Sarà civile la quarta fase dell’economia di mercato? L'impresa civile: Una via italiana all'economia di mercato (Itinerari) (Italian Edition) di Luigino Bruni
Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava a ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la «tolleranza» della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. P.P. Pasolini, Scritti corsari
FASCISMO E CONSUMISMO PER IL PASOLINI DEGLI SCRITTI CORSARI
Responsabilità, il nome nuovo dell’economia
Una delle parole chiave di questa nuova stagione del capitalismo è responsabilità. Responsabilità deriva da rispondere: essere responsabili significa infatti rispondere, offrire ragioni quando si è interpellati da qualcuno.
Note:RESPONSABILITÀ
La cultura dominante dell’impresa e dell’economia è, per tradizione, irresponsabile, poiché il principio sul quale si è costruita la cultura del mercato e della concorrenza nell’ultimo secolo, soprattutto nel mondo anglosassone, è stato basato su quello che A. Hirschman (1970) ha chiamato «exit» (l’uscita). Nella sfera politica la gente protesta (fa «voice») e vuole risposte (perché l’uscita è difficile e molto costosa), ma nella sfera economica, dove invece si può uscire cambiando impresa, non ha senso protestare.
Note:EXIT. IL CAPITALISMO ANGLOSASSONE
In realtà sappiamo che negli ultimi anni il confine tra politica ed economia è sempre più sfumato, e i cittadini protestano anche nel mercato, chiedono «buone ragioni» alle imprese per le loro azioni.
Note:ECONOMIA E POLITICA
Domandare e rispondere, «parlare» nel mercato, erano tutti sinonimi di spreco e inefficienza! La crisi che viviamo è anche la crisi di questa cultura del mercato.
Note:MERCATO ANONIMO
Le sfide della longevità
Con una accelerazione straordinaria, negli ultimi decenni l’umanità sta sottraendo alla morte molti anni di vita: non è lontano il traguardo dei cento anni come una realistica aspettativa di vita.
Note:LA RIVOLUZIONE DELLA LONGEVITÀ
Un tale cambiamento veloce e importante ci porterà presto, da una parte, a riconsiderare i tempi della vita: la tripartizione verticale e diacronica tipica della modernità: studio-lavoro-pensione, va ripensata e resa più complessa. Si potrà, e dovrà, studiare anche durante la fase lavorativa, e lavorare, sebbene diversamente, anche nell’età oggi assegnata allo studio
Note:I TEMPI DI VITA
la tripartizione studio-lavoro-pensione era legata alla cosiddetta economia e società fordista, centrata attorno alla fabbrica: lavorare era faticoso, un «male» nel linguaggio della teoria economica.
Note:IL LAVORO COME ONERE
In secondo luogo, nella «prima» e nella «terza» età i beni più scarsi e rilevanti per la felicità (e per l’infelicità) sono i beni relazionali: la rivoluzione silenziosa ci costringe a riporre in cima alle priorità la qualità delle relazioni
Note:RELAZIONI COME BENE
Infine, il lavoro dovrà essere sempre più concepito come un’attività (work, direbbe la Arendt) e meno come posto di lavoro (job). Il lavoro dovrà progressivamente sganciarsi dal salario o dalla remunerazione monetaria. Le persone oggi chiedono libertà dalle attività non scelte
Note:LAVORO COME SCELTA DI VITA
Se, anche per la rivoluzione della longevità, saremo costretti a ripensare che cosa significa lavorare, dovremmo necessariamente complicare e ridiscutere i sistemi di remunerazione dell’attività lavorativa, per evitare che il tempo liberato dal lavoro venga occupato dal nichilismo e dalla noia, o da attività che non si incrociano più le une con le altre.
Note:RIPENSARE LAVORO E TEMPO LIBERO
L’economia civile e l’oggi
Parlare di tradizione italiana come di impresa civile può apparire a chi osserva oggi il capitalismo italiano un’operazione difettosa
Note:TRADIZIONE ITALIANA DELL' IMPRESA
Non sono forse il «familismo amorale» italiano, e l’intreccio troppo fitto tra economia, comunità e politica, il grande vizio del nostro sistema economico, bancario e industriale?
Note:FAMILISMO AMORALE
l’economia di mercato italiana è anche la storia di un sentiero di sviluppo interrotto. L’umanesimo civile, prima, e il Settecento riformatore poi, avevano in realtà dischiuso una via al mercato innovativa e capace di grande futuro.
Note:UNA TRADIZIONE INTERROTTA
la tradizione italiana, fortemente informata da un cristianesimo comunitario e centrato sulla famiglia, non è stata vincente in un Occidente che stava uscendo dal feudalesimo, che in Italia, nel Sud specialmente, era molto radicato nell’economia e nella cultura. Nell’Europa moderna, e poi nel mondo intero, l’umanesimo anglosassone, centrato sull’individuo, la sua libertà e la sua richiesta di uguaglianza, non poteva non essere il modello vincente.
Note:MODELLO ANGLOSASSONE MODELLO VINCENTE
l’umanesimo anglosassone di mercato, quello che oggi domina la globalizzazione (e le sue crisi), ha però perso sul terreno della fraternità, e quindi della felicità, in particolare della pubblica felicità:
Note:PUBBLICA FELICITÀ
Oggi in Occidente la risorsa scarsa, anche economica, delle società (non solo economie) di mercato è la relazione interumana genuina, non puramente strumentale e contrattuale, che possiamo chiamare anche fraternità.
Note:FRATERNITÀ COME RISORSA SCARSA
Il futuro che ci attende
Non è possibile oggi parlare seriamente di economia e di impresa senza avere sullo sfondo del discorso, e ben presente nell’analisi, la stagione di crisi che sta attraversando il sistema economico capitalistico, una crisi che è primariamente antropologica e relazionale.
Note:CRISI
L’umanità ha conosciuto l’economia (oikos nomos) con la comparsa dell’homo sapiens (e forse anche prima), e i sistemi economici che nella storia della civiltà umana si sono avvicendati sono stati molteplici: dalla caccia all’agricoltura, dall’economia curtense all’economia di mercato. Sono stati gli uomini e le donne con la loro cultura, con le loro scelte e i loro valori a orientare i sistemi economici,
Note:CULTURA ED ECONOMIA
Si pensi all’ultimo grande passaggio dal feudalesimo all’economia di mercato, un cambiamento epocale che è avvenuto non appena i nuovi valori di libertà ed eguaglianza hanno fatto implodere un mondo fondato su altri valori (gerarchia, disuguaglianza) che l’uomo moderno ha voluto superare.
Note:DAL FEUDALESIMO AL MERCATO
Saranno allora, ancora una volta, la sete di vita e il desiderio di felicità delle persone a trovare soluzioni alla crisi di questo capitalismo. Ma il risultato «umano» che uscirà da questa crisi dipenderà da tutti e da ciascuno, dal civile, dal politico e dall’economico.
Note:COME USCIREMO DALLA CRISI?
Note:L' economia civile è + sostenibile dell' ec. di mercatodono e scontoassunto implicito: la cultura plasma il benessereÈ il contratto che ha spiazzato la famiglia, non lo Stato Sociale. [contr.: il mercato non risponde alle esigenze di sicurezza, eppure spiazza l' istituzione che a queste esigenze risponde: la famiglia !?]Ricostruzione bruniana: la donna va al lavoro e la famiglia va in crisi: lo stato tampona [sembra una ricostruzione irrazionale: x' mai la donna dovrebbe mandare in crisi la famiglia se la f. è un bene prezioso?]X' abbiamo xso il civile? Vedevala chiesa protagonista e questo era intollerabole ideologicamenteUna questione semantica: no-profitL' espressione implica che il no profit non sia mercato. n.b.: veramente è proprio nei paesi nordici che si cerca d' includere il profit nel 3 settoreStoria del no profit: 1 il mercato manda in crisi la comunità 2 interviene lo stato con il welfare 3 il welfare insostenibile chiede aiuto al no profit/// Dubbi su 1. X' mai? Quale logica? Più robabile che la paura del rischio abbia aumentato la domanda di stato a discapito della comunità
L’economia e il mercato
la «vecchia» tradizione economica europea, in particolare quella italiana, che in questo saggio chiameremo economia civile, con il suo modello comunitario legato alla città e al territorio, con la sua impresa medio-piccola, spesso localizzata all’interno di distretti industriali (i quali spesso conservano l’eredità di antichi saperi legati ad abbazie o arsenali), è forse un’economia di mercato più sostenibile e a misura di persona di un certo capitalismo di tradizione anglosassone fondato sull’individuo, sugli interessi e sulla mutua indifferenza.
Note:ECONOMIA CIVILE VS CAPITALISMO
L’economia di mercato ha i suoi prodromi nell’Europa meridionale (nell’Italia soprattutto) del Duecento e del Trecento e nella sua civiltà cittadina, un’economia di mercato, in quel tempo ancora solo incipiente, nata dall’incontro tra l’umanesimo cristiano orientale e occidentale (con un forte peso dei francescani) e l’emergente etica mercantile laica, con gli ebrei e anche con gli arabi (si pensi solo all’Andalusia).
Note:PRODROMI DELL'ECONOMIA DI MERCATO
Dopo il Cinquecento il baricentro culturale, economico e politico (militare) si sposta verso nord, e l’etica protestante si allea con l’etica mercantile… Non capiamo la modernità se non leggiamo assieme a Lutero e Calvino, Hobbes (inglese) e i grandi filosofi moderni protestanti: l’individuo diventa il protagonista… il nuovo ethos capace di fare incontrare persone non più legate da vincoli comunitari ma da interessi reciproci…
Note:DOPO IL CINQUECENTO
parallelamente alla invenzione dell’economia di mercato di Smith, in Italia si sviluppava una tradizione economica in parte diversa, legata direttamente all’Umanesimo del Tre e Quattrocento, nota come economia civile, che ebbe a Napoli il suo baricentro, e in Genovesi e Vico i suoi protagonisti
Note:GENOVESI E VICO VS SMITH
Questa tradizione latina, napoletana e civile non fu certamente quella vincente in Europa… Il mercato è così diventato sempre più un grande meccanismo di inclusione e di scardinamento delle strutture comunitarie chiuse e gerarchiche,…
Note:LA SCONFITTA
Il Novecento ha poi conosciuto una terza stagione dell’economia di mercato, ormai sempre più finanziarizzata e fragile (come ci svelò soprattutto J.M. Keynes negli anni Trenta), con il baricentro spostato sull’altra sponda dell’Atlantico, ma in grande continuità con il modello anglosassone-calvinista-individualista di Adam Smith.
Note:FINANZIARIZZAZIONE
L’inclusione e la sterilizzazione del mercato
Per entrare nell’arena del mercato non ho bisogno di riconoscere l’altro nella sua identità e alterità drammatica: il sistema dei prezzi si pone come mediatore che sterilizza gli elementi di potenziale «ferita»
Note:PROTETTI DALL'ANONIMIA ANGLOSASSONE
questo universalismo non sta creando una rete di incontri e di riconoscimento tra diversi, ma piuttosto relazioni mutuamente indifferenti
Note:ANONIMIA E UNIVERSALISMO
La straordinaria forza innovatrice e di inclusione del mercato, e la sua grande capacità di produrre solitudine e infelicità, sono entrambe il risultato dell’invenzione dell’economia moderna.
Note:EFFICIENZA E SOLITUDINE
la «fraternità» (il terzo principio dimenticato della modernità) nella sfera pubblica sarebbe troppo pericolosa: basta sapersi accontentare dell’uguaglianza e della libertà (ma sono possibili senza la fraternità?).
Note:UGUAGLIANZA E LIBERTÀ. MANCA LA FRATERNITÀ
Il dono vero, che è sempre esperienza di riconoscimento, pericolosa e tragica (perché lega e rende debitori), viene dal mercato sterilizzato con un «pezzettino» di dono: gadget, omaggi, sconti…Ma senza incontri, doni, sofferenze, persone in carne e ossa, si sfilaccia e alla fine si spezza il legame sociale, il bond of society che tiene assieme anche i mercati…
Note:SIMULACRI DEL MERCATO CIVILE IN QUELLO MODERNO
Il modello europeo
Mentre questa economia e questa cultura di mercato crescevano e si moltiplicavano in tutti i continenti e si estendevano in sempre nuove aree della vita civile, l’Europa seguiva il loro passo e tentava varie soluzioni: dal socialismo di stato allo stato sociale, dal movimento cooperativo alle casse rurali e di risparmio.
Note:LE RISPOSTE EIROPEE AL MODELLO ANGLOSASSONE
Dalla fine dell’Ottocento alla prima guerra mondiale acceso era stato il dibattito, anche di teoria economica, sulla possibilità di evoluzione del capitalismo in una sorta di capitalismo cooperativo (Mill e Marshall),
Note:CAPITALISMO COOPERATIVO
Questo processo si interruppe con l’esperienza dei totalitarismi di destra e di sinistra, che hanno bloccato la «via europea al mercato» per oltre mezzo secolo.
Note:IL TRAUMA TOTALITARIO
Dopo il fascismo divenne difficilissimo e rischioso parlare di impresa come comunità, come un corpo: e ci vollero la profezia e il coraggio di Adriano Olivetti per ritirar fuori la parola «comunità» in Italia. Il corporativismo è stata la grande malattia o «notte oscura» della tradizione italiana di economia, che invece di fiorire in un Novecento civile e democratico, incontrò questa morte illiberale e antidemocratica.
Note:ADRIANO OLIVETTI E IL CORPORATIVISMO
Sono convinto che l’antica tradizione italiana ed europea dell’economia civile possa, oggi, offrire un nuovo punto di partenza per la quarta fase dell’economia di mercato, che non potrà non essere più civile e comunitaria.
Note:QUARTA FASE
Un nuovo bisogno di comunità
Uno dei nuovi fatti di questo inizio di millennio è una nuova e forte nostalgia dello stato sociale.
Note:NOSTALGIA DELLO STATO SOCIALE
Quanto, in tema di cura e di assistenza, nelle società tradizionale svolgevano la famiglia e le relazioni comunitarie (con un forte sbilanciamento sul lato delle donne, e anche per questo quel sistema di cura non poteva e non doveva reggere), oggi è sempre più offerto dal mercato, che trasforma i rapporti di cura in contratti.
Note:IL MERCATO SPIAZZA LA FAMIGLIA. CURA=>CONTRATTO
Sono convinto che un sistema di stato sociale funziona se e fino a quando un paese non è solo un insieme di individui tenuti assieme dalla forza dei soli interessi (come sta ormai diventando l’Italia, e come invece non sono ancora né il Giappone né la Norvegia). Lo stato sociale ha bisogno di un popolo, di una base sociale che si senta anche una comunità. Il sistema pensionistico, per esempio, non potrà mai funzionare sulla base della sola logica del contratto, perché la sua natura è più vicina a uno scambio solidale di doni tra generazioni
Note:STATO SOCIALE SENZA SOCIETÀ
(«Perché dovrei fare qualcosa per le future generazioni: che cosa hanno fatto loro per me?»,
Note:ESEMPIO: SENSIBILITA’ VERSO LE FUTURE GENERAZIONI
Quindi lo stato sociale incorpora ed esprime un legame di appartenenza, un sentirsi parte di un destino comune, che ti porta a vedere la maestra come un’alleata nel difficile compito di educare
Note:SENSO DI APPARTENENZA
Ed ecco perché lo stato sociale è di nuovo evocato in questi tempi di crisi. Il vecchio stato sociale, infatti, rispondeva a quel bisogno di sicurezza, un bisogno ancora radicale negli individui senza comunità, un bisogno a cui il contratto non risponde bene,
Note:SENSO DI SICUREZZA
il modello d’impresa capitalistico, quello fondato cioè su una netta separazione tra efficienza (impresa) ed equità (politica), va ripensato: l’impresa deve direttamente e mentre opera nel mercato occuparsi di equità
Note:LA SEPARAZIONE CAPITALISTICA
L’impresa sta evolvendo ed è chiamata a un «oltre». È anche a questo «oltre» che è dedicato questo saggio, ai diversi modi di interpretarlo,
Note:ANDARE OLTRE
Questioni di parole?
Dietro le usuali partizioni di non-profit o for-profit, primo, secondo e terzo settore, si nascondono infatti delle ben precise visioni culturali, e teoriche, di che cosa siano l’impresa e il mercato.
Note:TERZO SETTORE
modello che l’Europa (e anche per contagio molti altri regimi democratici nel mondo) aveva realizzato per la cura e l’assistenza era duale: famiglia-stato. La famiglia si occupava di molta parte della cura dei bambini, anziani e malati, e quando i problemi erano troppo pesanti, complessi, o in caso di disagio e di fallimento o assenza della famiglia, interveniva lo stato, con ospedali, scuole, case di riposo ecc. Questo modello, il cosiddetto welfare state, era stato a sua volta il sostituto del modello pre-moderno, basato sul binomio famiglia-comunità,
Note:ASSISTENZA DUALE
il modello di stato sociale nasce anche dalla crisi della comunità e della chiesa: la comunità, con la nascita dell’economia di mercato, si atomizza e si trasforma in «società»;
Note:ATOMIZZAZIONE. DALLA COMUNITÀ ALLA SOCIETÀ
Il modello del «terzo» settore nasce da una nuova e duplice crisi: questa volta della famiglia, da una parte, e dello stato dall’altra. In seguito agli importanti movimenti femministi, e con i cambiamenti degli stili di vita sempre più centrati sui diritti e desideri dell’individuo, la famiglia non riesce più a svolgere molti dei tradizionali servizi di cura (bambini, anziani, disagio); lo stato, anche per una legittima richiesta di sussidiarietà da parte della società civile, ma soprattutto per un problema di insostenibilità sul piano dei costi
Note:DA DOVE NASCE IL TERZO SETTORE
In Italia, nonostante una storia ricca di tradizione civile, di movimento cooperativo e di mutualità, di confraternite, di associazioni e di corpi intermedi, alla fine del XX secolo si è dovuta, in un certo senso, reinventare la società civile per rispondere a nuovi bisogni.
Note:CORPI INTERMEDI
L’eclissi del civile che ha caratterizzato più di un secolo di storia d’Italia è dovuta soprattutto a due fattori culturali molto importanti e collegati tra di loro: il ruolo politico della chiesa cattolica e la forte presenza del partito comunista.
Note:CAUSE DELLA CRISI DEL CIVILE
Quando con la rivoluzione liberale in Italia e con il Risorgimento ci fu una forte reazione anticlericale, con quella reazione contro la chiesa-istituzione c’è stata anche la reazione e la condanna di quel civile, che fu visto riduttivamente come «religioso», e quindi da combattere in nome di una laicità, che poi – e qui sta il punto – è diventata presto statalismo (di destra e di sinistra),
Note:ANTICLERICALISMO E CONFRATEENITE
Nel Novecento, poi, il ventennio fascista fece una dura lotta al civile, perseguitando il movimento cooperativo, i corpi intermedi, le libere associazioni, i sindacati;
Note:FASCISMO E CONFRATERNITE
In realtà, quando oggi si parla di terzo settore in Italia, normalmente i riferimenti non sono questi appena tracciati. Soprattutto nell’ambito politico ed economico, terzo settore significa «né stato, né mercato»… L’espressione «terzo settore» non a caso è nata non nel contesto italiano ma, ancora, in quello anglosassone, che segnala allora una ben precisa visione dell’economia e della società….L’economia sociale (altra espressione sinonima), o il privato-sociale, è così considerato come un settore dell’economia, un ambito ben delimitato: come c’è il settore dei trasporti, quello del turismo o dell’arte, esiste il settore dove operano coloro che si occupano di cura, di assistenza, di sociale…
Note:TERZO SETTORE OGGI
Questa terzietà, dunque, implica l’idea che il mercato sia qualcosa di ben preciso e soprattutto di diverso rispetto alla realtà classificata come sociale.
Note:MERCATO E REALTA’ SOCIALE
Secondo questa visione che chiamiamo «anglosassone» dell’impresa e del mercato, lo scopo dell’impresa è massimizzare il profitto, e tutto il resto è mezzo o vincolo: l’obiettivo è la massimizzazione del profitto, e sottostare a certi vincoli sociali (legislativi, fiscali, civili…) è un costo da pagare
Note:MAX PROFITTO
Non c’è dunque nulla di intrinseco: reputazione, responsabilità sociale, attenzione all’ambiente ecc. non vengono cercati perché hanno valore in se stessi,
MAI NULLA DI INTRINSECO