venerdì 6 agosto 2010
I disperati
Alexandre Koyrè - Filosofia e storia delle scienze - Mimesis
Interessante.
Ancor più interessante è andare a vedere a chi serve "definire la scienza", chi ha necessità di "imprese disperate" come questa.
Chi sono i "disperati", quelli per cui non esistono emoticons adeguate?
Non certo gli scienziati, a loro "definire la scienza" non serve.
Rintracciare i "disperati" è abbastanza semplice, sono quelli che anzichè "fare scienza" non fanno altro che alzare il ditino ammonendo che "lo dice la scienza". Sono i fanatici dell' ipse dixit moderno. Sono quelli che, per esempio, anzichè studiare l' evoluzionismo applicandolo nei loro campi, perdono tempo ad esaltare la "scientificità" della teoria. Anziche contribuire all' autorevolezza della scienza, la sfruttano. Hanno un disperato bisogno che la scienza sia "ufficiale" al fine di redigere programmi scolastici, programmi ministeriali e altre forme di indottrinamento e controllo. Più che la Scienza a questi "disperati" serve l' "ufficialità" con cui redigere le loro gazzette, serve come il pane per poterti dichiarare "ufficialmente" irrazionale, e successivamente pazzo da internare.
Il vero insegnamento della scienza non consiste nelle sue conclusioni (sempre da rivedere se non da capovolgere) ma nel diritto alla concorrenza, ovvero nel rispetto per l' opinione minoritaria, poichè in questa instabilità della conoscenza sappiamo che domani potrebbe rivelarsi vincente.
Un vero trauma per chi invece anela ad una "Gazzetta ufficiale della Scienza" proprio per affossare e reprimere l' opinione minoritaria conculdandole ogni diritto.
Tra parentesi, Alexandre Koyrè, forse il massimo epistemologo degli ultimi secoli, mostrò come la caratteristica saliente della Scienza moderna del XVII secolo (Galileo, Newton...) non sia affatto il legame con il metodo sperimentale. Sorpresa? La Scienza moderna è innanzitutto teoria, ricerca della Verità. La scienza moderna è matematizzazione del mondo: una vera rivincita di Platone su Aristotele e sui pragmatisti.
giovedì 5 agosto 2010
C' è Ulisse, ma c' è anche Gianburrasca
Gianburrasca stasera vuole ardentemente partecipare ad una festa, per quanto domani lo aspetti un esame cruciale. Sa anche che in futuro il suo desiderio di spassarsela sarà oscurato da quello di ottenere il diploma.
Ulisse decide di evitare le sirene mettendosi i tappi di cera nelle orecchie ed esentando l' equipaggio dall' obbedienza.
Gianburrasca decide di stare a casa a studiare.
Sono due storie plausibili? A me sembra di sì. Non mi scandalizzerei se qualcuno me le raccontasse.
Eppure qualcuno si scandalizza, parlo di chi crede che noi siamo motivati solo dal desiderio.
Costoro trovano irrazionale la storia di Gianburrasca: se nel momento della decisione si desidera fare X, si farà X.
Infatti Ulisse, nel momento in cui architetta il suo piano, desidera tornare in patria e architetta un piano per conseguire il suo obiettivo.
Gianburrasca desidera invece andare alla festa. E' sconcertante che al termine di un semplice calcolo, decida di rinunciarvi.
Evidentemente, per quanto molti lo neghino, anche la ragione puo' motivare.
Inconvenienti del fanatismo
"... Io mi reputo relativista (forse). Son talmente intriso di relativismo, da non reputare neppure sicuro d’essere io a scriverti in questo momento...".
Mi ha fatto venire in mente un passaggio del buon Chesterton che infilza con grazia questa fauna:
"... intorno al Cristianesimo si assiste oggi ad un fenomeno curioso; la volontà dei suoi neminci di combatterlo con tutte le armi possibili, comprese quelle spade che tagliano le loro stesse dita, o quei tizzoni ardenti che bruciano le loro case. Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell' umanità e finiscono per gettare via sia l' umanità che la libertà, pur di combattere la Chiesa. Conosco un uomo così accanito nel dimostrare che non avrà nessuna vita personale dopo la morte da ridursi ad affermare di non averne neppure ora. Al fine di provare che non puo' andare in Cielo finisce per provare che non puo' andare neppure a Rogoredo. Ho conosciuto persone che protestavano contro l' educazione religiosa adducendo argomenti contrari a qualsiasi educazione, dicendo che la mente dei bambini deve crescere libera o che i vecchi non devono insegnare ai giovani. Ho conosciuto persone che dimostravano che non vi puo' essere un giudizio divino dimostrando come corollario che non vi puo' essere nemmeno alcun giudizio umano, nemmeno sulle questioni più pratiche. Pur di mettere a fuoco la Chiesa, costoro hanno dato alle fiamme il loro stesso grano, pur di sfasciarla hanno sfasciato i loro stessi arnesi, Noi non ammiriamo nè scusiamo il fanatico che distrugge questo mondo per amore dell' altro. Ma che dire del fanatico che distrugge questo mondo in odio all' altro?..."
mercoledì 4 agosto 2010
Proibire la corrida?
Ma è davvero così? Vediamo di approfondire, magari cominciando a dire che ci sono vari tipi di utilitarismo.
innanzitutto noto che l’ alternativa proibire/consentire non è mai simmetrica come sembrerebbe: se si proibisce la quantità dei tori ammazzati è ZERO, punto e basta. La soluzione caldeggiata dai proibizionisti è in effetti una soluzione grezza.
La soluzione anti-proibizionista è molto meno grezza: il numero dei tori ammazzati varia a seconda della felicità dei soggetti (umani). Si paga per partecipare alla corrida. E si puo’ pagare anche per boicottarla. Un penny, un voto.
Certo, bisogna accettare che l’ infelicità dei tori si rifletta e venga pesata dall’ infelicità degli animalisti, quelli che pagano per risparmiare i tori. Personalmente accetto questa ipotesi che per molti è invece problematica.
Gli animalisti non vogliono la corrida?: se la comprino. Gli hemigwayani ne vanno matti?: se la comprino.
Per sfuggire alla grettezza l’ esito dovrebbe soppesare le offerte, ma la premessa è l’ anti-proibizionismo
martedì 3 agosto 2010
La scelta
Il materialista crede che la Scienza finirà, o che comunque potrebbe finire: esiste un algoritmo complessissimo ed ignoto che spiegherebbe tutto senza ricorrere ad entità sovraumane. Il credente pensa invece che la Scienza sia una ricerca continua: solo una mente dalle capacità infinite (ovvero sovraumane) conosce tutto e la esaurisce.
Per quanto ne sappiamo entrambi potrebbero avere ragione. E allora, chi privilegiamo?Poniamoci la domanda fatidica: quale tra queste due visioni è la più semplice?
Prendiamo a titolo d' esempio queste due affermazioni.
1) "Conosco (o potrei conoscere) X" (dove X è l' algoritmo complessissimo di cui sopra)
2) "Conosce tutto"
1 è affermazione più complessa di 2. X è già di per sè un concetto estremamente complesso. "Tutto" e "infinito", per contro, sono concetti molto semplici, comprensibili anche dai bambini.
Per le stesse ragioni per cui a Tolomeo preferisco Copernico, faccio prevalere la Fede sul Materialismo.
Richard Swineburne
A me il professore convince.
Sinceri democratici
G. K. Chercheston
Libertà e tradizione. La libertà come valore, la tradizione come frutto della libertà passata. Si puo' essere sinceri democratici senza avere il culto della tradizione? A lume di logica sembrerebbe problematico.
Suicidio del pensiero
G. K. Chesterton
Le solite cose... ma dette con la classe di un maestro.
Già declina pur nel fiore
Perorando la Torre d’ Avorio
Stillava sangue quel giornale. Lo presi, lo apersi e capii.
Dopo avere a lungo intinto le loro penne nel vetriolo, F. e Cl. Mag. se le dissero e dettero di santa ragione.
Avveniva tutto al cadere di Ottobre, nell' anno del Signore 2006.
Non che prima i due si fossero ignorati. Solo che si limitavano a far cadere le loro contumelie dall' alto, a distanza di sicurezza, senza mai incrociare lo sguardo reciproco.
Io, che conosco il primo come funambolo del rigo giornalistico - ben calibrato e mai privo di sugo - e il secondo come un tipo che per quanto ami apparire compassato alla fine non riesce mai a trattenersi, mi sono appostato sugli spalti sicuro di assistere ad una tenzone cruenta ma costruttiva.
Quel che rileva qui è solo uno scampolo della discussione...ma accidenti.
Mi riferisco al formidabile argomento che quel figlio di P. di F. faceva solo balenare all' orizzonte con il sorrisino del gatto alle prese col topo. E nell' alludervi le sue famose sopraciglia leonine arcuavano ulteriormente la loro esse diabolica.
Lo manteneva saldamente nelle retrovie con esclusive funzioni logistiche proprio mentre tutti gli altri argomenti venivano ordinatamente fatti marciare verso il fronte polemico.
Mi vedo costretto ad esporlo con sintesi brutale secondo quella che ne è la mia capacità di leggere dietro le righe: poichè Cl. Mag. aveva intrattenuto rapporti intensi con Monna Letteratura cio' poteva certo fargli meritare le medaglie più scintillanti e i riconoscimenti più solenni, ma tutto cio' lo rendeva profondamente inidoneo a spiegare quanto avviene nel nostro quartierino (ovvero il Pianeta Terra, una roba che sta in fondo a destra). Questo in generale. Sui giornali in particolare.
Il nostro Literato si vede innamorato mentre scrive al caffè. Con questa predisposizione sognante infarcisce i suoi giudizi di buoni sentimenti un tanto al chilo, impenetrabile e dimentico di ogni dimensione tragica del Reale.
Costoro, dopo aver inclinato a lungo la spina dorsale sulle patrie lettere, nel tentativo estremo di vivacizzare le sudate carte e ampliare l' audience, rivolgono il loro ormai miope lume verso il quotidiano ma cio' che offrono è solo lo spettacolino di chi, dopo macerato ponzamento, improvvisa senza costrutto. Li vedi proferire le loro ingenuità accompagnandole con il fare tipico dei callidi.
Diciamoci la verità. Osservando le fanciullesche analisi internazionali dei vari Tab, M. Ov., D.F. sui blasonati tabloid, valutando la comica linea politica del Comico raffinato, soppesando lo sconclusionato programma di lotta politica del capriccioso regista, devo dire che tentenno nel liquidare all' istante un simile argomento, quand' anche non mi convinca del tutto.
E non puo' convinvìcermi del tutto certo come sono che l' arte sia pur sempre in grado di parlarci della Realtà.
Ma come conciliare due sensazione tanto stridenti?
Forse la facoltà di catturare il reale puo' presentarsi disgiunta dalla capacità di ricostruirlo cronachisticamente. La sintesi dell' opera è un dono che acceca lo sguardo quando si tratta di articolare un semplice resoconto con gli strumenti del buon senso.
Con eleganti metafore la cosa è stata espressa da un grande Lettore che fu anche grande Scrittore. Mi sia consentito di citarlo a memoria:
"...la visione del particolare illumina ed offusca lo Scrittore...In quanto scrittore mi complimento con chi si getta nelle fiamme per salvare il bambino piangente, ma stringo commosso la mano al salvatore che si ricorda di recuperare anche il giocattolo preferito dal piccolo...
...uno spazzacamino piombando dal sesto piano notò un errore di ortografia nell' insegna. Si chiese chi mai avesse potuto commetterlo...Anche noi precipitiamo verso la morte e notiamo parecchie cose sulla facciata che ci scorre davanti...
...questo incanto verso la minuzia mentre incombe il Pericolo costituisce la provvidenziale ed infantile speculazione dell' artista che per quanto corrughi la fronte resta un povero di spirito. Attività preziosa quanto lontana dal buon senso...Cercare qualcosa nel suo cuore che non sia affetto da questa santa aberrazione è cosa futile..."
Come dire: scrittori, scrivete e vi leggeremo. Ma mi raccomando: nei libri, non sui giornali.
lunedì 2 agosto 2010
Problemi con la Trinità?
C.S. Lewis
Volendo approfondire la dottrina cattolica e non sentendosi all' altezza di abbordare la teologia più sofisticata, non restano che gli autori inglesi (Lewis, Chesterton, Belloc...).
Essere cattolici in Inghilterra significava portare a spasso lo stigma del ribelle, significava vivere fuori dal recinto e avere tutti contro. Tutto cio' sviluppava i muscoli della fede. L' unica via d' uscita praticabile infatti consisteva nel forgiare un linguaggio rigoroso (alla lunga mai contraddittorio) e facilmente comprensibile (la comprensione crea interazione ed evita l' isolamento). Anche per questo la sparuta bandella di Cattolici summenzionati era al centro della vita polemica e culturale di quel paese.
Dedicato a...
C.S. Lewis
Dedicherei il pensierino ad Odifreddi, l' unico teologo (naturalmente improvvisatosi tale sui due piedi) che se nei testi legge "... si assise alla destra del Padre..." pensa davvero che il Padre abbia una destra e una sinistra, anzi, pensa che il Padre abbia uno sgabello a destra e uno sgabello a sinistra... e magari cerca pure di avvistare gli sgabelli con il telescopio. Poi, quando non li vede, dice che l' umanità è un branco di cretini, tranne lui e qualche suo amico che gira sempre con il telescopio sotto braccio. Il tutto con la serenità che sa mantenere chi non è mai sfiorato dal dubbio.
venerdì 30 luglio 2010
Vivivivi? Gangangangang!
A lungo, molto a lungo mi fissò l'ochetta, e quando io feci un movimento e pronunciai una parolina, quel minuscolo essere improvvisamente allentò la tensione e *mi salutò*: col collo ben teso e la nuca appiattita, pronunciò rapidamente il verso con cui le oche selvatiche esprimono i loro stati d'animo, e che nei piccoli suona come un tenero, fervido pigolio.
Fin qui tutto bene. Lorenz ha già un piano: affiderà le ochette, e questa in particolare, all'oca domestica che si è piazzata nella cuccia del cane sfrattato, poraccio.
Infilai la mano sotto il ventre tiepido e morbido della vecchia e vi sistemai ben bene la piccina, convinto di aver assolto il mio compito.
Seee, macché. Non funziona così.
(...) Pochi minuti, durante i quali meditavo soddisfatto davanti al nido dell'oca, quando risuonò da sotto la biancona un flebile pigolio interrogativo: 'vivivivivi?'. In tono pratico e tranquillizzante la vecchia oca rispose con lo stesso verso, solo espresso nella sua tonalità: 'gangangangang'. Ma invece di tranquillizzarsi come avrebbe fatto ogni ochetta ragionevole, la mia rapidamente sbucò fuori da sotto le tiepide piume, guardò su con un solo occhio verso il viso della madre adottiva e poi si allontanò singhiozzando: 'fip... fip... fip... '.
Lorenz ci riprova, la ficca di nuovo sotto la biancona, ma niente: 'fip...fip...fip...' L'ochetta Martina non molla. Una 'madre' ce l'ha già, e non è la biancona. Lorenz si arrende.
Posai la cestina con la culla riscaldata proprio in un angolo della camera e mi infilai anch'io sotto le coperte. Proprio nell'attimo in cui stavo per addormentarmi udii Martina emettere, già tutta assonnata, ancora un sommessso 'virrrr'. Io non mi mossi, ma poco dopo risuonò più forte, come in tono interrogativo, quel richiamo 'vivivivi?' che Selma Lagerloef nella sua stupenda storia del piccolo Nils Holgerson, che ha avuto su di me tanta influenza quand'ero bambino, traduce con geniale, penetrante intuizione nella frase: 'io sono qui, tu dove sei?'. 'Vivivivi?: io sono qui, tu dove sei?'. Io continuai a non rispondere, rannicchiandomi sempre più tra le coltri, e sperando intensamente che la piccola si sarebbe addormentata. Macchè! Ecco di nuovo il suo 'vivivivivi?', ma ora con una mincciosa componente tratta dal lamento dell'abbandono: un 'io sono qui, tu dove sei?' pronunciato con il viso atteggiato al pianto, con gli angoli della bocca abbassati e il labbro inferiore voltato in fuori; cioè, presso le oche, con il collo tutto ritto e le piume del capo arruffate. E un istante dopo ecco uno scoppio di striduli e insistenti 'fip... fip... '. Dovetti uscire dal letto e affacciarmi sul cestino; Martina mi accolse beata salutandomi con un 'vivivivivi'. Non voleva più smettere, tanto era il sollievo di non sentirsi più sola nella notte. La posi dolcemente sotto la coperta termostatica: 'virrrr, virrrr'. Si addormentò subito, deliberatamente, e io feci lo stesso. Ma non era passata neppure un'ora (erano circa le dieci e mezzo), quando di nuovo risuonò il 'vivivivivi' interrogativo, e si ripetè la sequenza di cui sopra. E poi di nuovo alle dodici meno un quarto, e all'una. Alle tre meno un quarto mi levai e decisi di cambiare radicalmente la disposizione degli elementi nell'esperimento. Presi la culla e me la posi a portata di mano presso la testata del letto. Quando, secondo le previsioni, alle tre e mezzo si fece sentire il solito interrogativo 'io sono qui, tu dove sei?', io risposi nel mio stentato linguaggio di oca selvatica con un 'gangangangang' e diedi qualche colpetto alla coperta termostatica. 'Virrrr,' rispose Martina 'io sto già dormendo, buonanotte'. Presto imparai a dire 'gangangangang' senza neppure svegliarmi, e credo che ancor oggi risponderei così se, nel profondo del sonno, udissi qualcuno sussurrarmi sommessamente 'vivivivivi?'.
da L'anello di Re Salomone, di Konrad Lorenz (1949)
giovedì 29 luglio 2010
Il costo della scelta
E questo costo forse ci dice qualcosa anche sul ciclo economico: http://econlog.econlib.org/archives/2010/07/the_recalculati_2.html
Ma scegliere ci rende felici: Life goals and choices have as much or more impact on life satisfaction than variables routinely described as important in previous research, including extroversion and being married or partnered. http://www.bigquestionsonline.com/blogs/heather-wax/goals-religion-and-personal-choices-can-affect-long-term-happiness
sabato 24 luglio 2010
Due buone ragioni
Questi autori si definiscono spesso come "matematici", ma la cosa andrebbe controllata.
Prendiamo Paulos, pur insegnando matematica non lo si puo' certo definire un "matematico": ha pubblicato pochissimo (due lavori), con scarsi riscontri e in ambiti diversi da quello matematico.
La sua attività principale consiste nella cura di testi anti-religiosi e nella partecipazione a dibattiti televisivi.
Il caso di Odifreddi non si differenzia granchè.
Ambrosetti prosegue spiegando quando una persona puo' definirsi "matematico": un laureato che insegna al Liceo o all' Università è fuori dal consesso. almeno quanto un laureato in economia che lavora in banca non puo' essere considerato un "economista".
Bisogna invece partecipare attivamente e con risultati di sostanza alla ricerca matematica. Non basta qualche lavoro estemporaneo.
Infine Ambrosetti spiega perchè le dimostrazioni matematiche hanno poco a che vedere con l' esistenza o l' inesistenza di Dio: ogni dimostrazione implica assiomi indimostrati e dipende da quelli. ma ci sono anche ipotesi e definizioni a complicare la faccenda.
Se non siamo tutti atei o tutti credenti non è certo a causa dell' irrazionalità dilagante, manca un accordo unanime su assiomi, ipotesi e definizioni. Per evitare di essere stucchevoli, meglio lasciar perdere le "dimostrazioni".
Da ultimo Ambrosetti spiega perchè il suo lavoro di matematico (vero) lo ha avvicinato alla fede.
I motivi sono essenzialmente due.
1. la ricerca matematica ci fa toccare con mano la finitezza delle nostre conoscenze: solo la mente divina possiede la conoscenza infinita.
2. la ricerca matematica ci fa toccare con mano la non arbitrarietà della nostra conoscenza: solo un Dio puo' star dietro e condividere un significato tanto forte.
Non si tratta di dimostrazioni matematiche, è vero, ma sono comunque DUE BUONE RAGIONI per cui un matematico puo' sentirsi chiamato verso la fede.
Antonio Ambrosetti, Giovanni Prodi, Ennio De Giorgi - e mi fermo qui - sono forse le nostre menti matematiche più creative ed hanno seguito proprio quel richiamo.
Tutto cio' è rassicurante.
Antonio Ambrosetti - la matematica e l' esistenza di Dio - Lindau
venerdì 23 luglio 2010
Il creazionista giuridico
Chi si oppone alla legge puo' farlo solo in nome dell' etica.
Cosa è in grado di provare l' infondatezza di questa posizione?
Innanzitutto il fatto che esistono fior di diritti senza governi.
Recentemente leggevo Moby Dick, in particolare le pagine in cui Melville si dilunga sul diritto che regola la caccia alle balene.
Non esisteva un "governo" dei balenieri, eppure esisteva un diritto. Il diritto che tanto appassiona lo scrittore si era sedimentato nella pratica concreta dell' esecizio di quella professione.
E non parliamo certo di "norme etiche": parliamo del diritto ad inseguire la balena per 8 miglia che acquisisce chi scaglia il primo arpione che attinge la bestia.
Si possono fare decine di esempi simili al diritto dei balenieri. Decisamente troppi per non considerare tutto cio' un' "overwhelming evidence" contro l' ipotesi del creazionista giuridico.
Per il creazionista giuridico non puo' esister un ordine giuridico senza un dio. Pardon, senza un legislatore che tenga tutto sotto controllo dall' alto.
Il creazionista giuridico non riesce a concepire che l' evolouzione relazionale tra i soggetti è in grado di produrre ordini sofisticati. Eppure disponiamo ormai di una lunga serie di esemplificazioni concrete. Quella che in passato poteva essere considerata un' ipotesi, oggi è poco più che una superstizione.
Un testo che esprime al meglio questi concetti è il classico di Bruno Leoni: "La libertà e la legge". Purtroppo per molti anni da noi il creazionista Bobbio ha oscurato l' evoluzionista Leoni.
Vorrei solo aggiungere una cosa.
A volte mi capita di auspicare che una certa legge giuridica possa venir trasgredita, anche se so in anticipo che cio' condurrà Tizio alla rovina.
Facciamo un esempio che ci capiamo meglio: auspico che l' uso della droga sia liberalizzato anche se so che in questo modo Tizio si distruggerà.
Francamente non penso che questo mio auspicio abbia natura etica, al contrario. Eppure sono pronto alla disobbedienza civile per perorare quella causa. Ma a cosa mi appello se non mi appello all' etica?
giovedì 22 luglio 2010
Come uccide l' italiano?
Occorre mandare segnali a destra e a manca, la colpevolezza della vittima è secondaria.
Per passione.
Occorre sfogare l' odio che inietta il sangue negli occhi, e che vada in malora il test kantiano dell' universalità.
Per disperazione.
Compromesso il valore supremo (la Famiglia), tutto è perduto e muoia sansone con i filistei.
Ma dove trovare un' adeguata illustrazione degli omicidi italian style?
Come vertice propongo "Fratelli" di Abel Ferrara.