Nella società dei “sensibili appagati”, trionfa l’ossessione del diritto acquisito e la sindrome NIMBY. Nel saggio POLITICAL STAGNATION, THE DWINDLING OF TRUE DEMOCRACY, AND ALEXIS DE TOCQUEVILLE AS PROPHET OF OUR TIME, Tyler Cowen preannuncia una paralisi delle società americana. Da noi questa malattia sembra persino in uno stadio più avanzato. Dai miei appunti propongo alcuni temi su cui riflettere.
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Ovunque nel mondo avanzano i movimenti anti-establishment. Esprimono un malcontento diffuso, anche se poco chiaro.
I messaggio veicolato dai “vaffanculisti”: non una speranza per il futuro ma un malcelato desiderio di ritorno al passato. Il passato dei “papi” che avevano l’aumento di stipendio a scadenze regolari.
La stasi anelata e temuta attanaglia molti governi. C’è paura di muoversi, ogni iniziative incontra critiche salaci.
Guardiamo ai bilanci dei paesi più avanzati, cosa ci dicono? Sempre più spesa concentrata in sanità e pensioni. Il sogno dei più è un futuro da convalescenti messi a riposo.
Ma l’ “appagato sensibile” non vuole pensare ai suoi (piccoli) problemi, desidera distrarsi, ed ecco allora le generosesovvenzioni alla cultura e alle arti.
Ma c’è di più: quasi tutta la spesa in bilancio è ipotecata da opzioni del passato. Un governo che entra in carica ha ben poca “spesa discrezionale” per realizzare i suoi mirabolanti progetti della campagna elettorale di cui è reduce. Nei conti pubblici si viaggia ormai con il pilota automatico.
Lo “Steuerle-Roeper Fiscal Democracy Index” misura l’entità della spesa bloccata nelle democrazie moderne. Ha assunto valori sconosciuti in passato. Spesa bloccata, stati bloccati. La politica del governo attuale dipende in gran parte dalle decisioni prese dai governi di 20 anni prima o di più. Ogni euro che entra nelle nostre casse oggi ha già per il 90% una destinazione vincolata. I diritti acquisiti la fanno da padrone. La mancata spesa discrezionale è forse il malfunzionamento più preoccupante delle nostre democrazie.
E, considerato l’alto debito pubblico, una volta che gli interessi cresceranno andrà ancora peggio.
Cosa significa tutto cio’? Significa nuovi progetti tarpati sul nascere, nuove idee affossate fin da subito. Il basso livello di democrazia fiscale (spesa scelta democraticamente) è un segnale di stasi, di mancanza di investimenti e disinteresse per il futuro.
I privilegiati da questo blocco sono gli “appagati sensibili”, tutti anelano a rientrare nel novero (pensionati, impiegati pubblici, titolari di rendite…).
Eppure, ironia della sorte, sono proprio loro i più accesi contestatori delle status quo, sono loro che invocano una sempre maggiore spesa discrezionale. Chi è sotto ed arranca non ha tempo di esprimere il suo malcontento. Occorre la noia per essere veramente tristi.
In genere le democrazia fanno la cosa giusta arrivandoci per tentativi. Ricordate l’adagio di Churchill?: “…puoi sempre contare sull’ America, farà senz’altro la cosa giusta, dopo aver provato tutte le altre…”. Bè, con la spesa bloccata ci sono ben pochi “tentativi” da esperire.
Le democrazie occidentali viaggiano con il pilota automatico ripetendo anno dopo anno le stesse politiche con variazioni minime. L’ossessioni per le garanzie e i diritti acquisiti ci ha condotto in questo stagno.
Un altro indicatore della stasi: la quota di spesa pubblica sul PIL.
L’occidente è preda di un’ossessione sicurezza, questo si riflette su spese pubbliche estese. Che poi gli USA siano l’eccezione, anche questa è una convinzione da sfatare.
Il governo USA spende per la salute degli americani più di quanto spenda il governo francese. E parlo di spesa pro capite.
Se uno prende la spesa sociale governativa, la quota USA è inferiore a quella delle democrazie europee, fin qui la narrazione fila. In testa ci sono Francia, Belgio, Danimarca e Finlandia.
Ma ecco la sorpresa: se uno guarda alle “tax expenditures” (deduzioni fiscali per la spesa sociale) la fotografia cambia radicalmente e si scopre che gli USA non spendono meno dei paesi europei.
Gli USA hanno una notevole spesa sociale indiretta finanziata da sgravi fiscali. Anche se la spesa sociale diretta è bassa, la spesa sociale finanziata dalle deduzioni è molto elevata (la seconda nei paesi OCSE).
Tradotto: negli USA come altrove si diffonde un’ossessione per le reti di sicurezza.
Altro segno di stasi (almeno negli USA): i politici vengonosempre rieletti. La probabilità di rielezione sfiora il 90%.
L’elettore è sempre “negativo” e le elezioni solo un’occasione per accusare qualcuno. Il voto ha assunto una connotazione punitiva più che di speranza. La luna di miele dei nuovi governi dura poco, il supporto scema rapidamente.
L’oggetto del dibattito durante le elezioni: chi rottamiamoquesta volta?
Non si vedono alternative. In questo panorama desolante l’elettore resta fedele alla sua parrocchia e preferisce crepare lì dentro.
L’idea base delle scienze politiche negli anni 50: le elezioni sono una battaglia per la conquista dell’ “elettore mediano”.
Oggi cambiamenti al margine non sono più prodotti dall’umore dell’elettore mediano, quanto piuttosto dallelobbies, dalle relazioni con i media, da manovre politiche…
La realtà delle democrazie contemporanee era già stata intuita da Alexis de Tocqueville nel suo viaggio in America: è molto difficile mantenere lo spirito democratico.
Tocqueville dipingeva l’ America del tempo un paese in moto perpetuo. La democrazia funzionava perché ossigenata dal dinamismo.
La molla del dinamismo americano era il costante confronto con gli inglesi.
Tocqueville rimase impressionato della mobilità fisica degli americani: ogni persona cambiava casa decine di volte nella sua vita. Spesso erano cambi radicali.
Ma Tocqueville era comunque preoccupato: poteva durare a lungo un simile dinamismo? Senza questo coacervo di speranze da inseguire la democrazia sarebbe appassita.
Tocqueville: con l’appagamento subentrerà anche la stagnazione e la morte della democrazia.
La democrazia non è morta ma la stasi di questi anni è una quasi-morte. Vi siete accorti quanto tempo passiamo sui social anziché a inseguire il nostro sogno?
Tocqueville vedeva nel panteismo l’origine dei guai della democrazia. Il panteismo promuove l’idea di una fusione tra uomo e natura e quindi l’indebolimento di un Dio trascendente.
L’uomo panteistico non ha più un ideale da raggiungere, un Dio distante da avvicinare.
C’è invece una ricerca di unità, di compattezza, di sicurezza. La tensione verso l’impresa è sostituita da un appagamento che ci rende eccessivamente sensibili ad ogni inconveniente.
Forse il termine panteismo non è utilizzato da Tocqueville nel modo più pertinente ma le intuizioni che veicola sono degne di essere considerate.
Chiudersi in casa una settimana di fila, informarsi via internet, intervenire sui social, guardare Netflix in streaming con Just Eat che ti porta il pranzo a casa… non si puo’ dire che siamo alla ricerca della gloria.
Eppure, l’appagamento non è l’esito scontato di questo processo: potremmo impiegare il nostro tempo libero a progettare una start up che renderà il mondo un posto migliore. Ma non lo facciamo…
La predizione di Tocqueville si è rivelata sbagliata ma puo’ essere facilmente riabilitata: la democrazia non è morta ma si è trasformata in un pozzo stagnante.
E la “tirannia democratica”, altro cavallo di battaglia di Tocqueville? Direi che è tra noi nelle forme della tirannia di conformismo e mediocrità.
Molti considerano la Brexit un esempio della fragilità delle democrazie contemporanee. Un paese con PIL in crescita e il 5% dei disoccupati che manifesta una rabbia sorprendente.
La fragilità democratica è segnalata anche dal fatto che molte realtà importanti sullo scacchiere internazionali non sono democratiche. La Cina non lo è, la UE non lo è, gli USA hanno molti limiti… Alla fine oggi la democrazia prospera solo in Sudamerica: Messico, Brasile, Colombia, Perù e altre realtà politiche della zona.
La UE è una democrazia solo formale. Più che altro è una tecnocrazia. La Troika entra in campo nelle situazioni più difficili e la BCE fa da dominus.
Laddove la democrazia si manifesta in modo genuino crea scompiglio. Due esempi recenti: Scozia e Catalogna.
Ma come guardano gli altri (tipo i cinesi) le nostre democrazie? Invidiano le libertà ma considerano i nostri governi inadatti, inaffidabili, statici e inconclusivi.