giovedì 7 febbraio 2008

Per liberalizzare serve il contentino ai recalcitranti?

Boldrin, contro Giavazzi, dice che non ha senso.

Confutando il nesso causale [+libero mercato]=>[+povertà], si tenta di indebolire le pretese di Giavazzi. In alternativa e con le stesse intenzioni viene preso in considerazione il nesso: [+libero mercato]=>[+diseguaglianza].

A me sembra che il nesso da considerare sia: + libero mercato => + rischio.

Una comunità a lungo evolutasi nelle artificiose rassicurazioni del welfare all' italiana - che, tanto per esemplificare garantiva sia il posto fisso a vita che la disoccupazione a vita - è letteralmente terrorizzata anche solo da un pizzico di rischio in più. Persino la povertà è preferibile ad un rischio minimo di impoverimento relativo. I costi-opportunità sono per noi gravosissimi, se ci propongono due tariffe telefoniche anzichè una non dormiamo la notte per la paura di aver fatto la scelta sbagliata...

Senza contare che le liberalizzazioni avvantaggiano un individuo che oggi è solo "statistico" (sarò forse io? Ho le qualità e la fortuna per essere io?) mentre colpiscono un individuo ben specificato e cosciente (dal lavoratore iper sindacalizzato, ai noti percettori di rendite). Il primo rimuginerà sulle sue sorti con un filino di speranza, il secondo invece farà un baccano d' inferno.

E' per questo che, devo ammetterlo, ho l' impressione che un po' di zucchero occorra per la pillola.

Dato il sadismo e l' invidia connaturata nel genere umano, forse il miglior modo per consolare chi si ritiene a torto colpito da forme di liberalizzazione, consisterebbe nel colpire anche il suo vicino con lo stesso bastone. Mal comune mezzo gaudio: questo principio sì che tiene conto anche del "fattore culturale" senza intaccare il "fattore istituzionale".