martedì 19 dicembre 2017

Perché andiamo a scuola? SAGGIO


Perché andiamo a scuola?


Non ho mai permesso alla scuola di interferire con la mia educazione
Mark Twain
1. LA TEORIA DEL CAPITALE UMANO
Che domanda facile, quella del titolo! La risposta sembra ovvia: si va a scuola per imparare, per acquisire nuove competenze da sfruttare nel corso della vita futura.
Nessuno di noi si lascerebbe curare da un medico che non abbia studiato medicina in una buona scuola.
Gli studenti vanno a scuola per migliorarsi con un occhio al loro futuro.
I datori di lavoro, d’altro canto, sono disponibile a pagare un surplus se una persona ha investito su se stessa andando a scuola.
Questa semplice spiegazione è nota come teoria del capitale umano.
Si tratta di una teoria corretta?
Solo in parte, in minima parte. Se dovessi semplificare limitandomi ad un monosillabo direi “no”. Approssimando direi che è scorretta. La scuola è fondamentalmente altro.
Più che altro la storia di cui sopra è quella che genitori e insegnanti amano raccontare nei discorsi ufficiali.
Fuori onda, alle feste, al bar, in camera caritatis, le verità sussurrate sono altre e ben più attendibili.
Funzioni meno nobili sembrano prevalere, anche se la pressione sociale ci impedisce di parlarne a chiare lettere, almeno nella sfera pubblica.
2. ALCUNE COSE CHE NON QUADRANO
Alcuni indizi sono utili per comprendere le debolezze della spiegazione convenzionale.
Stanford è un’università prestigiosa, ammette ai suoi corsi solo il 5% di chi si presenta ai test di ammissione e la retta si aggira intorno ai 35/40.000 euro annuali. Solo la retta, poi c’ è il resto.
Eppure è possibile frequentare gratuitamente (costo zero) i corsi di questa università. Non sto parlando delle borse di studio, alludo al fatto che basterebbe entrare in aula, sedersi educatamente e partecipare alla lezione, oltre che alle discussioni seguenti. Si possono anche fare le esercitazioni se si desidera, nessuno lo vieta. Si possono anche fare i compiti. I professori saranno lieti di trattarvi come uno studente qualsiasi.
Ma se questa istruzione esclusiva ha un valore tanto elevato, perché è così facile “rubarla”?
Ma soprattutto: perché nessuno la ruba? E’ come se su un marciapiede affollato ci fossero in terra migliaia di euro che nessuno raccoglie. Questa è l’immagine che abbiamo se teniamo buona la teoria del capitale umano.
Un caso del genere lascia il forte dubbio che il valore trasmesso non sia quello formativo.
Altro indizio: sapete cosa succede tra gli studenti (in attesa di imparare) a cui viene comunicata l’ora buca? In genere giubilo, ne sono testimone diretto.
Paragonate questa reazione a quella dei viaggiatori a cui viene comunicato la soppressione del treno che attendono. Ad entrambi salta un servizio, ma non si direbbe.
Altro indizio: tra gli studenti è pratica comune iscriversi a quei corsi facoltativi in cui è più facile spuntare un voto elevato che alzi la media. Come mai si sacrifica un apprendimento utile alla media? Forse quell’utile apprendimento è meno utile della media.
D’altronde, preferireste presentarvi sul mercato del lavoro con una laurea a pieni voti (senza aver frequentato alcun corso) o privi di laurea (avendo frequentato tutti i corsi)? Io non ho dubbi, e con me la maggior parte degli studenti. Per loro è abbastanza ovvio che i voti valgano di più delle presunte competenze acquisite.
Una versione alternativa del concetto precedente: preferireste buttarvi nel mondo del lavoro con una laurea 110/110 alla Bocconi avendo una preparazione da 90/110 acquisita adUrbino, oppure con una laurea 90/110 conseguita a Urbino avendo una preparazione da 110/110 acquisita alla Bocconi?
Perché se possiamo prendere 30 (o 9) studiando meno finisce sempre che studiamo meno?
Altro indizio: perché gli studenti si preoccupano delle lorolacune prima dell’esame mentre trascurano la questione dopo l’esame? Ad anni di distanza, poi, ci è abbastanza indifferente constatare che ci siamo dimenticati alcune nozioni apprese a suo tempo sui banchi di scuola. Ci ridiamo sopra!
Altro indizio: perché l’ affaire Giannino non è emerso prima? Perché nessuno si è accorto che non era laureato? Giannino non millantava lauree estranee alla sua attività. Non millantava titoli per attirare qualche vecchietta sprovveduta (come fanno certi falsi dentisti): millantava titoli inerenti alla sua opera quotidiana che svolgeva in pubblico e fianco a fianco con esperti riconosciuti del settore. Millantava la forma esibendo la sostanza. D’accordo, aveva mentito. M a quanto pare si trattava di bugie irrilevanti. Perché farle pesare tanto?
E come vi spiegate il caso di Donnarumma, ovvero il caso di un giovanotto miliardario che rinuncia a conseguire la maturità e per questo viene criticato nonostante chiunque riconosca quell’ esame come completamente inutile per la sua carriera futura? Come si coniuga questa reazione indignata con la teoria del capitale umano?
Anche l’introspezione inocula dubbi: se penso al sapere che utilizzo oggi, quello che mi deriva dalla scuola frequentata non supera il 2/3%. Arrotonderei a 0%.
Perché paghiamo volentieri per chiudere un buon affare ma troviamo seccante far fronte alla retta scolastico-universitaria?
Perché gli insegnanti prendono laboriose contromisure per ostacolare la copiatura dei compiti mentre la cosa non sembra preoccupare molto gli interessati (che anzi si dedicano in modo massiccio a questa attività appena se la possono permettere)?
Perché lo studente che non copia è considerato “onesto” anziché un semplice “egoista” impegnato a coltivare il proprio orticello?
Perché i genitori preferiscono mandare i loro figli nelle scuole dove vanno “i migliori” anziché nelle scuole “migliori?
A questo punto il mistero si sposta sui datori di lavoro: perché danno tanto peso ai voti dei candidati al posto?
I salari dei laureati sono molto maggiori di quelli pagati ai drop out. Se contasse l’apprendimento questa differenza sarebbe proporzionale agli anni frequentati, invece l’ultimo anno, l’ultimo semestre, il superamento dell’ ultimo esame (poco più che un formalismo) ha un valore spropositato.
Si chiama “effetto pergamena”. Ogni anno di istruzione in più ci fa guadagnare il 4% in più ogni anno di lavoro, ma, chissà perché, il completamento dell’anno finale di un corso ci fa guadagnare il 30% in più!
L’ “effetto pergamena” vale anche nei lavori che non richiedono una formazione specifica: i baristi laureati in storia guadagnano molto di più dei baristi che hanno abbandonato la facoltà di storia. Lo stesso dicasi per camerieri e guardie giurate.
Perché poi gli studenti si presentano in massa alladiscussione della tesi? In fondo si tratta di una formalità che non incide sul capitale umano, la formazione che si doveva acquisire è già stata messa in cascina. Evidentemente anche loro riconoscono che l’ “effetto pergamena” conta parecchio.
Inoltre, la gran parte di cio’ che insegna la scuola è di scarsa utilità per la nostra attività futura: arte, lingue, italiano, storia, ginnastica, scienze naturali ecc. Chi di noi farà un uso proficuo di queste conoscenze? Si tratta di meri sprechi, tranne che per un’esigua minoranza.
Personalmente ricordo di aver avuto problemi con l’esame di francese, ho rischiato di impiantarmi. Se mi fossi impiantato non avrei mai fatto il commercialista, ovvero un mestiere in cui il francese ha utilità pari a zero. Di certo il francese come lo si fa a scuola.
Forse la matematica trova maggiori applicazioni, ma anche qui la maggior parte di noi non andrà mai oltre l’aritmetica elementare. A che serve aver passato tanto tempo sulle disequazioni, la geometria o il calcolo differenziale?
Anche le facoltà più pratiche – ho in mente ingegneria – se vai a vedere è zeppa di conoscenze inutili.
Mi rendo conto che la produttività non è tutto, che una persona deve “allargare i propri orizzonti”. Ma a me questi enfatici messaggi suonano come una scusa bell’ e buona.
Stare legati alla sedia per sei/otto ore al giorno non mi sembra il modo migliore per “allargare i propri orizzonti”. Non a caso una persona normale finisce per odiare cio’ che la scuola gli propina. A scuola si legge la Divina Commedia? Se ti va bene la riprendi in mano dopo 20 anni, tanto dura mediamente l’allergia. A scuola si leggono i Promessi Sposi? Ho rischiato di non leggerli mai sul serio solo perché l’inquinamento scolastico ha avvizzito anche un capolavoro del genere. Altro che “allargare gli orizzonti”! 
Ad ogni modo, quel che insegna la scuola – utile o non utile –, viene presto dimenticato. Una volta passato l’esame tutto finisce senza rimpianti nel dimenticatoio.
Se tentassi di rifare ora qualche mio esame universitariosarei irrimediabilmente cannato. Non solo: ci rido sopra! La cosa non mi preoccupa affatto, anzi, mi diverte e la trova ovvia. Penso valga più o meno per tutti: la colpa non è mia, è della scuola.
Ma anche se la scuola trasmettesse saperi utili che noi ricordiamo, la nostra capacità di applicare queste conoscenze alla realtà è minima tendente al nullo. Pochi di noi sanno riconoscere che un certo problema incontrato nella realtà di tutti i giorni è in qualche modo analogo a un problema a suo tempo affrontato a scuola.
Di fronte a questi sospetti i difensori della teoria convenzionale dicono che la scuola, in realtà, insegna ad imparare, a pensare criticamente, a formare un buon cervello: è meglio una testa ben fatta che una testa piena.
Questa affermazione è confortante ma non regge un serio scrutinio. Approfondendo emerge la sua matura meramente poetica.
La psicologia educativa la testa da un secolo ed è giunta alla conclusione che il sapere è estremamente specifico. Gli studenti imparano cio’ che insegni loro, non imparano a pensare. Se  insegni loro la geografia non saranno per questo facilitati ad apprendere la storia, anzi. Ogni apprendimento ricomincia da zero, e una certa presunzione – magari perché si conoscono altre materie – puo’ addirittura ostacolare.
Ma altri sospetti minano la teoria convenzionale: perché la scuola non adotta i metodi migliori di apprendimento.
Qualcosa in fondo sappiamo. Per esempio: sappiamo che senza voti si impara di più. Sappiamo che i compiti – esercizi di matematica a parte – servono a poco o a niente. Sappiamo che la conoscenza somministrata in pillole in modalità variata e alternata si trattiene molto meglio rispetto a quella impartita in lunghe e uniformi ore di lezione. Gli adolescenti imparano meglio quando la scuola inizia tardi.
C’è poi un altro elemento sospetto: perché se l’istruzione influenza gli stipendi futuri dei singoli, non influenza la ricchezza di una nazione.
Ogni anno di studio in più aumenta dell’ 8-12% il salario del singolo. Il beneficio della nazione in un caso di media equivalente è – ad essere generosi – intorno all’1-3%.
3. UNA SPIEGAZIONE ALTERNATIVA
Una tesi alternativa considera la scuola una gigantesca agenzia pubblicitaria. Gli studenti vanno a scuola per far conoscere le loro capacità, più che per acquisirle.
La scuola non ti forma, ti accredita. La scuola è un ente di certificazione.
Ogni studente ha qualità nascoste e chiede alla scuola di renderle pubbliche al fine di massimizzare il suo valore sul mercato del lavoro.
Queste qualità non possono essere facilmente accertabili – come per esempio l’ IQ – altrimenti alle aziende basterebbe somministrare un test.
Si tratta di qualcosa per cui il rendimento certificato dai voti sia una buona approssimazione.
I voti scolastici, in effetti, predicono bene la carriera degli studenti.
Le persone intelligenti e pigre, per esempio, non hanno buoni voti, e nemmeno fanno carriera.
Per avere buoni voti occorre essere intelligenti ma anchescrupolosi, avere cura dei dettagli, nutrire passione per il lavoro e senso del dovere. Bisogna anche essere affidabili, essere all’altezza degli impegni, avere la capacità di concludere la propria missione alla scadenza e non dopo.
Queste qualità valgono sia per i colletti blu che per i colletti bianchi, ma soprattutto non sono misurabili con un test di mezz’ora, la maggior parte di queste qualità è correlata in modo robusto con il profitto scolastico di lungo periodo.
Se sono un datore di lavoro e constato che l’intervistato aveva otto in biologia, cosa penso?
Penso che questa persona abbia l’abilità di padroneggiare una conoscenza complessa, che è stato all’altezza del suo carico di lavoro, che ha sopportato bene pressioni non banali, che ha rispettato le scadenze nella consegna dei compiti, che ha brillantemente portato a termine i suoi impegni.
Insomma, non penso e non mi interessa che conosca la biologia – d’altronde qui facciamo altro –, non mi interessa se ricorda o meno quel che gli è stato insegnato. Mi interessa che sia un tipo affidabile, e i voti di scuola mi sono utili in questa ricerca di affidabilità.
In sintesi: le persone istruite in genere sono lavoratori migliori, ma non perché abbiano ricevuto un’istruzione dalla scuola. La scuola si limita a rendere pubbliche delle virtù nascoste che loro posseggono a priori.
Chiariamo con un’analogia: supponete di possedere un diamante grezzo ereditato dalla nonna. Cosa fate per venderlo al meglio?
Probabilmente apporterete qualche miglioramento: la foggia così com’è ora risulta antiquata. Necessita una ripulitura e un nuovo taglio.
Probabilmente lo farete esaminare da un esperto in modo che ne venga periziato il valore.
Tutte queste operazioni alzano enormemente il valore del vostro diamante poiché presentato in questo modo è chiaramente visibile a tutti quanto sia bello e prezioso.
Ebbene, tutte queste operazioni di contorno volte ad alzare il valore del diamante della nonna, sono simili a quelle compiute dalla scuola con lo studente. L’istruzione alza il valore dello studente attraverso un’accurata certificazione.
Nessuno pretende che la scuola sia solo un’agenzia pubblicitaria (nelle scuole tecniche la fuzione segnaletica è meno presente). Tuttavia, se devo dare una percentuale, direi che spiega per l’ 80% l’esistenza delle scuole così come sono.
4. IMPLICAZIONI
La scuola/agenzia pubblicitaria fa quadrare tutto quel che non quadrava.
Spiega perché la gente non è interessata alla conoscenza di per sé, perché non frequenta Stanford pur potendolo fare, perché non si preoccupa dei saperi inutili, perché dimentica subito quanto ha imparato, perché nessuno rinuncia a discutere la sua tesi, eccetera.
Spiega anche altre cose: spiega perché la scuola è così noiosae difficile. E’ chiaro che se vogliamo selezionare i “coscienziosi” le cose non potrebbero essere altrimenti. Se fosse divertente e facile non ci sarebbe alcun filtro.
Quand’anche fosse inventata la “pillola della conoscenza” le scuole continuerebbero ad esistere.
Spiega anche perché gli esami finali siano una formalità.
Uno si aspetterebbe che l’esame finale di una scuola seria sia su tutte le materie di tutti gli anni pregressi, magari con un tasso di promozioni non superiori al 10%. Ma se l’obbiettivo non è testare la conoscenza – cosa che non interessa al mondo del lavoro – bensì le altre qualità di cui sopra, arrivati alla fine è sufficiente una formalità: il percorso di guerra dello studente è alle sue spalle ed è stato superato.
La teoria spiega anche perché l’istruzione giovi al singolo ma non alla comunità: la scuola serve essenzialmente a distinguerti dagli altri.
La scuola è più una competizione che una cooperazione con benefici reciproci. Il mio sapere non oscurerebbe il tuo, ma la mia pubblicità deve oscurare la tua per essere efficiente. Mentre si puo’ essere tutti molto colti, non si puo’ essere tutti “i più popolari”. I ragazzi al top godono di privilegi perché hanno sconfitto la concorrenza degli altri.
Se “segnali” un po’ di più starai meglio tu senza che il mondo stia meglio. Di conseguenza, le persone tendono ad esagerare nel pubblicizzare se stessi, realizzando così uno spreco sociale non indifferente.
Questi semplici fatti ci spingono a riconsiderare i finanziamenti alla scuola. Certo, certificare le qualità di una persona è una funzione utile ma si tratta pur sempre di benefici che impallidiscono di fronte all’enormità delle risorse riversate oggi nel settore. E non parlo solo di risorse monetarie ma anche psichiche (stress, angoscia, frustrazioni…).
5. OLTRE IL SEGNALE
Un giovane intraprendente potrebbe lasciare la scuola, trovarsi un lavoro, farsi largo in quel mondo, ricevere un’istruzione sul posto di lavoro, farsi pubblicità e una reputazione da lì, e nel frattempo incassare un buon salario. Perché nessuno sceglie questa via alternativa?
Perché andare a scuola è la regola.
Se devo pubblicizzare il mio conformismo come posso farlo tenendo comportamenti anti-conformisti? In questo senso la scuola è una trappola.
Certo, alcuni talenti come Bill Gates o Steve Jobs lo hanno fatto, si sono ritirati dall’università per buttarsi nel mondo degli affari, ma si trattava di eccezioni. E poi, chi assumerebbe un tizio del genere che non dà nessuna delle garanzie di cui abbiamo parlato nella sezione precedente?
Alcune alternative allo spreco sono state tentate: le università online. Oppure il progetto del miliardario Peter Thiel: pagare i migliori talenti affinché abbandonassero le loro università per collaborare a progetti specifici.
Tuttavia, molti di noi continuano ostinatamente ad accettarela scuola così com’è.
Questo perché la scuola – teoria del capitale umano e del segnale a parte – ha anche altre funzioni.
Innanzitutto è un parcheggio efficiente per i propri figli: ce ne si accorge in quei 15 giorni di sfasamento tra la fine della scuola e l’inizio delle ferie. Panico!
In secondo luogo, la scuola favorisce la socializzazione. Una volta si andava a messa o all’oratorio, oggi si va a scuola.
La scuola è anche un posto dove sviluppare un’utile rete di contatti utili successivamente. Mi è spesso capitato per ragioni di lavoro di dover contattare vecchi compagni universitari. Avere rapporti con loro è tutta un altra musica.
La scuola è anche un’eccellente agenzia matrimoniale, specialmente oggi che ci si sposa tra simili e non più tra complementari.
La scuola è anche un consumo di lusso. Nella guerra per lo status esibire la frequenza dei propri figli in una scuola dalla retta esorbitante puo’ costituire una carta vincente.
La scuola è anche un divertimento: la vita del college può essere fichissima. Party, feste, ritrovi, droghe e alcol a volontà. Chi non rimpiange quegli anni? Qualcuno poi si divertiva persino a studiare!
Nel discorso pubblico queste funzioni sono accantonate ma tutti ne conoscono la rilevanza, anche se ciascuno di noi preferisce ostentare le motivazioni sociali per non apparire egoisti e competitivi.
Infine, ci sono altre due funzioni importanti che considererò nelle ultime due sezioni.
6. PROPAGANDA
La prima risulta evidente guardando alle origini della scuola moderna, ovvero della scuola obbligatoria e gratuita per tutti.
Il modello nasce negli stati militari, in particolare nella Prussia tra il XVIII e il XIX secolo.
Bisognava produrre “carne da cannone”, occorreva un cittadino patriottico e disponibile alla guerra. Una specie di kamikaze.
Il sistema prussiano aveva anche altre qualità attraenti, per esempio la formazione di una numerosa classe di insegnanti statali sindacalizzata che sostenesse il potere.
Il modello prussiano ebbe un tale successo da essere presto esportato presto e gradualmente in tutta Europa e in America.
Bisognava “fare i prussiani”, “fare gli inglesi”, “fare gli italiani”. Bisognava “fare la carne da cannone”. Occorreva un cittadino ubbidiente pronto a morire in trincea senza pretendere spiegazioni del perché dovesse farlo.
La scuola di stampo prussiano era l’ideale per indottrinare e coltivare il fervore patriottico.
La scuola come agenzia di propaganda valoriale.
Ci sono molti dati che supportano questa ipotesi. Innanzitutto, si nota come gli investimenti nella scuola primaria crescano quando il paese è minacciato dai vicini.
In secondo luogo, si nota che gli stati più propensi a controllare i media (giornali, TV, radio, internet) sono anche quelli con la scuola pubblica più estesa.
In terzo luogo, gli stati che realizzano ampie redistribuzionidel reddito, hanno anche una potente scuola di stato.
La gente è restia a morire in guerra, la gente vorrebbe dire la sua liberamente, la gente non vuole essere tartassata. Chi manda il proprio popolo in guerra ogni tre per due, chi lo imbavaglia e chi lo tartassa deve necessariamente prima indottrinarlo. Al compito assolve la scuola obbligatoria e gratuita.
Ecco quindi spiegato perché lo stato non affronta il gigantesco spreco di risorse insito nel settore educativo così com’è ora: la scuola serve anche i suoi obbiettivi.
7. ADDOMESTICAMENTO
La scuola crea decisamente un ambiente innaturale per l’essere umnano.
La scuola non piace ai bambini per il semplice fatto che a nessuno di noi piace la schiavitù.
Stare fissi in un banco facendo le stesse cose ora dopo ora, giorno dopo giorno, puo’ non essere bello.
Ma è quello che aspetta il bimbo anche fuori dalla scuola. Stare fissi e ripetere le cose è tipico della civiltà umana da 10.000 anni. da quando l’uomo è passato dalla caccia, all’agricoltura e poi all’industria.
A questo, i bambini – considerata la loro natura inadatta – devono essere domati.
La scuola rappresenta la doma dei giovani.
Tutti devono alzarsi prestopresentarsi in orario, e ubbidire agli ordini. Tutti devono essere addomesticati e acquisire una seconda natura. I renitenti saranno puniti.
Per noi la disubbidienza è la condizione di default. Allo stato di natura il nostro egalitarismo è sorprendente, non sopportiamo chi vuole comandarci. La fierezza è il nostro atteggiamento spontaneo.
Questo atteggiamento va spezzato affinché l’individuo sia reso idoneo alla civiltà. La scuola ha lo scopo di compiere questa operazione legandoci al banco per ore. Proprio come ai cavalli selvaggi catturati nella prateria si lega la sella finché sono domi.
L’insegnante premia il bambino docile e punisce quello riottoso che fa sempre casino. Il bambino che agisce ad imitazione dell’insegnante che ha di fronte riceve un’afflizione.
La disciplina conta, conta anche più del profitto. Ad ogni modo il profitto richiesto deve connettersi alla disciplina più che alla creatività. Un caso?
La creatività del discente va “ordinata”, ovvero repressa. Se abbiamo letto un libro a scuola ci viene naturale odiarlo per sempre, o quasi. Un caso? No, una necessaria conseguenza.
La scuola è un esercizio di addomesticamento sistematico, di irreggimentazione, si gerarchizzazione. Se non fosse così cesserebbe la ragion d’essere della scuola così com’è.
D’altronde, queste caratteristiche sono tipiche di qualsiasi struttura lavorativa, per cui la scuola diventa solo un preludio necessario per istillare conformismo e accettazione.
La nostra natura rigetta l’assoggettamento, almeno finché non è calata in una cultura che lo accetta. La scuola deve produrre questa cultura e acclimatarci.
I lavoratori poco istruiti non ubbidiscono, è un fatto ben accertato. Quando i compiti sono elementari e uguali per tutti, i meno istruiti rifiutano più frequentemente gli ordini ricevuti e si presentano al lavoro in costante ritardo.
Ricordo uno psicologo che confessava le sue difficoltà a sperimentare. Il suo campo d’indagine era la correlazione tra carattere e ideologia, le “cavie” umane venivano compensate per collaborare: “quelli di destra – di solito con livelli inferiori di scolarità -incassavano il loro compenso ma poi trovano assurdo eseguire con perizia certe istruzioni sensate solo per noi sperimentatori… i più istruiti, al contrario, si affidavano agli sperimentatori in modo docile… alla fine, per l’omogeneità del campione, è diventata assolutamente imprescindibile la pari istruzione…”.
La scuola moderna sembra incidere anche sul nostro senso di correttezza.
Il non istruito è egalitario, l’istruito meritocratico. Il non istruito è più violento e maleducato.
La scuola ha così anche la funzione di civilizzare il selvaggio, di dissipare in noi lo spirito del cacciatore e di farci accettare la sottomissione al potere riconosciuto.
La prima vittima di questo approccio è la conoscenza. Albert Einstein:
… è per me un miracolo inspiegabile e meraviglioso che i moderni metodi di istruzione scolastica non abbiano ancora del tutto estinto la sete di conoscenza che risiede nell’animo umano… 
 Nessun testo alternativo automatico disponibile.

lunedì 18 dicembre 2017

Settimo passo: Dio ci parla (la Bibbia e la Chiesa).

Settimo passo: Dio ci parla (la Bibbia e la Chiesa).

Abbiamo visto che probabilmente esiste un Dio, che probabilmente coincide con il Dio cristiano e che è un Dio d’amore. Un Dio del genere probabilmente ci starà vicino facendosi uomoallevierà la nostra condizione e ci indicherà un modello di perfezione premiando i giusti e castigando (o non premiando) i cattiviMa dopo la morte di Gesù dove reperiremo le indicazioni del Dio vivente?
Risposta: nella sua Bibbia e nella sua Chiesa.
Cos’é la Chiesa? E come si legge la Bibbia?
La Chiesa di Cristo prolunga l’ autorità del Figlio incarnato in terra.
Ma come riconoscere di essere in presenza della Chiesa autentica, quella fondata da Gesù attraverso i suoi apostoli (Chiesa Apostolica)?
La Chiesa ha subito molte divisioni al suo interno, ma in molti casi questo non ha pregiudicato la possibilità di isolare  un cosiddetto “corpo ecclesiastico“.
Detto questo, non è auspicabile che tutto resti indistinto. Il criterio fondamentale per riconoscere la Chiesa di Gesù è la continuità con una tradizione che discende da un insegnamento originario mai tradito.
Cosa rende una certa associazione esistente qui ed ora la medesima associazione che esisteva tempo fa? In primo luogo, la continuità dell’oggetto sociale.
Facciamo un parallelo con una società di calcio.
Supponiamo che la società sia fondata nel 1850 e che cessi di praticare il gioco del calcio nel 1900, i suoi membri però continuano ad incontrarsi per dar vita ad un partito politico.
È chiaro che questa nuova associazione non è identificabile con quella preesistente poiché l’oggetto sociale è radicalmente mutato.
E se invece continua a praticare il gioco del calcio ma con regole differenti?
La continuità rilevante ai nostri fini si verifica facendo riferimento a due fattori: 1) oggetto sociale (dottrina) e 2) governance.
Anche nell’esempio estremo della società di calcio una certa continuità organizzativa potrebbe riscontrarsi. Nuovi membri potrebbero essere ammessi con le stesse procedure di prima e le decisioni potrebbero essere prese avvalendosi della stessa governance precedente.
Qualora il Papa dovesse ammettere la poligamia o introdurre forme di panteismo, la dottrina sarebbe in chiaro contrasto con la tradizione e l’insegnamento di Gesù così come è stato interpretato finora.
Ciò costituirebbe una chiara discontinuità. Il che, si badi, non è ancora sufficiente a stabilire un’eresia poiché un’alternativa più ortodossa è sempre necessaria.
In altre parole, l’eresia sarebbe conclamata solo se un ramo della Chiesa si distaccasse continuando a professare la dottrina tradizionale. E’ difficile si possa parlare di eresia se non esiste in concreto un’ortodossia.
Purtroppo,  i casi ambigui, specie in materia dottrinaria,  abbondano, per questo giova un criterio di riserva come quello legato alla continuità dell’organizzazione.
Se il Papa “eretico” di cui sopra riuscisse a conservare all’interno della Chiesa una continuità organizzativa, e in assenza di scismi significativi, possiamo considerare riassorbita la sua “eresia” grazie a questo criterio di riserva che lo pone comunque in continuità con il passato.
Riassumendo: dottrina e organizzazione sono i due criteri di base. Ma quale prevale quando collidono?
Facciamo il caso della società di calcio che seguendo una votazione in linea con le procedure fissate nell’atto costitutivo decida di dedicarsi da ora in poi al rugby. Stando così le cose, una minoranza e va per conto suo continuando a fare calcio.
La prima società presenta una maggiore continuità organizzativa mentre la seconda una maggiore continuità nell’oggetto sociale.
Che fare?
dubbi sono tanti, forse è meglio districare la matassa rivolgendo la propria attenzione a dei casi concreti.
Gli scismi storici possono essere classificati secondo i criteri accennati, alcuni hanno al centro questioni dottrinarie, altri questioni organizzative.
Lo scisma ariano è essenzialmente dottrinario. I cattolici ritenevano che il figlio fosse della stessa sostanza del padre mentre gli ariani che fosse solo di una sostanza solo “simile” al padre, e quindi non pienamente divino. Si trattava di una divisione eminentemente dottrinaria.
Lo scisma ortodosso fu invece essenzialmente organizzativo. Sia gli ortodossi che i cattolici romani riconoscevano un ruolo di leadership ai vescovi, senonché i secondi concedevano al Vescovo di Roma un’autorità straordinaria che i primi gli negavano. A questo problema Si aggiunse poi quello relativo alla dottrina dell’infallibilità papale.
C’è poi lo scisma protestante da intendersi su due fronti: sia dottrinario che organizzativo.
La posizione protestante su peccato originale e natura umana si distaccò da quello cattolico.
I protestanti enfatizzavano la radicalità del Peccato Originale e l’incapacità dell’uomo di riformare se stesso, giungendo alla conclusione che solo la Grazia accompagnata dalla fede salva (sola fide).
I cattolici insistevano invece sul fatto che la libertà umanaavesse un peso e non fosse annichilita dal peccato originale. La salvezza dell’uomo, inoltre, richiedeva qualcosa di più oltre alla pura fede, ovvero uno sforzo personale teso alla realizzazione delle opere buone.
Sul versante della governance, per i protestanti non è necessario che i leader della chiesa fossero Vescovi nominati da altri Vescovi, potevano essere scelti direttamente dai Pastori se non dal popolo. Inoltre, le diatribe dottrinali dovevano essere risolte consultando direttamente la Bibbia.
Descritti gli scismi, si presentano a noi due soluzioni alternativi: o la Chiesa di Cristo presenta, nonostante tutto, una sua continuità complessiva di fondo, oppure le distinzioni sono sostanziali  ed occorre approfondire l’analisi per stabilire dove risiede la continuità.
Nel corso dei millenni la Chiesa ha messo a punto delle pratiche per derivare e aggiornare la giusta dottrina.
Un concetto  centrale è quello di Deposito della Fede: Bibbia (vecchio e nuovo testamento), più insegnamenti orali della Tradizione. Il Concilio di Nicea ha posto questi ultimi sullo stesso piano delle Scritture.
La Bibbia (vecchio e nuovo testamento) resta il centro della testimonianza scritta. Il primo Canone biblico risale al 367 dopo Cristo.
criteri seguiti per la formazione del canone sono essenzialmente tre: 1) la sua conformità alla Tradizione, 2) la sua “apostolicità”, ovvero il fatto che lo scritto derivi in modo diretto dalla figura di qualche apostolo o di persone connesse agli apostoli, e 3) la sua accettazione dalla Chiesa in generale.
I primi due criteri sono chiaramente criteri di continuità.
In caso di controversie il ricorso alla testimonianza dei Padriè sempre stata abitudine dirimente.
Il Papa e il Concilio dei Vescovi restano comunque le istituzioni più autorevoli all’interno della Chiesa. I pronunciamenti del Concilio richiedono di solito un’approvazione papale mentre il Papa puo’ pronunciarsi con maggiore autonomia.
Talune tradizioni sono talmente consolidate da non richiedere per la loro validità alcuna forma di approvazione.
Il libro fondamentale dei cristiani è la Bibbia, ma la Bibbia è un libro difficile da leggere.
Tutto nella Bibbia è “vero”, per questo lo si considera un libro ispirato da Dio.
Il fatto che sia vero non significa che sia vera ogni sua frase, tanto è vero che troviamo molte contraddizioni, oltre che molte assurdità. Esistono quindi regole particolari per interpretare questo testo così ingannevole.
Il primo problema della Bibbia è che su molti punti dice il falso. L’universo, per esempio, non è stato creato 4000 anni prima di Cristo. Nessun oceano ricopriva l’orbe terracqueo 3000 anni fa.
Sarebbe meglio vedere la Bibbia come una biblioteca contenete libri di diverso genere letterario, che richiedono interpretazioni differenti. Ci sono libri storici, fiabe morali, fiabe metafisiche, libri filosofici, libri romanzeschi… e libri che sono un misto dei precedenti.
La lettura puo’ essere letterale, allegorica o metaforica a seconda del genere.
La prima, per esempio,  è adeguata ai libri storici e cronachistici. In questo caso ogni versetto è vero. E’ il criterio che adottiamo per i giornali.
Un altro fattore di cui tenere conto è la traslazione temporale della narrazione: il contesto culturale conta e va soppesato dal lettore moderno.
Esempi di libri storici: il libro dei Re, il Vangelo di Marco e gli Atti degli Apostoli.
Un altro genere letterario molto utilizzato nella Bibbia è quello della “storia romanzata”, chi ha in mente i “docudrama” della TV sa di cosa parlo.
In questi casi se il libro dica il vero lo si giudica dalla verità del messaggio centrale, più che dalla verità di ogni singolo passaggio.
Esempi di docudrama: il libro dei Giudici, il secondo libro di Samuele e in molti punto il Vangelo di Giovanni.
C’è poi il genere della fiaba morale, ovvero delle fiction con un messaggio morale. Per esempio il libro di Daniele o il racconto di Giona. Questi libri sono veri nella misura in cui il loro messaggio morale è vero. Il libro di Daniele è vero se è vero che professare la fede nonostante la persecuzione puo’ essere considerato un atto eroico.   Qui conta la verità del precetto morale veicolato.
Poi ci sono le fiabe metafisiche. Si tratta di fiction che narrano la condizione umana.
Esempio: la Genesi, un ispirato appello in cui si esprime la dipendenza di ogni cosa da Dio.
Ci sono infine generi residuali e di contorno: inni di lode (Salmi), epistolari intimi (alcune lettere di Paolo), istruzioni morali (Proverbi), dialoghi teologici…
Detto questo, come possiamo allora giudicare la verità della Bibbia? Perché diciamo che è un libro vero?
Primo criterio ipotizzabile: la Bibbia è vera se ciascun libro che la compone, giudicato a seconda del suo genere, è vero.
Problema insormontabile: non conosciamo con certezza il genere di ciascun libro, inoltre alcuni generi ci sono talmente estranei che un’analisi diventa quantomeno azzardata.
Per isolare i generi si potrebbe ricorrere alle intenzioni dell’autore, ma troppo spesso ci sono sconosciute.
Ricordiamo le due difficoltà da cui siamo partiti: 1) incongruenza interna e 2) assurdità rispetto ad altri saperi noti.
Si tratta di un problema che già i Padri dovettero affrontare: esempio, come doveva essere visto quel Dio vendicativo che sfracellava il cranio dei bimbi babilonesi sulla roccia?
Origene considerava “da stupidi” prendere alla lettera il mito dell’Eden, per esempio.
Presto la Chiesa si rese conto che Dottrina e Tradizione dovevano prevalere sull’apparente guazzabuglio della Bibbia, anche se Dottrina e Tradizione originavano proprio da quei libri.
La Chiesa deve quindi assumere un ruolo ordinatore.
E’ vano quindi l’appello continuo alla Scrittura, prevale sempre la Chiesa.
Il cristianesimo non è religione del libro ma religione viva, ovvero una religione ecclesiale.
Il metodo di Origene, ovvero il metodo delle metafore, è quello più usato per armonizzare l’insegnamento di Dio.
Ma come veniva giustificato questo metodo? Per i Padri la Bibbia era un libro ispirato da Dio a persone che lo trascrivevano con tutti i loro limiti di comprensione del mondo.
La lettura metaforica è molto flessibile e consegna i significati alla Chiesa e alla Tradizione. Se dico che una persona ha uncervello acuto, sto dicendo qualcosa di assurdo poiché nessun uomo possiede un cervello dai profili taglienti, è chiaro che al termine “acuto” puo’ e deve essere attribuito un significato differente. Se dico che “Giovanni era un dinosauro“, vale lo stesso discorso. Come si vede l’interprete ha un ruolo predominante allorché la metafora è la regola.
L’armonizzazione dei passaggi problematici è talmente complessa che tutti i saperi e le culture richieste per compierla al meglio non possono stare in una testa: la lettura della Bibbia non puo’ che essere comunitaria e questa comunità si chiama Chiesa di Dio. Il significato “emerge” in una dialettica, non viene registrato in base a codici prefissati. La dialettica stessa è stata innescata dal Libro. Il Libro è sia l’origine che la conclusione dell’opera.
La Sacra Scrittura è l’innesco di un percorso storico nella verità, non una foto realistica.
In questo senso nemmeno l’autore materiale della Bibbia  – il cosiddetto profeta – sa cio’ che scrive, inutile interpellarlo.
E’ questo un concetto simile a quello della fallacia intenzionale in campo artistico: nemmeno l’artista conosce il segreto della sua arte, inutile chiedere a lui.
Gesù non ha scritto un libro ma fondato una Chiesa, con lo scopo di interpretare il libro.
Nel Credo cristiano si dice che Dio parlò ai profeti, a segnalare l’ispirazione divina di un messaggio che richiede comunque una comprensione evolutiva.
Così come il mutamento dei corpi vede all’origine una spinta divina che innesca un processo, lo stesso si puo’ dire per la parola.
L‘evoluzionismo è stato visto come il “linguaggio” di Dio nella materia, allo stesso modo l’interpretazione della Scrittura lo è nella parola.
L’elemento vivo prevale su quello libresco, è anche il motivo per cui il sapere scientifico deve prevalere e informare la lettura dei testi. La presenza di contraddizioni e assurdità significa lavoro per una comunità, così come la presenza di corpi inadeguati significa lavoro per il processo di selezione naturale.
In questo senso la visione dei protestanti si oppone a questa tradizione: per loro la Bibbia dirime le questioni, è tribunale di ultima istanza e la lettura solitaria viene praticata e consigliata.
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