giovedì 20 gennaio 2011

Intanto la marghe sverna

Musica suonata con le unghie sporche

Quell' unghia sporca che spinge la lucente chiave dorata del sax è un' icona della musica del nostro tempo, qualcosa da mettere nell' urna da inviare nello spazio. E' bene che i marziani prendano nota se vogliono avere un' idea del nostro pianeta.

La tristezza dopo le barricate è tra le più inconsolabili, la malinconia dell' incendiario è tra le più dense.

Da quelle tozze falangi poca tecnica e tanta arte. Ci si sente bene nel covo del bandito, c' è la bellezza del disadorno in quell' arredamento ikea senza lacche nè impalcature.

E' commovente poi vedere quel suono troppo corpulento che cerca di sparire assottigliandosi mentre raggiunge i registri più alti, o che cerca di slargarsi per planare meglio mentre sprofonda in quelli gravi.



Archie Shepp/Horace Parlan - Trouble in mind

mercoledì 19 gennaio 2011

Flauto e turbante

Una delle migliori musiche per flauto in circolazione è composta e suonata da chi di mestiere fa il sassofonista. La cosa non è da trascurare.

La "Serendipity" ha giocato un ruolo decisivo nella musica recente, capirlo è importante visto che non è affatto un ambiente casuale a favorire quell' azione costruttiva del caso che richiede il fenomeno. Occorre una ridondanza nelle connessioni. Ecco allora da dove partire.

Anche lo "snaturamento" dei suoni è un comandamento impartito dall' alto. Sarà per questo che buona parte di queste musiche per flauto sembrano scritte per uno strumento a percussione?

Questo discreto investigatore del rumore sa produrre sempre delicate tensioni, usa l' aria come un sughero aromatico trasformando il suo strumento in un cavatappi.

La sua specialità sta nel bloccare cio' che sfreccia e nel far formicolare cio' che giace. Ci conduce a vedere il gran lavorio delle molecole nel marmo, oppure la cristallizzazione del repentino.

Pur essendo romanoderoma si ha sempre la sensazione che suoni con il turbante in testa.

Genealogia: Roland Kirk + Roberto Fabbriciani



Eugenio Colombo - Giada.

martedì 18 gennaio 2011

Una risonanza non si nega a nessuno

Mi sono occupato di una paziente di 23 anni che aveva sofferto per lunghi mesi di dolori alla schiena prima che un neurologo le prescrivesse una risonanza magnetica, aspettandosi un' ernia al disco. Ho trovato invece un cancro alle ovaie espanso fino alla spina dorsale... La paziente, sottoposta ad un impegnativo intervento chirurgico e ad una massiccia chemioterapia, è stata curata dalla provvidenza...

Dr. Mark Siegel

Per capire cosa sia la Sanità oggi bisogna capire questo: praticamente tutti gli esami potrebbero essere in qualche modo decisivi, anche se quasi sicuramente saranno inutili. Lo stesso dicasi per la consultazione degli specialisti.

Aggiungo solo che trattasi di esami molto costosi, e neanche gli specialisti si fanno pagare due lire.

Tutto cio' è un portato dell' abbondanza: ieri non esistevano queste possibilità e non esistevano quindi nemmeno tutti i problemi connessi all' abbondanza.

Una volta il mondo era più semplice: per le infezioni c' erano gli antibiotici e per certe malattie c' era la vaccinazione. Il resto non era granchè e si poteva anche crepare in pace.

Visto come stanno le cose, la cura si trasforma puntualmente in un inferno per il budget di chi si affida al principio di precauzione, e in campo sanitario questo bias è diffusissimo. Se poi, come dice Hanson, la spesa sanitaria è diventata essenzialmente "segnale" del prendersi cura...!

Fare o non fare un esame? La razionalità obbliga a calcoli complessi e innaturali (alberi di probabilità, bayes a manetta...). Meglio allora lasciarla perdere ed affidarsi al principio di precauzione.

Se nel 2011 dite ad un medico: "questo è il tuo paziente, sta male, esegui diagnosi e terapia", lui sarà facilmente in grado di giustificare la spesa di una fortuna, e lo farà senza indugio, specie se lo minacciate con possibili denunce qualora fallisca nell' intento.

L' abbondanza ci ha messo in crisi, siamo all' angolo.

Tutto sommato l' Europa riesce ancora a porre un freno a questa deriva poichè l' accesso alle cure e agli esami non è libero ma razionato tramite l' intermediazione del medico. Un noto primario ebbe a dire in un' eloquente intervista: "il governo ci dica qual è il budget e noi medici ci adegueremo". Parole sante che spiegano bene come funziona da noi.

Oltretutto, anche i "segnalatori" più indefessi si tranquilizzano se il loro "medico di fiducia" non ordina certi esami.

Ma gli USA, essendo un paese libero, hanno un accesso libero alle cure: paga l' assicurazione.

E si capisce allora come la spesa sanitaria sia esplosa: quando tizio si ammala si presenta dal medico e chiede di essere curato, poichè il conto verrà saldato dall' assicurazione, il metodo si sbizzarisce, le uniche statistiche che avrà in testa sono quelle relative alle denunce di malpractice.

Cresce la spesa, cresce il costo dell' assicurazione, crescono i non assicurati.

D' altra parte, che gli americani godano di maggiori cure mediche non è poi così evidente perchè, al margine, il miglioramento in termini di salute (e minor sofferenza) è minimo, specie se la domanda di queste cure ha uno scopo segnaletico; inoltre, la speranza di vita negli USA è relativamente bassa a causa dello stile di vita che intrattengono, ed è facile far confusione. Eppure, la maggiore quantità e qualità dell' offerta sanitaria d' oltreoceano sembra un dato acquisito grazie a molti studi.

Per carità, una domanda così forte di "salute" ha anche aspetti positivi: gran parte dell' innovazione nel settore si finanzia su quel mercato, l' unico nel mondo che tiri veramente. Noi europei in questo siamo free rider che campano da decenni importando i frutti del dinamismo yankee.

Al mercato non si puo' rinunciare, pena l' immobilismo.

Come rimediare?

Fare in modo che il malato paghi anche di tasca sua: alzare la franchigia lasciando che l' assicurazione copra solo eventi catastrofici (sopra i 30.000 euro?). Insomma, trasformare la "copertura dei costi sanitari" - ora incentivata in vari modi - in una vera "assicurazione sanitaria".

Ho riferito velocemente quanto mi è rimasto dopo la lettura di Arnold Kling: crisi d' abbondanza. Un libro che consiglio per capire cosa sia la sanità oggi nel mondo e come funzioni. In caso contrario, quando va bene, siamo nelle mani di una noiosa anedottica scandalistica à la Gabanelli/Lucarelli, quella che punta tutto sulla scena del delitto.

lunedì 17 gennaio 2011

Il nodo della sanzione morale

Sappiamo ormai cosa distingue il "moralismo" dalla "moralità": il primo atteggiamento politicizza la morale al fine di estendere alla comunità i principi di una parte (che solo quando va bene è la maggioranza).

La sanzione morale è invece una forma di moralismo più sottile, ha più a che fare con il boicottaggio e consiste nel discriminare chi ritengo "peccatore" penalizzandolo tramite le mie libere scelte.

Per esempio, se da cattolico osservante devo scegliere il parrucchiere da cui andare, scarto quell' omosessuale praticante e petulante che ha il negozio all' angolo sebbene sia il migliore sulla piazza.

Altro esempio, boicotto quel crapa pelata del panettiere in via Garibaldi perchè so che è un razzista e in più attivista di svariati movimenti neo-nazisti. E questo nonostante sappia che il suo pane è di gran lunga il più fragrante.

Altro esempio, evito di leggere Céline visto che fu un gran fascistone e lo stesso faccio con quel fanatico di Majakovskji poichè non esitò un attimo ad aderire entusiasta alla rivoluzione sovietica.

L' ultimo esempio riguardava i trafficanti d' armi ma forse è inutile farlo, di sicuro ci siamo capiti.

Insomma, i peccati vanno "tassati" (*)? E io devo farmi parte attiva nell' esazione?

Per dirlo ancora diversamente: la preferenza morale è una preferenza come un' altra?

Non mi sognerei di sprecare energie per rendere la vita difficile a chi prefersce gli spaghetti alla pasta corta. Dovrei comportarmi diversamente quando passiamo alle "preferenze morali"?

L' argomento non è semplice ma se devo prendere una posizione francamente non penso che il boicottaggio abbia molto senso: l' alleanza temporanea con il "peccatore" rafforza entrambi e fare un pezzo di strada insieme non è disdicevole di per sè. La cooperazione genera ricchezza e io credo che la ricchezza procurata mediante la libertà alla lunga faccia bene alla vita morale di ogni individuo coinvolto. (**).

Forse, così come per le questioni ambientali, anche per le questioni morali esiste una curva di Kuznet tale per cui l' arricchimento sociale è una via verso la moralità.

Leggo che Loredana Lipperini (qui, quo e qua) ed altri scrittori subiscono una "sanzione morale" dall' assessore Speranzon, secondo quest' ultimo avrebbero contribuito ad ostacolare l' estradizione di Cesare Battisti firmando appelli in suo favore (***). L' assessore medita di non rifornire più le Biblioteche comunali con i loro libri.

E' evidente che Speranzon, nella scelta dei libri, intende integrare alle considerazioni di qualità delle considerazioni morali.

[... qualcuno potrebbe pensare che siamo di fronte ad un "moralismo politico", quello della peggior specie, in realtà trattasi di semplice "sanzione morale": la scelta politica consiste nel mantenere e rifornire una Biblioteca comunale, la scelta dei libri che ci van dentro, assumendo la buona fede dell' assessore, è meramente soggettiva...]

C' è stata una grande levata di scudi per questo moralismo invadente, e, anche per quanto detto più sopra, non faccio fatica ad associarmi.

Ma ci sarebbe stato qualcosa del genere se Speranzon o chi per lui avesse deciso di rifornire le macchinette comunali del caffè con un prodotto equo-solidale, facendo cioè prevalere considerazioni moralistiche al rapporto prezzo/qualità?

Mi sa che anche in questo caso ci si ripresenterebbe un dilemma già visto: come mai la censura è tanto impopolare presso i nostri intellettuali?

(*) Per una lista di inconvenienti che deriva dalla tassazione dei peccati giova il lavoro del teologo libertario Padre Sirico.

(**) Penso che i seguenti assunti siano necessari per la conclusione: 1) non mi reputo infallibile in tema di principi morali, 2) penso che una vita morale sia veicolo di felicità e 3) penso che le scelte morali siano innanzitutto scelte razionali e non meri desiderata.

(***) Che strano, nell' imparziale Radio Tre (Prima Pagina) il sociologo Ilvo Diamanti aveva appena finito di dichiarare che a sua conoscenza mai nessuno a sinistra aveva assunto posizioni contro l' estradizione di Battisti.

Meditazioni libertarie sul Vangelo del 16.1.2010

Vangelo secondo Giovanni 2, 1-11

In quel tempo. Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Non sembra decisivo il miracolo con cui Gesù inaugura i suoi prodigi: non salva vite, non guarisce malati. Molti potrebbero sottovalutarlo.

E' vero, il vino è gioia, ma una festa puo' essere formalmente perfetta anche senza gioia.

Forse però la forma non è tutto. Questo messaggio è importante visto che viviamo in un mondo che esalta le forme.

Il mondo puo' essere formalmente descritto dalla scienza in modo fedele anche senza bisogno di introdurre un "senso".

La "cosa" puo' essere "designata" da una parola in grado di descriverne tutte le funzioni formali senza far riferimento a cio' che è proprio della "cosa".

Si puo' dar conto del comportamento formale di un uomo senza far cenno alla sua libertà, trattandolo qundi come se fosse uno zombie.

Questi esempi propongono visioni soddisfacenti della realtà?

Il filosofo Swinbourne disse di aver scelto la fede confrontando le varie "teorie del tutto"; aggiunse di aver condotto il confronto avvalendosi dei medesimi criteri utilizzati per discriminare tra teorie scientifiche, ovvero: a parità di contenuto veritativo optare per la teoria che fornisce la spiegazione più semplice.

Cosa c' è di più semplice dell' "essenza"? Una conoscenza che rinuncia ad introdurre le essenze resta macchinosa ed estranea, puntare tutto sulla forma significa avere in mano un formalismo mostruosamente complicato che ci diventa presto estraneo.

Dunque la forma non è tutto, c' è anche l' essenza, e l' essenza della festa è la gioia. Gesù è venuto a salvare le essenze, a regalare gioia alle nostre feste.

domenica 16 gennaio 2011

From Gagarin's point of view

Si presentano come suoni che oscillano in assenza di gravità, note che non riescono a spegnersi, condannate da un sortilegio a rimbalzare sempre lontano.

La navicella di Svensson, è lui l' astronauta al timone, ciondola tra la luna e la terra rilasciando una scia di jazz gelatinoso filtrato da un' elettronica sommessa, roba tanto delicata che, per non perturbare gli equilibri di quei bagliori tremolanti, ci viene da ascoltare con il fiato trattenuto.

Questa domenica sera di gennaio me ne sto qui al calduccio con la Marghe a guardare fuori la nebbia fitta che abbellisce Rho nascondendola. Sulla punta del naso il vetro freddo della finestra padana, sulla punta delle orecchie il vetro freddo di una musica siderale.

Genealogia: Keith Jarrett, Ran Blake.



Esbjorn Svensson Trio (EST) - From Gagarin's point of view

venerdì 14 gennaio 2011

Dove diavolo si è nascosta la musica contemporanea?

... persino al bar puo' capitarci di accennare a Picasso o a Pollock, difficilmente però salterà mai fuori il nome di un compositore contemporaneo. A cosa si deve questa estraneità della musica contemporanea al nostro quotidiano? Nel corso del Novecento la musica colta contemporanea si è ritagliata uno spazio residuale, man mano è diventata più che altro un laboratorio specialistico di idee in continuo fermento abbandonando così la tradizionale funzione, quella di "fabbrica di capolavori". A questo laboratorio estremamente sofisticato attingono i musicisti prima ancora che gli ascoltatori, cosicchè non è propriamente corretto imputarle la supposta estraneità o la latitanza del "capolavoro". In realtà noi la musica colta l' ascoltiamo eccome, solo che l' ascoltiamo per lo più risuonare in altre musiche più popolari. Il miglior rock e il miglior jazz sono musiche impregnate di aleatorietà e rumorismo, certo pop ha assimilato ben bene la lezione del minimalismo, la dissonanza reiterata fa capolino ormai in molte colonne sonore e la la ricerca timbrica più estrema informa parecchia musica elettronica ascoltata nei club...


Alex Ross - Il resto è rumore.


Ooooh, ci giravo intorno senza mai riuscire (o osare) a dirlo: la musica contemporanea è viva e lotta insieme a noi, solo che si è nascosta nelle altre musiche e riceve da esse la sua anima! Per fortuna il pupazzo sfiatato che è in me ritrova qui un autorevole ventrioquo in grado di articolare in mia vece.

Come diceva?

L' aleatorietà di certo jazz...

... il rumorismo da certo rock...

... il minimalismo da certo pop...

... la ricerca timbrica da certa elettronica...

e via dicendo.

Uno dei migliori libri in circolazione, finalmente tradotto. L' ideale per costruirsi orecchie in grado di ascoltare la musica d' oggi. Non ci sono più scuse.

giovedì 13 gennaio 2011

L' iposindacalizzazione paga

Le paghe degli operai tedeschi destano invidia in questo periodo.

Sarebbe fruttuoso parlare dell' iposindalizzazione del privato in Germania.

Ascolta qui per saperne di più:

http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?articolo=referendum-fiat-marchionne-mirafiori-torino-lavoratori

Ai costruzionisti crolla la casa in testa

Già, il problema forse è quello della competitività.
E intanto, alla chetichella e nel silenzio generale, esce l' ultima classifica di competitività dove il Burkina Faso e le isole Fiji mettono la freccia e superano l' Italia che affonda ad un poco onorevole ottantasettesimo posto (su 179 paesi).

Ma il problema non è tanto quello, il problema è il futuro. Mi chiedo: esiste una temperie culturale che faccia sperare in un miglioramento? La butto cioè sulla "mentalità".

Do' solo una scorsa e mi interrogo su alcune mosse che ci farebbero guadagnare qualche posto in classifica visti i parametri con cui è redatta.

Diminuire la spesa pubblica? In realtà abbiamo le strade invase da chi chiede "più risorse". Noi siamo i campioni nel seppellire i problemi sotto un mucchio di soldi, anche quando l' evidenza ci dice chiaramente che le risorse c' entrano ben poco.

Deregolamentiamo la finanza? Dopo la crisi tutto è tabù in questo settore.

Deregolamentiamo gli investimenti? Il nostro ambientalismo parolaio è tra i più vociferanti, la vedo dura.

Liberalizziamo il mercato del lavoro? Ma se siamo tutti impegnati a scrivere il romanzo sulle catastrofi del precariato!

Rendiamo meno conflituale il sindacato? Veramento qui ad ogni piè sospinto sono pronti a tirar fuori un ferro vecchio come la "lotta di classe". Insomma, ti intervistano solo se riesci a travestire una clausola contrattuale da diritto della Magna Charta.

Snelliamo il fisco? Dal 2011, nel silenzio generale, entrano in campo degli appesantimenti fiscali notevoli (fattura elettronica eccetera), tutto è accettato ormai supinamente con mentalità servile.

Liberalizziamo i commerci con l' estero? Gli unici dibattiti che ho ascoltato riguardavano l' introduzione di dazi verso la Cina.

Riformiamo la giustizia? Non mi sembra ci sia un gran feeling tra la politica e i burocrati della giustizia. Ve li vedete questi ultimi che si fanno aggirare da forme arbitraggio privato?

Adottiamo politiche monetarie più efficienti? Ma noi con la moneta non c' entriamo più niente.

E via dicendo.

Il problema non è la Fiom? Non entro nello specifico, penso però che per diventare ben consapevoli del problema basta ascoltare uno della Fiom che parla. Mi sa che sotto le nostre "narrazione" preferite (dove il "far west" e i "diritti" spuntano ovunque) c' è un mondo che non ne vuole sapere di comportarsi così come ce lo raccontiamo. Siamo alle solite: ai costruzionisti crolla la casa in testa.

La vendetta riconsiderata

Cosa c' è che non va nella vendetta?

La risposta è difficile da reperire, forse anche perchè probabilmente non c'è.

E' un' impresa trovare cosa non vada nella "vendetta", almeno dal punto di vista sostanziale.

Il nostro senso di giustizia in fondo è ancorato alla logica del vendicatore.

Messa giù così ciascuno di noi è spinto a negare, ma ripensiamo per un attimo a film e telefilm che tanto ci appassionano: chi non ha tifato per il vendicatore?

Lo abbiamo fatto tutti e lo abbiamo fatto per appagare un nostro profondo senso di giustizia.

Tutto sto casino per dire che ieri ho rivisto "Il cavaliere della valle solitaria", è da sempre il mio western preferito, con un colpo da maestro il "vendicatore" Shane riporta spettacolarmente in parità i piatti della bilancia.

Western enfatico nei dialoghi ma stringato nella gestualità, comunque sempre consigliato, soprattutto a chi si attarda su una visione hobbesiana e stereotipata del far west.

La psicologia del ragazzino Joe, poi, è un modo efficace per accennare ai pericoli della vendetta: il "vendicatore" (Shane) rischia di assurgere ad eroe spiazzando il modello dell' uomo-lavoratore (il padre). L' eroe/giustiziere eclissa nella mente del fanciullo l' eroe/borghese. Joe è in bilico, ripudio e adozione sono per lui una sirena minacciosa.

Se la prevalenza dell' eroe-borghese non fosse emersa, gli Stati Uniti si sarebbero "africanizzati", se Joe avesse scelto Shane come padre, il "tribalismo" avrebbe fatto irruzione rimpiazzando il "pionierismo".

La fuga e il discorso finale di Shane a Joe mettono a posto le cose: "Joe, il vero eroe è tuo padre che coltiva i campi, alleva le vacche e costruisce chiesa e scuola per te, non certo io che con la mia estrazione rapida ti libero dal male contingente. Guarda a lui non a me, diventa come lui".

Dopodichè Shane se ne va per non sedurre la fragile mente, se ne va con le spalle alla camera e la fronte all' orizzonte, esattamente come mille magici cavalieri solitari e consapevoli prima e dopo di lui.

Prezioso il mestiere del boia, ma anche bisognoso di delicati equilibrismi.

Ecco, una vendetta senza la "Shane-postilla" potrebbe essere rischiosa per i molti Joe in cerca di un Padre.

Ottima occasione per rivedere la scena del duello finale (a proposito di "gestualità stringata"), una goduria in cui tifiamo senza remore per il vendicatore facendo baluginare la pupilla come e più di Joe. [Peccato solo per quella voce da schiavo impaurito che il doppiaggio rifila all' incolpevole Alan Ladd]

Tra "pari opportunità" e "decrescita" un matrimonio felice

Cerchiamo di immaginare un mondo in cui il successo di una persona dipenda dalle sue abilità cognitive e le abilità cognitive siano innate. Poichè tali abilità sono molto differenti da persona a persona, sarebbe necessariamente un mondo di diseguali.

Ora chiediamoci: dove risiede la principale differenza tra mondo vero e mondo immaginario?

Il questo è d' obbligo per chi intendesse intervenire per tamponare le diseguaglianze sociali.

Oggi che il potenziale offensivo di chi attacca la misurazione dell' intelligenza sembra sfumare, possiamo dire qualcosa in merito. Sappiamo infatti con buona approssimazione alcune cose.

Sappiamo che, in una società libera, l' IQ è il predittore più affidabile dei successi che avrà un soggetto.

Sappiamo anche che la scuola e l' istruzione superiore non hanno grande potere nel colmare il gap iniziale in termini di intelligenza.

Sappiamo inoltre che se i soggetti crescono in un ambiente confortevole, nemmeno i primi anni di vita incidono sul gap potenziale che fiorirà in futuro.

Dobbiamo concludere che la differeza tra il mondo immaginario e il mondo reale si gioca nei primi anni di vita dei bimbi che crescono in condizioni fortemente disagiate.

Primi anni di vita? Direi primi mesi di vita! E l' ipotesi più accreditata è ancora più radicale e riguarda la nutrizione nei primi mesi di vita!

Ma dal penultimo link ricavo un' ulteriore nuova: l' incidenza genetica si manifesta in modo di gran lunga più profonda nei bimbi allevati in famiglie agiate.

Volendo preservare la società libera, abbiamo in mano quanto serve per una prima conclusione: impostare una politica tesa a ridurre le diseguaglianze si puo', basta condannare i neonati delle famiglie più agiate (e le relative puerpere allattanti) a diete ottocentesche!

Un' altro aspetto eticamente rilevante a favore della "decrescita".

p.s. si noti che per molti una "dieta ottocentesca" è sinonimo di "mangiar bene" e "mangiare naturale". Due piccioni con una fava.

mercoledì 12 gennaio 2011

Mobilità sociale e pari opportunità

C' è chi opina che la mobilità sociale negli USA sia bassa e che occorre una maggiore uguaglianza di opportunità. Calma e gesso.

Facendo quattro conti si nota che il reddito dei figli è molto più sganciato dal reddito dei genitori rispetto a quanto lo sia l' IQ. E l' IQ, almeno negli USA, conta parecchio nella produzione di quel reddito!

... the percentage of variance of son's income explained by father's income--that is, R-squared--is only 0.25. This last number is sometimes called the "heritability" of a characteristic. By contrast, the heritability of IQ is usually estimated to be much larger than that. At least some of the heritability of income must come not from inequality of opportunity but from the genetic transmission of talent... in light of the heritability of talent, it would be shocking if we did not find some significant heritability of income. And that would be true even if equality of opportunity were perfect...

Insomma, il grado di immobilità sociale è ben spiegato dall' IQ, negli USA più che in Europa.

A proposito di confronti, i confronti vanno poi fatti bene.

... the study cited above points out that economic mobility is greater in some European countries. That fact does not surprise me, as those are nations with less inequality. Moving up and down a short ladder is a lot easier than moving up and down a tall one...

http://gregmankiw.blogspot.com/2011/01/half-full-glass-of-economic-mobility.html

Insomma, la notizia che "alcuni paesi europei hanno maggiore mobilità sociale rispetto agli USA" è una buona notizia solo per gli europei invidiosi e non per gli europei poveri che aspirano ad incrementare il loro reddito in modo consistente.

Stereotipi razionali II

Un consiglio ad un amico.

@don cave

Penso che molti tuoi dubbi possano essere attenuati dal dizionario o da wikipedia. Se poi riesci a vincere la pigrizia da cui ti dichiari affetto puoi dare un' occhiata ai lavori pionieristici di Arrow e Phelps sulla discriminazione razionale (alcuni sono talmente vecchi da essere disponibili integralmente in rete). Un' alternativa più leggera ma non meno rigorosa sono le considerazioni di Tim Harford sul "razzismo razionale" (the logic of life è stato anche tradotto dalla sperling), c' è poi landsbourg e il suo tentativo di misurare la razionalità nella discriminazione etnica nei posti di blocco della polizia losangelina. Quel che intendo per stereotipo (razionale o meno) è quel che intendono questi autori e molti altri, ovvero quel che pensavo intendessero tutti vista la semplicità delle nozioni. Semmai il problemo è quello di non avere stereotipi sugli stereotipi.

martedì 11 gennaio 2011

Pleonasmi sospetti

Ripropongo un paradigmatico passaggio attribuibile ad un paradigmatico intellettuale di sinistra che riflette in modo paradigmatico sulla globalizzazione (il fantasma di Marchionne aleggia). In questa sede, si sarà capito, mi interessa solo cio' che l' uscita ha di paradigmatico.

"... dobbiamo forse rassegnarci alla supremazia della logica economica... o vi sono altre strade da percorrere, magari quella dei diritti?...".

Domanda impertinente: perchè in questi casi quella voglia irrefrenabile di aggettivare la logica definendola "logica economica"?

In sè non c' è nulla di sbagliato ma io sospetto che il pleonasma non sia innocente.

Sembra quasi si voglia far balenare l' illusione che esistano "logiche" alternative, magari, che ne so, si finge l' allusione ad una fantomatica "logica dei diritti". E' anche comprensibile questo istinto: allearsi con la "logica" fa sentire più forti e infonde coraggio nelle battaglie. una volta andava di moda il "Dio è con noi", oggi ci suona meglio il motto "la Logica è con noi".

La "logica economica" in realtà non è altro che la logica avalutativa quando consideriamo l' azione umana. Punto.

Questi pleonasmi ricorrono di frequente. Recentemente, per fare un caso limite, in uno scambio di opinioni, il mio interlocutore di punto in bianco mi chiedeva: "ma tu per razionalità cosa intendi? Forse la razionalità economica?

C' è solo un' alternativa alla logica: l' etica, ed è proprio la via che vuole imboccare alla chetichella l' intellettuale paradigmatico.

Chi si oppone pubblicamente alla "supremazia della logica" puo' infatti farlo solo imbarcandosi in una crociata moralistica.

E dico non a caso "crociata moralistica", non morale.

La morale riguarda infatti gli individui ma, come da paradigma, l' intellettuale paradigmatico è interessato solo all' azione statale: informare quella azione a precetti morali significa avere come obiettivo l' imposizione generalizzata della propria visione morale. Tutto cio', se permettate, io lo chiamo "moralismo".

Qualcuno obietterà: "ma l' intellettuale paradigmatico parla di "diritti", parla di "globalizzazione dei diritti" non di etica". Il suo è un discorso meramente giuridico.

E qui veniamo alla seconda trappola linguistica.

In realtà il nostro eroe puo' occultare la crociata moralista che conduce sfruttando la pervicace azione revisionista che nel corso dell' ultimo secolo ha trasmutato radicalmente il concetto di "diritto". Chi puo' esplicitare la cosa meglio di un intellettuale non paradigmatico come Kenneth Minogue?:

"... se consideriamo la concezione primigenia di "diritto", mi riferisco a quella lockiana, ci accorgiamo che essa non era affatto elaborata con l' intento di attribuire benefici ad un determinato gruppo di persone. I diritti non erano altro che "regole del gioco" intese a governare il "gioco sociale". Cio' esprimeva una concezione ludica del mondo. La formulazione dei diritti era quindi astratta e prescindeva dalla tutela di interessi immediati. Nei secoli seguenti una rivoluzione linguistica fu approntata per stravolgere la semplicità del genuino approccio liberale: la mentalità egalitaria dei democratici intese il diritto come "beneficio" piuttosto che come "regola del gioco". Il diritto diveniva così un "beneficio" atto a rispondere a "bisogni" contingenti tramite la concessione di "privilegi" particolari. Ogni gioco ha infatti vincenti e perdenti, la sorte successiva di costoro dipendeva prima dall' etica personale degli individui coinvolti, non tanto dalle regole del gioco che si limitavano alla parte "giocosa" dell' esistenza. Ma se il diritto è ora inteso come strumentale al trasferimento di potere dai vincenti ai perdenti, allora eccolo invadere il campo etico... il diritto cessa di rivolgersi all' intera società per diventare qualcosa che riguarda seriamente solo i "deboli" visto che i "forti" possono affrontare i loro "bisogni" tramite il potere di cui godono: alla concezione ludica della vita si sostituisce una concezione moralistica e al giurista si sostituisce una sorta di intellettuale-prete... finchè l' egalitarismo raggiunto non sarà perfetto, ci saranno sempre "deboli" e "forti" e ci saranno sempre "diritti" da inventare per colmare questa distanza... la proliferazione dei diritti richiede un' autorità governativa con poteri sempre più estesi e sempre più alle prese con questioni morali... l' intellettuale-prete investe lo stato di soggettività morale esautorando in questo campo le persone...la "vita morale" degli individui si deteriora... i "diritti" inventati a raffica sono molto costosi e vanno finanziati dagli individui che vengono messi di fronte a "doveri" che non incutono più alcun "senso del dovere" (chi prova un autentico senso del dovere quando è chiamato a far fronte a certe aliquote impositive?)... tutto cio' finisce per degradare la moralità dei singoli... la crescente moralizzazione dei governi, per contro, fa nascere un nuovo e minaccioso stato etico alacremente impegnato nell' infinita crociata contro "diseguaglianza" e "discriminazione"..."

Se la concezione del "diritto" subisce la perversione sopra descritta, allora finisce per camuffare sostanzialmente un precetto etico. Come si vede i conti ora tornano: la paradigmatica istanza che sto considerando nasconde una crociata moralista, altro che "ragionamento giuridico"!

Veniamo ora all' ultimo passaggio della mia riflessione: perchè mai l' essere a capo di una crociata moralista dovrebbe essere imbarazzante, al punto di utilizzare questo armamentario di trucchi linguistici per far credere di essere impegnati in realtà in discorsi logici e/o giuridici?

Ma perchè l' intellettuale paradigmatico ha appena smesso ieri di stigmatizzare proprio la pratica di condurre crociate moraliste, ha appena finito di chiarire che lui è invece un laico aconfessionale. Magari nel fare questa solenne professione aveva nel mirino la Chiesa Cattolica (che non si vergogna certo della missione moralizzatrice a cui si sente chiamata) e le sue continue "interferenze" in ambito bioetico.

Per occultare il repentino voltafaccia senza far esplodere platealmente le contraddizioni tra l' articolo di ieri e l' articolo di oggi, l' ambiguità di espressioni come "logica economica" e "diritto" è quanto mai preziosa e va sfruttata senza remore.

p.s. ah, l' intellettuale è il sempre paradigmatissimo Stefano Rodotà e l' articolo pubblicato da Repubblica è stato posto alla mia attenzione dalla sempre stimolante Loredana Lipperini.

Il comandamento mai scritto

Nel corso delle vacanze mi sono fatto raccontare due storie: "L' imperatore di Portugallia", da Selma Lagerlof e "La strada", da Corman McCarthy.

Il primo libro spiega bene perchè il cuore inerte di un uomo cominci a battere solo quando nasce il suo bambino.

Il secondo spiega mirabilmente perchè non potrà mai arrestarsi finchè accanto a sè batterà il cuore del suo bambino.

Entrambe le storie sono potenti rappresentazioni di un comandamento mai scritto: "onora il figlio".

Selma attinge acqua di superficie, ama i ruscelletti baldanzosi, Corman estrae da pozzi artesiani, ama il profondo. La maestrina è abitualmente impegnata in saghe popolate da arzilli troll, l' introverso è sempre in compagnia di cowboy che cenano con la pistola a fare da coperto.

Questa volta i due sono alle prese con dei Padri. Si tratta di Padri di fronte a cose che non si possono riaggiustare.

Jan Andersson di Skroljcka onora sua figlia dedicandole la sua pazzia da Re Lear. Un sorprendente tramite attraverso cui riuscirà nell' impresa di amarla aggirando l' indegnità di lei.

Jan Andersson di Skroljka onora la figlia sottraendo senso ad una vicenda che ne ha uno spiacevole e fin troppo evidente a tutti. Novello logoteta, s' inventa un nuovo codice amoroso pur di non smettere, sebbene respinto, di dichiararsi innamorato. Non è matto, dicono di lui, è il Signore che gli ha solo fatto dono di uno schermo affinchè non veda cio' che non sopporterebbe di vedere.

Gli eroi di McCarthy sono messi anche peggio, camminano in un mondo razziato e dormono per la strada come le vittime di incidenti, oppure se ne stanno fermi sotto la pioggia come animali da fattoria.

Il Padre onora il Figlio rispondendo alle sue domande. Il bambino puo' contare su questo muro monosillabico contro cui rimbalzerà ogni pallina che scaglia, senza che nessuna vada persa.

"Buono", "cattivo", "male", "bene", "procediamo verso il mare", "sono successe tante brutte cose ma noi siamo qui"... si tratta di sintesi scarne solo nell' era pre-apocalittica. Dopo l' apocalisse la giusta deferenza al Bambino puo' dirsi realizzata anche rispondendo con un semplice ma sonoro "non lo so".

L' Uomo di McCarthy, insomma, onora il Bambino con il suo coraggio di alzarsi la mattina in un mondo ammazzatosi senza far testamento, lo onora con la sua pompa scassata che cerca di iniettare senso in un pianeta necrotizzato che con una torsione tellurica si vuole scrollare di dosso ogni senso.

Klara Gulla fa la troietta in città e Jan fa di tutto per non vederlo "ricostruendosi su misura il reale" tramite le spiegazioni visionarie che gli consente una follia sofisticata. Come da copione nella tradizione mistica del nord, recentemente rinvigorita dal Lars Von Trier, il più scemo avrà ragione cominciano a distribuire miracoli un po' ovunqe e noi intelligentoni iper-scolarizzati resteremo con un palmo di naso.

I macilenti eroi di Mccarthy, lerci nella loro diarrea, percorrono la strada di un Golgota in discesa (verso il mare), incontrano feti anneriti sullo spiedo e il Padre è chiamato a darne conto ricorrendo a spiegazioni primordiali che la lucidità rende ineludibili, sviluppando nel figlio un vivido anelito verso quel poco che neanche la morte puo' disfare, facendo di ogni vita scampata alla cenere un radioso tabernacolo immerso nella desolazione.

Sia il resoconto primordiale del Padre che quello visionario di Jan hanno un che di perverso e nevrotico, come quando qualcuno perde qualcosa e si mette a cercarla nei posti più impensati.

Alla fine un po' si capisce perchè il comandamento "onora il figlio" non è stato mai promulgato: l' amore per i figli non è una buona metafora del "dovere", è piuttosto una buona metafora della "garanzia".

Una sfolgorante stramberia ed un' immersione nel glaucoma, due racconti diversissimi, entrambi ad alta temperatura religiosa, entrambi deturpati dai difetti che ammorbano il genere: finale edificante per la svedese, troppa voglia di atmosfere umbratili per l' americano.

Se poi proprio devo assegnare la palma, scelgo Selma: occulta meglio le allegorie.

Una prosa lineare le consente di far sparire ogni ingorgo di pensiero retrostante. Nell' altro il cogito e l' allegoria incombono, proprio come quei fastidiosi tuoni che non smettono mai di rotolare dietro il cielo cinerino.

lunedì 10 gennaio 2011

Stereotipi razionali I

Esistono eccome!

Nella pratica, non solo nella teoria. Questo puo' essere utile.

La sanità migliore d' Europa

Dove si trova?

Nord Italia e Olanda.

Nord Italia: competizione tra ospedali pubblici e privati.

Olanda: assicurazioni a prezzo unico.


http://www.brunoleoni.it/e-commerce.aspx?ID=9575&level1=2220

L' investimento di Marchionne

Ma non si tratta tanto di "lazzaronaggine" visto che la concorrenza al ribasso tra lavoratori c' entra molto molto relativamente.

E, se non si fosse capito, vorrei ribadirlo ancora con qualche dato: negli ultimi trent' anni (1980-2009) "solo" il 30% degli investimenti all' estero ha preso la via dei "paesi in via di sviluppo", il 43% ha preferito investire nei paesi del G8, ovvero con costo del lavoro molto più elevato (fonte). Tanto per dire, il paese che ne ha ricevuti di più, gli USA, in questi trent' anni hanno aumentato gli stipendi del 25% al netto dell' inflazione (fonte).

Tu mi dici che l' operaio non schiavizzato rende di più. Sono d' accordo, ma se lo sappiamo noi grazie ad una mera intuizione vuoi che non lo sappia Marchionne? Il fatto che ci metta i soldi lo garantisce dal sospetto di doppi fini.

Cosa conta, allora? Contano i fattori di competitività, ed è proprio a quelli che accennavo.

Perdo ancora un secondo per menzionare un parametro: la produttività del lavoro. Questo paramentro ha due caratteristiche: 1)è fondamentale 2)in Italia ha un andamento disastroso.

Da cosa dipende la produttività? L' indagine internazionale più approfondita è forse quella di Prescott/Parente che conclude mettendo sul banco degli imputati in primo luogo gli interessi corporativi (sindacato): la loro eccessiva tutela politica crea immobilismo e paralisi nell' innovazione. L' innovazione contrattuale è decisiva e molta retorica sui diritti contribuisce alla stagnazione nelle forme contrattuali. Meno cultura dei diritti e più cultura del contratto, almeno per chi non fa politica ma fa sindacato.

In altre parole: domani le cose cambieranno certamente nel settore dell' auto. Marchionne sta forse investendo in un paese flessibile dove potrà cambiare la sua organizzazione tenendo il passo?

Sento ora che i "sì" hanno vinto di misura e quindi i sindacati più politicizzati continueranno probabilmente a far sentire forte la loro voce. A Marchionne mi sento solo di dire quello che altri hanno detto ai giovani: via da qui.

Quante intelligenze esistono?

Meglio spendere due parole su una scappatoia che spesso è solo un vicolo cieco:

The psychometric camp, which includes Herrnstein and Murray, Jensen, Eysenck, John Carroll (whose 1993 treatise, Human Cognitive Abilities, offers the most extensive factor-analysis of mental tests), and most psychologists who have traditionally studied the topic, hold to a conception of intelligence that closely matches what common sense and the dictionary tell us the term means. The opposing side, which sports a more eclectic set of disciplinary backgrounds and prides itself on a more sophisticated and inclusive perspective, divides human abilities into broad classes--logical, spatial, interpersonal, verbal, etc.--and labels each class an "intelligence." The two sides then proceed to talk past each other...

http://www.wjh.harvard.edu/~cfc/Chabris1998a.html