mercoledì 27 luglio 2011

Il testimone

Dario Fo – Mistero buffo

Puntuale, prima di ogni scenetta, ci piomba addosso un prologo didascalico imperniato su lacunose ricostruzioni storiche; lo si ascolta sempre dubitando se lo spettacolo debba considerarsi iniziato, se siamo dentro o fuori la giullarata.

Forse siamo proprio nel bel mezzo, visto che l’ artista ci tratta come tanti scolaretti in fila per due da redarguire e indottrinare, trattamento che ha del verosimile solo a patto di sostituire la pedana della cattedra con quella ancor più elevata del palcoscenico.

Poi, finalmente, entrati nel vivo la musica cambia.

Si parte subito con il piede giusto evitando di mitigare alcune scomode verità: in un mondo razzista i bambini sono i più razzisti, in un mondo egoista l’ oppresso è il più egoista. La simpatia per il popolo minuto non attenua la sua somma sgradevolezza.

Chi supera lo straccione quanto ad inclinazione reazionaria?; è schifato alla sola idea di iscriversi a un club che accogliesse gente che sguazza nel fango come lui.

This monster art project  mostri di plastica

Dovendo scegliersi un Salvatore lo pretende di classe superiore… un aristocratico, un re, un re dei re annunciato da trombe argentate.

Alla fine, posto di fronte al Salvatore reale, non si sofferma sull’ umiltà, nota piuttosto la sua eleganza nel vestire e nei modi, il suo fascino e la sua capacità di stare a proprio agio tra i dignitari della città.

Per non parlare della Madonna “… proprio una gran bèla dona…”.

A lui, a Gesù, più che la vita eterna si sollecita il sollazzo del vino (Cana) e i giochi di prestigio (Lazzaro).

Il primitivismo richiede un Dio biblico: geloso, desiderante, generoso, eccessivo.

Inseguito da questa richiesta Fo plasma il suo pezzo forte, un Gesù bambino che è un dio biblico in miniatura stracolmo di paure e voglie. Voglia di giocare, di imparare, di provare, di comandare, di integrarsi… Voglie sempre al confine con il capriccio.

Anche dalla Croce sembra pendere un Gesù Bambino che chiama mammà tra i lacrimotti (… oh mama… mama… indùa at sètt, mama… ol végn scur… hàit frèc, mama… mama…).

La curiosità impertinente fa di questo bimbetto emigrato sulla terra (“terùn”) il protagonista ideale che si aggira in un mondo tutto da scoprire.

E i Misteri sono tanti, c’ è quello doloroso, quello gaudioso e quello glorioso. Ma fuori scena si tiene tutti i giorni un mistero particolare, quello buffo.

E’ un mistero fatto di normalità feriale: di pialle, di seghe, di prezzi, di contrattazioni. Piacerebbe all’ Opus Dei.

Per penetrarlo bisogna frequentare gli interstizi e chiedersi a cosa attende il signor Gesù quando non fa miracoli, quando non impartisce insegnamenti, quando non pronuncia profezie, quando non racconta parabole.

Cosa fa quando esce dalle quinte dei Vangeli canonici?

E la Madonna?

Forse fa quello che fa una mamma qualsiasi: passa mentre va a far la spesa.

Vive il dramma di una mamma qualsiasi che passando casualmente per la via nota con crescente terrore che è proprio suo figlio il tale coinvolto nell' incidente in fondo alla strada (ma quello a terra è il suo motorino!), un tuffo al cuore la paralizza.

E così pure la Madonna, quando scorge che quel tale insultato sotto il legno del supplizio è il suo bambino, precipita negli abissi di un Mistero Doloroso.

Ma un attimo prima in cosa era impegnata? Forse stava spettegolando sui prezzi del mercato con le tre Marie. Era in pieno Mistero buffo.

Il cozzo tra i due Misteri fa scattare una scintilla che illumina le lettere prealpine.

In quel preciso istante il testimone passa dalle mani di Dario Fo a quelle di Giovanni Testori.

Quest’ artista ideale che contende a si passa la palla dobbiamo proprio immaginarcelo come una sola persona con il corpaccione a Sangiano e la crapa a Novate, avrebbe meritato un Nobel all’ anno ed è il parto più notevole della letteratura tra Milano e Lugano.

Dallo sghignazzo scompisciato si passerà così all’ immattimento esistenziale illustrando così la vicenda umana in tutte le sue apparentemente incompatibili sfumature.

A unire i due è innanzitutto il linguaggio; un linguaggio faticoso che entrambi estraggono da un brodo primordiale perturbato da gorgoglii e sfiati (bergamaschi?).

Ai loro protagonisti è successo qualcosa che li spinge ad articolare cio’ che fino a prima era solo un ribollire indistinto.

Non si puo’ più tacere, bisogna farsi capire! Abbiamo assistito a cose straordinarie e ora dobbiamo testimoniare. Noi, i muti, dobbiamo testimoniare.

Come fare?

Tentando, imitando, inventando, iterando, rabberciando, improvvisando, ritentando. Con le labbra, con la lingua, con la glottide, con le viscere, sbracciando, sputando…

Armati di pleonasmi e ridondanze in qualche modo forgeremo una lingua passe-partotut nuova di zecca, senza regole e che, periclitante, stia in piedi solo grazie al venire incontro dell’ orecchio altrui.

***

Cio’ che disturba in Fo è come risolve goffamente il dilemma canonico in cui s’ imbatte chi imbocca la strada da lui scelta: il giullare è un folle-libero-pensatore o un tipo grottesco e inattendibile schiavo dei sue pensate bislacche?

Qui lo sciagurato Fo perde la necessaria ambiguità, il suo braccio si accorcia e non arriva a consegnare il testimone a Testori: vuole fortemente la prima soluzione spingendo fuori dalla porta la seconda che, a quel punto, solo nei momenti migliori e di straforo rientra felicemente dalla finestra.

Come nel testoriano episodio de “La strage degli innocenti”, con quella mamma obnubilata a cui hanno appena scannato il pargoletto.

In compagnia dei soldati assistiamo pietrificati al suo impazzimento (… chi l’ è? l’ è vuna che ol s’ è ruersà ol cerveèl par ol dulur che gh’ èm cupàt ol fiolìn…)

La sua è una follia-rifugio, l’ opposto della follia erasmiana; una follia da cui promana impotenza, non saggezza; che non disvela strategie ma l’ abisso di un cuore; non istiga all’ azione ma alla pietà.

La rincontreremo calma e intenerita con un fagottino, c’ è qualcosa che lì dentro lo scialle ancora insanguinato: ha tra le braccia un agnello (péguritt… agnus dei). Un presentimento ci ghiaccia mentre assistiamo a quella gioia demente.

Deambulando senza meta, con l’ alibi della follia, bestemmiava il Padreterno per la disgrazia che le aveva mandato, finché, passando davanti l’ ovile, nella sua allucinazione, ha sentito il pianto del suo bimbo…

[… de bòt… me son sentìda ciamàr del me fiolìn… ho voltà i ogi e dènter a l’ uvìl, in mèz ai pegurì, ho descoverto ol me bambìn che ol piagnéva! Me ciamava bèèèèè, bèèèèè ‘me ‘na pegura… a l’ era el me fiolìn… ma cossa ghe faseva el me fiolìn tra i péguri?! A l’ era lì a gatoni… l’ hait catàt in brazi… l’ ho stringiùo… l’ ho basàt e ho scomensà a piàgnere de consulaziùn… at te domandi perdono Segnùr misericordiùs par sti bruti paròli che t’ hait criàt, che mi non le penzava miga… l’ è stai ol diavul… che ti te set tanto buono che me t’ hait salvà ol fiòl de mi…]

In un crescendo schizofrenico ascoltiamo questo strano giullare in gonnella raccontare tra le strizzatine d’ occhio di come ha beffato i soldati e salvato la prole zoccoluta che ora coccola senza sosta.

La disgraziata spinge per stare al fianco della sciùra Madonna in qualità di unica mamma con il bambinello scampato.

La sentiamo lodare la sua gioia (varda chil’ ha già mess su duu dencitt).

Qui si respira il grande teatro, viene in mente il Cristo eroinomane che crepa nel suo vomito barricato in un cesso della Centrale (In exitu).

Noi non siamo certo divertiti dalla stramberia, ma nemmeno ci sentiamo ammaestrati e istruiti.

L’ effetto che fanno queste scene quando arrivano è quello di mettere addosso una strana voglia di amare.

Una voglia volatile, s’ intende, destinata a sgabbiare non appena nella calca all’ uscita da teatro un cretino ci pesterà il piede calloso. Ma intanto possiamo testimoniare (a noi stessi) che esiste, che vale la pena di provarla una o due volte l’ anno e che in questo caso vale, oltre al prezzo del biglietto, un applauso spaccapalme.

p.s. l’ ormai “mitico” primo miracolo di Gesù Bambino parte all’ altezza di 1:12:40

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=hiz5MFRZtVM]

martedì 26 luglio 2011

1!

IMG_3280

Buon compleanno piccolina.


Brevi manu

Tre dritte a cui attenersi quando si dona:
1. date solo denaro;
2. date solo a chi non se l’ aspetta;
3. date senza vincolare il beneficiario.
So cosa vi frena: le poor choices.
Ma non preoccupatevi oltremodo, spesso il problema è sottovalutato (i rimedi sono fatica sprecata) o sottovalutato (i poveri non sono scemi come li fate voi). In entrambi i casi la strategia proposta resta vincente.
111
Comunque, chi la sposa puo’ rivolgersi a GiveDirectly (costi di transazione inferiori al 10% e scelte casuali).
GiveDirectly intentionally provides unconditional, rather than conditional, cash transfers. We do this for three reasons. First, empowering the poor to make their own decisions advances our core value of respect. Second, it lets recipients purchase the things they need most, enhancing impact. Third, imposing conditions on the use of funds requires that costly monitoring and enforcement structures be put in place. One detailed estimate put the administrative costs of a conditional cash transfer scheme at 63% of the transfers made over the first three years of the program (Caldes & Maluccio 2005)

lunedì 25 luglio 2011

Perché la donna del XIX secolo era più libera.

#caplan  gilded age amish

Solo due avvertenze prima di leggere.
Primo: attenzione a distinguere ricchezza e libertà: un morto di fame paralizzato puo’ essere libero quanto un re assiso in trono.
Secondo: sarebbe assurdo dire che una libellula è più libera di una persona per il fatto di avere le ali. Natura e libertà non sono la stessa cosa. La natura ci condiziona senza limitare la nostra libertà.
Ad ogni modo, non so se Bryan Caplan riesca nel suo intento, di sicuro riesce a desacralizzare un concetto come quello di libertà. Operazione necessaria per intavolare un discorso rigoroso.
13_national4
Women are more than half the population.  If they're freer today than they were in the Gilded Age, we can truly say that most people in America are freer today than they were before the rise of the welfare state.  On reflection, though, this is a very big if.
Without a doubt, women lived much harder lives in 1880 than they do today.  So did men.  In those days, almost everyone endured long hours of back-breaking toil.  But of course the standard libertarian take on this is that while freedom causes prosperity in the long-run, prosperity and freedom aren't the same.
In what ways, then, were American women in 1880 less free than men?  Most non-libertarians will naturally answer that women couldn't vote.  But from a libertarian point of view, voting is at most instrumentally valuable.  Will Wilkinson seems aware of this when
he writes:
[W]omen in 1880 had almost no meaningful rights to political participation, ensuring that they were unable to demand recognition and protection of their basic liberty rights through the political system.
Yet the fact that women were unable to vote in defense of their "basic liberty rights" doesn't show that American political system denied them these rights.  Did it?  The main example that Will and others put forward is coverture.  Wikipedia's summary:
Under traditional English common law an adult unmarried woman was considered to have the legal status of feme sole, while a married woman had the status of feme covert...
A feme sole had the right to own property and make contracts in her own name. A feme covert was not recognized as having legal rights and obligations distinct from those of her husband in most respects. Instead, through marriage a woman's existence was incorporated into that of her husband, so that she had very few recognized individual rights of her own.
As it has been pithily expressed, husband and wife were one person as far as the law was concerned, and that person was the husband. A married woman could not own property, sign legal documents or enter into a contract, obtain an education against her husband's wishes, or keep a salary for herself. If a wife was permitted to work, under the laws of coverture she was required to relinquish her wages to her husband. In certain cases, a woman did not have individual legal liability for her misdeeds, since it was legally assumed that she was acting under the orders of her husband, and generally a husband and wife were not allowed to testify either for or against each other. Judges and lawyers referred to the overall principle as "coverture".
I'll admit that coverture doesn't sound like a very libertarian doctrine.  On reflection, however, matters are much more complicated than they seem.
1. Marriage was still voluntary.  From a libertarian standpoint, coverture would only have been a serious problem if parties were not legally allowed to write alternative marital agreements.  As far as I can tell, such alternatives
were legal:
One exception to the feme covert rule was in the instance of a prenuptial contract. All colonies accepted these contracts, but few couples signed them. Sometimes, parents of wealthy daughters insisted on a contract to keep family property in a trust for their daughter and her heirs (daughters had no control over trusted property, however). Widows often drew up prenuptial contracts before marrying again, but they had to obtain their new husband's consent in order to keep the property inherited from their first marriage through a contract.
2. Still, wasn't coverture a blatant attempt to "nudge" people in a patriarchal direction?  Maybe, but as Sunstein and Thaler often point out, there's got to be some default contract. The most libertarian option, of course, is separation of state and marriage, leaving the defaults up to private parties.  But the next most libertarian alternative, I think, is to defer to common definitions.  If by "marriage" most people mean "monogamous marriage," it's reasonable for monogamy to be the default rule.  If by "marriage" most people mean "a marriage where the wife needs her husband's permission to work," it's reasonable for that to be the default rule.
But did coverture capture how couples in the Gilded Age defined marriage?  I'm not sure, but it's actually pretty plausible.  Example: At the time, almost all married women kept house and raised children.  When a couple decided to marry, this sexual division of labor was probably what both of them had in mind.  For a women to work outside the home against her husband's will was probably almost as contrary to their mutual expectations as adultery.
3.  While it's tempting to dismiss pre-modern legal doctrines as blind sexism, it's often unfair.  As the economics of the family teaches us,
the traditional family made a lot of sense in traditional times.  In economies with primitive technology and big families, it makes perfect sense for men to specialize in strength-intensive market labor and women to specialize in housework and childcare - and for default rules to reflect this economic logic.
4.  Even if you think you can condemn coverture on libertarian grounds, the letter of the law rarely makes a difference in marriage.  In modern marriages, spouses can't legally "forbid" each other to take a job, but as a practical matter they still need each others' permission.  Husbands aren't legally required to hand over their earnings to their wives, but if a guy suddenly stops depositing his paycheck in their joint checking account, he can't avoid dire consequences by protesting, "I'm within my legal rights!"  Coverture might have made a difference in a few marriages - especially in the upper classes.  But it's hard to see how this legal doctrine could have done much to restrict 19th-century women's freedom.
I know that my qualified defense of coverture isn't going to make libertarians more popular with modern audiences.  Still, truth comes first.  Women of the Gilded Age were very poor compared to women today.  But from a libertarian standpoint, they were freer than they are on Sex and the City.

sabato 23 luglio 2011

Libertarianism A-Z: responsabilità civile

Ogni produttore è responsabile per il prodotto che fornisce: questo principio universale elimina tonnellate di regolamentazione specifica (politicizzata) premiando le imprese responsabili. Evita l’ assunzione di burocrati e evita anche di mandare falsi segnali di sicurezza: caveat emptor!

Ma c’ è di più: nelle materie complicate i principi sono da preferire alle regole. consegnando la discussione alla giurisprudenza e alle consuetudini emerge una rule of law naturale.

Libertarianism A-Z: albi e licenze

Per proteggere il cliente spesso è necessaria una licenza.

Esempio, per fare il dottore occorre una laurea, una specializzazione e l’ iscrizione presso un albo.

Le licenze aumentano la qualità media ma diminuiscono la quantità. Chi ci dice che abbiamo bisogno di questo?

Immaginatevi se sul mercato dell’ auto venissero vendute solo Ferrari, sarebbe una tragedia.

Spesso meccanismi quali la reputazione e la responsabilità civile sono più che sufficienti per svolgere il ruolo di albi e licenze. Per non contare il ruolo informativo delle associazioni dei consumatori.

Alla lunga gli albi si trasformano in vere e proprie barriere alla competizione perdendo persino il loro ruolo originario. E’ il corporativismo, qualcosa che non necessita spiegazioni se uno è nato e ha vissuto in Italia.

venerdì 22 luglio 2011

Alpe di Lemna (gita aziendale)

... compreso il mitico Roby (il barista della pausa caffé)

Punta fina

Kyle Bean

 

Ragna Reusch Klinkenberg

Scott Sumner: i colpevoli e gli eroi della crisi economica

La crisi economica contrassegna i nostri anni, se ne parla sui blog, sui giornali, in treno, al bar. Adesso poi che vengono giù anche gli stati come birilli, l’ affare s’ ingrossa.

Sia chi ama “capire”, sia chi ama stare al centro dell’ attenzione dovrebbe fare un minimo sforzo di approfondimento.

In questi Scott Sumner è il vostro uomo e questo suo post andrebbe recitato nelle università come un’ orazione laica.

Io mi limito a segnalare una quadripletta di passaggi eludendo la parte più tecnica.

Innanzitutto Scott ci ricorda come per le grandi crisi del passato le spiegazioni politicizzate affondarono quelle scientifiche nel tentativo disperato di connettere crisi finanziaria e crisi economica. Questa maledetta mania di dare tutte le colpe alla finanza!

In the history books it says the 1929 stock market crash triggered the Depression.  After an nearly identical crash in 1987 had zero effect on GDP, we learned that was false.  But it’s hard to blame historians for connecting a high profile financial collapse, with an economic collapse that was barely underway, and suddenly got much worse.   Economists should know better.

La confusione maggiore, poi, deriva poi dal fatto che viviamo più crisi contemporaneamente. Ma soprattutto – sorpresa! – che non riusciamo a cogliere l’ indipendenza di queste crisi multiple.

Unfortunately, not everyone is talking about the same crisis.  Some are talking about the housing bubble/crash, some are talking about the late 2008 financial crisis, and I believe both groups have the 2011 unemployment crisis in the backs of their minds (otherwise why is the debate seen as being so important?)

But the link between the housing bubble and the severe financial panic is much weaker than people realize.  And the link between the severe financial panic and high unemployment in 2011 is almost nonexistent.

Sarebbe stupido negare che i privati abbiano commesso molti errori. Più istruttivo è risalire alle cause.

The errors of the private banking system were due to both misjudgment (they did lose money after all) and bad incentives (moral hazard due to various government backstops.)

E adesso fuori i nomi dei colpevoli e degli eroi:

As far as the high unemployment crisis, the proximate cause is low NGDP, which means the Fed is to blame.  Then we can apportion some blame to Obama for not putting more of his people on the Fed, and not doing it sooner.  But ultimately we macroeconomists are to blame, as both the Fed and Obama take their lead from us.  We were mostly silent on the need for vigorous monetary stimulus in the last half of 2008, and many have remained silent ever since. The hero is the Efficient Market Hipotesys (EMH), as markets warned the Fed that money was way too tight in September 2008.

Adesso ditemi, c’ è in circolazione un resoconto migliore? Una storia più coerente al suo interno e con i fatti? Una storia che, al pari di questa, fosse formulata prima degli eventi?

Certo, la si puo’ affinare (qui e qui i miei ritocchi preferiti), ma per me la narrazione di Sumner resta insuperata, anche per questo gli consegno senza indugio la palma di cicerone ufficiale della crisi economica.

Povera “povertà”

Un concetto tanto bistrattato che non si sa bene più cosa indichi.
 
Cerchiamo allora di riordinare le idee.

Povertà reale. E' la povertà, quella "vera". Quella a cui sembra così poco interessato chi si occupa solo di allargare il “campo semantico”. Quella che ci parla di chi non accede a beni che consideriamo essenziali (cibo, vestiti, riparo, riscaldamento...). Qui si entra in case dove si cucina la suola delle scarpe. Bene, la parte seria del discorso è già finita, ora possiamo scatenare la fantasia.
 

il_fullxfull_112086011

Povertà assoluta di consumo nominale. Ci casca dentro chi puo' dedicare ai consumi una somma inferiore ad un limite fissato convenzionalmente, anche se magari quel "povero" vive in una società dove con una somma del genere è possibile soddisfare tutte le esigenze fondamentali e non solo. Mi rendo conto che degli esempi potrebbero essere utili e allora faccio entrare in scena due attori ben noti: Tizio e Caio. Dunque, poniamo che Tizio possa stanziare per l' acquisto di un orologio 5.000 euro, mentre il povero Caio solo 25. Gli orologi che acquisteranno saranno profondamente diversi, eppure in talune società entrambi soddisferanno brillantemente l' esigenza primaria di conoscere l' ora esatta in qualsiasi momento. Perchè? Ma perchè nell' abbondanza di talune società sono disponibili orologi ben funzionanti anche a 25 euro. Il differenziale indica uno status.

Povertà assoluta di reddito. Valgono i ragionamenti precedenti, salvo sostituire il concetto di "consumo" con quello di "reddito". Il che, come è evidente, ci allontana ancora un passettino dal corretto significato di "povertà". Chi ha un reddito basso ma, per qualsiasi motivo, ha accesso a molti beni, non puo’ dirsi “povero” nel vero senso della parola (ovvero il primo).

Povertà relativa nei redditi. In questo caso è povero chi detiene redditi inferiori ad 1:3 del reddito mediano della popolazione osservata. Nota Bene: un ricco puo’ farsi chiamare "povero" mentre un povero puo' essere considerato "ricco". Basta che abitino in condomini opportunamente scelti. Ovvero: parole, parole, parole... La "relativizzazione" impazza nelle "statistiche democratiche", e come potrebbe essere altrimenti?

A rischio di povertà. Se volete guadagnare la scena è importante a questo punto fare attenzione e seguire una ricetta gustosa: prendete la quota di popolazione "relativamente povera", aggiungete X al fine di ottenere un' aliquota che possa impressionare la platea della conferenza stampa da convocare al più presto. Se qualcuno avrà l' ardire di chiedere lumi su quell' X arbitrario, non preoccupatevi, direte che se anche non si riferisce a poveri si riferisce pur sempre a famiglie "a rischio povertà". Il metodo funziona e porta dritti dritti sulle prime pagine dei giornali (chiedere alla Caritas).

Povertà percepita. Lo sapevate che per qualcuno basta considerarsi poveri per diventarlo automaticamente nelle loro statistiche? Come se non bastasse, i "furboni" in genere s' informano in questo modo: "si ritiene soddisfatto del suo reddito". Al "no" scatta automatico l' incasellamento tra i morti di fame.
***
La fantasia non ha limiti ma io sì. E' tempo allora di question time: come mai un concetto come quello di "povertà" è sottoposto ad uno stupro linguistico che infierisce tanto?

Ipotesi 1: chi di mestiere "allevia" la povertà, ha bisogno che ce ne sia sempre in abbondanza ed è stimolato a "lavorare" sulle parole per dare questa impressione.

Ipotesi 2: l' invidia non gode di buona stampa, meglio allora per gli invidiosi presentarsi come "poveri" se vogliono raccattare qualche privilegio.

Ipotesi 3: tutti i barbuti di casa nostra, non gli ayatollah ma i nostalgici del bell' egalitarismo d' antan, con un piccolo inganno lessicale possono continuare indisturbati le loro romantiche lotte di livellamento (verso il basso).
 
Ipotesi 4: di fronte a fenomeni di povertà diffusa la politica si sente autorizzata ad intervenire, un linguaggio creativo aiuta a procacciarsi lavoro prezioso.

giovedì 21 luglio 2011

Lo scrollone di internet

Negli USA il reddito medio stagna dal 1980, così come è sensibilmente rallentato il tasso d’ innovazione tecnologica.

La stessa dinamica si registra un po’ ovunque nei paesi ricchi.

Cosa sta succedendo all’ Occidente?

Ecco l’ idea di Cowen: le grandi innovazioni del XVIII e XIX secolo hanno dato una scrollata all’ albero.  I grandi governi del secolo XX hanno raccolto i frutti a terra.

Ora di frutti in terra non ce ne sono più molti e la raccolta sembra esaurirsi, senonché gli uomini del governo esteso non hanno nessuna voglia di cedere nuovamente la pianta nelle mani degli scrollatori.

Per avere un’ idea di “low-hanging-fruit” ci si concentri per un attimo sull’ istruzione: rendere più produttivo un analfabeta è relativamente facile ma legare oggi gli investimenti educativi alla crescita economica è praticamente impossibile. Al di là di ogni retorica, chi potrebbe negarlo?

Qualcuno opina osservando che internet è un’ innovazione di portata almeno pari all’ elettricità. In questo senso il suo scrollone è imponente e manda all’ aria molte cose, tra cui la tesi che stiamo discutendo.

Staremo a vedere, sta di fatto che per ora non sembra proprio, e di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia ormai.

Ad oggi l’ avvento di Internet si riflette poco nelle statistiche legate allo sviluppo: l’ Ipod ha creato 14000 posti di lavoro e Facebook meno di 2000. Quisquilie.

Perché?

Forse internet, più che uno strumento, è un fine. Non serve ad investire, quanto a consumare.

Mi spiego meglio con un esempio banale.

Prima potevi tagliare i ponti e chiuderti in casa massimo per un paio di giorni, dopodiché, pena il soffocamento, era giocoforza uscire per una boccata d’ aria e di contatto umano. Oggi puoi barricarti in cameretta doppiando la settimana, il tempo vola e tu viaggi con la mente senza mai atterrare.

Esagero?

Cio’ non toglie che internet favorisca l’ isolamento e l’ introversione, cosicché l’ “isolato” e l’ “introverso” sono i maggiori beneficiati; sono loro gli "eroi sociali" del nostro tempo. Nel nuovo mondo i timidi vanno a nozze (anche nel vero senso della parola).

Clemens_Fantur_01

Alla fine bisogna concludere con un certo sconcerto che chi utilizza la rete per progettare e costruire concretamente qualcosa gratta solo la superfice dell’ innovazione finendo per trattarla come un telefono superveloce o un’ adunata oceanica. Cose che in fondo c’ erano anche prima.

La profonda natura del nuovo si disvela con ritrosia a chi non sacrifica la propria socialità divenendo un po’ “più autistico”.

Internet resta un fattore liberante, ma un fattore interiore: i Grandi Governi regolano ogni forma di vita ma difficilmente avranno accesso alla nostra vita interiore.

Detto questo, vediamo ora come queste considerazioni si riflettano poi sulle statistiche produttive.

Un patito potrebbe decidere di rinunciare alle vacanze per starsene quindici giorni ipnotizzato dalla realtà virtuale di internet. In un caso del genere il PIL di quel paese diminuirebbe per effetto dell’ innovazione. Un concetto spiazzante che non viene subito afferrato poiché di solito associamo in automatico innovazione-sviluppo-pil.

Questo esempio estremo rende chiaro cosa intende Cowen quando si mostra scettico sulla portata economica della rete. Somiglia troppo ad una droga per essere realmente produttiva.

***

Se questo è il mondo in cui viviamo la domanda diventa: dobbiamo tornare alla stagione degli scrollatori selvaggi?

Possiamo davvero farlo? O è meglio rassegnarci  e vivere felici (e autistici) nella stagnazione?

Tyler Cowen - The Great Stagnation

mercoledì 20 luglio 2011

Le virtù miracolistiche del mercato definitivo su mano invisibile DEFINITIVO

Herbert Scarf. Chi era costui?

Mi capita spesso di leggere dichiarazioni enfatiche per cui negli anni sessanta l'economista Herbert Scarf abbia CONFUTATO l'esistenza della mano invisibile. Sembra essersi ispirato al lavoro di Amartya Sen che a sua volta si era ispirato al teorema dell'impossibilità di Kenneth Arrow. Purtroppo, non trovo resoconti precisi in rete di questa importante CONFUTAZIONE, anche se posso immaginarla conoscendo le posizioni di Sen.

Strana però tutta questa nebbia a fronte della confutazione di un meccanismo che è forse il più importante scoperto nelle scienze sociali! E già qui la cosa puzza.

Sia come sia, Sen afferma che una società liberale non è pienamente compatibile con l'efficienza. Il suo caso si sintetizza bene nel caso del LIBRO LICENZIOSO. Qui abbiamo due protagonisti, il Libertino e il Puritano che si relazionano con un oggetto che si rende disponibile su piazza, un libro licenzioso. Consideriamo ora tre esiti possibili della vicenda: 1) solo il Puritano legge il libro licenzioso, 2) solo il Libertino legge il libro licenzioso e 3) nessuno legge il libro licenzioso. Ognuno dei due protagonisti ha i suoi esiti preferiti:

Priorità del Libertino: 1-2-3.
Priorità del Puritano: 3-1-2.

L'esito efficiente è chiaramente 1 (solo il Puritano legge il libro licenzioso) poiché è l'esito preferito dal Libertino e il secondo preferito dal Puritano. Tutti gli altri possibili esiti si piazzano peggio, fate la prova se non ci credete.

Tuttavia, in una società liberale si produrrà necessariamente l'esito 2, poiché il libro verrà reso disponibile e lo acquisterà solo il Libertino.

Da qui la conclusione che la società liberale puo' essere inefficiente.

La mia congettura è che Scarf si limiti a trasporre una situazione del genere chiamando "mercato" cio' che Sen chiama "società liberale". La sua conclusione sarà che il mercato non è necessariamente efficiente, da qui l'evocata CONFUTAZIONE.

Penso però che tutti, partendo dal caso del libro licenzioso, vedano quanto siano forzate simili conclusioni: se L è davvero fedele alle sue priorità non mancherà di compenserà P affinché legga il libro impegnandosi a sua volta a non leggerlo. Tutti saranno più felici con la libertà che tornerà a riconciliarsi con l'efficienza. Insomma, la società liberale raggiunge per vie trasversali (contratti a latere) il risultato 1 e quindi l'efficienza. Senonché, i difensori di Sen possono dire - e hanno detto - che quando "vendo i miei diritti", allora esco dalla "società liberale". Mi sembra davvero una risposta assurda, poiché in una società liberale "vendiamo i nostri diritti" tutto il tempo, per esempio quando stipuliamo un contratto di lavoro. Per certi liberali, però, la negoziazione di alcuni diritti fondamentali ci farebbe uscire dal liberalismo.

Alla fine la questione radicalizzata puo' essere posta in questi termini: la schiavitù volontaria è compatibile con il liberalismo (o il libero mercato)? Basta rispondere affermativamente, ed è facile farlo trattandosi a tutti gli effetti di un libero contratto, per far intaccare le presunte CONFUTAZIONI.

Ancora una volta sono decisive le definizioni, basta cambiarle leggermente e si ottiene il risultato preferito.

p.s. Puo' darsi che il contratto tra L e P sia difficile da chiudere e da far rispettare, ma questi ostacoli riflettono i ben noti fallimenti di mercato legati ai costi di transazione e nulla hanno a che vedere con gli argomenti trattati da Sen e da Scarf.


sssssssssssssssssssssssssssssssssssssssss

Teorema dell'impossibilità. 

Arrow scopre che, sotto certe ipotesi, la preferenza collettiva può essere intransitiva e quindi incoerente.

Concretamente. Se preferiamo A a B e B a C e C ad A, non c'è modo di evitare una scelta sgradita alla maggioranza. 

Qualsiasi sistema di voto si adotti, anche il metodo "un penny un voto", la situazione può riproporsi. La scelta collettiva non ci garantisce. 

A difesa del mercato:

Il mercato adotta un ottimo marschalliano più che paretiano, il che, attraverso le compensazioni, lo esenta da questi problemi.

Il mercato offre il miglior ambiente per innovare, ovvero per trovare un D che piaccia più degli altri a tutti. 




Sssssssssss


Chi odia o teme il mercato ama mettere in ridicolo le sue “miracolistiche virtù", magari indicando al pubblico ludibrio le inverosimili condizioni su cui si regge il modello dell’ equilibrio generale.
Ma costui forse non sa che le virtù del mercato decantate in quel modo hanno per lo più portato a interventi massicci della politica:
Had economic theorists [in the 1960s] rested content with using the microeconomics of the Neoclassical Synthesis strictly as a conceptual device employed in abstract reasoning, it might have done little damage. However, as I have already suggested, this type of theory cried out for application—which, in practice, was nearly always misapplication. The idealized conditions required for theoretical general-equilibrium efficiency could not possibly obtain in the real world; yet the economists readily endorsed government measures aimed at coercively pounding the real world into conformity with these impossible theoretical conditions.
Closely examined, such efforts represented a form of madness. As the great economist James Buchanan has observed, the economists’ obsession with general equilibrium gives rise to “the most sophisticated fallacy in [neoclassical] economic theory, the notion that because certain relationships hold in equilibrium the forced interferences designed to implement these relationships will, in fact, be desirable.
P.S. Piccola storia dell' equilibrio generale dei mercati: Arrow/Debreau garantirono l' esistenza di un equilibrio generale dell' economia, ma un libero mercato converge in quel punto (o in uno di quei punti)? Scarf dimostrò che almeno in alcuni casi di particolare dotazione iniziale cio' non era possibile. Ma Scarf, come del resto fino ad allora, assumeva il tatonnement come metodo per raggiungere l' equilibrio: un banditore d' asta (Stato?) enuncia i prezzi di equilibrio, dopodiché domanda e offerta sono chiamate ad incontrarsi. In realtà esistono metodi alternativi (Hahn process, Fischer process, Edgworth process, Markov process...) che una volta postulati garantiscono l' equilibrio. Il bello è che questi metodi sono molto più realistici del "banditore"; in altri termini: la lacuna è superata non mettendoci una pezza ma indebolendo le ipotesi. Come se non bastasse la teoria, ci saranno poi le sperimentazioni in laboratorio (Vernon Smith) e sul campo (John List) a garantire il raggiungimento concreto di equilibri simil walrasiani. Il mercato non è la democrazia, non esiste per il mercato un equivalente del teorema dell' impossibilità: un mercato stabile e con equilibri efficienti esiste a meno che non si introducano ipotesi forti come quella del banditore, purtroppo la condizione del banditore è quella emersa prima storicamente cosicché è facile far passare il messaggio di  una "confutazione" della mano invisibile. In realtà la mano invisibile ci dice che quando un equilibrio ottimo non è raggiunto cio' è da imputare al fatto che manca un mercato; ecco, nel modello tradizionale esiste il monopolio del banditore, unica figura ad enunciare i prezzi, quando questo monopolio verrà intaccato eliminando il monopolista e facendo in modo che gli operatori chiudano contratti convenienti anche a prezzi non d' equilibrio (Smale, Foley, Gintis...), la stabilità dell' equilibrio sarà garantita.

P.P.S.
La mancanza di un’adeguata teoria del
raggiungimento dell'equilibrio di mercato è certamente una evidente lacuna cui, tuttavia,
è possibile ovviare. Per esempio, Stephen Smale (1976) ha introdotto un elemento di
realismo dei mercati abbandonando il Banditore e permettendo che le transazioni avvengano a prezzi non di equilibrio. Nel suo modello, partendo da una dotazione
iniziale, gli individui partecipano ad una serie di scambi consistenti unicamente nella
richiesta che le transazioni accrescano la soddisfazione delle parti nello scambio e che
nessuno di questi scambi rimanga non sfruttato. Così viene raggiunta la convergenza ad
un vettore dei prezzi di equilibrio e ad un'allocazione Pareto-efficiente. Duncan Foley (1994) ha adattato un modello di meccanica statistica dalla fisica per
raffinare i risultati di Smale, identificando alcune sequenze di scambi, sempre vantaggiosi
rispetto al livello individuale di utilità di partenza, come più probabili di altri. La
descrizione di Foley di questo modello di economia è un'espressione esemplare di un
sistema di mercato astratto non Walrasiano... L'allocazione di equilibrio di Foley è approssimativamente Pareto-ottimale. Da un
punto di vista metodologico la svolta interessante nel lavoro di Foley è che la stabilità del
vettore dei prezzi è raggiunta in presenza di scambio continuo... Il lavoro di Foley e Smale sottolinea il concetto che la stabilità quasi-globale può
essere dimostrata da ipotesi plausibili in un modello di scambio competitivo. Il risulato di
Sonnenschein era più un risultato negativo riguardante l'approccio Walrasiano, che non
circa l'idea di un equilibrio competitivo generale. Esso ebbe l'effetto di una “bomba” solo a causa dell'allora attuale stato egemonico del paradigma Walrasiano. La sensazione
diffusa che la teoria economica astratta delle interazioni competitive in più mercati di un
gran numero di agenti avesse raggiunto un vicolo cieco è del tutto fuori luogo. In verità,
il lavoro di Foley e Smale mostra che un modello, che rappresenti il modo in cui un gran
numero di agenti con informazione limitata che interagiscono in maniera decentralizzata
per produrre risultati aggregati, possa mantenere molte caratteristiche dei modelli
convenzionali. Tra queste caratteristiche ricordiamo: i prezzi che si aggiustano in modo
ragionevole alla domanda in eccesso, la convergenza ad un equilibrio e la natura
(approssimativamente) Pareto-ottimale dell'allocazione quando gli impedimenti allo
scambio e le interazioni non mediate dal mercato siano assenti.
PPPS Steven Landsburg in un capitolo di Armchair economist denuncia come la metafora della mano invisibile sia stata malcompresa parafrasandone in modo geniale ilo messaggio sostanziale. se un sistema di mercati non si stabilizza su un equilibrio efficiente è solo a causa del fatto che a quel sistema manca un mercato, bisogna crearlo.
... il mondo libero abbonda d' inefficienze e a un occhio poco allenato sembra che cio' sia dovuto al fallimento del metodo concorrenziale... ma i teoremi della "mano invisibile" ci dicono che se ci mettiamo sulle tracce dell' inefficienza scopriremo che essa non è dovuta ai mercati esistenti ma ai mercati mancanti... cercate le merci non prezzate e le troverete... costruite un mercato per quelle merci e migliorerete l' efficienza... prendete il caso dell' inquinamento...

Ecco, nella discussione storica al sistema di mercati tradizionale manca un mercato dei servizi ben specifico: quello che calcola gli eccessi di domanda. In luogo di tale mercato assurge quale monopolista il banditore dei prezzi, è bastato abbattere questo monopolio per stabilizzare gli equilibri.

La confusione dei messaggi che passano si riscontra nella voce di wikipedia relativa all' economista amartya Sen; Sen avrebbe:

Prendendo spunto dal teorema di Arrow, Sen dimostra che, in uno stato che voglia far rispettare contemporaneamente efficienza paretiana e libertà possono crearsi delle situazioni in cui al più un individuo ha garanzia dei suoi diritti. Egli dunque dimostra matematicamente l'impossibilità di perseguire l'efficienza ottimale, secondo Vilfredo Pareto, e insieme il liberalismo. 

Naturalmente:


L'importanza della negazione dell'ottimo paretiano consiste nel superamento del concetto che il solo mercato basti per sviluppare una società liberista, derivato dalteorema dell'impossibilità di Arrow che fa da base anche per il lavoro di Herbert Scarf[1] sul disequilibrio dei mercati lasciati a sé.[2]

Inutile dire che le parole usate per divulgare le dimostrazioni di Sen sono a dir poco fuorvianti. Lo capiamo meglio considerando l' esempio del "libro licenzioso":


Prendiamo l’esempio di Sen del libro licenzioso. Ci sono due individui (chiamiamoli Andrea e Giorgio) e tre possibilità (1: Andrea legge il libro, 2: Giorgio legge il libro, 3: nessuno legge il libro). Andrea è un puritano e preferisce che nessuno legga il libro (possibilità 3) ma, come seconda possibilità, preferisce leggere lui il libro affinché Giorgio non possa leggerlo. Abbiamo dunque 3 preferito a 1 e 1 preferito a 2. Giorgio trova piacere ad imporre la lettura a Andrea. Preferisce 1 a 2 e 2 a 3. Secondo il principio dell’ottimo paretiano, se si deve scegliere tra 1 e 2, bisogna scegliere 1 poiché per le due persone 1 è preferito a 2.
Una società liberale non vuole imporre la lettura a Andrea e perciò 3 è preferito a 1. Essa lascia inoltre che Giorgio legga il libro (2 è preferito a 3). Abbiamo dunque 2 preferito a 3 e 3 preferito a 1. Questo risultato è contrario al principio dell’ottimo paretiano poiché, come abbiamo visto, 1 è preferito a 2. Sen intitola il suo articolo "sull'impossibilità di un liberale paretiano".

Di fronte a questo esempio chiunque si chiede: ma come mai "in una società liberale" Giorgio non propone a Andrea l' ovvio scambio di 2 con 1? La risposta che si avrebbe sarebbe questa: perché assumiamo che nella società liberale esista un banditore che batte l' opzione 1 (rifiutata per carenza di domanda), poi batte l' opzione 3 (rifiutata per carenza di domanda) e infine batte 2 (accettata). Solo l' opzione 2 presenta un equilibrio e solo l' opzione 2 ha luogo. Chiunque vede che le condizioni sono inverosimili, per renderle meno assurde basterebbe sostituire  il monopolio del banditore, oppure affiancarlo con liberi scambi collaterali () dei protagonisti. In casi del genere si realizzerebbe l' ovvio: una società libera sarebbe anche efficiente e Andrea, adeguatamente compensato da Giorgio, potrebbe prestarsi alla lettura del libro licenzioso. Il denaro in grado di "cardinalizzare" le preferenze dovrebbe intendersi come una naturale innovazione a seguito dello smantellamento del monopolio del banditore. (ricordiamoci il teorema della mano invisibile: ogni inefficienza del mercato deriva da una mancanze di mercati).

Con questo non si vuol negare che ipotesi teorica dell' incompatibilità tra efficienza e mercato esistano, ma sono puramente autoreferenziali. Ammettiamo che Giorgio desideri talmente che Andrea legga il libro licenzioso da essere disposto a pagare 100, quando Andrea sopporterebbe la lettura dietro pagamento di una somma superiore a 50. L' affare è realizzabile sul mercato. Ma ammettiamo in aggiunta che Giorgio soddisfi appieno il proprio desiderio solo se Andrea leggesse il libro senza ricevere alcuna somma in denaro. In questo caso una legge che imponesse la lettura ad Andrea sarebbe l' unica via in grado di realizzare l' efficienza paretiana ma ciascuno vede che sarebbe anche incompatibile con un libero mercato. Il "discorso" del libero mercato e della sua efficienza crollerebbe ma non sarebbe da stupirsi visto che qualsiasi sistema linguistico non puo' autofondarsi in presenza di autoreferenzialità. Ctofonare Godel.

Trattasi dunque di un evidente caso di autoreferenzialità. Per "l' impossibilità democratica", invece,  non bisogna arrivare a tanto.

Landsburg per eludere il problema propone di trascurare i cost e i benefici psicologici (in questo caso il godimento di Giorgio che vede Andrea leggere senza ricompensa in denaro). Da un lato questa richiesta è incoerente: perché mai dovremo discriminare tra costi psicologici e altri costi?. Dall' altro questa scelta ci toglie molte altre castagne dal fuoco: i costi psicologici sono facilmente simulabili mentre gli altri costi si esprimono con il metodo garantito della preferenza rivelata

ppps: chi denuncia l' esistenza equilibri instabili di mercato forse non si accorge che non sta parlando affatto di mercato: http://www.econ-pol.unisi.it/bowles-microeconomia/CAP6.pdf:
Forse sorprendentemente, il mercato non gioca nessun ruolo in questo modello, né il modello è consistente con un qualsiasi processo di raggiungimento dell'equilibrio. Il motivo di ciò è da ricondursi al fatto che consumatori e venditori non stabiliscono i prezzi (non possono influenzare il prezzo). Arrow e Hahn (1971:325) posero la loro attenzione su questa lacuna:"Se non assumessimo...un Banditore, dovremmo descrivere come può verificarsi che ad ogni momento nel tempo due beni vengano scambiati allo stesso rapporto ogni volta che lo scambio avviene e come questi rapporti cambino sotto la pressione del mercato."    Tramite il Banditore ovviamo alla necessità di stabilire una teoria della dinamica del mercato
pppps Da non dimenticare poi la prassi. In questo senso la lezione di Vernon Smith puo' essere utile:

"....... La razionalità nell'economia è il libro più ambizioso di Vernon L. Smith, Premio Nobel per l'Economia 2002. In quest'opera, Smith ripercorre tutto il suo percorso scientifico: a cominciare dalle prime, pionieristiche applicazioni degli esperimenti di laboratorio all'economia.Le principali conclusioni dell'economia sperimentale sono due. La prima è che lo scambio impersonale nei mercati converge agli stati di equilibrio postulati dalla teoria economica in presenza di condizioni di informazione molto più deboli di quelle specificate nella teoria. La seconda è che nello scambio personale, sociale ed economico, studiato nei giochi a due persone, la cooperazione è ancora più frequente di quanto predetto dalla teoria dei giochi tradizionale.Questo libro pone in relazione le due conclusioni con gli studi e le applicazioni sul campo, e le integra con temi in cui è possibile ritrovare l'eco dell'insegnamento di Friedrich von Hayek: attraverso istituzioni socioeconomiche e norme culturali spontanee, le persone raggiungono fini che sono involontari e scarsamente compresi..."








Un artista emotivo nella stanza dei bottoni

Eric-Emmanuel Schmitt – Il posto dell’ altro

“Adolf Hitler: respinto”

Il verdetto piombò su di lui come un righello d’ acciaio sulla mano di un bambino.

“Adolf Hitler: respinto”.

Hitler si guardò intorno, decine di adolescenti con le orecchie congestionate, la mandibola contratta, il corpo allungato sulla punta dei piedi, le ascelle sudate per la tensione, ascoltavano il bidello che salmodiava i loro destini. Nessuno faceva attenzione a lui. Era in corso una tragedia immane e nessuno se ne sarebbe accorto… un annuncio esplosivo che squarciava l’ universo: Adolf Hitler, respinto.

La loro indifferenza era tale che quasi quasi Hitler dubitava di aver sentito bene. Sto male, una lama gelida mi lacera il torace fino alle budella, sto perdendo sangue e nessuno se ne rende conto. Nessuno vede il dramma che mi è rovinato addosso. Sono dunque solo sulla terra a vivere con questa intensità? E’ davvero lo stesso il mondo in cui viviamo noi tutti? Nel frattempo, il bidello - giusto quel tipo di idiota che si terrorizza per un topolino - convinto di aver annunciato la verità si ritirò.

Hitler avrebbe potuto essere diverso da come fu, e, in ogni caso, non fu nemmeno il mostro che molti ritengono.

Per ficcarlo bene in testa ai suoi lettori Eric-Emmanuel Schmitt intercala due storie: quella reale e quella che esordisce con una lieta notizia (l’ ammissione all’ Accademia delle Belle Arti di Berlino) per chiudersi poi con un happy end nientemeno che in California.

Non sfugge a nessuno che il protagonista è il medesimo in entrambe le vicende: stessi pregi e stessi difetti.

Un tale che, sebbene non passi inosservato, non puo’ nemmeno essere definito come un individuo eccezionale, fuori dalla norma, o ancor peggio un bruto senza pari.

E’ invece persona tutto sommato normale. Normale come il male.

Dopo la lettura sapremo che un male normale contenuto in un cuore umano normale puo’ riempire un intero continente.

Di questo cuore possiamo farne la caricatura per sgravarci la coscienza, ma è una tattica perdente in partenza. Ce ne rendiamo conto saggiando la naturalezza con cui si snodano le vicende, entrambe plausibili.

Si tratta dunque di un uomo. E se è un uomo, è il nostro prossimo; il romanzo mira a spingercelo addosso, a farci sentire questa imbarazzante prossimità.

Figlio di un impiegatuccio violento e polemico, il ragazzo magro dal colorito cereo guardava adorante alla mamma  e si riteneva un puro, un idealista. il suo orrore per i contatti fisici è noto. Così come è nota la sua delicata psicologia: una mente ipersensibile in grado di dare tanto se sotto l’ influsso dell’ esaltazione ma sempre così pronta a ripiegarsi se spinta a dubitare.

Ad alimentare l’ imbarazzo il suo amore per le arti, per la cultura, per gli animali.

Non fu nemmeno antisemita finché non gli convenne esserlo: la sua gioventù pullula di frequentazioni pacifiche con amici ebrei.

Le turbe abbondano, questo è vero: l’ uomo è sempre intento a sopravvalutarsi e a scavare tra sé e gli altri un fossato che renda difficile ogni confronto e, al tempo stesso, credibile l’ enorme auto considerazione.

Odiava l’ imprevedibilità della competizione ma soprattutto i suoi esiti e le sue graduatorie, per difendersene divenne un esperto razionalizzatore: lui non aveva fallito negli studi, li aveva sabotati perché chiamato ad incarichi più elevati; non aveva passato anni a vagabondare nei ricoveri dei poveri, aveva condotto una vita sua bohème. Questo metodo gli consentiva di ricostruire la sua storia insignificante come se fosse un’ opera wagneriana.

Non saremo certo noi a scandalizzarci per il ricorso a trucchetti del genere, noi che sul blog passiamo tanto tempo a stimare la pervasività della dissonanza cognitiva.

Suvvia, chi non ha creduto di essere un campioncino per il solo fatto che spadroneggiava nel proprio cortile? e chi non ha opposto resistenza a chi ci spingeva fuori da quel cortile?

Sessualmente era un po’ pervertito, d’ accordo. Nulla di grave, viviamo in epoche che hanno ampiamente riabilitato ogni forma di perversione. L’ uso della parola stessa è un azzardo.

Siete pronti ad abbinare mostruosità e delicatezza d’ animo? Siete portati a scovare il serial killer in colui che trepida fino allo svenimento di fronte al corpo nudo dell’ amata? E’ un collegamento che non approntiamo tutti i giorni, ma nel libro è un leitmotiv.

Nella corte del fuhrer in erba per gli spiritosi la vita era dura, le rappresaglie sempre in agguato. Ma in ogni setta, si sa, le cose funzionano così.

Né il narcisismo, né la seriosità, né la perversione saranno mai capaci di rendercelo un marziano.

Anzi, un’ ondata empatica ci sorprende allorché ci imbattiamo, per esempio, nei suoi stentati esordi da oratore. Parlare in pubblico era per lui un dramma, balbettava, ciancicava e s’ incaponiva in patetici tentativi nonostante persistesse in lui una sorta di afonia emotiva: non gli usciva mai niente se non sudore e una sorta di imbarazzo mischiato con la sensazione di essere un intruso.

Finché un giorno non capì che per la sua indole era essenziale rivolgersi ai sentimenti negativi delle persone. Gli fu chiaro nel corso dell’ apprendistato in qualità di “agitatore da birreria”, il suo carisma funzionava se c’ era un rancore da grattare, una crosta da togliere, una cicatrice da riaprire. Nulla di buono poteva produrre in occasione di un brindisi matrimoniale o di una commemorazione funebre.

Ma poi, l’ affascinante contrasto tra l’ oratore vigoroso e l’ uomo timido, goffo, con l’ educazione impostata piena di salamelecchi viennesi, cominciò a sedurre ammiratori di differente estrazione.

E anche qui, che c’ è di strano?

Ogni mago della retorica ha le sue tonalità predilette. Chiedete a Cioran di modulare un auspicio. Il suo sapiente francese cadrebbe miseramente in frantumi.

Dopo la “rivelazione” non furono in pochi a considerarlo solo una chiassosa grancassa. Ebbene, anziché perdere tempo nei risentimenti ebbe la scaltrezza di cogliere tutti i vantaggi che comporta l’ essere sottovalutati.

Gridò talmente forte che lo sentirono e lo votarono da tutta la Germania. Lo avevano trovato convincente. In democrazia un gioco aggressivo e limpido è quasi sempre vincente.

Al pericolo si dimostrarono tutti sordi: le responsabilità di governo lo avrebbe calmato, si pensava. Purtroppo mancava un tassello fondamentale alla consapevolezza degli elettori: avevano eletto un artista emotivo, mica un politico.

Credeva in buona fede ai suoi  ragionamenti grossolani. Grossolani ma efficaci. Era il primo ad entrare in estasi sentendosi parlare, a meravigliarsi della facilità con cui passava dal lirismo alla virulenza, a lasciarsi sorprendere dall’ energia che sprigionava.

Nella sua mente, poi, i discorsi non finivano mai costringendolo ad una vita interiore dall’ intensità inusitata. Assomigliava sempre più ad un posseduto costantemente attraversato da idee ingegnose e strane. Una fabbrica della realtà a getto continuo. L’ audacia delle sue pensate lo spossava.

La passione per i libri ed i concerti musicali assumeva livelli parossistici, processo tipico nell’ autodidatta. Se avesse potuto uscire dal bunker sarebbe andato a teatro.

A questo punto è giunto il momento di chiedersi se le sommarie informazioni appena esposte ci impressionano e ci fanno presentire la catastrofe.

Spero di no! Di fronte alle turbe che affliggono altri memorabili personaggi della letteratura quelle riferite sono acqua fresca. Giusto buone per rendere interessante una figura di cui si dovrà parlare per quattrocento pagine.

hitler-rug

Ma Eric-Emmanuel Schmitt ci chiede di più, ci chiede di entrare in intimità con Hitler. Io, nonostante l’ indubbia abilità dello scrittore, non ci sono riuscito. Mi sono sempre mantenuto al di qua di un’ invalicabile intercapedine.

E’ un problema che mi porto dietro quando leggo libri di storia romanzata, persino le auto-fiction mi lasciano freddo. In fondo è la medesima difficoltà che m’ impedisce di ascoltare la quinta di Beethoven: l’ eccessivo imballaggio reifica la musica.

Eppure, lo stesso romanzo con al centro una persona di pura invenzione avrebbe funzionato. Perché non è stato scritto?

Forse perché Eric, come ammette nel diario in appendice al romanzo, si è sentito dire troppe volte da amici e parenti di rinunciare al pericoloso progetto; a quel punto, si sa, l’ artista non puo’ più esimersi.

martedì 19 luglio 2011

Steven Landsburg: esiste una responsabilità verso le generazioni future?

Ottimo esempio che manda nel pallone la cosiddetta etica laica.

… the following question seems to me to be of both supreme importance and supreme difficulty: Do living people have any moral obligation to the trillions of potential people who will never have the opportunity to live unless we conceive them?

The answer is surely either "yes" or "no," but either answer leads to troubling conclusions. If the answer is "yes," then it seems to follow that we are morally obliged to have more children than we really want. The unconceived are like prisoners being held in a sort of limbo, unable to break through into the world of the living. If they have rights, then surely we are required to help some of them escape.  

But if the answer is "no"--if we have no obligations to those imprisoned souls--then it seems there can be no moral objection to our trashing Earth, to the point where there will be no future generations. (That's not to say that we'd necessarily want to trash Earth; we might have selfish reasons for preserving it. I mean to say only that if we ever did want to trash Earth, it would be morally permissible.) If we prevent future generations from being conceived in the first place, and if the unconceived don't count as moral entities, then our crimes have no victims, so they're not true crimes.

So if the unconceived have rights, we should massively subsidize population growth; and if they don't have rights, we should feel free to destroy Earth. Either conclusion is disturbing, but what's most disturbing of all is that if we reject one, it seems we are forced to accept the other. Perhaps there's a third way, and that's just to admit that we're incapable of being logically rigorous about issues involving the unconceived.

Come sbrogliare la matassa?

lunedì 18 luglio 2011

I 2 problemi dell’ innovazione

1. L’ innovatore non è incentivato a dovere.

Even in societies in which markets were relatively free and developed, there was rarely any proportionality between the contribution of an innovator and the rewards he or she reaped.  At least in that sense, the situation was not different from what it is today: Nordhaus (2004) has estimated that in modern America only 2.2 percent of the surplus of an invention is captured by the inventor him/herself.  Things surely looked no better in the eighteenth century. … If ever there was a divergence between social and private net benefits, the Industrial Revolution was it.  The impact of the technological elite on the rest of the economy was thus vastly larger than proportional to their size.

That is from Joel Mokyr’s The Enlightened Economy: An Economic History of Britain 1700-1850 (p.88)

2. L’ innovazione, anche se c’ è, non si diffonde.

Innovation is terribly important; it is why we are rich.  But how exactly does innovation happen?  An awful lot of innovation seems to happen via diffusion, i.e., spreading one at a time via a network of who knows who.  A recent AER paper considers three possible diffusion processes:

[Consider] situations where the [innovation diffusion] dynamics are driven from within; that is, there are internal feedback effects from prior to future adopters.  …
1. Contagion. People adopt when they come in contact with others who have already adopted; that is, innovations spread much like epidemics.
2. Social influence. People adopt when enough other people in the group have adopted; that is, innovations spread by a conformity motive.
3. Social learning. People adopt once they see enough empirical evidence to convince them that the innovation is worth adopting, where the evidence is generated by the outcomes among prior adopters. Individuals may adopt at different times due to differences in their prior beliefs, amount of information gathered, and idiosyncratic costs.

Social learning is consistent with the observed pattern of diffusion of hybrid corn, although we cannot say that it was the sole explanatory factor. We can also say with some confidence, however, that inertia and contagion were probably not the sole explanatory factors, and given Griliches’s findings neither was social influence.

I’ve been watching this innovation process up close for several years, as prediction markets slowly spread through the corporate world.  One might hope that we had central technology experts, and once they approved a new tech, everyone would adopt it.  No way.  People don’t believe something works until they’ve seen it work in something pretty close to their situation.  A media story about something far away just doesn’t say much.

Eunuchi operati male

Tyondai Braxton – Central Market -

In passato la “musica contemporanea” era meritatamente famosa per la sua musoneria; nessuno puo’ negare che si presentasse puntualmente in pubblico esibendo pose corrucciate. Già parlare di “presentarsi in pubblico” è un’ esagerazione visto che al pubblico dava le spalle quasi nemmeno fosse presente in sala. C’ era poi il mito del “work in progress”: tra la prova e la prima diventava difficile distinguere.  E poi che avarizia di suoni!: arrivava giusto qualcosa ogni tanto, e sempre appena dopo l’ abbiocco. A fine serata spesso si contavano più starnuti che note.

Chi non ama l’ odore del cloroformio e soffre le atmosfere troppo disinfettate, puo’ rifarsi frequentando l’ estetica anni ottanta del giovane Tyondai Braxton; appena lo vedi capisci subito quanto il giovanotto sia poco incline all’ austerità, la sua musica festaiola è più sgargiante di un frutto tropicale. E se la fai a fette non sporca neanche, resta compatta e rimontabile, quasi fosse costruita con il lego.

Le sue storie preferite sono scintillanti, rozze e sfilacciate quanto quelle inventate dal bimbo in vacanza che gioca da solo sul marciapiede: hanno la rapsodia colorata del cartone animato e la precarietà della fiaba che dura fin che dura la veglia del piccolo.

Predominano due gusti: il primo volgare, per la plastica; e secondo puerile, per il minuscolo.

Sugar High 1 - blog

Ottimo musicista, per carità. Ma chi se la sentirebbe di avallarlo? Innanzitutto ha sempre il singhiozzo, sintomo preoccupante; secondo poi è zoppo, sul suo stendardo sventola il simbolo della papera; quel suo modo sbilenco di procedere lascia molti perplessi, viene voglia di infilare una zeppa da qualche parte; i suoi pezzi sono infarciti di allegre collisioni, i suoni pogano tra loro senza requie (le risse non sono rare), ma non a tutti piace l’ autoscontro, molti amano altri tipi di giostra; la sua musica, infine, è piena di bulloni (spesso avvitati male), nel vorticoso taglia e cuci va sempre perso qualcosa; come se non bastasse, l’ esito finale è tutt’ altro che innocuo: ad un certo punto i colori diventano un po’ troppo colorati, cio’ che prima frizzava ora corrode, l’ allegria vira nell’ orgiastico, il flicorno trasmuta in una trombetta-party e il flicornista in una marionetta con l’ occhio sbarrato e il sorriso stampato. La sensazione di essere caduti dalla padella (la musoneria) alla brace (allegria impasticcata) fa capolino.

Braxton è un fornitore di musica con un magazzino sterminato, c’ è roba buona per sospirare, per strizzarsi le meningi, per fischiettare; spesso c’ è roba buona per fare tutte e tre le cose contemporaneamente; puoi trovarci l’ elettronica di prima generazione come la collezione di suoni autunno inverno della stagione ventura. E’ comunque roba piena di proteine e grassi insaturi: abbondano anche i coloranti; i conservanti un po’ meno, a giudicare dal sottile lezzo di marciume che si nota in sottofondo.

Se ti compri da lui una sinfonia (viene via a poco), puoi succhiarla con la cannuccia, quel che resta lo butti (resta sempre un mucchio di roba); poi ti sbrani un quartetto, l’ imponente imballaggio lo farai sparire in qualche modo. La scorza del trio per oggi la scoperai sotto il tappeto. Quando ti sgranocchi la canzone, occhio alle bucce. La musica da camera è fresca come una spremuta, si sa, ma ogni spremuta ha la sua feccia, che farne? Per questa volta buttiamola in strada; l’ hard bop si fa aspirare voluttuosamente, ma il mozzicone che ci resta tra le dita? Gettalo sull’ asfalto e gira l’ angolo alla svelta.

Ascolta, consuma e crepa. Qualcuno pulirà.

Nel mondo di Braxton fioriscono i commerci, le note sono in vendita giorno e notte e la produzione è a ritmo continuo.

L’ abbondanza è tale che i prezzi collassano come fossero in caduta libera; la gente succhia, aspira, mastica, annusa a più non posso ma non riesce a star dietro al musicista. Orifizi e pori si otturano ad uno ad uno e si dispiega lo spettacolo della voglia pazza in presenza di sensi disattivati. Sembra che circolino solo eunuchi operati in modo maldestro.

Abbondanza! I prezzi calano, si passa ai saldi tutto l’ anno, dopo i saldi scattano gli omaggi, finché non resta che macerare le eccedenze e comprimere i capolavori rimasti in eco-balle da stoccare chissà dove.

Finché ormai, resi totalmente insensibili dal bozzolo che ci serra, un giorno scopriremo con terrore che questo genere di plastiche non è smaltibile neanche col fuoco.

Siamo chiusi dentro un minuscolo pianeta e i moduli musicali di Braxton continuano ad uscire a ritmo “gioiosamente” forsennato. Il livello del blob si alza. Siamo già tutti sui tetti in attesa di elicotteri che non verranno. Aiuto!

Qualcuno si avvicina a passi felpati alla stanza del prolifico compositore sfoderando un coltellaccio, apre la porta e…

- continua -  

http://www.goear.com/files/externalpl.swf?file=c4c80c7

Ascendenti: George Gershwin - Rimskij-Korsakov - Igor Stravinsky - Frank Zappa.

venerdì 15 luglio 2011

In un mondo senza elettricità

Alexander Sokurov – Oriental Elegy

Una foglia qualsiasi cade all’ improvviso in un autunno qualsiasi.

Ma non abbastanza da sorprendere Sokurov, che la filma.

Era lì, appostato da anni ad attendere l’ evento.

Forse questo aneddoto/haiku inventato sui due piedi rende in qualche modo la poetica del siberiano.

Nel mondo del grande schermo sono in molti a diffidare della lentezza. Non Sokurov, che anela all’ immobilità.

La sua immagine cinematografica sospira di nostalgia ricordando i bei tempi in cui era solo una fotografia. Ora puo’ permettersi solo certe sfumature seppia ma per il resto le tocca di malavoglia fluire nel tempo.

L’ immobilità pura infatti non esiste e Sukorov, armato di una pietas infinita e di un occhio scrutatore particolarmente indiscreto, si dedica anima e corpo alle impurità che screziano di continuo un silenzio che non sta mai zitto.

Puo’ essere il maestoso incedere delle nebbie come la strascicata deambulazione dell’ ottuagenario, qualsiasi fenomeno in grado di dilatare i ritmi guadagna presto l’ attenzione meritandosi una delle sue proverbiali cornici.

Entriamo in un mondo senza elettricità tagliato da luci caravaggesche che sembrano rasoiate (il miope in platea continua a mettere e togliere gli occhiali); anzi, direi meglio che sembra di calarsi in una tela di Rothko: non si cerca una storia da raccontare, piuttosto uno spazio da abitare.

rot

L’ unità di tempo è rispettata come un dogma di fede, anche quando si documenta la cottura del riso.

Chi sono i protagonisti?

Innanzitutto un ruolo fondamentale spetta allo scricchiolio del parquet, ma se la deve vedere con una ruga particolarmente espressiva collocata sulla fronte della vegliarda (la geografia mobile della cute invecchiata è valorizzata a dovere). Anche la nodosità delle artritiche nocche merita una menzione speciale. L’ idraulica della deglutizione è sottoposta a peritosa indagine grazie ad enormi microfoni pelosi collocati strategicamente. Il tipico taglio oculare della mandorla giapponese non ha più misteri dopo i lunghi piani-sequenza di cui è fatto oggetto.

Manca solo lo sporco nelle orecchie.

Ma tutto puo’ diventare protagonista da un momento all’ altro e non abbiamo la minima idea di dove ci condurrà l’ ennesima infinita dissolvenza del Maestro.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=zwBOHIN79b0]

giovedì 14 luglio 2011

Charles Murray: una buona scuola lascia indietro molti bambini

… nella valutazione di molti dei nostri talenti la scuola assume un sano atteggiamento realistico… al bambino con chiare lacune cinetico-motorie viene chiesto di frequentare l’ ora di ginnastica ma difficilmente s’ investirà su di lui per farne un atleta a livello agonistico… chi ostenta fin da subito scarse doti musicali è tenuto a conoscere alcuni rudimenti ma non a tentare il conservatorio per divenire musicista… chi è sotto la media quanto ad abilità spaziale seguirà le lezioni d’ arte ma non subirà pressioni per investire le sue energie migliori in quell’ ambito… chi ha scarso controllo nelle relazioni interpersonali riceverà uno sprone se vergognoso e un’ avvertenza se aggressivo, ma tutti sono d’ accordo che è fatica sprecata puntare su questi soggetti per farne degli addetti alle pubbliche relazioni… i bambini incapaci di concentrazione saranno aiutati ad acquisire sane abitudini di studio ma ci vuole poco a constatare che per loro taluni obiettivi sono interdetti… Solo per quanto riguarda le abilità linguistiche e logico-matematiche si pretende invece che tutti facciano bene. La realtà qui viene congedata, anche quando si presenta nelle forme più nitide… Eppure sappiamo che almeno metà dei bambini non è in grado di leggere o calcolare con quella facilità che la scuola pretende da loro… questi bambini vengono tormentati per anni con pretese irrealistiche… è normale che in queste condizioni identifichino la scuola come un luogo di tormento… Parecchi di loro, molto semplicemente, non sono abbastanza intelligenti per seguire con successo un convenzionale percorso accademico… cio’ non significa che dobbiamo ostentare durezza o indifferenza, basterebbe lasciare da parte l’ ampollosa e mal fondata retorica del “leave no child behind”… Ripensate per un attimo alla vostra esperienza scolastica, probabilmente avete un buon ricordo di quando, incoraggiati da un insegnante di razza a fare qualcosa che non riuscivate a fare, avete alla fine sfondato… ma vi farà ancora male pensare a come avete deluso persone che vi sostenevano sospingendovi alla conquista di obiettivi irrealistici… Ricordo ancora di essere stato il cocco del mio allenatore di baseball, e ricordo quel tragico pomeriggio quando mi schierò come ultimo battitore nella sfida decisiva contro i Bruins… di fronte allo scetticismo generale per questa scelta a dir poco stravagante si adoperava per spendere in mio favore parole di ammirazione e fiducia in modo da incoraggiarmi a puntino… ma la realtà fino ad allora aveva parlato chiaro: io ero da sempre il punto debole della squadra… e quando presi posto sulla base  la mia performance fu la solita: un mezzo disastro… la delusione che sentivo attorno mi spezzò il cuore e ancora oggi metto piede con terrore in un campo da baseball… eppure mi ero limitato a fare quello che sapevo fare e che tutti sapevano che sapevo fare, non meritavo certo di essere punito in modo tanto efferato… pretendere che uno studente raggiunga livelli che molto semplicemente non puo’ raggiungere è crudele prima ancora che sbagliato… nessuna strategia pedagogica, nessun carico di compiti a casa, nessun miglioramento nella preparazione degli insegnanti puo’ far sue certe mete utopiche… non resta che il trucco di abbassare implicitamente gli standard girandosi dall’ altra parte… A questo punto ci sono tre ordini di obiezioni a cui vanno soggette le osservazioni fin qui svolte: 1. l’ IQ non cattura le capacità di apprendimento, 2: l’ IQ puo’ essere innalzato e 3. la scuola di oggi è talmente in pessimo stato che persino a chi è sotto la media puo’ ricevere di più anche senza che migliori le sue capacità… La risposta alle prime due sembra semplice, la terza è più impegnativa… i prossimi capitoli saranno dedicati a districare questa trama…
Charles Murray – Real Education

John Leslie

Forse il filosofo più perspicace nel difendere l’ idea di un Progetto Intelligente:

The philosopher who has occupied himself most extensively with the Anthropic Principle is John Leslie, to whom Swinburne alludes. Though self-confessedly neither a Christian nor even a traditional theist, Leslie has argued repeatedly that the observed delicate balance of conditions requisite for the existence of intelligent life at this point in cosmic history does require an explanation and that the explanation of intelligent design is superior to any alternative. He argues against those who would short-circuit the demand for an explanation by objecting that since the universe is unique, the probability of its present complexity cannot be assessed, or that though the balance of conditions in the universe is improbable, still any improbable condition will obtain once and that "once" could be the first time.20 According to Leslie, without the Many-Worlds cosmology, the claim that no explanation of the universe's order is needed is "ludicrous"; it is like a person emerging unscathed after being machine-gunned from fifty yards for fifty minutes and who shrugs off the need for any explanation of his being alive by saying that all the bullets' missing, though improbable, could happen and that he wouldn't be there to ask about it unless that possibility were realized.21 According to Leslie, the standard objections to the design argument threaten to delay the development of science, for if these objections were correct, there would be no reason for developing Many-Worlds cosmologies, which are important to science. He notes that there is no independent evidence for the existence of many worlds except for the existence of intelligent life itself and that the attraction of the Many-Worlds scenario for many scientists shows that they recognize that the fine-tuning apparently present in the universe does cry out for explanation. But the evidence for a Many- Worlds model is equally evidence for an intelligent designer. Both hypotheses are rendered more probable by the observed features of the universe than they would be in the absence of such features. This conclusion alone, it seems to me, is highly significant, for it confronts us with a dilemma, both horns of which involve heavy metaphysical commitments. Are we going to posit God or a World Ensemble? According to Leslie, this is the choice that we must make if we do not choose simply to ignore the problem. He points out that most of the Many-Worlds theories are obscure and incomplete and that the God- hypothesis is neither unscientific nor more obscure than those theories. Moreover, individual models for generating the World Ensemble can be criticized… Despite such problems, people continue to believe in Many-Worlds scenarios, opines Leslie, because they feel that without them there is no explanation of how intelligent life did originate…