lunedì 3 aprile 2017

La scienza e il libero arbitrio

La libertà umana sembra qualcosa di ovvio, eppure molti la negano.
Nel libro “Liberi!: Perché la scienza non ha confutato il libero arbitrio”, Alfred Mele s’incarica di sostenere che l’ovvio ha solidi fondamenti.
Gli argomenti contro la scienza sono due…
… Il primo afferisce alle neuroscienze e sostanzialmente afferma che tutte le nostre decisioni sono prese inconsapevolmente, e quindi non liberamente. L’altro argomento è legato alla psicologia sociale e sostiene che fattori di cui siamo inconsapevoli esercitano su di noi una influenza tale da non lasciare alcuno spazio al libero arbitrio…
Ma cosa significa “decidere liberamente?”.
Pare significhi “decidere consciamente”. La coscienza è un elemento fondamentale. E qui le neuroscienze hanno senz’altro qualcosa da dire.
Poi c’è la psicologia sociale
… Alcuni ricercatori ritengono che il nostro comportamento sia talmente influenzato da fattori di cui non siamo consapevoli da non lasciare alcuno spazio alla libera scelta – o al libero arbitrio… sono le varie situazioni nelle quali ci troviamo a determinare ciò che facciamo…
Ma il libero arbitrio è importante anche solo in senso “straussiano”…
… È stato dimostrato che quando si riduce la fiducia delle persone nell’esistenza del libero arbitrio aumentano i comportamenti negativi… Vohs, Schooler, 2008…
Esempio…
… chi legge un brano in cui gli scienziati negano l’esistenza del libero arbitrio ha maggiori probabilità di agire scorrettamente nell’esecuzione di un compito successivamente assegnatogli… Baumeister, Masicampo, Dewall, 2009…
Altro esempio…
… alcuni studenti universitari ai quali erano state mostrate frasi che negavano l’esistenza del libero arbitrio hanno cominciato ad assumere comportamenti più aggressivi rispetto ai membri del gruppo di controllo…
Ma perché questo effetto straussiano?…
… Quando si inizia a dubitare dell’esistenza del libero arbitrio, la percezione di sé stessi come agenti responsabili delle proprie azioni, o di agenti che possono essere chiamati a risponderne, diminuisce…
D’altronde, da sempre in filosofia il libero arbitrio è strettamente connesso alla responsabilità morale.
Ma c’è di più: credere nel libero arbitrio contribuisce al nostro benessere…
… Oltre tutto, è stato dimostrato che credere nel libero arbitrio promuove il benessere personale (Dweck, Molden, 2008)…
Credere nel libero arbitrio e nelle nostre potenzialità non solo rileva ma è forse cio’ che fa la differenza.
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Eppure il libero arbitrio è stato sfidato, parlo in particolare dei lavori di Benjamin Libet…
… si dice che Libet abbia dimostrato come ogni nostra decisione sia inconscia e come quindi nulla venga deciso sulla base del libero arbitrio…
Vediamo più da vicino l’esperimento di Libet…
… i soggetti osservavano l’orologio di Libet, un orologio veloce, in cui un puntino gira rapidamente intorno al quadrante in circa due secondi e mezzo. I partecipanti, seduti sulle sedie, dovevano riferire dove ritenevano si trovasse il puntino nel momento in cui si erano resi conto di avere l’intenzione o l’impulso di flettere il polso. Un istante dopo aver piegato il polso, l’orologio si fermava e i partecipanti dovevano fare la loro dichiarazione… Con un elettroencefalogramma (EEG) veniva misurata la conducibilità elettrica del cranio… l’attività cerebrale di una persona aumenta progressivamente prima che questa compia movimenti intenzionali…. i risultati dell’EEG erano paragonabili ai tracciati del potenziale di prontezza, e iniziavano circa 550 millisecondi – poco più di mezzo secondo – prima che il muscolo cominciasse a muoversi (cioè prima dello scatto muscolare). Mediamente, i partecipanti riferivano di aver avvertito lo stimolo, l’intenzione o la decisione di flettere il polso circa 200 millisecondi – un quinto di secondo – prima dello scatto muscolare…
Conclusione…
… Libet ritenne che questi risultati dimostrassero che la decisione di flettere nell’immediato fosse presa inconsciamente all’incirca mezzo secondo prima che il muscolo del polso si attivasse. Vale a dire circa un terzo di secondo prima che i soggetti diventassero consapevoli della propria decisione. Secondo Libet, affinché il libero arbitrio fosse coinvolto nel processo che genera azioni corporee, le decisioni che causano tali azioni avrebbero dovuto essere prese coscientemente; egli concluse, quindi, che il libero arbitrio non avesse alcun ruolo in questo caso…
Si noti che  Libet non esclude comunque una possibilità di veto
… C’è però una complicazione. Libet riteneva che una volta che siamo consapevoli della nostra decisione o intenzione di fare qualcosa nell’immediato, abbiamo circa un decimo di secondo per porre un veto; pensava cioè che il libero arbitrio potesse avere un ruolo nel “vietare”…
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Ma Libet dimostra veramente l’assenza del libero arbitrio?
Primo dubbio
… In primo luogo, perché dovremmo credere che una decisione venga presa quando l’EEG comincia ad aumentare anziché qualche centinaio di millisecondi dopo? Forse quel che accade nel cervello quando l’attività inizia a crescere è un processo che potrebbe – o potrebbe anche non – condurre a una decisione un istante dopo… Se le decisioni non fossero state prese nel momento in cui iniziava l’aumento dell’attività, ma in un momento successivo, allora potrebbero essere state prese consciamente…
Il secondo dubbio riguarda la natura banale (arbitraria) della scelta proposta negli esperimenti.
La testimonianza di una “cavia”…
… Mi sono interrogato sul da farsi e ho individuato una strategia. Ho deciso che mi sarei detto «adesso», avrei flesso il polso rispondendo a quello stimolo proferito in silenzio e poi, qualche istante dopo, avrei provato a stabilire dove si trovasse la lancetta dell’orologio di Libet nel momento in cui avevo detto «adesso»…
Analogia con la scelta del barattolo sullo scaffale del supermercato…
… Quando siete davanti allo scaffale delle noccioline non fate altro che prendere uno dei barattoli. Solitamente, non avete motivo di preferire un particolare barattolo agli altri che sono sullo scaffale. Se qualcuno vi chiedesse perché avete preso proprio il barattolo che avete appena messo nel carrello e non un qualsiasi altro barattolo dello scaffale, vi trovereste nella situazione in cui mi trovo io quando mi viene chiesto perché abbia detto «adesso» nel momento in cui l’ho detto… esattamente come si sceglie arbitrariamente un barattolo di noccioline per cancellare una voce dalla propria lista della spesa, così quando si partecipa a un esperimento di Libet, si sceglie arbitrariamente un momento per cominciare a flettere il polso al fine di ottemperare alle istruzioni ricevute…
Insomma, se si vuole sapere se il ragionamento cosciente svolga un ruolo nel generare decisioni, non ci si dovrebbe limitare ad analizzare situazioni nelle quali le persone ricevono l’istruzione di non pensare a cosa fare.
Terza obiezione: il time lag puo’ esistere anche nella coscienza…
… Esattamente come i suoni emessi da qualcuno impiegano del tempo per arrivare alle nostre orecchie, per essere registrati dal nostro cervello e dalla nostra coscienza, anche le nostre decisioni potrebbero impiegare qualche tempo per affiorare alla nostra coscienza…
Rivediamo gli esperimenti…
… nel suo esperimento sul divieto, Libet aveva ottenuto dei tracciati EEG – almeno in parte – molto simili a quelli relativi a un altro esperimento, in cui i soggetti avevano ricevuto istruzioni di flettere il polso… Potrebbe darsi allora che anche nell’altro esperimento buona parte del tracciato EEG di ciascun soggetto – o addirittura l’intero tracciato lungo un secondo – puntasse su qualcosa di diverso da un’intenzione… Forse l’EEG rileva il prepararsi a fare qualcosa, anche quando il soggetto non ha intenzione di farla…
Tra il decidere e il dire che si è deciso puo’ trascorrere del tempo…
… Il problema dell’interpretazione data da Libet ai tracciati EEG risulta ancora più evidente quando ci si chiede quanto tempo impieghi l’intenzione di flettere subito il polso a determinare lo scatto muscolare…
Cio’ che accade nel cervello prima della decisione potrebbe essere una fase di “riscaldamento dei motori” più che una decisione inconscia già presa…
…il  tempo che intercorre tra l’intenzione prossimale e lo scatto muscolare è inferiore a 231 millisecondi. È quindi un ulteriore segno che ciò che accade nel cervello circa mezzo secondo prima dell’attività muscolare, nell’esperimento di Libet, è tutt’al più una fase del processo che conduce alla decisione prossimale di flettere il polso…
***
Gli esperimenti di Libet sono stati recentemente riproposti in una nuova versione più sofisticata
… Ai soggetti che hanno partecipato allo studio è stato richiesto di prendere un numero cospicuo di semplici decisioni mentre la loro attività cerebrale veniva misurata attraverso la fMRI. La scelta consisteva nel premere uno dei due pulsanti a disposizione… Gli scienziati dicono di aver riscontrato che «due aree cerebrali codificavano con elevata accuratezza se il soggetto stesse per scegliere il pulsante di sinistra o quello di destra prima della decisione conscia»… l’accuratezza della codifica è solo del 60 per cento – dove il 50 per cento, naturalmente, equivale alla pura casualità…
Questa analisi del cervello consente di prevedere al 60% il contenuto della decisione.
E’ difficile negare che le persone abbiano una moderata propensione inconscia verso alcune scelte, tutti noi abbiamo degli schemi mentali che ci facilitano la vita, ma questo fatto non costituisce di certo una confutazione del libero arbitrio…
… Ma cosa misurano o rilevano gli scienziati svariati secondi prima che il pulsante venga premuto? A che cosa è associata quell’attività neurale? Scommetterei su questo: a una moderata propensione inconscia del soggetto a premere un particolare bottone la volta successiva. Forse questa propensione dà al soggetto il 60 per cento di probabilità di premere proprio quel pulsante… Mettetevi nei panni di un soggetto che partecipa a un esperimento. Premete uno dei due pulsanti. Lo fate molte volte, cercando di non ricadere in nessuno schema. Quindi, magari solo in modo vago, cercate di ricordarvi quali pulsanti avete premuto. E tutta quest’attività potrebbe creare in voi una qualche inclinazione…
Inoltre, anche in questo caso il tipo di scelte studiate è ben lontana da quelle dove noi riteniamo che il libero arbitrio svolga un ruolo importante…
… questo tipo di scelta non ha niente a che vedere con il libero arbitrio. Ma, anche se l’avesse, sarebbe difficile, sulla base delle scoperte fatte in quest’ambito, arrivare a generalizzazioni…
Nessun sostenitore del libero arbitrio si sognerebbe di escludere un peso dell’inconscio, specialmente nelle scelte arbitrarie e quindi irrilevanti. Ecco un’analogia…
… Un antico apologo, quello dell’asino di Buridano, è pertinente al nostro discorso. Essendo iper-razionale, questo asino non faceva mai qualcosa se le ragioni per farla non erano migliori di quelle per fare qualsiasi altra cosa. Un giorno in cui era affamato si trovò a dover decidere tra due grandi balle di fieno ugualmente appetitose. Guardò prima a sinistra e poi a destra. Ma non aveva ragioni per preferire una balla all’altra. Per questo rimase lì, e alla fine morì di fame. Povero asino! Nell’esperimento basato sulla fMRI, così come negli esperimenti di Libet, i soggetti sono in una posizione analoga a quella dell’asino. La soluzione è solo scegliere. Se l’asino avesse scelto in modo arbitrario una balla di fieno, la storia avrebbe avuto un lieto fine. I soggetti dello studio basato sulla fMRI hanno scelto arbitrariamente il pulsante da premere – a volte quello di sinistra, a volte quello di destra. Temo però che questo tipo di scelta possa essere alquanto diverso dallo scegliere o decidere in situazioni in cui la scelta o la decisione implica una notevole dose di ponderazione delle ragioni…
Se la scelta arbitraria non assomiglia granché alle altre decisioni, sostenere che ciò che accade nel caso di una scelta arbitraria accade anche nel caso di una decisione complicata e accurata è una notevole forzatura.
E che dire di un’accuratezza del 60%?…
… Un altro problema è che un tasso di accuratezza del 60 per cento nel prevedere quale pulsante sarà premuto da un soggetto non sembra costituire poi questa gran minaccia per il libero arbitrio… anche se Fried, Mukamel e Kreiman sono stati in grado di fare previsioni con un livello di accuratezza dell’80 per cento…
Chi crede nel libero arbitrio nega il determinismo, non i condizionamenti
… Ci sono due osservazioni da fare. In primo luogo, dato che le previsioni sono corrette solo nell’80 per cento delle volte, non vi è ragione di chiamare in causa il determinismo…
E poi ricordiamoci sempre che esiste una possibilità di veto
… In secondo luogo, anche se gli impulsi a premere il tasto sono determinati dall’attività cerebrale inconscia, può sempre dipendere dai partecipanti se assecondare o meno tali impulsi. Libet affermava che alcuni dei soggetti che avevano partecipato ai suoi esperimenti avevano riferito di aver sporadicamente resistito all’impulso di flettere…
Potremmo riassumere così: nello scegliere arbitrariamente, l’inconscio ha un ruolo condizionante che comunque non annulla il libero arbitrio, il quale, in ogni caso, puo’ sempre porre un veto sulle scelte. Detto questo, le scelte arbitrarie sono le meno importanti nella vita di una persona.

***
Un altro lavoro che attacca frontalmente il libero arbitrio è quello di Daniel Wegner. Costui ha scritto un libro dal titolo The Illusion of Conscious Will (2002) secondo il quale le intenzioni consce non sono mai tra le cause delle azioni corrispondenti.
Si fa riferimento alla nota letteratura sugli errori sistematici
… fa ricorso all’evidenza relativa alle azioni automatiche e a certi tipi di errori connessi alle azioni che le persone tendono a commettere…
Esperimenti con l’automatografo…
… I partecipanti poggiavano la mano sulla lastra di vetro posta sulla parte superiore dello strumento. Ogni minimo movimento del vetro veniva rilevato da un dispositivo di registrazione…
Cosa c’è che non va?…
… Immaginate di poggiare la vostra mano sull’apparecchio. Se avviassi un metronomo e vi chiedessi di contarne i ticchettii, potreste fare, senza rendervene conto, dei minuscoli movimenti con la mano, andando a tempo con il ritmo… La base dell’argomento di Wegner per la tesi che le intenzioni prossimali consce non siano mai tra le cause delle azioni corrispondenti è costituita da evidenze di questo tipo…
Wegner analizza anche un fenomeno spiritistico, assai popolare nel XIX secolo, noto come “spostamento del tavolo”…
… La gente si riuniva e appoggiava le mani su un tavolino, sperando che gli spiriti dei defunti lo muovessero. E a volte il tavolo in effetti si muoveva. Naturalmente, erano le persone a muoverlo – apparentemente senza rendersene conto e senza averne coscientemente l’intenzione…
In che modo Wegner passa da questo tipo di evidenza alla conclusione che le intenzioni consce non sono mai tra le cause delle azioni corrispondenti? Ha un approccio del tipo: o tutto o niente.
C’è un altro fattore: quando una persona dice “intendo fare questo” non sempre va presa sul serio. L’intenzione seria è altra cosa, molti esperimenti lo dimostrano…
… In un esperimento, i soggetti erano costituiti da donne intenzionate ad eseguire un’autopalpazione del seno il mese successivo. Le donne erano state divise in due gruppi. C’era una sola differenza nelle istruzioni che avevano ricevuto. A un gruppo era stato chiesto di decidere durante l’esperimento luogo e tempo dell’esame che avrebbero condotto il mese successivo; all’altro gruppo non era stata rivolta quella richiesta. Il primo gruppo scrisse su un foglio la propria decisione prima del termine dell’esperimento, e lo consegnò agli sperimentatori. Ovviamente erano consapevoli di cosa stessero facendo. Avevano intenzioni di attuazione consce. I risultati sono stati impressionanti. Tutte le donne cui erano state date istruzioni circa l’intenzione di attuazione hanno effettuato un esame del seno il mese successivo, e tutte tranne una lo hanno sostanzialmente fatto nella data e nel luogo decisi precedentemente. Invece, solo il 53 per cento delle donne dell’altro gruppo ha effettuato l’esame del seno il mese successivo…
Come è possibile riepilogare il lavoro di Wegner?…
… Alcune azioni umane non sono causate, neanche parzialmente, da intenzioni consce (lo stesso vale per i correlati neurali delle intenzioni consce; alcune azioni non sono causate neanche da questi); tutte le azioni umane sono causate essenzialmente nello stesso modo; quindi nessuna azione umana è causata, neanche par-zialmente, da intenzioni consce (e lo stesso vale per i correlati neurali delle intenzioni consce) (da 1 e 2); le persone non hanno il libero arbitrio a meno che le loro intenzioni consce (o i loro correlati neurali) siano a volte tra le cause delle azioni corrispondenti; le persone non hanno quindi il libero arbitrio (da 3 e 4)…
Insomma, c’è una bella differenza tra il muovere inconsapevolmente la mano verso un oggetto nascosto o verso la strada alla quale sto pensando e il lasciare intenzionalmente la mia stanza d’albergo alle otto di mattina per arrivare in tempo a un importante appuntamento in una città nella quale non sono mai stato. Wegner dice che qualcosa che egli considera necessaria per il libero arbitrio non accade mai ma poi fa le sue valutazioni in circostanze dove è del tutto normale che questa cosa non accada.
***
Michael Gazzaniga ci fa notare che molti nostri ragionamenti non sono altro che razionalizzazioni post hoc…
… «Quando proviamo a spiegare le nostre azioni – scri-ve il neuroscienziato Michael Gazzaniga (2011, p. 77, trad. it. p. 81) – ci avvaliamo di spiegazioni post hoc sulla base di osservazioni post hoc, senza aver accesso all’elaborazione inconscia»…
In breve: se non sappiamo mai perché faremo quello che stiamo per fare, sembrerebbe proprio non dipendere da noi cosa facciamo.
Ma l’introspezione confuta Gazzaniga…
… Quando sono in aereo mi piace avere spazio per stendere le gambe, quindi la prima cosa che faccio, dopo aver acquistato on line un biglietto di classe turistica, è andare sul sito della compagnia aerea alla ricerca di un posto vicino a un’uscita di emergenza, tentando prima tra quelli lato corridoio e poi tra quelli lato finestrino. Se trovo un posto che mi piace, lo prendo subito. Tutto questo lo faccio consciamente (anche se i programmi dei computer lo sanno fare, io non saprei cercare un posto vicino a un’uscita inconsciamente). Lo faccio perché ho una preferenza conscia per i posti che permettono di stendere le gambe su voli a lunga percorrenza, e so – consciamente – come procurarmi spazio extra per le mie gambe senza sborsare più di quanto i miei ospiti sono disposti a pagare. Se qualcuno mi avesse chiesto di spiegare perché avessi scelto il posto che avevo scelto, avrei potuto dare una bella spiegazione in parte basata sulla preferenza conscia che avevo mentre ero intento a scegliermelo. La mia spiegazione si sarebbe basata su fatti relativi a cosa volessi e a cosa pensassi prima e durante la selezione del posto – non su osservazioni fatte dopo averlo scelto… Perché Gazzaniga sottovaluta la nostra vita mentale?…
Noi in genere sappiamo perché facciamo le cose, la razionalizzazione è qualcosa che compiamo quando ci conviene, non qualcosa che costituisce il nostro unico modo di ragionare.
Prendiamo l’ “effetto spettatore”, difficile pensare che non ci condizioni. Chi non ricorda il processo Genovese?…
… benché molte persone avessero assistito dalle loro finestre all’accoltellamento di Kitty Genovese nelle prime ore del mattino, nessuna di queste aveva cercato di fermare l’aggressione e addirittura nessuna aveva chiamato la polizia…
Un evento che ricorda l’esperimento dello strozzato
… Ciascun soggetto era da solo in una stanza e aveva un microfono con cui era convinto di parlare ad altri soggetti. I partecipanti erano stati indotti a credere che vi fosse solo un altro soggetto (gruppo A), che ve ne fossero altri due (gruppo B) o che ve ne fossero altri cinque (gruppo C). In realtà, le voci che i partecipanti sentivano erano registrate. Era stato detto loro che il microfono consentiva di parlare unicamente a una persona per volta. A un certo punto il soggetto sentiva qualcuno – la “vittima” – che diceva di essere sull’orlo di un collasso. La vittima chiedeva aiuto, vaneggiava, diceva di aver paura di morire e così via. Dopo aver parlato per 125 secondi, la voce si interrompeva bruscamente, dopo una serie di suoni strozzati. Le cifre relative alla percentuale di persone uscite dalla cabina per portare aiuto prima che la voce venisse interrotta sono le seguenti: gruppo A, 85 per cento, gruppo B, 62 per cento e gruppo C, 31 per cento…
Oppure l’esperimento carcerario l’esperimento carcerario di Stanford (Haney, Banks, Zimbardo)…
… Molte guardie si erano trasformate in aguzzini, e anche quelle che non prendevano parte alle prepotenze le lasciavano continuare. Le prevaricazioni aumentavano di giorno in giorno. La conta dei detenuti all’inizio durava dieci minuti, ma successivamente iniziò a protrarsi per ore, durante le quali i detenuti venivano incoraggiati a denigrarsi l’un l’altro. Con il tempo, l’atteggiamento che i detenuti avevano nei confronti dei compagni finì con il rispecchiare quello delle guardie. Insulti e minacce aumentarono, così come gli ordini di svolgere mansioni prive di senso o degradanti. A volte le guardie obbligavano i detenuti a pulire i gabinetti a mani nude… Questo episodio, con il suo sventurato giovane protagonista, sottolinea quanto profondamente i partecipanti si fossero calati nelle loro parti…
O i celebri studi sull’obbedienza dello psicologo Stanley Milgram
… Milgram voleva capire perché le persone finissero con l’obbedire a ordini che intimassero loro di compiere azioni terribili, e che di per sé non avrebbero mai fatto… al partecipante toccava sempre la parte dell’insegnante. Poi gli facevano ascoltare una finta storia e gli mostravano una sedia elettrificata, sulla quale l’allievo si sarebbe dovuto sedere durante l’esperimento. Stando seduto su quella sedia, l’allievo in teoria avrebbe ricevuto una scossa elettrica ogniqualvolta avesse dato una risposta sbagliata. L’insegnante guardava l’allievo mentre veniva legato alla sedia e gli veniva detto che i lacci avrebbero impedito che si muovesse troppo quando avesse ricevuto le scosse elettriche; poi andava in un’altra stanza, dalla quale non poteva più vedere l’allievo. Milgram riferì che, con qualche rara eccezione, i partecipanti credevano che fosse tutto reale (ovviamente non lo era, le scosse non erano vere). Ai partecipanti veniva mostrata una serie di trenta leve, ciascuna delle quali associata a una scossa di diversa intensità. La scossa più lieve era per la prima risposta sbagliata, la seconda più lieve per la seconda risposta sbagliata, e così via. Gruppi di leve – solitamente di quattro – erano contrassegnati da un’etichetta. Più o meno a metà della scala di intensità, l’etichetta diceva “Scossa intensa”, seguita da “Scossa di intensità estrema”, “Pericolo: scossa grave”, e infine “XXX”. L’allievo rispondeva premendo un pulsante. A un certo punto dell’esperimento – dopo aver ricevuto la ventesima scossa – l’allievo picchiava sulla parete e da quel momento in poi non rispondeva più a nessuna domanda. La ventesima scossa veniva trasmessa dalla quarta leva del gruppo contrassegnato dalla dicitura “Scossa intensa”. I livelli della scossa erano contrassegnati anche da numeri che indicavano il voltaggio. Quella leva riportava la scritta: “300 volt”. Prima di dare la scossa all’allievo, l’insegnante doveva riferire il voltaggio della scossa che si apprestava a dare, che andava dai 15 volt iniziali ai 450 volt dell’ultima scossa. All’inizio dell’esperimento, lo scienziato diceva all’insegnante che «anche se le scosse potevano essere molto dolorose, non avrebbero recato alcun danno permanente ai tessuti». Quando i soggetti sollevavano il problema di bloccare l’esperimento, venivano loro date risposte predefinite, da «Continui, per favore» a «Non ha altra scelta, deve continuare». Lo scienziato iniziava dalla semplice richiesta di continuare per poi passare alla risposta: «Non ha scelta» quando il soggetto seguitava a chiedere di interrompere l’esperimento. Ventisei soggetti su quaranta continuarono a somministrare scosse…
Ma cosa si puo’ concludere da questi esperimenti?…
… Volendo essere pessimisti: che esercitiamo un controllo assai limitato sul nostro comportamento – il comportamento umano è determinato in larga parte dalle situazioni in cui ci troviamo…
Ma non sempre questo è vero. Prendiamo la reazione dei passeggeri a certi dirottamenti…
… la notizia secondo la quale i passeggeri e l’equipaggio del volo 93 della United Airlines, avendo appreso degli attentati appena verificatisi, avevano cercato di riprendere il controllo del proprio aereo, altrimenti destinato a schiantarsi). Il ruolo del passeggero di un volo di linea è molto ben definito. I passeggeri devono stare seduti, allacciare le cinture di sicurezza e mantenerle allacciate fino a che non sia consentito loro di alzarsi, astenersi dall’arrecare disturbo e in generale seguire le indicazioni dei membri dell’equipaggio… Se avessi avuto la terribile sfortuna di essere a bordo dell’aereo che si è schiantato sul World Trade Center nel 2001, mi sarei probabilmente astenuto dall’intervenire nella speranza che i membri dell’equipaggio riuscissero a riprendere in mano la situazione. Ma alla luce di quello che ho appreso nel frattempo, prevedo che le mie reazioni oggi sarebbero diverse…
Conoscere i potenziali condizionamenti ha un lato positivo: adesso che sappiamo cos’è “l’effetto spettatore”, la prossima volta che assisteremo in gruppo a una qualche emergenza avremo maggiori probabilità di resistere alla tendenza.
Possiamo migliorarci
… Quando la causa di un comportamento dannoso sfugge alla portata del proprio radar, c’è poco da fare. Ma quando la causa di un comportamento o di un’omissione dannosa è portata allo scoperto, aumenta anche la speranza di un possibile miglioramento…
Del resto il lavoro di Milgram era in parte motivato dal desiderio di comprendere come dei normali cittadini tedeschi, una volta trasformati in soldati, avessero finito per commettere delle atrocità. L’obbedienza all’autorità è una parte importante della risposta. La richiesta ufficiale di obbedire all’autorità dovrebbe includere, come sua componente, l’educazione ai limiti legittimi dell’autorità.
L’autocontrollo esiste
… La grande quantità di lavori sulle intenzioni di attuazione dimostra che l’autocontrollo è possibile e confuta l’idea che le intenzioni consce non abbiano praticamente alcun effetto sulle azioni intenzionali…
Sapere è potere
… La chiave per fronteggiare “l’effetto spettatore”, l’obbedienza eccessiva e il potere esercitato dai ruoli è l’istruzione. Talvolta sapere è potere…
Le tentazioni non sono irresistibili
… Un comune studente universitario che abbia il potere di farlo può essere tentato di far pulire a qualcuno un gabinetto a mani nude. Ma questa tentazione è irresistibile? Ovviamente le guardie che lo hanno fatto avrebbero dovuto resistere alla tentazione. E perché si dovrebbe negare che avrebbero potuto farlo? Anche se non hanno resistito alla tentazione, magari erano libere di farlo. In questo esperimento, la situazione delle guardie ha reso più semplice la loro decisione di fare cose fuori dei limiti – decisioni sul modo di usare il potere da poco acquisito. Ma non mi sembra che la loro situazione le abbia costrette ad agire nel modo in cui hanno agito. Non erano prive di alternative. Per come la vedo io, dipendeva ancora da loro se mettere in pratica quelle idee disumane…
La cattiveria esiste
… Qualcuno potrebbe sostenere che tutto quello che facciamo è determinato dalle situazioni in cui ci troviamo, che non esercitiamo alcun controllo su come reagiamo rispetto a queste situazioni, e che quindi le guardie “cattive” non avrebbero potuto agire diversamente. Questa affermazione è però infondata. Se le situazioni determinassero davvero le nostre azioni, allora tutte le persone nella stessa situazione dovrebbero agire nello stesso modo…
Va poi fatta una precisazione in merito a molti esperimenti famosi…
… Non va trascurato un fatto importante: nel caso dei soggetti di Milgram, una figura autorevole e convincente aveva detto loro che sebbene le scosse potessero risultare molto dolorose non avrebbero arrecato alcun danno permanente ai tessuti. Ma siccome i detenuti di Zimbardo sapevano che pugnalare qualcuno avrebbe danneggiato seriamente i tessuti, non credo che si sarebbero spinti a tanto…
In conclusione: credere che ci siano altre quattro persone pronte a intervenire, evidentemente, rende più difficile prendere la decisione giusta, ma non la rende impossibile. Solo se pensate che per essere dotati di libero arbitrio si debba essere liberi da qualsiasi influenza situazionale, dovreste concludere che il libero arbitrio non esiste.
***
Il libero arbitrio esiste, la scienza non lo ha confutato. Ma dobbiamo avere un’idea modesta di libero arbitrio…
… essere capaci di prendere decisioni razionali e informate – e di agire in base ad esse –, quando non si è fatti oggetto di uso indebito della forza, è sufficiente per avere il libero arbitrio…
La maggior parte di noi sembra avere questa capacità, almeno in qualche occasione.
Se esiste il libero arbitrio devo concludere che esiste anche uno spirito che interviene nelle cose del mondo…
… devo concludere che il dualismo di Cartesio è vivo e vegeto. Esattamente come Cartesio, in altre parole, crediamo ancora (per quanto facciamo finta che non sia così) che nel comportamento umano vi sia una componente magica»…
Cartesio è vivo e vegeto.
Il neuroscienziato Michael Gazzaniga sostiene che il libero arbitrio implica un elemento fantasmatico, o non fisico. Ma questo non implica di per sé l’inesistenza del libero arbitrio…
… Considerato quello che Gazzaniga intende con “libero arbitrio”, non sorprende che, secondo lui, il «libero arbitrio [sia] un concetto mal congegnato, basato su delle convinzioni sociali e psicologiche [...] che non hanno origine dalla conoscenza scientifica moderna sulla natura del nostro universo, e che sono in disaccordo con essa»… non esista…
La sua posizione è curiosa, sembrerebbe negare un’evidenza solo perché fastidiosa: se i fatti non concordano con la mia ideologia, tanto peggio per i fatti.
Esempio di aspettative troppo elevate
… Ecco due esempi di cosa vuol dire avere aspettative elevate: a) per avere il libero arbitrio occorre fare scelte consce che siano del tutto indipendenti dalla precedente attività cerebrale; b) per avere il libero arbitrio occorre essere del tutto svincolati dalla genetica e dall’ambiente (comprese le situazioni in cui ci troviamo). Ora, l’evidenza indica chiaramente che le nostre scelte consce non sono mai del tutto indipendenti dalla attività cerebrale che le precede, e che non siamo mai del tutto scevri da condizionamenti genetici e ambientali…
Ma la persona comune intende qualcosa di diverso quando dice e pensa di essere libera…
… Un modo efficace per legare la nostra riflessione sul libero arbitrio al mondo reale consiste nel considerare quest’ultimo come qualcosa di cui abbiamo bisogno per meritare il merito o il biasimo morale per le nostre azioni. Se pensiamo al libero arbitrio in questo modo, riterremo plausibile pensare che le persone talvolta esercitino il libero arbitrio nella misura in cui ci sembrerà plausibile pensare che le persone talvolta meritino – sul piano morale – di essere lodate o biasimate…
È interessante osservare come Gazzaniga, pur rifiutando il libero arbitrio in quanto magico e contrario alla scienza, assuma tutt’altro atteggiamento verso responsabilità e imputabilità. «Non c’è una ragione scientifica per non essere considerati individui responsabili» (sic).
Morale:
… Dunque il libero arbitrio esiste? Se intendete quello che io chiamo “libero arbitrio modesto”, rispondo di sì, senza esitazione alcuna. Se intendete quello che io chiamo “libero arbitrio ambizioso”, dico che la questione è ancora aperta. Il che riassume bene la tesi fondamentale di questo libro…
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Il gioco delle tre carte

Il gioco delle tre carte

Il libero mercato è meraviglioso poiché realizza ogni momento il miracolodello scambio: una delle poche attività umane dove quasi sempre tutti ci guadagnano.
Lo scambio è il contrario della stupidità, ovvero quella roba che danneggia tutti. Ma si contrappone anche alla guerra: quell’interazione dove, se va bene, ci guadagna una sola delle parti coinvolte.
Tuttavia, quando tutti ci guadagnano il problema diventa: come guadagnare di più?
Sul mercato per guadagnare più della controparte esiste un metodo sicuro, almeno se siete il venditore: il gioco delle tre carte.
Non conosco un venditore professionista che non lo usi.
Il nome “scientifico” del gioco delle tre carte è “discriminazione di prezzo”, il nome figo del gioco delle tre carte è “cross-subsidiation”.
Avete appena messo mano al portafoglio (negozio, ristorante, cinema, edicola, aeroporto, ferrovie, noleggio…) e i conti non vi tornano? Oppure non riuscite a spiegarvi bene qualcosa? Vi sentite soddisfatti ma anche un po’ straniti?
Il motivo è sempre quello: siete stati sottoposti al  gioco delle tre carte.
La responsabile è sempre lei: la discriminazione di prezzo.
Anche se la conosci non riuscirai mai ad evitarla, tuttavia vale la pena di conoscerla un po’ meglio tanto per capire di che (dolce) morte si muore tutti i giorni.
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Al bar il caffè costa 1 euro.
Ma io lo pagherei anche 2, specie oggi.
Se il barista mi addebitasse 2 euro sarebbe un vero affarista poiché io pagherei senza fiatare e lui guadagnerebbe il doppio. Ma lui non lo fa.
Evidentemente, se lo facesse, perderebbe gran parte della sua clientela che evidentemente non ha i miei gusti.
D’altronde, non puo’ esporre un cartello in cui si dice: “caffè 2 euro (1 euro per chi non è disposto a pagare di più)”.
Forse domani sarà possibile vedere cartelli siffatti perché alla porta d’ingresso ci sarà una macchina scanner neuronale che dirà chi è disposto a pagare il caffè 2 euro. Il cartello sarà di questo tenore. “caffè: 2 euro per chi entrando accende la luce rossa; 1 euro per chi accende la luce verde”.
Ma oggi una macchina scanner neuronale del genere non esiste per cui bisogna inventarsi qualcos’altro per discriminare i clienti e fare affari.
Il marchingegno oggi a disposizione dei negozianti è il gioco delle tre carte. Senza gioco delle tre carte molti esercizi chiuderebbero domani, parlo dei negozietti di paese come dei colossi del web. Come funziona?
Basta creare diverse combinazioni di prodotti e venderle ognuna separatamente col suo prezzo.
Il concetto di fondo è questo: visto che sei già qui ed hai concluso un affarone, perché non concludi anche un affarino? Il non-detto: così io chiudo due affari anziché uno.
Pensate solo alle combinazioni possibili con tre prodotti. Ci sono i tre prodotti venduti separatamente, poi c’è la tripletta, e infine ci sono tre possibili coppie.
Ogni coppia è presentata come un’occasione rispetto alla vendita singola e la tripletta come una super occasione rispetto al prodotto singolo e come un’ occasione semplice rispetto alle coppie.
Ordinate da McDonald’s e capirete cosa intendo.
Attraverso molteplici combinazioni il cliente meno attento va in confusione, ma lo scopo è un altro: formare dei gruppi nella clientela in modo da procedere a trattamenti differenziati. Nelle combinazioni, di solito, c’è come un prodotto-guida che ha questa funzione.
Cosa intendo? Meglio fare un esempio, però solo due prodotti, altrimenti vado in confusione anch’io.
Prendiamo allora due prodotti: 1) il giornale e 2) il libro.
Poniamo che il giornale costi 1 euro e la combinazione giornale+libro 1.50. Il libro da solo costa invece 0.7.
Ammettiamo che per me potenziale acquirente il giornale valga da solo 1.50 e il libro 0.20.
Se compro solo il giornale (affare A) guadagno 0.5. Se compro la combinazione (affare B) guadagno invece 0.2 (1.50+0.2-1.50).
L’affare A è migliore dell’affare B ma nella fretta – specie se non sono un cliente molto attento – potrei confondermi e concludere l’affare B.
Cosa facilità questa “confusione”? Il fatto che anche l’affare B, in fondo, è per me conveniente!
Ma il l‘evento più rilevante è un altro: chi ama i giornali di solito apprezza i libri più della persona qualsiasi, quindi posso fare un prezzo diverso di quello che faccio a tutti.
Potrei aggiungerci il fatto che l’alternativa sarebbe quella di andare in libreria e comprare ora mi risparmierebbe un viaggio, ma questo è un altro discorso.
Questo è il punto chiave: il gioco delle tre carte che si intende qui non è quello del truffatore alla stazione che vi spenna, qui si rispetta la logica dello scambio: essere tutti più felici. Solo che dopo il gioco delle tre carte il venditore è ancora più felice e io un po’ meno felice perché sono statoisolato, etichettato e spennato con delicatezza e con il mio consenso.
L’affare B, naturalmente, fa la gioia del giornalaio che l’ha predisposto per discriminare quei clienti che, attirati dal giornale, probabilmente valutano il libro sopra il suo prezzo consueto. E’ lo stesso meccanismo per cui i pop corn al cinema costano più che altrove: il cinema è l’esca per isolare gli amanti di pop corn.
Ammettiamo che questa situazione si ripeta per molte persone, potremmo dire che “il giornale finanzia i libri”. Capito ora da dove deriva l’espressione “cross-subsidiation”? A volte, infatti, l’esca è talmente appetitosa e funzionale che la rendiamo ancor più succulenta facendola pagare poco.
Ma lo stesso identico ragionamento puo’ farsi a prodotti invertiti, avendo in mente l’amante di libri (che non ama i giornali) e che valuta il libro ben sopra i 0.7, ovvero sopra il suo prezzo “spacchettato”. In questo caso – qualora abbocchi all’amo della “combinazione” –  diremo che è il libro a finanziare il giornale. 
Cosa vuoi di più dalla vita? La macchina scanner? Ma per quella bisogna aspettare.
Due considerazioni:
1) il gioco delle tre carte non è un automatismo, una macchina da soldi che funziona col pilota automatico, va applicata valutando bene la natura della clientela, un fiuto imprenditoriale è quindi sempre necessario. L’imprenditore deve capire quali prodotti possono fungere meglio da esca per differenziare la sua clientela.
2) Il negoziante non potrà mai essere accusato di essere un profittatore truffaldino. I suoi clienti escono tutti soddisfatti, anche se forse, senza questi espedienti, lo sarebbero stati ancora di più. 
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Domanda: sono i ristoranti a finanziare i casinò o viceversa?
Las Vegas fornisce la risposta: entrambi i casi sono validi.
A Las Vegas ci sono ristoranti di qualità eccelsa, di solito sono sul retro dei Casino, un po’ nascosti. Uno deve conoscerli per andarci e fare una grande cena. Poi, già che è lì, fa una puntatina al Casinò.
Questi ristoranti finanziano il Casinò.
Ma Las Vegas è piena anche di ristoranti mediocri, di solito sono ben in vista di fronte al Casinò. Chi gioca si prende una pausa e va lì a cenare.
In questo caso è il Casinò a finanziare il ristorante.
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Domanda: sono gli aiuti agli agricoltori del Terzo Mondo a finanziare i prodotti equo-solidali o sono i prodotti equo-solidali a finanziare gli aiuti agli agricoltori del Terzo Mondo?
La mia impressione è che siano gli aiuti a finanziare i prodotti. Al punto che la vendita equo solidale è spesso un affare, tanto è vero che entra nei supermercati: il finanziamento degli aiuti è tale che una parte cospicua puo’ essere trattenuta dall’intermediario.
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Sono i popcorn a finanziare i film o viceversa?
Qui è ovvio: sono i film a finanziare i popcorn.
Quello che sfugge è l’entità del finanziamento. Ormai siamo arrivati al punto che i multisala non guadagnano più niente col film (i produttori pretendono l’intero incasso), guadagnano solo con i popcorn.
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Un caco di scuola di finanziamento incrociato lo riscontriamo al ristorante, il classico posto dove le bevande finanziano i cibi: di solito il cliente disattento si concentra sul prezzo della pastasciutta o della bistecca.