Leggevo questo post tratto dal blog "Lettere ad Oreste". Nell' auto-proclamato "delirio liberista" si tenta di schematizzare una privatizzazione della politica. In realtà non si tratta di deliri, visto che si rifugge da soluzioni irrazionali, quanto piuttosto di utopie più o meno spinte.
"...perchè la privatizzazione degli enti locali funzioni, sarebbero necessarie gigantesche società di capitali in grado di acquistare tutto il territorio dell'ente locale. Il modo più semplice sarebbe offrire quote azionarie ai piccoli proprietari...".
Questa ipotesi non dice ancora niente, si ipotizza una corporation con azioni distribuite tra i cittadini. Il contenuto cruciale sta nella governance di questa impresa. Se ad ogni cittadino si attribuisce un' azione non negoziabile, oppure se ad ogni proprietario di azioni non negoziabili si attribuisce un voto, allora siamo in una semplice democrazia, esattamente come ora. Anzi, molti servizi sarebbero così "nazionalizzati".
Se invece, pur continuando a valere i vincoli del paragrafo precedente, i diritti di cittadinanza vengano riservati ai proprietari, allora siamo come in una democrazia del XIX secolo.
Ma siccome non mi sembra che l' esito auspicato sia quello appena descritto, ammettiamo pure che le azioni siano negoziabili e che la proprietà si concentri in poche mani. La gestione del territorio, si dice, dovrebbe diventare più efficiente. Vengono elencate più ragioni che sono poi tutte riconducibili alla seguente:
"...non si correrebbe alcun rischio di free-riders..."
E' difficile che "forti concentrazioni di proprietà" eliminino comportamenti opportunistici. Semmai è il contrario, ce lo dice la teoria del monopolio. In questa teoria chi offre il servizio è spinto alla notoria inefficienza e alla sottoproduzione del bene di cui è monopolista. Parecchi azionisti di minoranza sarebbero sacrificati.
"...perchè la privatizzazione degli enti locali funzioni, sarebbero necessarie gigantesche società di capitali in grado di acquistare tutto il territorio dell'ente locale. Il modo più semplice sarebbe offrire quote azionarie ai piccoli proprietari...".
Questa ipotesi non dice ancora niente, si ipotizza una corporation con azioni distribuite tra i cittadini. Il contenuto cruciale sta nella governance di questa impresa. Se ad ogni cittadino si attribuisce un' azione non negoziabile, oppure se ad ogni proprietario di azioni non negoziabili si attribuisce un voto, allora siamo in una semplice democrazia, esattamente come ora. Anzi, molti servizi sarebbero così "nazionalizzati".
Se invece, pur continuando a valere i vincoli del paragrafo precedente, i diritti di cittadinanza vengano riservati ai proprietari, allora siamo come in una democrazia del XIX secolo.
Ma siccome non mi sembra che l' esito auspicato sia quello appena descritto, ammettiamo pure che le azioni siano negoziabili e che la proprietà si concentri in poche mani. La gestione del territorio, si dice, dovrebbe diventare più efficiente. Vengono elencate più ragioni che sono poi tutte riconducibili alla seguente:
"...non si correrebbe alcun rischio di free-riders..."
E' difficile che "forti concentrazioni di proprietà" eliminino comportamenti opportunistici. Semmai è il contrario, ce lo dice la teoria del monopolio. In questa teoria chi offre il servizio è spinto alla notoria inefficienza e alla sottoproduzione del bene di cui è monopolista. Parecchi azionisti di minoranza sarebbero sacrificati.
L' efficienza non è mai garantita dalla semplice "privatizzazione", occorre anche la competizione.
Ben diverso il caso in cui tutte le azioni appartenessero ad un unico soggetto. Allora sarebbe possibile un urbanizzazione efficiente con eventuale rivendita parcellizzata del bene.
Resta il dubbio se la creazione di tanti piccoli sovrani non comporti dei rischi alla sicurezza.