mercoledì 1 gennaio 2020

COME AVERE SEMPRE RAGIONE SU INTERNET (almeno quando si parla di politica).

COME AVERE SEMPRE RAGIONE SU INTERNET (almeno quando si parla di politica).

La cosa migliore è diventare libertari, si tratta dell'ideologia più coerente e più in linea con i valori della modernità, ovvero quei valori entrati nel buon senso della maggioranza. Ma che al contempo, lasciano spazio, diritto di espressione e rendono un doveroso tributo anche alla minoranza tradizionalista. In passato mi sono trovato abbastanza bene con questa ideologia, sentivo di avere la ragione dalla mia, mantenevo la tranquillità dei forti, talvolta giocavo persino come un gatto col topo, riuscivo a restare calmo e ad evitare patetiche arrampicate sugli specchi. Avere ragione, o per lo meno "sentire" di avere ragione, ti dà serenità. In fondo quando i tuoi argomenti sono deboli lo capisci, e la cosa ti inquieta, cominci a sbroccare e a buttarla in rissa.
Eppure, oggi i libertari sono in crisi, non ne vedi più tanti in giro. Io stesso mi smarco da certi estremismi. Non è un caso, il libertarismo vecchio stile non è in grado di affrontare in modo molto efficace una serie di problemi importanti, in particolare quello dei cambiamenti climatici o quello degli equilibri internazionali, tanto per citarne un paio. Inoltre, nel mondo del pensiero sono entrate in massa le donne, ovvero un "gruppo" allergico al libertarismo, cioè a un pensiero coerente ai limiti dell'autismo.
Anche la tradizione "liberale classica" - i progenitori di certo libertarismo - non ha più molto da dirci, si è concentrata sui problemi del XIX-XX secolo ma dalla II guerra mondiale in poi molto è cambiato.
Penso che la parte più intelligente dei libertari si sia evoluta verso una posizione che chiamerò di "statalismo libertario", un'ideologia molto meno coerente, ma molto più eclettica e pragmatica. Ecco, lo "statalista libertario" ha sempre ragione nei dibattiti sui social. Vediamo di sintetizzare le sue posizioni.
1. I mercati e il capitalismo sono molto potenti, occorre tribuare i dovuti onori a queste forze, rispettarle sempre e sfruttarle al massimo. Chi cerca ancora la rivoluzione è patetico.
2. Senza uno stato forte non c'è libertà ma legge del clan. Prima lo stato era necessario per sostenere la formazione del capitalismo e anche per proteggere i diritti individuali, oggi rimane necessario per mantenere ed estendere il capitalismo e i mercati. Per esempio, per tenere a bada la Cina, nonché per sviluppare leggi e regolamenti efficaci nella gestione del capitale immateriale, della proprietà intellettuale e delle big tech.
3. Uno stato forte non è necessariamente uno stato esteso. Ripeto, uno stato forte dovrebbe considerare il mantenimento e l'estensione del capitalismo come uno dei suoi doveri primari, in molti casi il suo dovere numero uno.
4. I rapidi aumenti nella forza degli stati possono essere pericolosi (i precedenti di Giappone e Germania inquietano), ma livelli elevati di capacità statale non sono intrinsecamente tirannici. La Danimarca dovrebbe avere un governo più contenuto, ma è ancora uno dei luoghi più liberi e sicuri del mondo.
5. Molti dei fallimenti di oggi derivano da un'eccessiva regolamentazione, ma molti altri dall'assenza dello stato. Un governo debole non riesce a mettere una carbon tax, a migliorare la scuola con i voucher, a tagliare la spesa pubblica, a privatizzare come si deve, a combattere la criminalità, a migliorare le infrastrutture, a gestire l'immigrazione.
6. Lo statalismo libertario ha una sua etica ben precisa: massimizzare la ricchezza nel lungo periodo. Il mercato da solo non potrebbe perseguire un fine del genere.
7. L'esperienza di crescita fondamentale degli ultimi decenni è stata l'ascesa del capitalismo, dei mercati e degli elevati standard di vita nell'Asia orientale. Lo statalismo libertario non ha alcun problema o imbarazzo nel sostenere tali sviluppi. Non è preoccupato se lo stato è dovuto diventare più forte per ottenere quei risultati, sa che si tratta di un passaggio obbligato. I miglioramenti della salute pubblica, per esempio, sono un successo del nostro tempo, e lì la forza dello stato è stata importante, ammettiamolo.
8. Le principali aree problematiche del nostro tempo sono l'Africa e l'Asia meridionale. Si tratta di aree con mercati carenti, ma anche con stati deboli.
9. Lo statalista liberale non è di sinistra, sponsorizza programmi in cui lo stato ha un ruolo chiave come quelli relativi a infrastrutture, sussidi scientifici, energia nucleare, programmi spaziali. Si tratta di cose dove la sinistra tentenna, e di fatto le sacrifica in nome delle sue preoccupazioni egualitarie o legate agli stili di vita. Ad esempio, la guerra ai cambiamenti climatici richiede misure - come la carbon tax - che acuiscano le diseguaglianze. Un libertario statale è pronto ad attuarle, la sinistra non procederà mai senza aver fatto "quadrare i conti sociali", e in questo caso campa cavallo... Mi taccio poi sul nucleare o sull'ingegneria ambientale: sono soluzioni che non incidono sui nostri stili di vita e che quindi la sinistra disdegna. Altro esempio, la sinistra ha in mano molte grandi città, ovvero luoghi dove la presenza di un governo forte è essenziale. Ebbene, il fallimento è visibile ovunque, spesso, avendo in mente la "città ideale", ha trasformato questi posti in isole per privilegiati con cinture periferiche immense e poco curate.
10. Ma il libertario statalista non ha nemmeno alcun problema a sostenere il governo e la governance di qualità, mentre il libertarismo tradizionale è più sedotto dalle piccole realtà, spesso corrotte.
11. In politica estera il libertario statalista non è interventista ma crede in robuste alleanze con nazioni relativamente libere, quando possibile. La lunga pace del XX secolo non puo' essere trascurata. Detto questo, lo scetticismo tipico dei libertari resta nelle sue corde quando valuta le singole azioni militari.
12. Da ultimo la grande obiezione libertaria ai libertari statalisti: se concedi qualcosa allo stato, magari anche di ragionevole, poi lui si prende tutto. Vero, in teoria. Non solo, il libertario statalista deve rimanere sensibile a questa obiezione. Ma se guardiamo alla storia anziché alla teoria le cose non son o sempre andate così: si parte dai clan, si passa a stati dove l'abuso verso i singoli è la regola per approdare poi a stati dove il governo migliora. Insomma, la nostra fortuna è che gran parte delle libertà individuali restano correlate con l'efficienza, e l'efficienza prima o poi diventa l'obbiettivo dei governanti più illuminati. I governi più efficienti, alla lunga, prevalgono.
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martedì 31 dicembre 2019

COME E' INIZIATO L'UNIVERSO?

Sappiamo che l'universo si espande e man mano che lo fa la materia e l'energia si diluiscono. Quindi, quando l'universo era più "giovane", la materia e l'energia erano molto più dense, la temperatura era più alta e le particelle si scontravano più frequentemente e ad energie più elevate.
Cosa succede quando queste condizioni si fanno sempre più estreme - ovvero man mano che andiamo verso l'origine? Le più alte energie di collisione tra particelle sono state osservate nel Large Hadron Collider. Lì dentro fa caldino (dieci milioni di miliardi di Kelvin). Di cosa succeda a queste temperature possiamo ancora dire qualcosa, ma se andiamo oltre dobbiamo abbandonarci a mere speculazioni.
Il modo più semplice per speculare sull'universo primordiale è di estrapolare da teorie conosciute ponendo che valgano anche in quelle condizioni estreme che non ci è dato riprodurre. Si puo' pensare allora che alla fine si raggiungono densità di energia così elevate che le fluttuazioni quantistiche di spazio e tempo diventino in qualche modo rilevanti. Per calcolare ciò che accade, avremmo bisogno di una teoria della gravità quantistica, ma non l'abbiamo. Quindi, in breve, la risposta scientifica è che non abbiamo idea di come sia iniziato l'universo.
Di certo c'è solo il fatto che se scrivi una roba del genere nel tuo libro, non verrà mai pubblicato, quindi qualcosa devi inventarti. L'ipotesi più popolare è che il nostro universo sia nato da una "fluttuazione quantistica" nel campo di inflazione, e questo evento di nascita è chiamato "Big Bang". In realtà, se credi a questa storia (ci sono dati compatibili ma nessuna prova), non c'è motivo per non credere che le fluttuazioni quantistiche continuino ancora al di fuori del nostro universo generando così molti altri universi. Ma ho veramente capito quello che ho detto? Forse, fin qui, la mia intuizione di profano puo' ancora sorreggermi, in fondo se nella meccanica quantistica alcuni eventi non hanno una causa posso anche capire che esista una "prima mossa" incausata che di il la a tutto. Noto solo che la fluttuazione di cui si parla presuppone un "campo", ovvero "qualcosa", non il nulla. Per dirla meglio: Il nulla dei filosofi mi sembra diverso da quello dei fisici. Lo preciso affinché non si traggano conclusioni teologiche affrettate. Non solo, date le precondizioni necessarie, la fluttuazione fatale si dovrebbe realizzare in tempi relativamente brevi (il campo è instabile), cosicché l'universo nato da una fluttuazione ha necessariamente un inizio, non è mai eterno "all'indietro". Non per niente parliamo di Big Bang.
Un'altra storia, meno popolare, narra che l'universo non è nato una volta ma è "ciclico". Nei modelli ciclici, il Big Bang è sostituito da una sequenza infinita di "Rimbalzi": si nasce, ci si espande, si collassa e si rinasce.
Esistono diversi tipi di modelli ciclici. Uno si chiama Universo Eucariote, un'idea presa a prestito dalla teoria delle stringhe. Io però questa teoria non l'ho mai capita nemmeno a livello intuitivo, e, di conseguenza, non capisco l'idea di universo eucariote. Oltretutto, ho raggiunto un'età in cui quello che si capisce poco ci sembra poco serio. Per questo dico: boh. Lo dico anche perché non ho molta voglia di approfondire: la scienza è una materia noiosissima, altrimenti non sarebbe così affidabile; se scatenasse passioni e quindi anche partigianeria, diventerebbe inaffidabile come gli altri saperi.
Un'altra idea di un universo ciclico la dobbiamo al matematico Roger Penrose. Si sostiene che l'universo in espansione diventa così grande ma così grande da togliere senso a qualsiasi scala, non si puo' cioè più distinguere il grande dal piccolo, in una simile situazione puoi "incollare" insieme la fine di un universo con l'inizio di un nuovo. Anche in questo caso non riesco ad intuire di cosa si parla. Quindi, boh.
Un'altra teoria afferma che nuovi universi nascano dai buchi neri. Qui si puo' dire di tutto poiché cosa succeda nei buchi neri nessuno lo sa. Boh.
C'è anche la possibilità che l'universo non "inizi" davvero, ma che prima di un certo momento ci fosse solo spazio senza tempo. Si chiama "modello senza confini" e risale a Jim Hartle e Stephen Hawking. Boh.
Una scomparsa del tempo molto simile è stata introdotta nei calcoli basati sulla cosmologia quantistica a ciclo continuo (non so bene cosa abbia detto). Si parla di "silenzio asintotico". Boh.
Quindi abbiamo la "String Gas Sosmology", in cui l'universo primordiale è rimasto in uno stato di immobilità per un infinito lasso di tempo prima di iniziare ad espandersi. Boh-boh-boh.
E poi c'è la cosiddetta Cosmologia dell' Unicorno, secondo la quale il nostro universo è germogliato da una merda di unicorno. Devo pensarvi su quando sarò più lucido.
I tanti boh che costellano queste righe derivano dal fatto che si scrive un modello matematico e poi si cerca di tradurre in parole delle equazioni che in realtà non descrivono nulla di osservabile, cio' che residua è un gergo che lascia poco spazio alle intuizioni del profano. I fisici hanno molte idee ma nessuna è supportata da prove, e la gran parte di queste ipotesi non verrà mai testata con esperimenti in qualche modo cruciali. Questo è un mondo in cui i nostri sforzi scientifici sono fondamentalmente limitati. I fisici hanno scritto parecchie "storie matematiche" su come tutto è iniziato, ma queste non sono necessariamente migliori delle tradizionali storie sulla Creazione. Di certo sono molto più noiose.

IL ROBOT CHE TI LICENZIERA'

Marco Bentivogli, uno dei sindacalisti più stimati in circolazione, ha scritto un libro sul tema del futuro: occupazione e robot. Non l'ho letto, anche se ho intenzione di farlo, ma prima di attaccare ho intenzione di riordinare le idee che mi sono fatto in proposito in questo post: mai presentarsi di fronte alla lettura in forma di tabula rasa!
Man mano che software e hardware si potenziano, in molti si preoccupano che l'automazione crescente porti ad una sorta di crisi economica. Di fronte a questa minaccia c'è chi invoca un reddito universale e chi invece vorrebbe tassare le macchine. Ma oggi la disoccupazione tecnologica è davvero un problema? A livello mondiale, i tassi di occupazione sono sui livelli storici. Ciò sembra dimostrare che i lavori creati tengono il passo con quelli automatizzati. La prospettiva per alcuni lavori in particolare resta rosea: assistenza sanitaria, energie rinnovabili e diverse professioni informatiche. Per altri volge al grigio: segretarie, impiegati, assemblatori, manutentori di tecnologie obsolete come treni o orologi da polso. L'automazione sembra soprattutto minacciare le medie competenze: cio' ha spinto a specializzarsi oppure a rassegnarsi ad assumere lavori meno prestigiosi.
Ma guardiamo al passato: prima della rivoluzione agricola, quasi tutti erano cacciatori e/o raccoglitori. Durante il periodo compreso tra l'8000 e il 4000 a.C., ci fu la grande riconversione all'agricoltura. Prima del 1400, circa il 70% dell'intera occupazione era in agricoltura. Oggi, nelle economie avanzate, è solo un 1-5% della forza lavoro è in quel settore. Al suo apice, durante la seconda guerra mondiale, quasi il 40% dell'occupazione era nell'industria produttiva. Oggi quel numero è inferiore al 10. Anche il lavoro casalingo è crollato da 60 ore settimanali nel 1900 a solo 15 ore settimanali oggi. Ecco, nel corso di queste drammatiche transizioni il lavoro complessivo, lungi dal diminuire, è anzi cresciuto!
Un'altra variabile da tenere d'occhio è il PIL. Prima del 1000 d.C., il PIL pro capite era ovunque inferiore a 1000 dollari. Oggi nei paesi occidentali è di circa 50000 dollari. Poiché le doti naturali dell'uomo non sono cambiate, l'aumento di produttività è dovuto alla tecnologia (istruzione, processi, strumenti, macchinari, know-how), che consentono alle persone di produrre più valore per ogni ora di lavoro. Ciò significa, è una metafora, che ad ogni persona si sono affiancati circa 49 "robot". Tuttavia, l'occupazione è allo stesso livello di sempre, per cui questi 49 robot che lavorano al nostro posto jon ci hanno affatto sostituito. Certo, resta vero il fatto che se il ritmo dell'automazione del lavoro fosse molto rapido potrebbe non esserci il tempo per le persone di riqualificarsi abbastanza velocemente, il che causerebbe tassi di disoccupazione più elevati. Non sembra però che siamo a questo punto.
Volendo fantasticare possiamo chiederci se ci sono cose in cui i computer non supereranno mai l'uomo. In passato l'elenchino è stato fatto: scrivere barzellette, scrivere romanzi, esprimere compassione, cucinare in modo creativo, agire in modo creativo, rappresentare e inventare concetti, astrarre da pochi dati disponibili, esprimere emozioni, darsi una motivazione, avere un'intelligenza sociale e collaborare. Oggi si è molto meno fiduciosi sul fatto che queste aree restino vergini. I ricercatori sono consapevoli dei limiti dell'automazione tradizionale e stanno attivamente cercando di trovare modi per eluderli: esistono già robot che raccontano barzellette, scrivono romanzi, eccetera. Il fatto è che chi afferma che una macchina non può provare emozioni, tira il sasso e nasconde la mano: può infatti sempre dire che la macchina si comporta COME SE provasse un'emozione ma in realtà non ha nessuna coscienza dell'emozione stessa. La coscienza, infatti, è qualcosa su cui nessuno puo' indagare, non abbiamo nessuna idea di come testare se la coscienza fenomenica sia presente in una persona, in un animale o in una macchina. Tuttavia, ai fini dell'assunzione per un posto di lavoro, è sufficiente la capacità di simulare accuratamente le emozioni, non di provarle. Quindi concluderei dicendo - in modo un po' pessimistico per i lavoratori - che le macchine possono sostituire l'uomo in ogni lavoro.
Quali lavori saranno automatizzati a breve? Alcuni studiosi hanno provato a rispondere dando importanza alla destrezza manuale, allo spazio di lavoro, alle posizioni scomode, alla creatività e alla percezione sociale del ruolo. Si giunge alla conclusione che circa metà dei lavori saranno automatizzati in breve tempo. Ciò include la maggior parte dei lavori amministrativi, dei lavori legati alla vendita, alcuni lavori di servizio e la maggior parte dei lavori di produzione e trasporto. Tuttavia, altri studiosi mettono in rilievo la formazione ideale sarà comunque un mix uomo macchina. Tenendo conto di questi aspetti, solo un 10% dei posti di lavoro risulta essere a rischio.
Alla fine, tuttavia, tutte le abilità umane saranno automatizzabili, anche se molto probabilmente non saremo testimoni di questo passaggio nelle nostre vite. Non sembra che ci siano limiti fisici fondamentali che lo impediscano. I computer continueranno ad aumentare di capacità fino a quando saranno in grado di svolgere qualsiasi compito intellettuale richiesto ad un essere umano. Quando i costi di sviluppo e implementazione della tecnologia scenderanno sotto il costo del lavoro, i lavoratori saranno inevitabilmente sostituiti. Il prezzo dell'informatica è in costante calo ormai da diversi decenni e non ci sono limiti a questo miglioramento.
Vi sono, tuttavia, alcuni lavori che per una certa sensibilità sociale pretenderemo che siano svolti da un essere umano. Per esempio: produzione di articoli fatti a mano, creazione di opere d'arte, cucina, arti e spettacolo ( recitazione, danza, cabaret, ecc ...), servizio domestico (servitori personali come maggiordomi, giardinieri, ecc.), sport, parrucchieri e simili, massaggi e altri servizi alla persona, alcuni aspetti dell'assistenza medica, alcuni aspetti dell'insegnamento (motivazione, tutoraggio), alcuni aspetti della guerra (decisioni su quando usare la violenza), servizi religiosi, servizi mortuari, politica.
Con l'automazione, quali effetti economici dovremmo aspettarci? Intorno al 1800, l'economista Jean-Baptiste Say sostenne che i lavoratori spiazzati dalle nuove tecnologie avrebbero trovato lavoro altrove una volta che il mercato avesse avuto il tempo di adeguarsi. In seguito Marx avrebbe chiamato l'idea di Say "teoria della compensazione". Ciò include un'occupazione aggiuntiva nel settore dei beni strumentali, una riduzione dei prezzi, nuovi investimenti e nuovi prodotti. Say ebbe ragione e, in generale, questa è ancora l'opinione prevalente tra gli economisti. Secondo la teoria di Say, il fatto che certi lavoratori vengono licenziati dalle macchine, libera il capitale che il proprietario utilizzerà per assumere altri lavoratori in modo da svolgere altri lavori. Per questo motivo, il numero di lavoratori assunti non diminuisce a causa dell'automazione, anzi, aumenta. Inoltre, l'automazione riduce i prezzi dei beni, rendendoli più convenienti. Riduce anche i prezzi dei componenti, rendendo possibili nuovi prodotti. Le aziende che producono questi beni realizzano maggiori profitti, cio' consente di investire e assumere. A causa di questi effetti, finché il mercato avrà il tempo di adattarsi, non dovremmo aspettarci di vedere livelli crescenti di disoccupazione. È possibile che questo processo continui fino al punto in cui tutti i lavori saranno eseguiti dalle macchine. In teoria, fino a un attimo prima, la "legge di Say" è in vigore. Penso che Bentivogli abbia in mente dinamiche del genere visto e considerato l'ottimismo che ostenta.
Altri concludono che in futuro l'automazione eserciterà comunque una pressione al ribasso sui salari, aumentando nel contempo l'importo guadagnato dagli azionisti. L'automazione spinta migliorerà gli standard di vita poiché la quantità di valore prodotto pro capite aumenterà sempre di più. Un altro effetto potrebbe essere la riduzione dell'orario di lavoro - man mano che l'automazione procede, si potrebbe impiegare lo stesso numero di persone, ma con meno ore a settimana o più giorni di ferie all'anno. E' lecito attendersi che man mano che le macchine avanzano, sempre più persone si troveranno sotto la linea di galleggiamento, incapaci di trovare un lavoro che l'IA non possa fare meglio, saranno forse quelli con il QI più basso o qualcosa del genere.
Supponiamo di arrivare al punto in cui i robot potranno fare letteralmente qualsiasi lavoro. Cosa succederà all'economia? Le persone continueranno probabilmente a dirigere le fabbriche, specie quelle che fabbricano robot. Ma la maggior parte delle persone non lavorerà più: o vivrà di rendità, o con i benefici elargiti da un welfare state ricchissimo. Fino a che punto l'economia ridistribuirà la ricchezza generata da questa economia, è una questione politica. Una cosa è certa: se sarà possibile creare macchine con intelligenza e abilità a livello umano, sarà possibile anche andare oltre, ovvero creare, magari a cura dei robot intelligenti stessi, macchine con intelligenza e abilità sovrumane, il che complica tutto e rende ogni previsione velleitaria.
Conclusione: anche se quasi tutti i posti di lavoro attualmente esistenti alla fine saranno automatizzati, man mano che avanziamo verso quel punto, continueranno ad essere creati nuovi posti di lavoro, prevenendo il tipo di disoccupazione di massa o bassi salari, purché il mercato abbia il tempo di adeguarsi. La politica dovrebbe limitarsi a gestire delle transizioni. Un problema potrebbe sorgere se i ritmi dell'innovazione dovessero accelerare. Tuttavia, una volta che le macchine supereranno le capacità umane, giungeremo ad un punto di "singolarità", l'intera economia che conosciamo si muterà in un oggetto misterioso e non possiamo dire più nulla nel merito, i nostri modelli economici diventerebbero carenti e il futuro imprevedibile. Un po' come la fisica tradizionale che si ritrova impotente nel descrivere il cuore del buco nero. Ci sarà chi vivrà di rendita e chi di welfare, ma in realtà non sappiamo nemmeno fino a che punto gli uomini controlleranno l'economia e la loro civiltà, per non parlare del modo in cui funzionerà l'occupazione. Ad ogni modo, i guadagni economici che derivano da tutta questa automazione affluiranno principalmente a coloro che possiedono le macchine. Investendo di più, creeranno nuovi prodotti, spenderanno di più, pagheranno più tasse e faranno più beneficenza, la civiltà in generale ne trarrà un beneficio. Una cosa è certa: la ricchezza in circolazione sarà incredibile rispetto agli standard attuali. E la felicità? Boh.

lunedì 30 dicembre 2019

https://feedly.com/i/entry/0q+Pp2Og0uuHXZZ8b1r/ET2OXlK6uZwzRHuugP02XOs=_16ed51ba4bd:12e2d:d0c89438

forse loss aversion non esiste

lo si confonde con l'effetto sopravvivenza: perdere troppo significa morire.

infatti loss aversion c'è solo su grandi scommesse
https://feedly.com/i/entry/Od/Z0OrlTBzSrJtcae1t5qtueOtvOco3UFNx6gD9Pd4=_16f553f0567:9c0438:878e51c9

LA BUONA POLITICA INFORMATA AL PECCATO ORIGINALE.

LA BUONA POLITICA INFORMATA AL PECCATO ORIGINALE.

La dottrina politica di ogni buona destra si fonda sulla dottrina teologica del peccato originale.
L'uomo di destra sa bene l'albero da cui hanno mangiato i nostri progenitori: quello della Conoscenza. Quindi sa bene l'insidia a cui siamo più soggetti: l'abuso della conoscenza.
L'uomo di destra sa che gli sforzi umani per controllare la contingenza sono essi stessi soggetti alla medesima contingenza che vorrebbero controllare. I problemi di fondo non si risolvono con un decreto legge o con una tecnologia, perché tali rimedi sono soggetti alle stesse insidie che intendono correggere. Il governante ha i limiti del governato, non è né migliore né peggiore: se il governato non fosse un peccatore, non avrebbe bisogno del governante; se il governato è un peccatore, allora anche il governante lo è, e non risolverà mai i problemi del primo, al limite li amplificherà. I 3/4 della buona politica dovrebbero essere costituiti da inazione e preghiera.
La risposta risoluta a tutto questo è che si tratta di una compiaciuta e cinica razionalizzazione. Ma il problema o è reale o non lo è. Il modo giusto di rispondere alla destra illuminata dal peccato originale è indicare dove sbaglia.
Qualcuno potrebbe reagire dicendo che la destra ha ragione ma anche se fosse vero che non possiamo risolvere tutti i problemi con una legge, possiamo comunque migliorare la nostra condizione. Purtroppo, pensando in questo modo ci si dimentica che i vizi arrivano in coppia. Se c'è il pericolo di arrendersi troppo presto, c'è anche il pericolo di spingersi troppo in là. L'insistenza nel cercare soluzioni laddove non ce ne sono è una ricetta per perdere tempo, risorse ed energia emotiva. Un tipo del genere è inoltre destinato ad esacerbare la demagogia e la partigianeria. Qualcosa di cui davvero non abbiamo bisogno.
Un politico che promette soluzioni a un problema che ha la preghiera come unica soluzione, incamera un ovvio vantaggio rispetto a chi riconosce francamente che il problema può essere al massimo gestito e non risolto. Ha anche un incentivo a demonizzare l'avversario come nemico del progresso umano.
La politica democratica scatena al massimo l' illusione che per ogni problema, c'è un colpevole da biasimare. Una volta tolto di mezzo il colpevole, sarà possibile varare la "mitica riforma" e le cose andranno meglio.
Il vantaggio politico di pensare in questo modo è enorme: la massa vuole qualcuno con idee e fiducia in se stesso, non qualcuno che sui temi più complessi si affidi alla Provvidenza. Il primo è uno che sa, uno che accusa, uno con un piano, uno con la pallottola d'argento in canna, con la leggina giusta nel cassetto.
Il secolarismo potrebbe essere un'altra fonde di illusioni. È più facile accettare il fatto che alcuni problemi siano semplicemente parte della condizione umana, e quindi senza un colpevole, quando il tuo cuore attende un'aldilà. Al contrario, se pensi che questa vita sia tutto ciò che c'è, allora il fatto che alcune delle sue miserie non possano essere risolte ti getta nella disperazione. Sarai più portato a credere che ci sia sempre una soluzione, e di conseguenza a demonizzare coloro che la negano.
Tuttavia, non trovo del tutto convincente questo argomento, talvolta è proprio la religiosità a favorire l'illusione che ci sia un colpevole responsabile del male. In effetti, capita spesso che siano i meno religiosi a professare un maggior scetticismo. Se pensi che non ci sia un creatore benevolo e nessuna provvidenza divina, potresti essere più incline a pensare che gran parte del male è semplicemente il risultato inevitabile di forze fuori controllo. D'altro canto, le persone religiose possono anche essere inclini a sopravvalutare la responsabilità umana per il male commesso, e dietro questo istinto si annida spesso una cattiva comprensione del peccato originale. E' proprio questo il tema che vorrei affrontare nel resto del post.
La pena del peccato originale è essenzialmente una privazione piuttosto che una maledizione (con annesso "danno positivo"), e in particolare la privazione di una guida soprannaturale. Dopo la cacciata dell'Eden la natura umana resta buona, ma è fortemente limitata. Ad esempio, data la nostra dipendenza dai corpi, siamo fortemente limitati nella conoscenza. Se siamo nel posto sbagliato al momento sbagliato o conosciamo le persone sbagliate, siamo destinati a cadere in errore e questi errori si mescoleranno nel tempo creando un caos dove ogni tentativo di orientarsi risulta inaffidabile. E questo sarebbe vero anche a prescindere da eventuali peccati che potremmo commettere. I nostri guai sono semplicemente un sottoprodotto dei nostri limiti. Avremmo bisogno di una guida sicura a cui affidarsi; nel Paradiso Terrestre c'era, ma, da quando i nostri progenitori hanno scelto di fare da soli, quella guida ha preferito rispettare la nostra volontà lasciandoci vagare nelle tenebre esattamente come avevamo chiesto.
Alcune persone, invece, sembrano pensare che ogni cosa brutta che ci accade sia in qualche modo una punizione per l'errore dei nostri primi genitori (come una specie di karma), In breve, c'è la tendenza a pensare che il peccato originale comporti una cattiva azione dietro ogni cosa cattiva che accade. Ma questo è un malinteso con ripercussioni sulla politica! Quando una persona scivola e cade da una scogliera o contrae una malattia o perde tutto il suo denaro nel mercato azionario, la dottrina del peccato originale non implica che quei danni specifici siano stati meritati come punizione (da lui o dai nostri primi genitori). Disgrazie di questo tipo sarebbero evitate solo con un aiuto divino che i nostri genitori hanno scelto di rifiutare. In questo senso non ci sono colpe particolari, nessuno puo' governare il caos/complessità, nessuno puo' prevedere cosa potrebbe succedere nel caos/complessità. Se c'è un embrione di colpa è proprio in chi si illude e pensa il contrario (Adamo, Eva, il politico progressista). Costui perpetua il peccato originale: non fa del male, magari il suo cuore è anche buono, semplicemente non riconosce dei limiti. Potremmo definirla, al massimo, una forma di stupidità.
In conclusione, l'azione umana può sembrare così maligna che è più facile cadere nella trappola di pensare che quando accade qualcosa di brutto, dietro ci sia qualcuno da incolpare, o che coloro che si oppongono a un rimedio proposto devono avere motivazioni malvagie. Tuttavia, è proprio la dottrina del peccato originale ben compresa che ci aiuta a guarire da questo istinto riformatore/accusatore che ci minaccia da sempre da vicino.

I LUSSI DELLA SOCIETA' ATOMIZZATA


Le circostanze che promuovono il benessere materiale, disgregano la coesione sociale? Un tempo avrei risposto di no, oggi ho molti più dubbi e sto cambiando idea. Forse modernità e coesione sociale sono davvero incompatibili.

Per coesione sociale intendo un forte senso di appartenenza, una solidarietà verace, una grande fiducia nella reciprocità e nel trovare un "senso" nello stare insieme sacrificandosi l'uno per l'altro. L'esempio canonico è quello di una piccola unità militare che combatte la sua battaglia. La coesione sociale monta al crescere delle difficoltà affrontate dal gruppo.

Purtroppo, la società moderna ha perfezionato l'arte di non far sentire le persone necessarie. Ci sei o non ci sei, fa lo stesso, non cambia molto. Una base alquanto fragile per "fare gruppo". Chi cerca il benessere materiale, cerca di fatto grandi società, anonimia, specializzazione nei ruoli e riduzione al minimo delle difficoltà materiali, tutti fattori che depotenziano la socilaità e spingono l'individualismo.

In passato vivevamo in piccoli gruppi precari, sempre sotto la minaccia di qualcosa, ci conscevamo tutti e tutti erano indispensabili o quasi. Abbiamo così sviluppato un bisogno di coesione. In un libro ho letto esempi originali di questo nostro istinto, eccone alcuni davvero curiosi: 1) molti coloni occidentali in esplorazione del nuovo mondo lasciarono volentieri la "civiltà" per unirsi alle tribù native, ma raramente accadeva il contrario. 2) Ci siamo evoluti per dormire in gruppo, solo ultimamente abbiamo messo i bambini nelle loro camerette (da leggere). 3) Ci piacciono i film (e spettacoli in genere) in cui le comunità sono perennemente in crisi (di solito c'è un maschione che affronta una minaccia esterna; una femmina che lo aiuta con le dinamiche di gruppo; un uomo che non riesce a stare nel branco e se ne va in cerca di se stesso facendo una brutta fine e un uomo che, essendo stato mandato via dalla comunità per il suo comportamento problematico, ritorna e si riscatta. 4) Durante le guerre, solidarietà e reciprocità conoscono i loro picchi. Quando sei nelle canne impari ad andare d'accordo con le persone, anche con gli antipatici. 5) L'ultimo esempio che ricordo riguardava le stragi nelle scuole americane: non succede mai nelle aree più povere e ad alta criminalità. I giovani protagonisti hanno una vita materiale confortevole.

L'atomizzazione della sociatà, prima di essere un guaio è un lusso che ci concediamo: si genera in mancanza di situazioni davvero difficili da affrontare. Non essendoci pericoli reali vicini cerchiamo di inventarcene qualcuno lontano. L'esempio del riscaldamento globale è perfetto: mai gruppo umano sulla terra si è mai minimamente preoccupato di fenomeni che forse si potrebbero realizzare ad un secolo di distanza! Solo il pensiero religioso dell'apocalisse è stato tanto lungimirante. Probabilmente, dietro c'è il bisogno di lanciare allarmi che ci consentano di ricostruire un tessuto sociale che va sfaldandosi.

Mi chiedo se esista un modo per conciliare il benessere con il senso di comunità. Sono scettico: a parole vogliamo più unità ma di fatto respingiamo alcune delle condizioni essenziali per formarla. Preferiamo vivere comodamente che affrontare guerre o altre privazioni. Preferiamo scegliere con cura le persone con cui stare anziché farci piacere gli arroganti, e preferiremmo associarci a squadre, partiti politici o stili di vita anzichè con le persone del nostro quartiere. Con la prosperità abbiamo acquisito il diritto a queste scelte e non intendiamo rinunciarci anche se l'inevitabile conseguenza è l'atomizzazione della società.

Se, poi, la religione è uno strumento di coesione sociale, la secolarizzazione crescente si spiega: quando il collante del gruppo cessa di essere prodotto, la religione viene accantonata, o diventa al più un partito politico o una squadra di calcio. Abbassare i livelli di welfare state potrebbe essere l'uovo di Colombo per rinvigorire religione e coesione sociale: a parità di ricchezza, avremo più rischio e più pericoli; quindi, maggiori reti sociali. Ma siamo pronti? La rimpiangiamo veramente la coesione sociale?

domenica 29 dicembre 2019

MEDJUGORJE: PERCEPIRE DIO.

MEDJUGORJE: PERCEPIRE DIO.

Ci sono persone che hanno esperienze spirituali insolite, si tratta di qualcosa che valutano come molto significativo. Tuttavia, per me è difficile interpretarle e collocarle nella vita ordinaria. Personalmente, non ho mai "incontrato Dio", non mi sono mai trovato faccia a faccia con lui. Come giudicare chi invece riferisce di averlo fatto? Stando alle polemiche infuocate sull'argomento, non sono l'unico a pormi problemi del genere. E' in gioco la natura stessa della realtà. Le esperienze spirituali sono spesso viste attraverso una lente culturale e mi chiedo come normalizzare il racconto di cio' che è stato percepito. So anche che non c'è niente di più facile che alterare i ricordi soggettivi. Sia come sia, possiamo imparare collettivamente qualcosa da questi fatti straordinari?
Ma cos'è un'esperienza spirituale? In genere per noi l'esperienza conoscitiva origina dai sensi, la scienza, un sapere su cui facciamo grande affidamento, dice di seguire quella via. Secondo i più fu nell'Inghilterra del 1660, negli incontri della Royal Society di Londra, che la scienza acquisì la forma di indagine empirica che riconosciamo come nostra: una pratica sperimentale aperta e collaborativa, mediata da strumenti appositamente progettati e supportato da un discorso civile e critico che insiste sull'accuratezza e la replicabilità. Tuttavia, l'empirismo è stato reso popolare come concetto filosofico solo nella prima metà del 20esimo secolo da personaggi come AJ Ayer, Rudolf Carnap, Kurt Gödel, Karl Popper e Ludwig Wittgenstein. Da allora, prese varie forme e ci furono molti disaccordi sul suo reale significato. Emerse presto il fatto che l'empirismo è in un rapporto ambiguo con la pura razionalità. È facile riconoscere i limiti e i mille modi in cui l'esperienza umana ci inganna. Tuttavia, per chi ritiene che tutti gli input attendibili della cognizione umana siano di natura sensoriale, la cosa pone un problema. Il razionalismo puo' allora aiutare postulando che alcune proposizioni possano essere conosciute anche per intuizione e per deduzione. Ma l' intuizione ha una natura ambigua e non si puo' certo negare che in essa l'esperienza possa giocare un ruolo, il che riproporrebbe l'instabilità del fondamento. Tuttavia, affiancare l'intuizione ai sensi tradizionali riconcilia il buon senso con la scienza e offre un quadro filosofico promettente. Ecco allora che anche una buona parte dell'empirismo ha cominciato a sganciarsi dai puri sensi naturali.
Quando si tratta di questioni di spiritualità, un materialista respingerebbe tutti gli appelli all'esperienza soggettiva e al metafisico, l'unica causa plausibile sarebbe per lui di natura neurologica / biochimica. D'altro canto, non è quello che farebbe un empirista "intuizionista". E' difficile fare un discorso sulla spiritualità eludendo l'esperienza. In questi casi uno parla essenzialmente di sé, delle sue intuizioni, e alla fine resta il tribunale ultimo di tutta la vicenda. Anche se, sia chiaro, parliamo comunque di esperienze universali: la spiritualità può essere teistica, oppure no. Esempi di spiritualità teistica sono facili da trovare. Un esempio di approccio non teistico alla spiritualità si trova in Waking Up di Sam Harris, che sostiene l'uso della meditazione derivata dalle pratiche buddiste per raggiungere stati di coscienza alterati. Oppure ricordo gli incontri su Radio Tre con la spiritualità laica di Luigi Lombardi Vallauri. Forse con questi approcci alternativi si favorisce la conversazione sulla natura empirica dell'esperienza spirituale. I termini religione e spiritualità sono molto simili nel significato, ma quello del primo è più ristretto poiché confinato ad un contesto tradizionale o istituzionale. La spiritualità è qualcosa di più ampio, include anche chi cerca il sacro al di fuori di sistemi socialmente o culturalmente definiti. Ad esempio, la spiritualità di un individuo può includere sentimenti di devozione, ricordi di un'esperienza mistica, ribellione contro certe costrizioni, un senso di unità con tutta la vita senziente. Ci si volge al sacro in tutte le sue forme. Tuttavia, la religiosità, di solito, non è vista come incoerente o un ostacolo alla spiritualità. In effetti, la spiritualità è forse la funzione principale della religione: l' energia religiosa aiuta molte persone a integrare il sacro in modo più completo nei loro percorsi spirituali.
Ci sono ormai numerosi studi psicologici sull'esperienza spirituale. In genere si riconosce un valore probatorio alle esperienze religiose/spirituali, qualcosa che suggerisce l'esistenza di una realtà trascendente variamente vissuta. I sondaggi disponibili dicono che tra 1/3 e 1/2 della popolazione ha avuto una sorta di esperienza religiosa significativa. Tali esperienze sono correlate al genere, all'istruzione e alla classe sociale, essendo più comuni per le donne, per le persone con un'istruzione superiore e per quelli di classe superiore. In genere sono associate con la buona salute e con il benessere psicologico. Spesso non sono condivise con gli altri, forse è per questo che sono a torto ritenute non comuni. A causa della natura personale delle esperienze spirituali, la raccolta di dati sull'argomento viene spesso realizzata attraverso sondaggi, questionari e interviste. Si ritiene che l'accuratezza sia buona poiché i falsi positivi si bilanciano (i religiosi sbagliano affermando a cuor leggero di avere avuto esperienze spirituali, gli anti-religiosi sbagliano negando a cuor leggero di averne avute). L'innesco dell'esperienza include la preghiera e la meditazione, ma sempre di più anche l'uso di sostanze psicoattive. Visto che l'approccio per auto-segnalazione resta problematico si discute di altri tipi di misurazione, come quelle fisiologiche e comportamentali. Uno studio ha indicato che l'esperienza spirituale (leggendo il Salmo 23) sollecita i lobi frontale e parietale, mentre l'esperienza non religiosa della lettura del Salmo 23 sollecita l'amigdala. Sulla base di questi risultati c'è chi ha proposto che l'esperienza religiosa sia probabilmente un processo cognitivo che utilizza connessioni neurali stabilite tra i lobi frontale e parietale. Sia gli individui normali che quelli psicotici possono avere esperienze mistiche: i mistici psicotici presentano "resistenza e rigidità", al contrario del mistici normali esibiscono "apertura e fluidità". Quindi non è semplicemente l'esperienza mistica, ma le reazioni a tale esperienza a distinguere i mistici psicotici dai normali.
Alcuni psicologi evoluzionisti sostengono che l'esperienza religiosa è nata in quanto vantaggio adattivo: si spazia da una difesa contro la paura della morte a altre forme di conforto e riduzione dell'ansia. Ma anche, a livello di gruppo, la promozione della coesione e della solidarietà o la riduzione dei conflitti. Tuttavia, qui manca il consenso necessario, sono ancora molti a vedere queste manifestazioni come sotto-prodotti (sprandel) di altre funzioni. Ad esempio, un meccanismo utile per distinguere gli oggetti animati e inanimati nel mondo, può essere distorto per produrre animismo psicologico e antropomorfismo nei culti, come quando ci troviamo a maledire il nostro computer quando si blocca. Le teorie dello sprandel sono popolari tra gli scettici religiosi; alcuni hanno notato che in un mondo pericoloso sbagliarsi nel percepire una presenza intelligente ha conseguenze meno dannose rispetto a sbagliarsi nel non percepirle.
I neuropsicologi, tuttavia, indicano la presenza di una combinazione di "operatori cognitivi" nel cervello che darebbero origine alla religiosità umana. "Il termine" operatore cognitivo "si riferisce semplicemente ai meccanismi neurofisiologici che sono alla base di alcune grandi categorie di funzioni cognitive. Pertanto, questi operatori non esistono nel senso letterale, ma possono essere utili quando si considera la funzione cerebrale complessiva. Cio' che mi fa risalire dall'impronta al predatore, mi fa risalire dal mondo a Dio. L'operatore olistico permette alla realtà di essere vista come un tutto.
Ma l'esperienza religiosa è di una tale ricchezza che chi la studia seriamente mette in guardia da ogni riduzionismo: è pericoloso ridurre la ricchezza e la complessità dell'esperienza religiosa al proprio costrutto psicologico preferito. Occorre fare di tutto per evitare che l'esperienza religiosa venga ridotta a specifici processi psicologici. In un certo senso il processo è inevitabile nello studio scientifico. Tuttavia, il riduzionismo è spesso accompagnato da una perdita di informazioni, ad esempio culturali, sociali, familiari, affettive... Sebbene gli scienziati non possano confermare nessuna affermazione ontologica basata sull'esperienza mistica, possono costruire teorie compatibili con l'esistenza di tali realtà. C' è chi ha sostenuto che il tabù scientifico contro il soprannaturale può essere infranto, purché si possa dimostrare che le ipotesi sul soprannaturale abbiano conseguenze empiriche. Del resto persino la fisica postula l'esistenza di realtà inosservabili (bosone, positrone, elettrone...) ma che sono apprezzabili in virtù delle conseguenze empiriche che discendono dall'averle postulate. La fonte delle previsioni può infatti fare riferimento anche all'inosservabile e all'intangibile. D'altro canto i mistici basano la loro esperienza sullo stesso tipo di processi che utilizzano gli empiristi: l'esperienza diretta. Una persona autorevole è anche un mistico autorevole. Di conseguenza, l'esperienza mistica puo' essere autorevole anche per chi non l'ha vissuta. Certi scienziati sono spesso troppo frettolosi nel vantarsi di aver minato certe affermazioni mistiche. Se una persona credibile ci parla di una sua esperienza noi siamo tenuti a credergli fino a prova contraria, e questa prova contraria di solito non si trova mai nei dati a cui accede la scienza la quale, anzi, spesso conferma l'esistenza di una tale esperienza interiore.
I dibattiti sull'esistenza di Dio hanno spesso incluso l' "argomento dell'esperienza religiosa"; i sostenitori dell'esistenza citano le proprie esperienze e ne sottolineano l'universalità. Ma qui non mi interessa la natura teistica di queste esperienze, mi interessa solo sapere come si "percepisce Dio". Di certo la "percezione di Dio" offre un importante contributo alla credenza. Sono venuto a sapere che molte fedi si fondano sull'esperienza diretta e arrivano a Dio senza presupporlo. E' incredibile perché personalmente sento questa via molto lontano da me: mai e poi mai ho sentito Dio parlarmi.
In molti sostengono che gli individui dovrebbero scartare razionalmente la propria esperienza personale di natura mistica. Ma non vedo cosa ci sia di razionale in una simile mossa. La razionalità è individuale, non interessa il lato pubblico e persuasivo della faccenda. L'esperienza del divino è una prova che dovrebbe indurre lo sperimentatore razionale ad aggiornare le proprie convinzioni a favore di una maggiore probabilità che il divino esista. Perché no? Non esiste alcuna ragione filosofica per cui dobbiamo pensare che queste percezioni non abbiano un valore probatorio simile da altri tipi di percezioni. Spesso è dato per scontato che "l'esperienza religiosa" sia un fenomeno puramente soggettivo. Ma una simile posizione si puo' tranquillamente sfidare. Le esperienze religiose, infatti, condividono tutte una dimensione comune all'esperienza ordinaria; la percezione spirituale puo' essere paragonata alla percezione naturale. C'è anche chi sostiene che non non sorgano internamente e non sino soggettive nel loro inizio. La "consapevolezza diretta" di qualcosa - fisica o mistica - è indipendente dalle credenze, dal giudizio o dai concetti dell'oggetto della consapevolezza. Ciò è in generale in accordo con l'idea di "conoscenza" dei razionalisti come Russell o degli empiristi come Moore. Certo che se invece la percezione è mediata dalla credenza, allora coloro che credono in Dio potrebbero facilmente interpretare un evento non spirituale attraverso i loro presupposti spirituali. Ma anche se il resoconto di un individuo sulla fenomenologia della propria esperienza non è infallibile, deve certamente essere preso sul serio. Chi è in una posizione migliore per determinare se Marija sta vivendo una certa esperienza? Occorrono validi motivi per scavalcare la sua opinione! Di solito chi lo fa ha al più motivi filosofici.
La difesa filosofica del veggente sarebbe di questo tipo: 1) Una convinzione percettiva deriva dal fatto che si sta percependo un oggetto. 2) Questa convinzione deve formarsi principalmente da un'esperienza sensoriale/intuitiva. 3) Una convinzione percettiva non deve mai fondarsi su credenze a priori. 4) Se una credenza ha una base percettiva adeguata, allora è giustificata. Nel veggente 1, 2 e 3 sono soddisfatte? Allora ne discende 4).
E' inevitabile che ci siano delle credenza precedenti ma tali credenze non devono essere necessarie nella formazione della credenza percettiva. Se Dio mi appare come amore, allora ciò contribuirà a giustificare la convinzione che Dio è amore; se questa percezione è l'unica causa della mia credenza, allora la mia credenza è prima facie giustificata.
Per alcune persone, le esperienze avute in coma sono una forma avvincente di esperienza spirituale che può alterare la vita di chi le prova. C'è chi in quello stato crede di aver incontrato Dio, gli angeli o altri esseri spirituali. In alcuni casi estremi, alcuni hanno affermato di aver ricevuto informazioni che sarebbero obiettivamente confermabili da altri. Alcuni di coloro che hanno avuto esperienze simili hanno scritto libri popolari raccontandole e discutendole. Sebbene i contenuti e le interpretazioni siano diverse, le esperienze pre-morte sono comuni nel mondo moderno. Tra coloro che si avvicinano alla morte, la percentuale di chi ha esperienze va dal 35 al 45%. E ci sono molti punti in comune, le somiglianze sono più sorprendenti delle differenze. Tali esperienze non sono sempre conformi ai desideri o alle aspettative preesistenti dell'individuo, non sono cioè confortanti fantasie. Un altro argomento a supporto dell'autenticità sono i loro effetti duraturi e trasformativi. Età, sesso, razza, residenza, istruzione, occupazione, educazione religiosa, presenza in chiesa, conoscenza scientifica di questi processi, sono tutte variabili con effetti trascurabili sulla probabilità della visione. Le vittime di suicidio in cerca di annientamento, i fondamentalisti che si aspettano di vedere Dio sul tavolo operatorio, gli atei, gli agnostici e i sostenitori del carpe diem trovano un'equa rappresentazione nei ranghi di chi ha avuto esperienze di pre-morte. E le loro risposte alle domande del sondaggio mostrano che, nonostante tutte le implicazioni religiose dell'esperienza di pre-morte, le credenze di una persona su Dio non determina il contenuto delle visioni. Tuttavia, vi sono forti obiezioni nel vedere le esperienze pre-morte come spirituali, si tratta di esperienze che per definizione si verificano in momenti di grande danno e stress, in un momento di funzionamento anomalo del corpo, questo induce a considerarle come effetti collaterali del danno subito, mere allucinazioni del sistema nervoso. Un'altra obiezione suggerisce che la privazione sensoriale porta all'esperienza pre-morte, ciò spiegherebbe i punti in comune di queste esperienze. Un'altra critica al carattere spirituale è il concetto secondo cui la psicologia umana tenterà sempre di negare la morte; la mente ricorrerà a qualsiasi stratagemma per fuggire la prospettiva del proprio annientamento.
Tuttavia, per ogni singola obiezione si possono portare casi non ricompresi, i ricercatori citano statistiche che mostrano una relazione inversa tra esperienza pre-morte e condizioni patologiche che alterano la mente. Ad esempio, l'esperienza pre-morte sembra inibita dagli effetti di droghe e anestetici. Per questo motivo, sembra improbabile che i farmaci siano responsabili dell'insorgenza di alcunché. Sostenuti dalla testimonianza collettiva di centinaia di soggetti, i ricercatori mettono a confronto la felicità e la lucida qualità dell'esperienza di pre-morte con la confusione, l'ansia e le distorsioni percettive che accompagnano i disturbi più vari, ma senza rintracciare correlazioni importanti. Chi insiste su cause indotte non si arrende e ne cita diverse tutte plausibili, tuttavia, se ci fossero diverse cause alla base delle visioni, perché la loro natura è così coerente? In altre parole, diversi processi biochimici non produrrebbero diversi tipi di esperienze? Se la coerenza è una componente sorprendente delle esperienze per-morte, sembra improbabile che ci sia una mancanza di coerenza nelle loro origini. E poi è giusto stare in guardia contro una visione troppo riduzionista quando un simile trattamento non viene riservato all'esperienza comune: dopo tutto, non solo le visioni straordinarie ma anche i normali stati di coscienza sono collegati ad eventi elettrici e chimici nel cervello. Rendere la testimonianza di pre-morte un'arena per mettere in scena vecchie battaglie filosofiche o teologiche non giova, è più fruttuoso considerare le visioni pre-morte come minimo come il frutto di un'immaginazione religiosa. Anche chi non crede a una realtà spirituale oggettiva è meglio che pensi questi fatti come se avessero comunque un significato personale e culturale.
L'uso di sostanze psicoattive è fonte di marcate esperienze spirituali e mistiche. Studiare questi casi aiuta poiché sappiamo tutto di cio' che sta all'origine. Le tradizioni religiose hanno posizioni ambivalenti sui danni e i benefici del loro impiego, ad ogni modo è sorprendente il fatto che sembrino offrire in modo tanto affidabile la garanzia di "viaggi" spirituali che la maggior parte dei soggetti considera significativi, sebbene il contenuto di queste esperienze vari enormemente. C'è chi testimonia un dissolvimento del "senso di sé", un'unione a forze soprannaturali, una consapevolezza "vasta, benevola, eterna, pacifica..." che sembra più reale della realtà di tutti i giorni. L'esperienza mistica farmacologica, a quanto pare, ha molte più somiglianze che differenze rispetto all'esperienza mistica non farmacologica; inoltre, un numero incredibile di atei che l'hanno provata si sono successivamente convertiti. Sembra che la sostanze psichedeliche siano la più efficace fonte di conversione! In genere si ha la sensazione di comunicare con qualcosa che possiede gli attributi di un essere cosciente, benevolo, intelligente, sacro, eterno e onnisciente. Chi la prova ne parla come di un'esperienza mistica completa, nonché come una delle cose più importanti della propria vita
Il Venerdì Santo del 1962, un ricercatore (Walter Pahnke) somministrò la psilocibina ad alcuni volontari tra gli studenti di teologia poco prima della Messa, non ricordo più dove ma su Wiki c'è tutto. I risultati furono eclatanti: quasi tutti i soggetti hanno riferito di esperienze profonde che hanno continuato a considerare significative per il resto della loro vita (come confermato dal follow-up decenni dopo). Alcuni hanno descritto l'esperienza come la più potente esperienza spirituale della loro vita, il che è degno di nota perché erano generalmente già credenti che si apprestavano ad intraprendere carriere religiose legate alla loro fede cristiana. I volontari hanno chiaramente capito che gli veniva somministrato un farmaco, ma la cosa non sembrava ridurre l'importanza spirituale attribuita successivamente alla loro esperienza. Un partecipante disse che la sua attenzione si fissò su particolari caratteristiche melodiche e liriche di un inno cantato durante il servizio, sia la sua formazione musicale che l'educazione cristiana sono confluite in quella concentrazione così particolare indotta dalla psilocibina: una progressione musicale di routine veniva trasformata nel più potente ritorno a casa cosmico mai sperimentato. L'esperimento, sempre secondo questo soggetto, "... ha ampliato la mia comprensione di Dio offrendomi l'unica potente esperienza che abbia mai avuto... da sempre credevo che Dio è amore e che nessuna sfumatura dell'amore poteva essere assente dalla sua infinita natura; ma che Dio mi amasse così direttamente non lo avevo mai provato in vita mia... è una modalità di fede che non mi era mai venuta naturale..."
Sam Harris avverte che se esperienze spirituali potenti e importanti possono essere indotte da psicofarmaci dovremmo essere cauti nel prenderle come prove per specifiche affermazioni metafisiche e dottrinali. Cosa significa un'esperienza spirituale? Se sei un cristiano potrebbe significare che Gesù Cristo è sopravvissuto alla sua morte sacrificandosi per te. Se sei un indù ti racconterai una storia completamente diversa. Per Harris questa diversità mina ogni pretesa metafisica specifica, mentre per altri è un incoraggiamento a rintracciare elementi comuni nelle diverse tradizioni di ricerca della verità.
I Misteri Eleusini erano un'antica tradizione greca praticata per migliaia di anni in relazione al culto della dea Demetra e alla storia della discesa agli inferi di sua figlia Persefone. Le cerimonie associate potevano essere praticate solo in un sito specifico vicino alla città di Eleusi. I partecipanti dovevano ricevere una formazione specifica per essere ammessi, occorreva giurare anche di mantenere taluni segreti legati ai riti. Sebbene tornassero poi alla loro vita normale, praticamente tutti prendevano il voto estremamente sul serio, quindi oggi sappiamo ben poco di quello che succedeva esattamente a Eleusi. Molti alludevano a qualche tipo di contatto con la divinità durante l'iniziazione, e alcuni hanno affermato di non aver più paura della morte. I Misteri hanno smesso di essere celebrati con l'ascesa del cristianesimo e nessuno li ha più sperimentati per più di un millennio e mezzo. Ma cosa succedeva durante quel culto? Un fatto interessante è che a tutti gli iniziati veniva data una bevanda chiamata kykeon, la ricetta è andata perduta a causa proprio del voto al silenzio, ma ci si è spesso chiesti come le persone potessero esserne così influenzate. Negli anni '60, due eminenti studiosi pubblicarono un libro sostenendo che il Kykeon conteneva sostanze derivate dal fungo ergot. Pubblicarono successivamente numerosi altri libri sostenendo che le religioni di tutto il mondo usavano tradizionalmente sostanze psicoattive per facilitare l'esperienza del divino e che le dottrine religiose, le narrazioni e i rituali sono spesso, almeno inizialmente, basati sulla droga. Ma è interessante notare che gli studiosi che sostengono l'impiego di droghe degli iniziati eleusini non intendono sfatare l'autenticità del misticismo sottostante. Questa è una stranezza per molti scettici.
C'è infine il problema del sogno. Il sogno è un'esperienza umana universale che ci rende scettici sull' esperienza, questo perché i sogni di solito ci sembrano così reali e così importanti. Tuttavia, la cultura occidentale moderna dà per scontato che i sogni non siano veritieri, e che al massimo potrebbero rivelare o rafforzare qualche ricordo. La nostra rappresentazione neuropsicologica del sogno li interpreta come uno sforzi istintivo del cervello per dare un senso al "rumore" casuale, ma si tratta di un'interpretazione molto originale rispetto alla tradizione, in passato veniva regolarmente associato a eventi esterni. Ma tutte le culture hanno dovuto fare i conti con l'effimero dei sogni e il modo in cui il loro contenuto è nella migliore delle ipotesi inaffidabile. Molte esperienze spirituali potrebbero essere sospettate di avere origine in sogni. Oppure, i sogni forniscono semplicemente un'analogia che mostra che le nostre menti sono talvolta in grado di produrre esperienze che sembrano autentiche e importanti. Un contro-argomento è che non dovremmo dubitare delle nostre esperienze semplicemente perché a volte ci sbagliamo nel valutarle, come nel caso dei sogni. Altrimenti, cadremmo nello scetticismo radicale su tutta la nostra conoscenza ed esperienza. Ad esempio, Descartes usa l'esperienza del risveglio da un sogno in cui aveva creduto mentre è durato come una pietra miliare della sua motivazione per impegnarsi a dubitare di tutto. Il filosofo cinese Zhuang Zhou afferma di non sapere se era un uomo che sognava di essere una farfalla o una farfalla che sognava di essere un uomo. Nel film Inception ci sono persone che, abituate all'esperienza del "risveglio" all'interno di un sogno, non sono sicure di quante volte devono ancora svegliarsi per tornare alla realtà del risveglio.
Alla fine di questo viaggio non ci resta che adottare un atteggiamento di grande umiltà verso questi fenomeni: lo scettico dovrebbe andarci con i piedi di piombo prima di "negare", ma anche il credente deve essere prudente: supponiamo che Dio parli agli uomini, la sua comunicazione potrebbe non essere sempre compresa. In questo senso potrebbe essere utile riflettere sulla storiella dei ciechi e dell'elefante: un certo numero di ciechi si imbatté in un elefante e tutti cominciarono a toccarlo nel tentativo di descriverlo. Il disaccordo imperava perché chi palpava il fianco diceva che era come un muro, mentre un altro palpava la proboscide e lo descriveva come un serpente, un terzo alle prese con le zampe lo vedeva come una colonna. Eccetera, eccetera, eccetera. Che morale trarne? Qui ci si divide perché c'è chi vede ogni cieco credere erroneamente nella verità esclusiva della propria dottrina professata a priori. Tuttavia, altri concludono che le differenze radicali nella percezione non provano affatto l'inesistenza dell'elefante. Le persone soggette ad esperienze spirituali potrebbero vedere qualcosa di reale, ma la loro descrizione potrebbe non essere completa. Anche se siamo tentati di accantonare i resoconti spirituali a causa delle loro incoerenze, non dovremmo scartarli completamente perché potrebbero mantenere comunque un valore probatorio, sebbene in un modo più limitato o complicato di quanto gli autori di chi li fornisce credano.