mercoledì 11 marzo 2015

La fede dell' intellettuale

Taluni sono intimoriti dal fatto che tra gli intellettuali l' ateismo è sovra-rappresentato, dichiararsi credenti significherebbe auto-etichettarsi come appartenenti alla parte più ignorante della popolazione. Per stemperare questo timore propongo qualche osservazione estemporanea. 
  1. Molti scienziati, più di quanti non si pensi, non crederanno nel Dio cattolico ma hanno comunque una loro vita spirituale (vedi il lavoro di Elaine Ecklund);
  2. poiché lo scientismo (solo la scienza “conosce”) è un buon candidato per sostituire la religione, esisterebbe un conflitto di interessi nel momento in cui uno scienziato è interpellato in materia: gran parte del suo capitale umano è investito proprio nella conoscenza scientifica! Sarebbe come chiedere a un professore se l’ “istruzione” serve, otterremo un autorevole parere ma “leggermente” viziato;
  3. per quanto l’ “intensità” di fede sia difficile da misurare, sembra proprio che tra i fedeli aumenti all’ aumentare della cultura (anche scientifica). Inoltre sembra proprio che, una volta tenuto conto dell’ effetto della ricchezza (e quindi dei sussidi all’ educazione) il nesso tra religiosità e intelligenza sia positivo.
  4. eliminando alcune domande ambigue su evoluzione e big bang ci accorgiamo che il legame cultura scientifica/fede cessa come d’ incanto di essere negativo.
  5. difficile che facendo scienza si perda la fede, molto più facile che facendo scienza ci si converta. Ultimo caso quello del genetista Francis Collins che, dopo aver mappato il genoma umano, ebbe a dire: “ho scoperto il linguaggio di Dio” (vedi Francesco Agnoli: credenti perché scienziati).
  6. l’ uomo d’ ingegno è più attrezzato per allontanarsi dal “senso comune” e la credenza in Dio poggia molto sul senso comune. Se aggiungiamo quanto sia “sexy” presentarsi nella società contemporanea esibendo una propria originalità, capiamo bene la lusinga a cui molti intellettuali anche raffinati sono sottoposti. In questi casi la sostanza passa in secondo piano.
  7. l’ università – la casa dell’ intellettuale – è luogo di trasmissione del sapere ma anche luogo di competizione dove gli intellettuali si esibiscono mostrando i loro “muscoli”, ovvero le complicate teorie che sono in grado di escogitare. Anche per questo un pensiero basato sul senso comune – come quello religioso – non attira.
  8. meglio sempre ricordare che in questi casi l’ asimmetria che ci si presenta tra credenti e non credenti è molto meno accentuata di quel che appare, questo per il noto processo di falsificazione delle preferenze che si attua al fine di socializzare al meglio tra simili. I meccanismi di esclusione non sono diretti ma sono efficaci: non recensiamo il tuo libro perché sappiamo cosa t’ ispira nel tuo intimo.
  9. tra gli intellettuali l’ ateismo prevale ma tra gli intellettuali che si occupano di religione (filosofi della religione) non è affatto così. Lo specialista della religione è per lo più un credente.
  10. c’ è poi un’ osservazione che contiene sempre la sua verità: “poca scienza allontana da Dio, molta vi riconduce”. In merito il fisico Russel Stannard ha scritto un bel libro in cui contrappone il bambino all’ universitario, le aperture mentali del primo e le paurose chiusure a riccio del secondo. Anche per qusto Dio diventa una favola per bambini, perché sono rimasti i soli a sapersi stupire. Loro e i grandi geni del’ umanità