martedì 7 gennaio 2020

FREDDO SICILIANO

Avete mai fatto le vacanze invernali in Sicilia? Un freddo dellamadonna, almeno finché stai in casa.
Viene da dire: che tirchi sti siciliani, hanno già un clima favorevole, non potrebbero spendere due lire per scaldare meglio la casa quando è necessario?
Recentemente ho scoperto che la tirchieria non c'entra nulla, è pura razionalità. Si tratta di una legge ben precisa che vale ovunque nel mondo: dove fa freddo, almeno d'inverno, le case sono più calde che dove fa caldo. Un Siciliano troverebbe insolitamente calde le case di Varese, e c'è un motivo ben preciso.
I gusti non c'entrano, ammettiamo che siciliani e lombardi amino le medesime temperature. Ammettiamo anche che non conti la ricchezza. Già sapendo questo sappiamo che tutte le case siciliane e lombarde dovrebbero avere la medesima temperatura.
"Comprare un grado" in Lombardia costa come comprarne uno in Sicilia, ammettiamo che questo prezzo sia pari a X. In Lombardia se ne comprano 20 (la temperatura esterna è 0), in Sicilia 10 (la temperatura esterna è 10). Questa equivalenza deriva dalle preferenze uguali. Tradotto: il grado che mi fa passare da 19 a 20 ha per me lombardo un'utilità pari a 1.000001X, siccome la spesa è X, compro. Ma il siciliano ha le mie stesse preferenze e agisce allo stesso modo: compra! Il grado che mi fa passare da 20 a 21 ha per me lombardo un'utilità pari a 0.99999X, siccome la spesa sarebbe X, non compro. Ma il siciliano ha le mie stesse preferenze e agisce allo stesso modo: non compra! Conclusione: tutte le case lombarde e siciliane hanno la medesima temperatura. Naturalmente un lombardo - vivendo in una regione fredda - spende molto di più di un siciliano, abbiamo appena visto che compra mediamente 20 gradi anziché 10.
A questo punto la spesa in riscaldamento dipende solo dalle caratteristiche della casa: dimensioni e isolamento. Lasciamo perdere le dimensioni e concentriamoci sull'isolamento. Le case lombarde sono meglio isolate, non è questione di tirchieria, è logico che sia così: dovendo comprare più gradi si possono ammortizzare meglio i costi fissi dell'isolamento.
Conclusioni: il prezzo di un grado in lombardia è inferiore rispetto al prezzo siciliano, quindi se ne comprano di più. Ma questo vale ovunque: in inverno, le case dei paesi freddi sono più calde rispetto alle case nei paesi a clima caldo.

domenica 5 gennaio 2020

PERDITE DI TEMPO: LA STORIA DEL PENSIERO

Non mi piace molto la storia, è talmente complessa che ho sempre l'impressione si possa dire quel che si vuole, tanto qualche argomento da qualche parte lo si raccatta sempre. Non so perché ma gli storici scrivono sempre libroni enormi, se l'autore non è uno squisito stilista - e ce ne sono - diventano subito papponi illeggibili. Forse pensano che chi scrive il libro più alto abbia ragione? Quasi quasi trovo più adatti al compito certi giornalisti.
E non faccio eccezione per la storia delle idee, anzi. Per me, ragioniere, è stato un sollievo apprendere che al liceo non si studiava filosofia ma "storia della filosofia". Di colpo le mie frustrazioni sono svanite, da paria sono assurto a uomo libero; non so davvero a cosa serva studiare "storia della filosofia". Non capisco nemmeno perché esista una materia del genere, o per lo meno perché esistono degli specialisti.
Non voglio essere equivocato, i famosi filosofi del passato sono generalmente interessanti, quello che non capisco bene è perché ci siano degli specialisti che si arrovellano tanto su di loro, perché cioè un campo della ricerca accademica sia dedicato alla materia.
Cosa stanno cercando di scoprire questi studiosi? Forse cercano negli archivi degli scritti dimenticati dai geni del passato? In genere no. Forse tracciano le radici storiche di idee particolari? Direi di no. Forse vogliono capire se particolari teorie proposte da personaggi storici siano vere o false? Mmmm... No. Sappiamo già che sono quasi tutte false.
Nella mia esperienza questa gente legge l'opera di un grande filosofo del passato, quindi sceglie un passaggio particolare in uno dei libri e ne discute all'infinito con i suoi pari. Sperano di trovare un'interpretazione nuova, qualcosa a cui nessuno aveva pensato prima. In genere trovano molto divertente negare che il filosofo abbia mai detto qualcosa per cui va famoso.
Le loro tesi sono di questo tenore: "ora sappiamo cosa intendeva il filosofo P con l'espressione E. Voleva dire X e non Y, come vi hanno raccontato". La cosa non ha una grande importanza filosofica, e tu magari hai letto per ore e ore (in effetti, come tutti gli storici, anche gli storici della filosofia scrivono libri dalla lunghezza record).
Certo, potresti pensare che, poiché il grande filosofo pensava X, questa è almeno in parte una prova che X sia vero. Ma sarebbe una prova estremamente debole. Sarebbe infatti molto meglio considerare direttamente quali ragioni filosofiche serie ci sono per credere a X: per un'indagine approfondita basterebbe un libro che sia la metà della metà della metà di quello scritto sul filosofo P. Inoltre, sapere quali pensieri attraversavano il cervello di una certa persona non ha un interesse storico notevole. Lo sforzo non vale la candela: cio' che conta è la ricezione storica di Aristotele, non cio' che lui "pensava veramente".
E così si spendono una marea di energie intellettuali su questioni di poco conto. Non è un problema secondario, parliamo qui di persone intelligenti, ovvero di una risorsa estremamente scarsa. Un vero spreco.
E' difficile che un lavoro del genere trovi una sua retribuzione, in genere si impara la storia della filosofia per poi insegnarla poi ad altri, magari nei licei pubblici, dove la materia è obbligatoria e quindi non occorre trovarsi una clientela. Quando si intende avviare un corso di storia della filosofia, di solito si assume qualcuno specializzato in storia della filosofia. In realtà basterebbero i filosofi ordinari. Lo storico specializzato si pone rebus interpretativi complicati e sottili che rischiano di confondere la platea disinteressata che ha di fronte, piuttosto che renderla edotta.
Ma c'è di più, e scusatemi se arrischio questa analogia un po' provocatoria. Prendiamo una persona religiosa: c'è una buona possibilità che il libro sacro contenga errori o passaggi fuorvianti che l'adepto tenta di razionalizzare a posteriori. Ebbene, gli storici di solito trattano le figure storiche da loro scelte con più rispetto e deferenza di quanto trattino una qualsiasi figura contemporanea che avanza obiezioni su un argomento specifico, questo facilita gli errori.
Siamo nani sulle spalle di giganti, quindi siamo molto più alti dei giganti, vediamo più lontano di loro, vediamo più chiaramente, è del tutto normale che quanto i giganti ci riferiscono di aver visto sia il più delle volte inattendibile ed errato. In passato, la conoscenza umana nel suo insieme era in uno stato completamente diverso. Duecento anni fa nemmeno esisteva la scienza! Era molto più difficile l'accesso al lavoro dei filosofi precedenti e l'interazione fruttuosa con i contemporanei, anche la formazione era meno rigorosa.
Ci sono persone che ancora oggi si dicono seguaci di Aristotele. Ma se Aristotele vivesse oggi, probabilmente non sarebbe un aristotelico. Essere un grande pensatore, anche il più grande, non è così importante come avere accesso alla conoscenza umana accumulata negli ultimi 2000 anni. Questo è il motivo per cui il lavoro di pensatori molto meno grandi nati oggi ha più probabilità di essere corretto rispetto al lavoro di Aristotele. I tomi di logica vergati da Aristotele oggi sono sintetizzabili in quattro paginette.
Nella visione di Aristotele, il mondo è composto da cose che hanno per loro destino una funzione naturale. Noi, invece, vediamo il mondo popolato da oggetti e soggetti (coscienze). Non esiste un destino particolare, almeno per la materia. Questa cosa della teleologia è un po' stupida se vivi nel XXI secolo. L'idea di teleologia - scopi o "funzioni" che esistono in natura - non contribuisce più a nulla oggi. Tutti i fenomeni materiali sono spiegabili per causalità meccanicistica.
Ma perché uno spreca tanto tempo con la storia della filosofia? Boh, forse piace quel senso di insularità che garantisce: entri nel mondo di un autore e vivi protetto in quell'universo, non esiste altro. Se sei un semplice filosofo, le obiezioni fioccano da tutte le parti come bombe, ti contendi uno spazio che tutti vogliono. Il tuo mondo è aperto e continuamente invaso da altri. Lo storico non sta sostenendo che una certa tesi sia vera, sta solo dicendo che alcune tesi filosofiche sono supportate dai testi. Uno storico della filosofia puo' permettersi di vivere con la guardia bassa. La filosofia, per lui, è relax e archivistica, non duello e riflessione.
In conclusione, penso che le persone debbano porsi le grandi domande della filosofia, non perdere tempo con la storia della filosofia. Dovrebbero pensare, ad esempio, a qual è la cosa giusta da fare, non a ciò che Kant reputa la cosa giusta da fare; dovrebbero pensare a ciò che è reale, non a ciò che Platone ha detto essere reale.

UN PICCOLO TRIBUTO A EINSTEIN


UN PICCOLO TRIBUTO A EINSTEIN


Non avremo più scienziati come lui. Non perché fosse un genio eccezionale, ma perchè non c’è più domanda di geni. Mi spiego meglio.

Le persone credono a tutto. Si fanno ingannare da bugiardi, truffatori, seduttori, demagoghi, imbonitori, e chi più ne ha più ne metta. Ma le persone posseggono anche il “logos”: sanno ragionare. Riflettendoci, la prima caratteristica discende dalla seconda: è solo perché ragioniamo, pensiamo e usiamo il linguaggio che possiamo essere ingannati.

Ma c’è di più: se il cristiano devoto ha ragione, allora indù, ebrei, buddisti e atei hanno torto. Dal che discende che ad ingannarsi è quasi sempre la maggioranza. L’inganno è così diffuso che probabilmente rappresenta un vantaggio evolutivo anche in chi “ci casca”. Ci sono inganni che perdurano a lungo senza ragione apparente. Ci sono inganni con cui conviviamo bene, che non siamo affatto interessati a sfatare. Qui vorrei raccontare una storia particolare. No, non riguarda qualche religione dai dogmi inverosimili, riguarda la la meccanica quantistica.

Non pretendete troppo da me, non riesco a tracciare una storia rigorosa, non sono un fisico, non ne ho gli strumenti adatta; dirò comunque qualcosa di generico – spero corretto – cercando di approfondire solo la questione che mi interessa veramente.

Che nelle particelle delle onde elettromagnetiche ci fosse qualcosa che non andava (che non si conciliasse bene con la gravitazione universale) lo aveva già capito Max Planck, il quale però lasciò cadere la cosa sperando si forse che si risolvesse da sé. Nel 1905 Albert Einstein fece un passo decisivo con la sua analisi dell’effetto fotoelettrico, certi fenomeni legati al calore e alla luminosità si manifestavano solo sotto certe frequenze di luce. Perché? Boh. Passo successivo: nel 1913 Niels Bohr ideò l’atomo di Bohr. Gli elettroni orbitano attorno al nucleo proprio come i pianeti che orbitano attorno al sole. Tuttavia, a volte l’elettrone salta su un’orbita differente emettendo luce. Si trattava di capire quando cio’ avveniva. Bohr non riuscì a comprendere bene quale legge governasse questi salti quantici. E con questo enigma si chiudeva il periodo della “vecchia” teoria quantistica.

Poco dopo, 1925, Il formalismo matematico di Heisenberg (a base di matrici) ottenne le previsioni che Bohr aveva cercato, erano di una precisione incredibile, ma restavano di natura statistica. L’enigma si riproponeva in altra veste: perché a volte le cose vanno in un modo e altre volte in un altro? E perché in condizioni differenti ma ininfluenti gli esiti cambiano?

Di fronte a queste domande Bohr avrebbe potuto dire che la teoria non era ancora matura per rispondere, invece prese una decisione diversa e alquanto strana, disse: non è possibile visualizzare ciò che l’elettrone sta facendo perché il micromondo dell’elettrone non è, in linea di principio, visualizzabile. Solo gli “oggetti classici” sono visualizzabili. La definizione di “oggetto classico”, purtroppo, non l’abbiamo. In altri termini, se non sappiamo le cose, la colpa non è nostra ma delle cose. Se le nostre conoscenze sono solo probabilistiche cio’ non implica che siano limitate: è il mondo (il micromondo) ad avere natura probabilistica. C’è una differenza tra una fotografia sfocata e una foto della nebbia. Per Bohr la nostra foto è perfetta, ma stiamo fotografando la nebbia. Di fronte ad una simile posizione l’accusa di sofistico sarebbe scattata immediatamente, ma, per il prestigio dello studioso, non scattò. Anzi, la scuola di Copenaghen si propose come la maggior candidata all’ortodossia.

Nel 1926 Erwin Schrödinger produsse un formalismo matematico differente dal precedente, il suo era a base di equazioni, più classico. Ma era comunque equivalente al precedente. Se le matrici di Haisenberg parlavano di particelle, le equazioni di Schrödinger parlarono di funzioni d’onda. In questo senso il nuovo approccio era più tradizionale e intuitivo. Le onde, stando al linguaggio di Bohr, sono visualizzabili. L’equivalenza dei due formalismo la dobbiamo a Paul Dirac: entrambi i sistemi fanno esattamente le stesse previsioni osservabili.

Piccola digressione epistemologica: per un positivista logico le due impostazioni non sono distinguibili poiché una teoria si definisce in base alle previsioni osservabili che consente di fare. Il positivista si disinteressa di cio’ che non puo’ essere osservato. Il positivismo logico è praticamente una teoria semantica: una teoria non dice altro che le sue conseguenze osservabili. All’epoca tutti erano “positivisti logici”, il positivismo logico emergeva spontaneo nelle menti degli scienziati; ogni volta che veniva “ucciso” risorgeva puntualmente. Se il mondo delle particelle subatomiche si presentava come assurdo, poco importava visto cio’ che consentiva di fare. La situazione, in un certo senso, si è riproposta nell’economia quando Milton Friedman propose di considerare i giocatori di biliardo come geometri, così facendo era possibile prevedere le loro mosse, ovvero i loro tiri. Ma al contempo si trattava di un’ipotesi assurda poiché era chiaro che nessuno dei giocatori di biliardo era geometra! Domanda: la verosimiglianza delle ipotesi conta? Per i positivisti logici no. Contano solo le conseguenze. Oggi nessuno sosterrebbe più una cosa del genere.

Ma torniamo a noi. Nel 1926 la situazione era piuttosto confusa. In che modo il formalismo matematico utilizzato per rappresentare il sistema quantistico entra in contatto con il mondo come mostrato nell’esperienza? E’ l’indovinello “della misurazione”. Ma cosa stiamo misurando? Cosa esiste? La “strana” posizione di Copenaghen si fondava anche sul fatto che noi non abbiamo nessuna esperienza diretta con gli elettroni, come possiamo dire che il senso comune rimaneva sconvolto da certi comportamenti bizzarri? Il senso comune si forma con l’esperienza. Qui però la funzione d’onda di Schrödinger diventa decisiva poiché mostra come sia possibile risalire senza rotture dal mondo delle particelle a quello degli oggetti. In questo senso, anche un gatto, si disse, eredita le proprietà delle particelle subatomiche di cui è composto; anche un gatto, quindi, dovrebbe avere natura probabilistica In uno chema quantistico la sua essenza, almeno quando non lo osserviamo, è quella di essere sia vivo che morto (oppure né vivo né morto). Ma questa è una palese assurdità. La reazione di Bohr: qui si parla dell’invisibile, non di gatti. Ma a questo punto sorge il problema di distinguere gli oggeti classici (i gatti) dagli oggetti invisibili (le particelle). Formulandolo nei termini di Schrödinger: possiamo visualizzare il micromondo: è un’onda. Ma ad un certo punto, le onde ci appaiono come particelle. Quel punto critico è noto come “collasso d’onda” ed è importante conoscere le sue caratteristiche. Quando e come collassa la funzione d’onda?

Qui torna in campo Einstein – siamo alla drammatica quinta conferenza Solvay. Il genio pretende un chiaro resoconto di ciò che sta accadendo nel mondo fisico ma per Bohr è una pretesa assurda, una domanda insensata, è l’espressione “reale mondo fisico” che ha perso di senso: ripeto, contano soltanto le conseguenze prevedibili. Einstein in tutta questa faccenda gioca il ruolo dell’ anti-positivista. La sua posizione è spesso chiamata “realismo”, ma io la chiamerei “buon senso”: crede in un mondo oggettivo. La semplice previsione, non importa quanto precisa, non è sufficiente, manca la descrizione del reale.

Einstein e Bohr erano opposti polarmente nel loro approccio alla fisica, e la resa dei conti si ebbe in quell’epica conferenza. Einstein, un tempo radicale, era diventato un conservatore alla disperata ricerca di recuperare il determinismo classico. Ma come andarono le cose in quel duello finale? Nella vulgata, Einstein capì che doveva concentrare le sue obiezione in qualcosa di facilmente comprensibile e propose un esperimento mentale progettato per mostrare l’insostenibilità delle affermazioni di Bohr (ne ho parlato qui). Bohr gli rispose avvalendosi niente meno che delle armi del nemico, e tirò fuori a sorpresa la relatività. Einstein rimase spiazzato (come si resta di solito quando veniamo rintuzzati da una replica tanto sicura quanto ermetica). Una resa dei conti a valere nei secoli dei secoli. Einstein, sconfitto, trascinò il suo corpo ferito altrove, cambiò di umore, diventò una persona irritabile e smise di fare fisica in termini significativi.

Ma questo resoconto canonico non è molto fedele. Innanzitutto, Einstein non era infastidito più di tanto dall’indeterminismo della meccanica quantistica. Ciò che lo irritava – come diceva ripetutamente – era la “non-località”. Secondo la teoria quantistica di Bohr certi corpi erano in grado di influenzarsi a vicenda senza entrare in contatto. Esempio: se certi microeventi vengono osservati si manifestano in un certo modo, se non vengono osservati in un altro. E questo senza che ci sia un contatto fisico tra osservatore ed osservato. Un assurdità per Einstein. Tutto regolare per Bohr, che in nome delle “conseguenze” (ovvero della capacità predittiva) sarebbe stato disposto anche a credere ai fantasmi. Ma per Einstein, tra il “fatto bruto” di Bohr e i fantasmi non c’era molta differenza, quindi questo stato di cose andava sanato. Un altro modo per descrivere la non-località tira in ballo il collasso d’onda di cui sopra: se un’onda elettromagnetica viene incanalata attraverso un foro molto stretto, quando emerge si diffonderà in tutte le direzioni come le onde prodotte da un sasso scagliato in acqua. Ma nell’esperimento capita che lo schermo emisferico costruito per catturare l’elettrone ad un certo punto non riveli nulla di espanso, bensì un singolo lampo luminoso. Esiste cioè un punto in cui l’onda si trasforma in particella senza però che vi sia alcuna trasformazione descrivibile. Si tratta di una trasformazione istantanea: senza onda non c’è particella ma tra onda e particella non c’è alcuna mediazione fisica. In qualche modo, tutte le parti distanti della funzione d’onda scompaiono istantaneamente, come se viaggiassero più velocemente della luce, cosa impossibile. Si realizza così un’ azione spettrale a distanza, tipo paranormale. Miracolo? Fantasmi? A Bohr non interessa, è un “fatto bruto” che si limita a registrare. Einstein è invece è sconvolto, vuole una spiegazione. Oltretutto, il fenomeno aveva una sua regolarità, non era caotico, in un certo senso si poteva anche pianificare un percorso in grado di spiegare le cose (in seguito lo si farà, anche se in modo inaccettabile per Einstein). C’era qualcosa che stava agendo e metteva in contatto fisico i due fenomeni. Einstein cominciò a parlare di variabile nascosta senza mai riuscire ad esplicitarla.

Ma accettare la posizione di Einstein significa rifiutare la completezza della meccanica quantistica. Bohr si disinteressò della cosa e la sua posizione/non-posizione stava decisamente vincendo la guerra della propaganda. L’anarchismo trionfava. L’oscurantismo filosofico si propagava ovunque. L’incoerenza segnata dal “principio di complementarità” veniva sdoganata. Trionfava l’alleanza tra positivismo soggettivista e dialettica antilogica. Un abbassamento senza precedenti degli standard critici per le teorie scientifiche diveniva norma. Ciò ha portato a una sconfitta della ragione e al culto anarchico dell’ incomprensibile e del caos.

La storia successiva è piuttosto anodina. Nel 1932 la presunta prova matematica di John von Neumann attestava che la meccanica quantistica è completa, non si poteva aggiungere nulla, non c’era spazio per “variabili nascoste”. Nel 1935 Grete Hermann scopre difetti fatali nella prova di von Neumann. Successivamente Einstein ripropone, nel famoso argomento di Einstein-Podolsky-Rosen (EPR), le sue obiezioni; segue risposta incomprensibile e svogliata di Bohr. Nessuno sembra più interessarsi del dibattito teorico, si sfruttano invece le capacità dell’algoritmo quantistico. Bohr vince e diventa l’ortodossia, non perché il suo modello fosse superiore ma perché il suo disinteresse per un modello adeguato incontra bene il disinteresse della comunità scientifica tutta presa a sperimentare l’algoritmo.

Il profano pensa che a tanti anni di distanza le cose si siano messe a posto, che il casino sia stato ricomposto. Ma non lo è mai stato. Negli anni 50 e 60 il misticismo di Copenaghen si era congelato in un comando minaccioso: zitto e calcola (con l’algoritmo che ti abbiamo dato!). Chiunque tentasse di elaborare una teoria migliore faceva una brutta fine in termini di carriera.

Il primo rinnegato fu David Bohm, ipotizzava un’onda pilota in grado di guidare le particelle lungo percorsi prefissati in modo da aggirare la non-località e giungere a una teoria completamente deterministica. Si potrebbe pensare che almeno Einstein potesse accogliere con favore il suo tentativo ma non fu così, probabilmente perché il modello si conciliava male con la relatività (violava, diciamo così, certi limiti di velocità). Ad ogni modo il lavoro di Bohm fu ignorato ed efficacemente soppresso. Circola voce che Oppenheimer abbia detto: “se non possiamo confutare Bohm, allora dobbiamo ignorarlo.”

Un altro rinnegato fu Hugh Everett, sosteneva che per rendere coerente lo schema di fondo occorreva moltiplicare gli universi di riferimento. Il gatto di Schrödinger non doveva essere sia vivo che morto ma vivo in un universo e morto in un universo differente. Bohr si rifiutò di benedirlo e lui lasciò per sempre il mondo accademico.

Il terzo rinnegato fu John Stewart Bell. In realtà agì su un piano diverso, dimostrò cioè che l’imbarazzante “azione a distanza” era inevitabile, mettendo così chiaramente in luce il lato inaccettabile della cosiddetta “teoria” quantistica. Talmente inaccettabile che oggi i filosofi della scienza tentennano nel chiamarla “teoria” preferendo considerarla una lista di postulati con cui ricavare un algoritmo previsionale. Bell dimostrava una volta per tutte che le paure di Einstein erano qui per restare. Come ha reagito la comunità dei fisici a questa scoperta epocale? Con un’alzata di spalle. Sostiene che il risultato di Bell dimostra che l’indeterminismo è inevitabile, dimenticando che Bell stesso era il sostenitore più convinto della teoria deterministica di Bohm.

Certo, il lavoro di Bell ispirò una generazione di fisici teorici ad esaminare i fondamenti della fisica, in questo senso registrò un piccolo successo. Tuttavia, la soppressione della più genuina curiosità scientifica è sicuramente il punto di approdo di tutta la vicenda. Da allora la conoscenza della fisica è diventata secondaria per un fisico, l’unica cosa che conta è andare a Ginevra e infilare la testa nell’ennesimo accelleratore costato milioni di euro e giocare agli autoscontri.

Concludo allora come ho iniziato: non avremo più scienziati alla strega di Einstein. Non perché fosse un genio eccezionale, ma perchè non c’è più nessuna domanda di geni. E spero ora di aver spiegato perché.

IL LUNGO ADDIO AL BUON SENSO



IL LUNGO ADDIO AL BUON SENSO





Il conflitto tra il resoconto scientifico del mondo e il “buon senso” sembra essere la regola, Copernico, per esempio, propose che, invece di tenere ferma la terra, si tenesse fermo il sole. Assurdo, visto che tutti constatiamo quotidianamente che la terra è ferma mentre il sole si muove. Ma il buon senso puo’ essere riconciliato pensando ai diversi piani di riferimento: se siamo su un treno e l’altro si muove, chi si sta muovendo in realtà? Il buon senso coglie bene questo enigma e, quindi, finisce per afferrare bene anche l’ipotesi di Copernico. Altro esempio: la terra gira su se stessa. Assurdo: se la Terra gira così velocemente, ci si chiede, come potrebbero gli uccelli in volo tenere il passo? Per risolvere il conflitto si dovette introdurre il concetto di inerzia: gli oggetti messi in movimento tendono a rimanere in movimento per conto loro.

Il buon senso è una raccolta di credenze ampiamente condivise che nascono spontaneamente dall’interazione quotidiana; qui sostengo la tesi di come sia logicamente impossibile per qualsiasi scienza empirica liberarsi completamente del buon senso. In altri termini, il buon senso non puo’ mai essere “liquidato”, deve essere sempre “riconciliato”. Se la riconciliazione è impossibile, la teoria non è una teoria valida. Ma perché?

Prendiamo la meccanica quantistica, ovvero la prima teoria che tenta una liquidazione del buon senso. Tuttavia, le affermazioni sugli stessi risultati sperimentali da cui tale teoria deriva traggono la loro autorità dal buon senso. Lo stesso Niels Bohr ha sottolineato esattamente questo punto in una delle sue discussioni in cui parla di interpretazione “classica” degli esiti sperimentali (nel suo gergo “classico” equivale a buon senso). In altre parole: la teoria liquida il buon senso per poi recuperarlo quando constata i dati sperimentali. Questo è un problema. Molti fisici, purtroppo, anzichè vedere il problema, sembrano deliziarsi nel portare all’estremo la “stranezza quantistica”. Esempio: il gatto di Schrödinger.

Nella fisica classica, informazioni complete sullo stato iniziale di un sistema, insieme alle leggi della fisica, consentono di derivare esattamente lo stato finale. L’incapacità della teoria quantistica di andare oltre semplici previsioni probabilistiche fu presa da Bohr e dalla sua scuola di Cpenaghen come un’indicazione che le leggi della fisica stessa sono probabilistiche. Di solito, di fronte ad una previsione probabilistica noi ammettiamo i nostri limiti, in questo caso no: abbiamo una conoscenza completa delle cose, sono LORO ad avere una natura “probabilistica”. Al buon senso gira la testa. Ma perché prendere una simile posizione così assurda? Molto più ragionevole la posizione di Einstein: la descrizione della realtà data dalla meccanica quantistica non è completa. E’ un bene che si possano fare previsioni accurate, ma la teoria non è completa, punto e basta.

Ma veniamo al gatto di Schrödinger. Lo studioso notò che certi comportamenti subatomici possono essere amplificati su scala macroscopica in modo da descrivere oggetti “normali” come per esempio un gatto. E fin qui nessun problema per il senso comune: se gli atomi sono i mattoncini che ci costruiscono, possiamo parlare di noi parlando di quei mattoncini. Ora, il senso comune non puo’ giudicare l’elettrone – non ha nessuna esperienza in merito – ma il gatto sì. Ora, dal fatto che lo status di una particella puo’ essere indeterminato ne deriva che anche lo status di un gatto chiuso in un box puo’ essere indeterminato. Cio’ significa che nell’istante X puo’ essere contemporaneamente SIA vivo CHE morto.

È essenziale notare che Schrödinger non stava proponendo di accettare una conclusione tanto bizzarra. Descriveva infatti l’esempio come un “caso ridicolo”, mostrava cioè che la comprensione di Bohr della teoria quantistica non poteva essere corretta. Ma per qualche oscura ragione, i fisici hanno cominciato ad usare il gatto di Schrödinger come illustrazione fedele della realtà.

I paradossi potevano essere spinti oltre: l’atto stesso dell’osservazione in qualche modo costringeva magicamente il gatto a “determinarsi” nella condizione di vivo o morto. Il buon senso vede in questo potere degli osservatori una specie di “storia di fantasmi”, un’azione spettrale a distanza tipo quelle che abbondano nel mondo paranormale. Fortunatamente c’è una via d’uscita, basta ammettere la propria ignoranza: non sappiamo ancora bene come vanno le cose. Copenhagen, invece, non batté ciglio: non c’è nessuno spettro, nessuna ignoranza, la natura è così, punto. I fisici di tutto il mondo erano chiamati a bersi anche la più comica delle bizzarrie. E lo fecero! Per loro – e in questo erano in linea con il positivismo logico che allora dominava – una teoria non deve “spiegare”, deve solo “prevedere”, è chiaro che se le cose stanno così andava bene tutto. Uno di loro arrivò a dire: “ora sappiamo che la luna non è lì quando nessuno guarda”. Ah ah ah. una lezione ce la portiamo a casa: ciò che il fisico medio ha da dire su questo argomento non sembra affatto affidabile. Ci sono infatti diversi modi più chiari e coerenti di dare un senso alla teoria quantistica – prima, per esempio, ho parlato di ignoranza – e nessuno di loro suggerisce che la luna non esista!

Ma se la teoria quantistica non ci dice che esistono gatti né vivi né morti, cosa ci dice?

La risposta è semplice: nulla. Nulla perché, molto semplicemente, non esiste alcuna teoria della meccanica quantistica, esiste al limite un semplice algoritmo con cui i fisici fanno le loro previsioni. Un algoritmo serve a quello, e a lui è giusto non chiedere altro. Una teoria, invece, deve dirci COSA ESISTE e COME CAMBIA. I fisici non hanno nulla del genere per l’infinitamente piccolo. Non hanno cioè un’interpretazione valida di quello che succede in quel mondo, anche se riescono a prevederlo. Certo che se prevedere è tutto – come per i positivisti logici – allora, contro il buon senso, l’algoritmo puo’ fungere anche da teoria. Si badi che l’algoritmo in sé è silente sulla natura delle cose, non ci dice se sono determinate o indeterminate, è la teoria che si assume questo onere.

Tuttavia, al di là dell’indeterminazione, è la presenza di fantasmi a sconcertare il senso comune, nonché Einstein (che l’indeterminazione l’accettava). Come se non bastasse, John Bell dimostrò più tardi che l’azione dei fantasmi (lui la chiamava “località” o “azione a distanza”) era inevitabile nella meccanica quantistica. Già Newton, in accordo con il senso comune, aveva risolutamente respinto l’idea di un’interazione non mediata tra oggetti. Certo, potremmo togliere un vincolo di velocità massima pari a quello della luce, ma in questo caso andrebbe in crisi la relatività.

da quanto detto traggo almeno due lezioni: 1) chi vuole fare predizioni se la cava, chi vuole conoscere è in mezzo al guado. Per questo i fisici si sono messi a sperimentare nel tentativo di predire, ma quanto a conoscenza non avanzano di un millimetro da decenni. 2) Il senso comune è regolarmente violato dalla scienza, ma questo non è un problema poiché c’è sempre un momento di riconciliazione. Quando la riconciliazione manca cominciano i guai. Ecco, nel caso della meccanica quantistica li vediamo tutti.

Per finire, cedo la parola a Democrito: povera mente, accumuli prove su di noi e poi cerchi di rovesciarci? Non capisci che il nostro rovesciamento è la tua caduta!
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venerdì 3 gennaio 2020

3 National Consciousness vs Denationalized Identity - COSCIENZA NAZIONALE vs IDENTITA' APOLIDE

COSCIENZA NAZIONALE vs IDENTITA' APOLIDE

Nella politica il grande scontro è quello tra "coscienza nazionale" e "identità denazionalizzata", si tratta di concezioni concorrenti sulla natura dell'autorità e dell'identità.
In passato abbiamo vissuto qualcosa di simile quando si contrapponevano valori religiosi e valori laici.

L'anti-populista del XXI secolo inquadra il sentimento nazionale come un pregiudizio obsoleto, pericoloso e irrazionale. Esattamente come il laico bollava ieri il sentimento religioso. Questa posizione ha guadagnato un monopolio esteso nella cultura d'élite, dove il sentimento nazionalista tende a essere deriso e comunque indicato come sinonimo di mentalità ristretta; insomma, una qualità negativa che giustifica perfino la condanna morale.
                
E' questa una tendenza che arriva da lontano. L'autorevole saggio "Il nazionalismo come religione" di Carlton J. H. Hayes (1926) considerava il nazionalismo come l'equivalente irrazionale della religione e lo associava a pratiche ataviche, mistiche ed emotive. Una specie di "religione civile" che esercita una grande e perniciosa influenza emotiva sulle masse. Un simile atteggiamento segnava la reazione dell'intellighenzia liberale alle devastanti conseguenze della prima guerra mondiale. I nazionalisti diventavano in automatico ignoranti e prevenuti. Insomma, disumani. Più tardi anche John Hobson avvertiva dei pericoli e dei disturbi associati al nazionalismo aggressivo.
                
L'ascesa dell'aggressione nazista, la catastrofe della seconda guerra mondiale e l'Olocausto sono spesso percepite come l'inevitabile conseguenza del nazionalismo, un'ideologia artificiale e pericolosa perché puo' condurre alla mobilitazione di masse rabbiose e promuovere cause di esclusione a sfondo razziale. Secondo questa concezione "teleologica" del nazionalismo, ciò che inizialmente appare come una manifestazione innocente dell'identità e della lealtà nazionali sfocia poi inevitabilmente in aggressioni e discriminazioni. Il nazionalismo non è solo "potenzialmente pericoloso" se non eccede ma costituisce una minaccia intrinseca alla convivenza. Nazionalismo è ora sinonimo del razzismo più volgare. Ci sono eccezioni? Sì, l'uso del termine in GB identifica ancora un sentimento positivo. ma sul continente la battaglia è aperta.

Purtroppo, non è più possibile affermare dove sia la linea di demarcazione tra nazionalismo benefico e dannoso. Gli sforzi in questo senso assomigliano a sofismi della peggior specie, tanto è vero che a partire dagli anni sessanta la condanna non ha più fatto sconti e il sentimento nazionale ha cominciato lentamente ad essere trattato come una sgradita patologia irrazionale. Autori come Karl Deutsch riuscivano a malapena a nascondere il loro disprezzo per i cultori del sentimento nazionale. Oggi tali sentimenti vengono giudicati dai sostenitori dell'UE alla stregua di un retaggio primordiale, e andrebbero rimpiazzati da un nuovo collante: il legalismo. Il fatto è che dove il nazionalismo domina, prima o poi le tendenze all'esclusione fioriranno.
                
Un problema simbolico è la Legge fondamentale dell'Ungheria, per il tecnocrate legalista rappresenta un indesiderato ritorno all'irrazionalità di un passato pre-moderno. Qui ho chiamato "tecnocrate" chi in realtà impersona una forma denazionalizzata di identità civica, è lui il nemico dell'Ungheria. Ma la genealogia politica non è limpida, l'ostilità dei liberali nei confronti della lealtà nazionale è uno sviluppo relativamente recente. Gli ideali liberali dell'Illuminismo coincisero con l'ascesa degli stati nazionali, i leader della rivoluzione francese, per esempio, adottarono il linguaggio del nazionalismo, e per loro la lealtà alla Nazione fu sempre un valore di primo piano. Per i rivoluzionari francesi, come per quelli americani, nazione e popolo erano indissolubilmente legati: la sovranità è una, indivisibile, inalienabile e imprescrivibile... e appartiene alla Nazione! Per l'articolo 3 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1789 tutta la sovranità risiede essenzialmente nella nazione.

Tuttavia, le cose sono molto cambiate da allora. Oggi gli accademici cosmopoliti considerano la loro attuale crociata contro il nazionalismo come l'equivalente storico della lotta contro la superstizione religiosa. Un classico rappresentante di questo mondo - Ulrich Beck - parla di "teologia nazionale". C'è in questo atteggiamento una reazione all'esperienza negativa della seconda guerra mondiale, in particolare in Germania, dove l'onere della colpa deve essere calato nella mentalità pubblica in modo da rimpiazzare la patria con la legalità e la razionalità. L'astratto legalismo razionale è la cura individuata conto le passioni nazionali, sempre pronte ad intensificarsi divenendo aggressive verso i vicini. La UE ti impone questo e quello? Ma all'origine c'è un voto del tuo parlamento, quindi è tutto legale, non ci sono problemi!

All'indomani della seconda guerra mondiale, uno degli obiettivi immediati fu quello di contenere la rivalità nazionale di lunga data tra Francia e Germania. Per questo l'UE fu percepita fin da subito come un antidoto ai macelli del XX secolo causati dal "nazionalismo". Per Churchill stesso, il presupposto per l'unità europea era la creazione di un "partenariato tra Francia e Germania". Anche per Schuman l'unione delle nazioni d'Europa richiede l'eliminazione della secolare opposizione di Francia e Germania. I primi tentativi di promozione dell'unità europea non erano però esplicitamente diretti contro l'integrità dello stato nazionale, l'unità europea, al più, rappresentava una reazione a ciò che veniva percepito come un eccesso di nazionalismo. Protagonisti dell'operazione furono i cattolici: i valori cristiani e la dedizione all'unità europea erano un mezzo di redenzione per i peccati tedeschi passati. Ancora oggi la CDU è il cardine dell'operazione Europa. I cattolici, si pensava, sono internazionalisti per natura. Ma questo è vero? Mah, nell'800, durante l'ascesa dello stato nazionale, questo poteva anche essere vero: la Chiesa cattolica romana considerava il nazionalismo come una grande minaccia ideologica; ma più tardi i nemici divennero altri: comunismo, secolarismo e consumismo individualista.

Sia come sia, dopo questa fase iniziale dell'unione europea, l'odio culturale verso l'idea nazionale crebbe, nel ventunesimo secolo non è solo il nazionalismo politico, ma il semplice senso dell'orgoglio nazionale, ad essere considerato come problematico. La Merkel stessa, nelle politiche migratorie, ha cercato di stabilire un netto contrasto tra le sue misure e quelle motivate da preoccupazioni nazionaliste. Era importante smarcarsi, anche quando di fatto si facevano le stesse cose; era necessario auto-etichettarsi come "conservatori compassionevoli" per non rientrare tra i "cristiani sovranisti". Non era solo una questione di sicurezza, erano in gioco la differenza fondamentale tra i "cosmopoliti" e i "nazionalisti". Oggi, nemmeno il termine "buon patriota" ha un'accezione positiva nel vocabolario politico delle élite dell'UE. Eppure, per una parte significativa della popolazione dell'Europa orientale, il senso di nazionalità è ancora fondamentale per l'identità che garantisce, e questo sarà un problemone.

LA CRISI DELLA FISICA

LA CRISI DELLA FISICA



Nelle basi della fisica, non si vedono progressi sostanziale dalla metà degli anni '70, quando fu completato il modello standard della fisica delle particelle. Da allora, le teorie che usiamo per descrivere le osservazioni sono rimaste invariate. L'ultima particella da confermare è stata il bosone di Higgs, previsto negli anni '60 e misurato nel 2012. Ma tutte le carenze di queste teorie sono rimaste irrisolte.
La causa principale di questa stagnazione è che con il progredire della disciplina, i problemi sono diventati sempre più difficili da studiare sperimentalmente. E' chiaro che con meno esperimenti le scoperte fortuite diventano sempre più improbabili. È un circolo vizioso perché, d'altro canto, la mancanza di progressi sostanziali aumenta i costi di ulteriori esperimenti. Se un collettore di particelle da 40 miliardi di dollari potrebbe servire a solo a scoperte di contorno, chi investirà in queste condizioni?
L'unico modo per evitare di essere risucchiati nel circolo vizioso è scegliere con attenzione quali ipotesi mettere alla prova. Ma i fisici operano con una mentalità vecchia, non sanno focalizzarsi sulle "ipotesi promettenti", la loro educazione non enfatizza questa qualità. Pensano ancora - con Popper - che il test sperimentale sia tutto e la concezione di ipotesi valide nulla; l'ipotesi vincente, per il Cattivo Maestro, puo' arrivare anche in sogno o per puro caso vedendo cadere una mela dall'albero. Un atteggiamento diverso richiederebbe una filosofia e una sociologia della scienza più aggiornata; ma si tratta di materie su cui i fisici si limitano a fare battute sprezzanti. Con queste premesse è chiaro come il "pensiero di gruppo" paralizzi di fatto la comunità nella palude stagnante che vediamo.
Invece di rivedere i loro metodi, i fisici teorici hanno sviluppato l'abitudine di avanzare speculazioni del tutto prive di fondamento fattuale. Si sono trasformati in filosofi. Li senti giustificare la loro produzione insensata di narrativa matematica come "sana speculazione" - ignorando del tutto la sterilità in cui hanno gettato la fisica. Non c'è nulla di salutare in questi "romanzi matematici". L'atteggiamento assunto si basa sulla convinzione ingenua, per non dire infausta, che la scienza progredisca sempre in qualche modo e che prima o poi sicuramente qualcuno inciamperà su qualcosa di interessante da infarcire con nuove speculazioni che sbigottiscano il profano e spiazzino il senso comune. Ma alla scienza si chiede altro.
La fisica è stagnante perché c'è un chiaro fallimento del metodo scientifico. Il solo fatto di poter scrivere equazioni per qualcosa, non significa che questa matematica aiuti a formare ipotesi promettenti. Teoria delle stringhe, supersimmetria, multiverso, c'è tanta matematica a disposizione con cui costruire "oggetti" del genere, ma ciò non significa che questa matematica descriva una qualche realtà di cornice. Le cornici lasciamole ai filosofi, i fisici hanno bisogno di metodi migliori anziché di oziare con la matematica e filosofeggiare. Oggi, invece, i fisici possono felicemente fare carriera scrivendo articoli su cose che nessuno ha mai osservato e nessuno osserverà mai.
Forse la cosa non merita tanta attenzione, senonché lo stesso problema emergerà prima o poi in altre discipline: gli esperimenti diventeranno sempre più costosi e "sequestreranno" grandi parti della comunità scientifica. In effetti, vediamo che questo sta accadendo anche in medicina e in climatologia. La medicina, per esempio, dovrà sempre più affidarsi ai dati raccolti da grandi gruppi per lunghi periodi di tempo e trovare diagnosi e prescrizioni sempre più personalizzate. Gli studi necessari per questa pratica sono estremamente costosi e devono essere scelti con cura perché non molti di essi possono essere realizzati. Allo stesso modo lo studio degli ecosistemi deve affrontare una sfida simile: le piccole indagini isolate hanno già raggiunto il loro limite. La crisi della fisica diventa ancora più cruciale poiché, come sempre, darà l'esempio a molte altre discipline. L'arte di scegliere le ipotesi da testare verrà messa al centro, non potremo affidarci alle mele che cascano o alle rivelazioni oniriche, ma soprattutto sarà opportuno difendersi dal "pensiero di gruppo". Oggi parlare di "comunità scientifica" vuol dire fare del male alla scienza, vuol dire spingere il ricercatore a non prendere rischi e a riscrivere in eterno la sua tesi di dottorato per compiacere i colleghi che lo giudicheranno.