di qualsiasi altro autore c’ è andato vicino.

Nessuno è stato tanto eloquente parlando di balbuzie, nessuno ha saputo decorare tanto bene un’ amputazione.

Valio Ska

Una passeggiata, dunque. Compiendola, la creatività scatenata di una mente sensibile ci illude sui nostri talenti di “osservatore”. Una volta al desco i limiti affiorano e il crampo che blocca ogni predestinato non-scrittore (praticamente tutti noi) ci attanaglia fatalmente.

… di quell’ esperienza mi rimanevano nella testa solo abbozzi ormai inutilizzabili e mal fatti… li considerai ugualmente nel tentativo di dare loro indirizzi nuovi affinché prendessero ancora vita davanti ai miei occhi… nulla… la scrittura ora mi atterriva… eppure leggere era sempre stata la mia preoccupazione preferita… amavo starmene in compagnia di un libro fino a sera inoltrata, fino a che non riuscivo a decifrare più una sola parola e i pensieri iniziavano a girare in cerchio… la scrittura, sogno segreto, mi risultava invece di un peso tale che una sola frase era capace di assorbire la giornata prosciugandola di ogni gioia… avevo appena finito di buttar giù una di queste frasi imbastite con tanta fatica che subito si manifestava la penosa erroneità delle mie costruzioni e l’ inadeguatezza delle parole da me impiegate… se nondimeno, per una sorta di autoinganno, riuscivo talvolta a ritenere adempiuto il mio peso giornaliero, la mattina dopo, al primo sguardo gettato sul foglio, vedevo immancabilmente venirmi incontro errori, incongruenze e abbagli della peggior specie… poco o molto che avessi scritto, quando lo leggevo mi pareva sbagliato da cima a fondo… dovevo assolutamente riprendere tutto dall’ inizio… presto mi risultò impossibile azzardare il primo passo… simile ad un funambolo incapace di mettere un piede davanti all’ altro… avvertivo solo ondeggiare la piccola piattaforma sotto di me… i lumini che segnavano l’ inizio e la fine della corda da percorrere erano stati a lungo preziosi riferimenti, ora mi parevano esche maligne messe lì da una mente sofisticata per sviarmi… di quando in quando capitava ancora che un ragionamento si delineasse con perfetta chiarezza nella mia testa, ma, mentre cio’ accadeva, sapevo già che non sarei stato in grado di trattenerlo perché, appena afferravo la matita, le infinite possibilità della lingua, alla quale un tempo potevo abbandonarmi fiducioso, lo riducevano ora ad un’ accozzaglia di frasi insulse… non c’ era locuzione nel testo che non finisse per rivelarsi una penosa stampella, non c’ era parola che non suonasse svuotata e mendace… era come se in me scoppiasse una malattia latente da un pezzo… come se avesse preso piede qualcosa di ottuso e caparbio che, a poco a poco, avrebbe paralizzato tutto… dietro la fronte avvertivo già quell’ infame torpore che prelude al declino della personalità, sentivo di non possedere realmente né memoria né raziocinio… qualcuno me li aveva prestati per un attimo e ora tornava a riprenderseli…

W. G. Sebald - Austerlitz

Fuori dall’ eden

L’ infelicità perfetta?… la battaglia di ogni giorno contro bambini cresciutelli…

La felicità perfetta? Nelle braccia della mamma!