giovedì 6 luglio 2017

Esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione 2017 – Rimini

Esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione 2017 – Rimini

«Quando si è provato ad essere amati da uomini liberi, il prosternarsi degli schiavi non vi dice più nulla», «le sottomissioni non hanno più nessun gusto»
Charles Péguy
ESERCIZI DELLA FRATERNITÀ DI COMUNIONE E LIBERAZIONE 2017: IL MIO CUORE È LIETO PERCHÉ TU, CRISTO, VIVI
Venerdì 28 aprile, sera
INTRODUZIONE Julián Carrón
«Che la preghiera non sia un gesto meccanico», ci diceva don Giussani. Dunque, «erigiamo la nostra coscienza, risvegliamo la nostra responsabilità! […] Tutto il mondo è come sotto questa cappa di piombo, che è la dimenticanza dello scopo per cui uno si sveglia al mattino,
LO SCOPO DIMENTICATO
«Cosa sarebbe una salvezza che non fosse libera?»
abbiamo cantato quanto noi siamo incapaci di vivere con verità e contraddittori nell’uso della libertà: «Ho imparato soltanto ad ingannar me stesso […]. / Nelle mie mani non è rimasto che / terra bruciata, nomi senza un perché […]. / Con le mie mani / non potrò mai fare giustizia!».
DEBOLEZZA E LIBERTÀ
«Cosa sarebbe una salvezza [dice Dio] che non fosse libera? / Come sarebbe qualificata? / Noi vogliamo che questa salvezza l’acquisti da sé. / Lui stesso, l’uomo. Sia procurata da lui. / Venga in un certo senso da lui stesso. Tale è il segreto, / Tale è il mistero della libertà dell’uomo. / Tale è il valore che noi diamo alla libertà dell’uomo».
PÉGUY
«Una salvezza [continua Péguy] che non fosse libera, […] che non venisse da un uomo libero non ci direbbe più nulla. […] / Che interesse presenterebbe una tale salvezza? / Una beatitudine da schiavi, una salvezza da schiavi, una beatitudine serva, in che cosa vorreste che m’interessasse? Può forse piacere essere amati da degli schiavi?»
PERCHÉ DONARE LIBERTÀ A UN POVERACCIO
Il cristianesimo, infatti, non va più di moda, non è più qualcosa che si possa trasmettere per abitudine o attraverso i costumi sociali. Per molti intorno a noi, la fede è ormai “roba vecchia”, da scartare
MAI LA LIBERTÀ È STATA TANTO ESALTATA
«Chiedete a un padre se il miglior momento / Non è quando i suoi figli cominciano ad amarlo come uomini, / Lui stesso come un uomo, / Liberamente, / Gratuitamente, / Chiedetelo a un padre i cui figli stiano crescendo. // Chiedete a un padre se non ci sia un’ora segreta, / Un momento segreto, / E se non sia / Quando i suoi figli cominciano a diventare uomini, / Liberi / E lui stesso lo trattano come un uomo, / Libero, / L’amano come uomo, / Libero, / Chiedetelo a un padre i cui figli stiano crescendo. // Chiedete a quel padre se non ci sia una elezione fra tutte / E se non sia / Quando la sottomissione precisamente cessa e quando i suoi figli divenuti uomini / L’amano, (lo trattano), per così dire da conoscitori, / Da uomo a uomo, / Liberamente. / Gratuitamente. Lo stimano così. / Chiedete a quel padre se non sa che nulla vale / Uno sguardo d’uomo che incontra uno sguardo d’uomo. // Ora io sono il loro padre, dice Dio, e conosco la condizione dell’uomo. / Sono io che l’ho fatta. / Non chiedo loro troppo. Non chiedo che il loro cuore. / Quando ho il cuore, trovo che va bene. Non sono difficile. //
CHIEDETE A UN PADRE
san Gregorio di Nissa: «Colui che ha creato l’uomo per farlo partecipe dei suoi beni, […] non avrebbe potuto privarlo del migliore e più prezioso di quei beni, voglio dire del dono […] della libertà».
SAN GREGORIO
Allora la grande domanda che ciascuno di noi si deve fare all’inizio di questo nostro gesto insieme è semplice: la salvezza è rimasta interessante per me?
UNA SALVEZZA INTERESSANTE
«Cristo resta come isolato dal cuore»
non bastava rimanere passivamente nel movimento per mantenere la freschezza dell’inizio, perché l’incontro fatto restasse interessante. Neanche a noi, che eravamo stati scelti, graziati da un dono così sconvolgente come l’incontro con Cristo attraverso don Giussani, poteva bastare l’abitudine per conservare quell’inizio. Diceva, infatti: «Siete diventati grandi: mentre vi siete assicurati una capacità umana nella vostra professione, c’è come − possibile − una lontananza da Cristo… Il semplice rimanere non bastava per continuare a provare l’« emozione di tanti anni fa», dell’inizio….
UNA PREOCCUPAZIONE DI GIUSSANI AI PRIMI ESERCIZI
Se l’isolamento di Cristo dal cuore riguarda il rapporto con tutto, è «perché il cuore», dice subito dopo, «è come uno guarda i suoi bambini, come uno guarda la moglie o il marito, come uno guarda il passante,
LA LONTANANZA DI CRISTO
Sappiamo bene, per esperienza, che Cristo è diventato per noi una presenza interessante perché ha fatto vibrare il nostro cuore, ha fatto vibrare diversamente il nostro io di fronte a tutto (« La realtà si rende evidente nell’esperienza», 14
È CRISTO CHE RENDE TUTTO INTERESSANTE
che cosa prevale ora come sentimento del vivere? Che cosa scopro come fondo ultimo di me stesso? Qual è il pensiero dominante?
COSA SCACCIA CRISTO?
Un cammino da compiere
Nell’udienza del 7 marzo, il Papa ci ha ricordato che «fedeltà al carisma non vuol dire “pietrificarlo”– è il diavolo quello che “pietrifica”, non dimenticare! Fedeltà al carisma non vuol dire scriverlo su una pergamena e metterlo in un quadro… fedeltà alla tradizione– diceva Mahler– “significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri”….
NON PIETRIFICARE IL CARISMA
Senza libertà, la vita di ciascuno di noi può diventare un museo di ricordi dei vecchi tempi. Se non c’è qualcosa che prevale nel presente come più interessante di tutti i ricordi, la vita è bloccata.
È LA LIBERTÀ CHE VIVIFICA
Kierkegaard, «io non conosco […] in verità la verità se non quando essa diventa vita in me», 19 ed è questo il senso del cambiamento, del mutamento. Ecco la ragione ultima del richiamo di don Giussani: che noi diventiamo sempre più veri,
VERITÀ E VITA. ESISTENZIALISMO
Perché don Giussani insisteva tanto sulla necessità di un cammino di maturazione? Perché proprio nel maturarsi della familiarità con Cristo risiede la possibilità di una pienezza della nostra vita, del nostro diventare noi stessi. Altrimenti l’alienazione domina.
MATURARE CON CRISTO
Grande è la responsabilità dell’educazione: quella capacità di comprendere, infatti, pur rispondente alla natura, non è una spontaneità. Anzi, se trattata come pura spontaneità, la base di sensibilità di cui originalmente si dispone verrà soffocata; ridurre la religiosità alla pura spontaneità è il modo più definitivo e sottile di perseguitarla, di esaltarne gli aspetti fluttuanti e provvisori, legati a una sentimentalità contingente. Se la sensibilità per la nostra umanità non è costantemente sollecitata e ordinata, nessun fatto, neppure il più clamoroso, vi troverà corrispondenza.
LA RELIGUONE SPONTANEA MUORE. OCCORRE MOTIVAZIONE E INTENZIONE
Se il nostro cuore non è desto, nessun fatto, neanche quello di Cristo, potrà mostrare e realizzare la sua corrispondenza a esso.
UN CUORE DESTO
«Il nostro primo pericolo è il formalismo»
Don Giussani parlava anche di un «formalismo nell’aderire alla comunità». E lo descriveva così: «Non si è a posto perché si fa la Scuola di comunità, non si è a posto perché si partecipa alla santa Messa con il proprio prete, non si è a posto perché si fa il volantinaggio o si attacca fuori il tatzebao.
NON SIAMO A POSTO
Quando soccombiamo a questa separazione (tra Dio e la vita, tra la presenza di Cristo e la vita, tra la fede e la vita), i nostri compiti diventano una mera appendice della nostra esistenza, qualcosa di estraneo al nostro cuore.
LA SEPARAZIONE
Il fondo del problema: «Siamo stati staccati dal fondamento umano»
Quando Cristo è isolato dal cuore e non si rivela come interessante per la nostra vita, il cristianesimo si cristallizza in dottrina. Se Cristo non è riconosciuto come necessità mia, se non è scoperto da me come essenziale per la pienezza delle mie giornate, come la Presenza di cui non posso fare a meno per vivere − perché ho un bisogno che nient’altro può soddisfare −, il cristianesimo resta al massimo come il nobile pretesto per un mio impegno sociale o religioso, da cui mi attenderò una realizzazione– o una soddisfazione − che non arriverà mai.
DOTTRINA SINTOMO DI DECADENZA
Reinhold Niebuhr: “Nulla è tanto incredibile come la risposta ad un problema che non si pone”.
IL PROBLEMA CHE NON SI PONE
«Dalla parte del sepolcro oppure dalla parte di Gesù»
Attorno a quel sepolcro, avviene così un grande incontroscontro. Da una parte c’è la grande delusione, la precarietà della nostra vita mortale che, attraversata dall’angoscia per la morte, sperimenta spesso la disfatta, un’oscurità interiore che pare insormontabile. La nostra anima, creata per la vita, soffre sentendo che la sua sete di eterno bene è oppressa da un male antico e oscuro. Da una parte c’è questa disfatta del sepolcro. Ma dall’altra parte c’è la speranza che vince la morte e il male e che ha un nome: la speranza si chiama Gesù.
LA SPERANZA
***
Sabato 29 aprile, mattina All’ingresso e all’uscita: Ludwig van Beethoven, Sinfonia n. 7 in la maggiore, op. 92 Herbert von Karajan– Berliner Philharmoniker “Spirto Gentil” n. 3, Deutsche Grammophon
PRIMA MEDITAZIONE Julián Carrón «Beati i poveri in spirito»
«Ci sono alcuni che più facilmente distribuiscono tutti i loro beni ai poveri, piuttosto che loro stessi divenire poveri in Dio»… coloro che sono «ricchi di sé, non poveri di Dio; pieni di sé, non bisognosi di Dio»«Questa povertà è necessaria perché descrive ciò che abbiamo nel cuore veramente: il bisogno di Lui»….
DIVENTARE POVERI
Il povero, ci ricorda don Giussani, è tutto attesa: «Guardate se questo non è veramente la descrizione del povero povero povero, del povero che va per la strada: attende che gli si dia quello che gli permette di vivere il momento dopo,
IL POVERO DI GIUSSANI
La natura del bisogno del cuore
La povertà è il riconoscimento del bisogno di cui è fatto il nostro cuore. «Il povero di spirito è uno che non ha nulla eccetto che una cosa per cui e di cui è fatto, vale a dire un’aspirazione senza fine […]: un’attesa senza confine.
IL POVERO DI CARRON
Come dice una poesia di Clemente Rebora […]: “Non aspetto nessuno…”, eppure uno è lì tutto proteso. […] Questa è l’originalità dell’uomo»:
IL POVERO DI REBORA
Il cuore non è una premessa teorica, ma esistenziale. Vale a dire, è all’opera, ma va portato a galla e riconosciuto nella sua natura… La natura del cuore non è una definizione già saputa, che possiamo accontentarci di ripetere– cristallizzandola così in una dottrina astratta
POVERTÀ ED ESISTENZA
Dunque, la questione è scoprire i bisogni veri che ci costituiscono. Ma per far questo occorre un impegno con la nostra esperienza, che implica l’esercizio di quella libertà di cui parla Péguy. I nostri bisogni veri, infatti, emergono nell’esperienza (« dall’intimo delle vicende concrete che si vivono», 58 come diceva don Giussani):
VERI BISOGNI
Quali sono i segni attraverso cui il cuore dell’uomo si rivela nella sua natura? Uno di questi è la noia di cui parla Moravia, così spesso fraintesa, e che egli avverte come il sintomo dell’insufficienza del reale: «La mia noia potrebbe essere definita una malattia degli oggetti, consistente in un avvizzimento o perdita di vitalità quasi repentina;
NOIA
Un altro segno è la nostalgia, il senso struggente di qualcosa che ci manca e che non riusciamo a definire. «Mi hanno rimproverato sempre», scrive Ernesto Sabato, «il mio bisogno di assoluto, che d’altra parte appare nei miei personaggi.
NOSTALGIA
L’esperienza della delusione, inevitabile proprio perché niente corrisponde totalmente al cuore, non arresta l’uomo, ma– come ci ricorda don Giussani– lo esaspera, ne esaspera la sete. «Questa è la natura della ragione, questa è la natura del cuore dell’uomo, questa è la natura di ciò che costituisce l’uomo come uomo.
LA DELUSIONE CHE SPRONA
Chi è dunque il povero? Chi non ha nulla da difendere se non la propria sete, la propria attesa, la propria natura originale, che egli non si è data da sé, ed è perciò tutto proteso a riconoscere e ad accogliere chi può rispondervi. È la ragione per cui Gesù definisce i poveri “beati”. Questa povertà non è per Gesù una disgrazia, ma una beatitudine: «Beati i poveri in spirito…
NULLA DA DIFENDERE
“Gli uomini raramente imparano quello che credono già di sapere”, diceva una romanziera inglese, Barbara Ward. I farisei credevano già di sapere, non hanno imparato
FARISEI
Per questo, nell’elenco delle beatitudini la prima è: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli». Infatti, solo coloro che sono consapevoli della loro povertà, che ammettono il loro bisogno, che sentono la loro fame e la loro sete, potranno riconoscere il portatore del regno, il portatore della risposta.
POVERI IN SPIRITO
“Il motivo per cui la gente non crede più o crede senza credere [e l’incontro eccezionale fatto non incide fino al punto di destare una esperienza diversa del vivere, una percezione diversa di sé] […] è perché non vive la propria umanità, non è impegnata con la propria umanità, con la propria sensibilità, con la propria coscienza, e quindi con la propria umanità”. 74 Lì, quella sera, è stato come fare un grandissimo respiro».
IL MOTIVO PER CUI LA GENTE NON CREDE
Dal fondo del nostro errore, una sete di salvezza, un bisogno di perdono
il bisogno di perdono, di misericordia, di riscatto dopo ogni nostro errore, dopo ogni fallimento o sconfitta o mancanza che si ripete.
BISOGNO DI MISERICORDIA
Ma non basta la presenza piena di tenerezza di Gesù per fare l’esperienza del perdono. Occorre accettare la Sua presenza, arrendersi al Suo perdono, alla Sua misericordia.
ACCETTARE IL PERDONO
81L’innominato finalmente si arrende. Lo si vede dalla faccia, che da «stravolta e confusa» diventa «attonita e intenta». Senza questa mossa della libertà la salvezza non sarà mia… Arrendersi a una presenza che perdona, accettare di essere salvati: è il dramma continuo della libertà….
LA FATICA DELL’INNOMINATO
Come succede a Miguel Mañara, il protagonista dell’omonima opera teatrale di Miłosz: «Dopo essersi confessato dall’abate, continuava ad andare dall’abate a sfogarsi per i propri peccati; non poteva dimenticarli, non poteva “sdentarli”, non poteva strapparli via: erano, li aveva fatti».
MILOSZ
Da che cosa si vede, invece, che prevale in me la certezza, lo sguardo di una Presenza? Se mi ricrea. Perché il perdono ricrea– come è accaduto all’Innominato −. «Soltanto lo stesso identico gesto della povertà può staccarmi da me stesso e farmi diventare ilare: perché Cristo vive e Cristo è mio, Cristo è per me (Propter nos homines).
RICREARSI
Che povertà occorre per accogliere il perdono che è Cristo! Una povertà che «è resa possibile dal fatto che c’è Cristo, che la presenza dominante è Cristo, che l’oggetto del mio sguardo è Cristo. Per questo si può uscire finalmente liberi dalla confessione: se la confessione è andar da Cristo, non se è altro.
CRISTO CI DOMINA
Accogliere l’abbraccio di Cristo richiede una povertà radicale: accettare di essere così “bisogno” da dipendere totalmente dalla misericordia di un altro;
BISOGNO RADICALE
A questo punto possiamo comprendere più chiaramente la lettera del Papa: «I poveri infatti ci rammentano l’essenziale della vita cristiana. […] Questa povertà è necessaria perché descrive ciò che abbiamo nel cuore veramente: il bisogno di Lui».
POVERI COME MEMENTO
Dio attende la nostra libertà senza smettere di perdonarci, come ci ha ricordato il Papa: «È grazie a questo abbraccio di misericordia che viene voglia di rispondere, di cambiare».
UN DIO CHE CI SOLLETICA
«La morale cristiana non è lo sforzo titanico, volontaristico», ci diceva sempre il 7 marzo 2015, «di chi decide di essere coerente e ci riesce, una sorta di sfida solitaria di fronte al mondo. No. Questa non è la morale cristiana, è un’altra cosa. La morale cristiana è risposta, è la risposta commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura “ingiusta” secondo i criteri umani,
LA MORALE PER IL CRISTIANO
Il mio cuore è lieto perché Tu, Cristo, vivi
Chi è consapevole della sconfinatezza del suo bisogno, sul quale Cristo si è piegato, non può che esclamare con don Giussani: «Il mio cuore è lieto perché Tu [, Cristo,] vivi». 98 Dio risponde con la Sua presenza– incarnandosi, facendosi compagno dell’uomo– precisamente a questa insopportabilità di noi stessi, a questa clamorosità della nostra debolezza.
FELICITÀ
Quanto più uno vede scaturire dalle viscere del vivere il suo vero bisogno, tanto più capisce che la risposta non può essere un discorso, ma una presenza presente… Per liberarci dagli ingranaggi in cui continuamente restiamo incastrati occorre una presenza presente. È questa la natura del cristianesimo: un avvenimento ora….
DISCORSO E PRESENZA
La certezza della Sua presenza cresce e si sostiene solo con l’esperienza personale, che impegna la nostra libertà, come spiega sempre papa Francesco. Solo «in virtù della propria esperienza» si approfondisce la convinzione «che non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo,
L’ESPERIENZA PERSONALE
La Fraternità è per noi il luogo dove siamo educati a vivere la povertà necessaria per poterLo riconoscere e per guardare tutto senza paura,
LA FRATERNITÀ
La chiarezza del giudizio morale, l’inclinazione affettiva al giusto, la forza della volontà, tutto ciò matura come conseguenza:
LE CONSEGUENZE
È un cambiamento che definisce la “presenza”». 106 Sappiamo di essere davanti a questa Presenza perché ci cambia.
CAMBIAMENTO E PRESENZA
Che cosa introduce nella vita la presenza di Cristo quando uno se ne rende conto e vi cede? Una tensione, il desiderio di Lui, la domanda. «La domanda è il limite ultimo, il confine misterioso della nostra libertà. Nella domanda la nostra libertà si gioca… La vera e fondamentale pratica ascetica è domandare….
DESIDERIO E PRESENZA
Come vediamo, la libertà è sempre in gioco. «La moralità» dice Giussani «è una tensione. Se fosse “compiere” una cosa, non sarebbe più tensione.
MORALITÀ COME TENSIONE
***
Sabato 29 aprile, pomeriggio All’ingresso e all’uscita: Johannes Brahms, Sinfonia n. 4 in mi minore, op. 98 Riccardo Muti– Philadelphia Orchestra “Spirto Gentil” n. 19, Philips-Universal n SECONDA MEDITAZIONE Julián Carrón «Renderò evidente la potenza del mio nome dalla letizia dei loro volti»
«I tuoi occhi vedevano tutto e parlavano al cuore, / le parole portavano il fuoco e la voglia di andare… andare.» 110 Se prestiamo attenzione a quello che abbiamo cantato, scopriamo come tutto sia collegato: la voglia di andare nasce da occhi che vedevano tutto e parlavano al cuore e da parole che portavano il fuoco.
LA MOTIVAZIONE
Il contenuto dell’annuncio cristiano, infatti, è un’altra cosa: un avvenimento che muove l’io nel profondo.
L’ANNUNCIO CRISTIANO
«La cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda»
«Pensate a Giovanni e Andrea: per tutta la loro vita il presente più presente è stato il presente di quel giorno.» Prestiamo attenzione a questa frase: «Il presente più presente è stato il presente di quel giorno». Non si parla di un fatto del passato! Il presente più presente è qualcosa che rimane presente sempre.
PRESENTE PER SEMPRE
Allora, «se si ha coscienza di Colui che è tra noi, […] non è la fatica che ci spaventa. Come la madre quando il bambino piange e la sveglia di notte: non è la fatica che spaventa, ma la fede che entusiasma.
GIOIA E FATICA
«La cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda è la fede, è la gioia dell’incontro che abbiamo fatto, è la gioia dell’avvenimento che ci è accaduto ed è l’avvenimento che ci è accaduto, è la gioia dell’incontro fatto che ci fa desiderare di cambiare.»
GIOIA E VIRTÙ
La virtù della povertà
«Se apparteniamo a Cristo», dice don Giussani, se Cristo è presente nella vita, se Cristo è immanente alla vita, allora noi, come Zaccheo, «non apparteniamo alle cose che abbiamo», perché c’è qualcosa d’altro, di più grande, che prevale: questo è ciò che si chiama povertà.
POVERTÀ: NON APPARTENERE ALLE COSE
la ricchezza è l’attaccamento a sé, alla propria misura, alla propria immagine. […] La povertà si radica nella coscienza che io sono non in quanto ho questo o quello.»
RICCHEZZA: ATTACCAMENTO A SÈ
La povertà, dunque, «è resa possibile dal fatto che c’è Cristo, che la presenza dominante [della vita] è Cristo, che l’oggetto del mio sguardo è Cristo».
CRISTO E LA POVERTÀ
La povertà è «il non riporre la propria certezza in niente salvo che in un presente, […] in ciò che ci è presente sempre». Per essere poveri occorre cioè che Cristo sia presente, occorre che il cristianesimo sia un avvenimento presente (e se non è un avvenimento presente, non è cristianesimo).
POVERTÁ INSOPPORTABILE SENZA CRISTO
Lo vediamo nella vita quotidiana, positivamente o negativamente. Un esempio tra i tanti: se non sono certo che mia moglie o mio marito non mi pianterà tra qualche anno dicendo: «Non ne voglio più sapere di te», io non metto in comune i beni neanche per sogno e preferisco senz’altro la separazione dei beni (al di là delle valutazioni fiscali).
LA CERTEZZA MI FA RISCHIARE
La povertà è allora conseguenza della speranza, cioè della certezza che Cristo compie, perché è una Presenza presente ciò che desideriamo
POVERTÀ E SPERANZA
Don Giussani ci segnala tre punti, che sono tre conseguenze o tre segni. a) Libertà dalle cose Poiché Cristo fa esplodere di pienezza il mio cuore, io sono libero dalle cose: «La povertà è quella libertà dalle cose- anche dalle facce – che avviene come conseguenza della identificazione chiara di ciò da cui possiamo sperare la felicità, di quella Presenza da cui ci aspettiamo tutto, che è tutto: “Tutto per me Tu fosti e sei”, diceva Ada Negri».
DA COSA RICONOSCIAMO L’INCONTRO CON CRISTO? 1 LIBERTÀ DALLE COSE
b) Letizia Qual è il segno della povertà intesa come libertà dalle cose? La letizia. «Da questa libertà dalle cose, che nasce dalla certezza che Dio compie tutto Lui, scaturisce un’altra caratteristica dell’animo povero che è la letizia.»
LETIZIA
c) Libero perché nulla ti manca Quando noi poggiamo su qualcosa che permane, cioè sul divino, non ci manca nulla «perché tutto è tuo». Tutto è tuo. «Come mai tutto è tuo?» domanda don Giussani. «Perché hai ciò che ti è necessario, hai tutto ciò che ti è necessario.»
TUTTO È MIO
Dall’impeto iniziale alla lotta della vita
Nell’incontro con Gesù è stato messo nelle mani di Zaccheo il metodo: lasciare entrare una presenza, invece che affidarsi a un proprio sforzo moralistico, che si era già dimostrato incapace di cambiarlo.
IL METODO
Per questo la lotta è continua. E solo chi permane fedele potrà vedere il trionfo, la vittoria di Cristo nella vita, accettando il ritmo umano del cambiamento, che passa attraverso la nostra libertà. È a questo livello che possiamo capire la portata e lo scopo del nostro stare insieme, come ci richiama don Giussani nel libro degli Esercizi: «La Fraternità è semplicemente un aiuto a vivere la verità di sé in tutto quello che si fa, […]
LA LOTTA
Come si fa ad avere sempre coscienza di quella Presenza da cui ci aspettiamo tutto? Giussani ci indica una strada semplice e sicura: «Ripetendo gesti di coscienza. E stando attenti al luogo in cui Cristo stesso ci desta la coscienza».
COME MANTENERE LA PRESENZA?
a) La prima indicazione per il cammino è dunque ripetere gesti di consapevolezza. Innanzitutto la preghiera, cioè il domandare e il ricordare, il riprendere continua coscienza di quello che si è: una cosa sola con Cristo.
LA PREGHIERA
b) La seconda indicazione è l’attenzione alla compagnia vocazionale: «Dio che fa il cielo con le stelle ha stabilito il luogo dove tu prendi coscienza. Questo luogo che cosa è? La compagnia vocazionale, questa compagnia vocazionale che ha come luogo, nel senso stretto della parola, l’ambito di tempo e di spazio (spazio: dove si posano i piedi; tempo: ore, minuti) dove questa compagnia si raduna, in cui la compagnia vocazionale si esprime.
LA COMPAGNIA
***
Domenica 30 aprile, mattina All’ingresso e all’uscita: Wolfgang Amadeus Mozart, Sinfonia n. 40 in sol minore, KV 550 Frans Brüggen– Orchestra of the 18th Century “Spirto Gentil” n. 36, Philips-Universal
«Vorrei capire meglio che cos’è questa salvezza, su cui hai molto insistito, perché io la vedo come una cosa molto lontana nel tempo, che arriverà alla fine della mia vita. Perché dovrebbe essere interessante per me ora, nelle sfide delle mie giornate?»
DOMANDA SULLA SALVEZZA
Proprio per quello che ha appena detto Davide, la salvezza è la cosa meno lontana dalla nostra vita, è la cosa più vicina. La grande grazia che abbiamo ricevuto è la notizia che Dio ha vinto la lontananza.
SALVEZZA: DIO CI È VICINO
«Come si fa ad amare e ad avere rispetto della libertà dell’altro, quando vedi tuo marito che, pur avendo fatto l’incontro ed essendo già stato preso da Cristo, è bloccato e non desidera cambiare? Sono arrivata a odiare questa libertà.
DOMANDA: COME AMARE LA LIBERTÀ DELL’ALTRO QUANDO L’ALTRO MI FERISCE
Domandalo! Domanda a Cristo che avvenga. Ma non sempre i disegni di Dio coincidono con i nostri, e non sempre gli altri sono disponibili alla grazia che Dio dà loro. Ci sono tutte e due le cose. Dietro alle domande formulate c’è tutta la fatica che noi facciamo davanti alla libertà nostra e altrui, perché le cose non si verificano secondo i tempi che abbiamo in testa noi.
DOMANDALO E CHIEDI MISERICORDIA
«Hai detto che dobbiamo aprirci a noi stessi, guardare con simpatia all’umano che è in noi, prendere sul serio quello che proviamo, e che questo lavoro è cruciale. Ma questo vuol dire che tutto di me va bene? Cosa vuol dire guardare l’esperienza “con occhio chiaro”, come dice don Giussani?
DOMANDA: IL FATTO CHE DEVO ACCETTARMI SIGNIFICA CHE TUTTO VA BENE DI ME?
Una delle conseguenze più strepitose del mio incontro con il movimento è stato scoprire che potevo amare la mia umanità, come penso sia capitato a chiunque di voi quando è stato oggetto di un amore: avete fatto l’esperienza di uno che non si scandalizzava dell’umano che era in voi e che vi abbracciava così come eravate… La natura umana non è interamente corrotta», 184 dice il Catechismo, essa «conserva il desiderio del bene»
NON SCANDALIZZATEVI DELL‘UMANO
La risposta a Cristo è possibile solo per l’entusiasmo di un abbraccio ricevuto. Tuttavia, tu hai aggiunto che non si tratta di un automatismo. Come superare la paura di resistere? Come è possibile abbandonarsi davvero all’iniziativa di un Altro?»
DOMANDA: COME SUPERARE LE PAURE?
Osservate la vostra esperienza: quando vi innamorate, non andate– che so − al cinema con lei o con lui per uno sforzo volontaristico. O quando un tifoso va alla partita della sua squadra– non dico quale, altrimenti si scatena la bagarre!
ANALOGIA CON L’ INNAMORAMENTO
«Che la povertà sia una beatitudine è stata una scoperta vertiginosa. Perché nella nostra esperienza percepiamo la povertà come una vulnerabilità che non è desiderabile, invece che come una conferma del cammino fatto?»
DOMANDA: PERCHÈ LA POVERTÀ CI IMPAURISCE?
Il nostro ideale, il desideratum, è non essere vulnerabili, perché– quasi senza accorgercene– concepiamo la salvezza come un non avere più sete, una abolizione del desiderio. Ma che salvezza sarebbe quella che ci privasse del nostro desiderio? Non potremmo chiamarla salvezza.
LA SALVEZZA DEVE CONTENERE IL DESIDERIO. LA POVERTÀ LO INDIRIZZA NN LO SOSTITUISCE
Cristo fa crescere il desiderio, non lo riduce; noi sentiamo aumentare i nostri desideri e questo è segno di un atteggiamento di povertà. Al tempo stesso, tu ieri hai parlato del fatto che povertà significa possedere le cose in un modo diverso. Come stanno insieme queste due cose, cioè il fatto che questa povertà implica un distacco ultimo dalle cose, per cui io non sono attaccato ultimamente a niente, eppure io desidero?… «Se abbandoniamo tutto per seguirLo, che ne è dei desideri e delle aspettative particolari in famiglia, nel lavoro, che ogni giorno cerchiamo di realizzare?
DOMANDA: COME PUÒ LA POVERTÀ ESSERE SIA DISTACCO CHE DESIDERIO
Mi è bastato fare una domanda alla ragazza che l’aveva posta perché tutto si rovesciasse: «Tu ti sei innamorata qualche volta?». «Sì». «E quando ti sei innamorata le altre cose che valore avevano? Le cose concrete e tutto il resto della tua vita sono stati squalificati?». «No». «Allora come la mettiamo? Che esperienza fai quando tu ti innamori? Le altre cose sono ridotte di valore o sono esaltate?».
ANCORA L’ANALOGIA DELL’ INNAMORAMENTO
COMMENTO PERSONALE
Si pongono con forza due temi sempre cari a Giussani:
1) l’ adesione a Cristo è un atto di libertà e
2) l’adesione a Cristo è un atto vitale e mai formale.
Il primo punto è epistemologico: la libertà è sempre alla base di un riconoscimento autentico. Il secondo punto è didattico:non si assimila nulla senza un coinvolgimento, senza un entusiasmo, senza una motivazione.
Ma le due cose non stanno insieme molto pacificamente, occorre una diacronia. Mi spiego meglio.
Faccio un esempio ripensando al mio amore per la musica. Come si è formato? Come ricostruisco l’incontro con la Musica?
All’inizio c’è stata la militanza, le sue origini sono misteriose, chiamiamolo pure un “dono”: ho creduto di poter discernere il bello e il significativo dal resto. Questa distinzione mi ha collocato, mi ha fatto trovare un posto, un’identità, e mi ha regalato un fuoco forse mai più riacceso con tale impeto.
Con il tempo è subentrato un certo distacco, lo ammetto. Tuttavia, l’entusiasmo iniziale è stato tale che per me era facile intuire che mai questo amore mi avrebbe abbandonato. Inoltre, nel distacco la passione ha lasciato il posto ad una maggiore lucidità: anche in quello che prima combattevo ho riconosciuto del buono; anche in quello che prima adoravo, ho riconosciuto i difetti. Non avevo più bisogno di radicali divisioni, non avevo più bisogno di schierarmi, di identificarmi. Tra lucidità e passione si è realizzato come untrade-off.
In altri ambiti della vita la storia si ripete: uno si appassiona alla politica esaltandosi per un partito, poi, con la maturità, i suoi orizzonti si allargano. Uno si appassiona allo sport tifando per una squadra, poi, con l’esperienza, sul tifo fa premio la sportività e l’apprezzamento del talento puro. la lista è infinita. Oserei dire che un percorso del genere fa parte dell’umano..
Con questo non svaluto l’entusiasmo della militanza: senza di essa nulla sarebbe iniziato. L’alternativa alla militanza è l’indifferenza, sia chiaro. Senza la sua spinta nulla si incontra e nulla si sperimenta con l’ attenzione di cui siamo capaci. Ma nemmeno la pongo come la meta finale, come il punto in cui si realizza la mia piena libertà. Questo la colloco in un momento successivo, un momento in cui l’entusiasmo ha prodotto i suoi anticorpi ma ha anche dissipato quei suoi tipici fumi che possono obnubilare. Ecco, in quel momento la lucidità diventa protagonista e la mia libertà più verace si esprime al meglio e con meno condizionamenti.