Diana ha sganciato un siluro in testa agli econimisti.
Poco male, sono una sparuta minoranza di cui possiamo disinteressaci.
Peccato che diverse schegge rischino di raggiungere anche altri poveri innocenti.
Diciamolo chiaramente: l' attacco diventa stimolante e meritevole di reazione se il bersaglio non fossero gli economisti in senso stretto ma coloro che guardano al mondo con un cervello "da economisti". Parlo dunque di barbieri, camionisti, professori di estetica, sacerdoti, disoccupati... una folla eterogenea che adotta una certa ottica.
Un' ottica da noi poco apprezzata, al punto che qualcuno si è spinto ad affermare che i popoli nordici, rispetto a noi, "hanno un cervello naturalmente predisposto per l' economia". Il link non lo trovo, mi sia consentito di procedere oltre.
Non so se si possa azzardare tanto. Adesso però mi viene da fare un esempio un po' forte. Speriamo che nessuno si offenda.
Lo conoscete voi
il mitico Saviano? Con il suo best seller di qualche anno fa ci meravigliava e c' impauriva tutti mettendo in scena lo spettacolo della malavita meridionale: avida, calcolatrice e sfruttatrice. Un mondo caricaturale e violento, deformato dalla voglia sfrenata di massimizzare i profitti. Un mondo governato da perfide "logiche capitaliste" che viveva a suo agio nella contiguità con altri e all' apparenza meno inquietanti aspetti del capitalismo ufficiale.
Il mitico Saviano, descrivendo le cose in questo modo, non sembra particolarmente vicino alla sensibilità dell' economista. Altrimenti quella che per spaventarci meglio chiamava "logica capitalista", la chiamerebbe molto più semplicemente..."logica". Al limite se proprio non resistesse alle tentazioni di aggettivare potrebbe aggiungere... "umana".
Ora, anche altri popoli hanno i loro "Saviano".
Interessante vedere i "saviano" di quei popoli etichettati come "economisti naturali".
Si chiamano, per esempio, Sudhir Venkatesh e scrivono libri come:
Gang Leader for a Day: A Rogue Sociologist Takes to the Streets.
Infiltratosi nelle gang giovanili, il Saviano a stelle e strisce, scopre i meccanismi con cui la gang giovanile risponde razionalmente all' ambiente circostante. I metodi organizzativi assomigliano a quelli di una corporation e, poichè mancano praticamente tutti i mezzi della corporation, si creano delle ingegnose procedure sostitutive.
Lo stesso fa Peter Moskos nel suo:
Cop in the Hood: My Year Policing Baltimore's Eastern District. Questa volta vengono indagate le dinamiche della corruzione e dello scarso rendimento di un dipartimento di polizia. Siamo di fronte a demoni e lazzaroni? No, siamo di fronte a gente che risponde in modi perfettamente spiegabili a delle sollecitazioni esistenti.
Saviano direbbe che i Gang leader e i poliziotti corrotti adottano "logiche capitaliste". Agitando ad arte queste parole potrebbe evocare fantasmi terribili a cui le menti dei non-economisti sono particolarmente sensibili. Sembra quasi pensare che un ridimensionamento del capitalismo ufficiale possa guarire le perversioni della malavita. Al delinquente verrebbe a mancare un prezioso serbatoio di idee.
Al contrario, Moskos e Venkatesh descrivono cose non troppo dissimili per concludere che sia i gang leader che i poliziotti corrotti tengono una condotta "spiegabile", ovvero ragionevole.
Con una conclusione del genere i due autori finiscono per rassicurarci, non siamo di fronte a mostri ma a persone poco distanti da noi che rispondono ad incentivi. Visto che non siamo degli "economisti naturali" potremmo dire che rispondono a tentazioni che a noi vengono risparmiate.
Non dobbiamo operarle al cervello, dobbiamo mettere in piedi un ambiente con i giusti incentivi. In altre parole: anche qui ci vuole un economista!
Attenzione, non che Saviano sia colpevolista. In fondo le colpe del delinquente non spiccano neanche nel suo reportage. Con i cattivi esempi che esibisce la società ufficiale, è difficile aspettarsi dal criminale qualcosa di diverso. Se invece saprà rinunciare ai propri egoismi e diventare buono, per lui si spianerà la strada della santità. Operazione facilitata se intorno a lui fiorisce l' esempio di una bontà diffusa. Quello che ci vuole è un esempio di generosità e magnanimità e non un ambiente che premia certi comportamenti. Premia? Non siamo mica economisti noi!
Morale: da una parte abbiamo il cantastorie moralista, dall' altra gli scienziati sociali, ovvero gli "economisti".
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Indossando gli occhiali dell' economista vediamo subito alcune cose:
gli incentivi funzionano;
le persone sono mediamente ragionevoli;
le persone sono mediamente egoiste;
le persone hanno mediamente la medesima moralità;
le persone hanno mediamente i medesimi gusti;
le persone tendono, mediamente, a non variare troppo i loro gusti nel tempo;
Sulla base di queste premesse l' economista comincia a darsi ragione di cio' che osserva.
Non potrà liquidare nessun argomento tirando in ballo "i gusti", nemmeno la moralità puo' essere messa al centro delle sue spiefazioni, i comportamenti bizzarri sono banditi e così via.
Anche per questi vincoli il barbiere "economista" ha una spiegazione di buon senso.
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Molti guardano al barbiere "economista" come ad un tipo da imitare. In effetti alcune ragioni che portano acqua al suo mulino ci sono. Il suo approccio e fuoriero di stimoli e sviluppi. magari non è quello giusto ma riesce più di altri a lanciare provocazioni che difficilmente cadono nel vuoto.
Toglieno ogni limite all' arroganza, svolgerò qualche congettura circa le motivazioni per cui l' economia ha in mano buone carte per candidarsi a disciplina intellettualmente dominante nell' ambito delle scienze.
Il suo individualismo metodologico le consente una riduzione congeniale al modo di pensare dell' uomo moderno (diritti individuali...).
Il suo individualismo metodologico consente facili connessioni con l' etica.
La marginalizzazione dell' etica lo preserva da posizioni fondamentaliste.
Sapere mettere le mani nella cassetta degli attrezzi economici rende interessante la lettura di almeno due articoli di giornale su tre. Non ti annoi mai!
L' economista immagina spesso individui con medesimi diritti e gusti non troppo dissimili. Questa visione viene avvolta facilmente in un' aurea di universalismo.
Mettendo l' accento sulla razionalità dell' agente consente di privilegiare la
spiegazione della realtà rispetto alla sua descrizione. Questo è un vantaggio decisivo rispetto alle scienze naturali.
Postulare la razionalità dell' agente è un modo di pensare una solida base naturale che accomuna l' umanità. L' uomo moderno trae conforto da una simile petizione.
L' allungamento costante dei periodi con dati a disposizione, rende meno vulnerabile l' economista all' accusa che da sempre lo smonta: quello di essere uno scienziato "senza laboratorio".
La disponibilità crescente di macchine macina-numeri consente elaborazioni prima impensabili, soprattutto in tema di scenari simulati.
Ci sono i dati di fatto: l' economia si è intrufolata con successo in ambito giuridico, sociologico, politico.
Se le condizioni affinche possa applicarsi il ragionamento economico sono quelle di cui sopra, allora l' economia è ovunque e dove non c' è presto arriverà.
L' economia ha saputo metabolizzare al meglio gli attacchi subiti dalla psicologia. Lo psicologo mette sul suo banchetto varie ipotesi cognitive, l' economista si serve a seconda delle sue intenzioni e costruisce i suoi modelli esattamente come faceva nel caso di operatori razionali. Il paradigma non è stato sconvolto. Inoltre la sostituzione dei modelli con le simulazioni (più adatte a intelligenze multiple) è stata un' innovazione degli economisti. Diversi economisti si sono guadagnati il loro Nobel per lavori nell' ambito delle scienze cognitive (penso a Herbert Simon), evidentemente non si sono limitati a ricevere passivamente approcci differenti.
Gli economisti litigano un casino. Questo fa scrollare la testa agli scettici che pensano: "...questa scienza non sa cosa dirci...". Ma sull' 80% delle questioni anche Krugman o Stiglitz concordano con Mankiw o Cowen. E' che sul restante 20% si monta sempre una cagnara tale da oscurare tutto il resto.
E poi c' è una motivazione che basterebbe da sola: l' economista
ordina il lavoro di tutti gli altri scienziati. Non è colpa sua, è semplicemente l' oggetto dei suoi studi.