mercoledì 28 giugno 2017

La catechesi di Giacomo Biffi. Parte seconda: l’enigma della storia

Riassuntino delle puntate precedenti: a questo mondo non si capisce nulla. Nulla di ciò che conta, almeno. Ma nessuno si rassegna a questa triste realtà. Ecco allora che Dio ci viene incontro, soprattutto viene incontro ai "piccoli". Ma non ci soccorre “spigando” bensì facendo accadere dei fatti.
All'enigma dell'esistenza, per esempio, viene incontro con l’evento della resurrezione di Cristo. All'enigma della storia viene incontro con l'evento della Chiesa.
La storia ha un senso o no? Se è maestra di vita come può mancare di senso? Ma dov'è? Nella storia c'è molto genio ma non sembra sia dominata da un'intelligenza complessiva. Leopardi e l’ Ecclesiaste si fanno eco su questo punto: la vicenda umana è un inseguire il vento. A ciò si aggiunge la presenza del Male. Come possiamo convivere col Male senza un senso. John Newman nota che i progressi sono casuali. Noi stessi siamo nati per caso: se mio padre perdeva il tram… Pascal in proposito racconta la storiella del naso di Cleopatra, ma anche quella sul minuscolo calcolo nell' uretere di Cromwell.
Ma l'uomo non può rassegnarsi all'insensatezza. Tutto per lui deve essere intellegibile: l'essere e l'essere capito sono la stessa cosa, dicevano i medievali. La storia non può essere un'accozzaglia di eventi, tutto precipiterebbe nell'assurdo. L'uomo ricerca allora una parvenza di razionalità, è nella sua natura.
L'uomo si difende con la falsa luce del mito in modo da tranquillizzarsi. Il mito è una giustificazione irrazionale accolta nonostante tutto. Esempi: il mito dell' eterno ritorno, il mito del progresso, il mito dell'annientamento.
Eterno ritorno: la storia procede per cicli. Ispirano questa concezione la traiettoria del sole e il susseguirsi delle stagioni. Si estrapola da fenomeni ridotti una legge generale. Ma il mito sembra irragionevole: perché tornare sempre daccapo? Tanto vale restare fermi. Perché percorrere tanta strada senza avanzare di un passo?
Mito del progresso. Il primo ad enunciarlo fu Leibniz ma è con l'illuminismo che questa fede si consolida. Fin da subito, con Leopardi, si ironizza sulle magnifiche sorti progressive. Tuttavia, i successi scientifici e tecnici nel XIX e XX secolo rinforzano il mito. La lunga pace della Belle Epoque illude. Il ballo Excelsior celebra il continuo avanzamento dell’uomo. Carducci fa lo stesso nell'Inno a Satana. Mito del treno e mito del progresso si fondono. Oggi siamo meno persuasi dal progresso. Le guerre del Novecento ci hanno disilluso. Anche dal punto di visto logico l'idea fa acqua: come posso dire se avanzo quando non conosco una meta? Il marxismo evita la critica assegnando una meta: l' approdo trionfale ad una società di eguali. Nasce il mito del "sol dell'avvenire", una variante più completa del mito del progresso.  Sappiamo tutti come andò a finire: totalitarismo, regimi autocratici, disumanità, oppressione... Oggi le paure e i timori non sembrano affatto dissipati, basti pensare all'ambiente: siamo più sicuri ma anche più impauriti. Il progresso ha creato una società fuori dal nostro controllo, il che ci fa sentire deboli, insicuri e dipendenti (dall’esperto di turno). Il mito va così sgretolandosi e lastrica la strada al mito successivo.
Mito dell'annientamento. Tipico della mentalità postmoderna: il traguardo verso cui corriamo è l'annientamento e sarà il progresso stesso e la sua adorata tecnica a condurci nel baratro. Anche qui Leopardi è precursore. La conclusione non manca di plausibilità: la violenza sociale cala, è vero, ma i rischi di una catastrofe futura aumentano con l'aumentare delle potenzialità tecniche. Certo che se si vive per finire nel niente, si vive già nel niente.