lunedì 27 novembre 2017

Il buongoverno di Hitler

Il buongoverno di Hitler

C’è un’ inquietante simbiosi tra stato sociale e crimine, nel caso del nazismo il connubio è all’opera come non mai nella storia.
C’è infatti uno stretto legame tra l’aspetto sanguinario e delinquenziale del nazionalsocialismo e le sue iniziative politiche che lo resero tanto attraente per la maggioranza dei tedeschi.
L’origine dell’olocausto  non si ricava soltanto dai fascicoli che reggono la scritta “questione ebraica”.
La politica hitleriana si basava sull’ineguaglianza delle razze ma promise ai tedeschi un’ uguaglianza di opportunitàestesa a tutti, più di quanta fosse mai esistita in Germania dai tempi del Kaiser.
Nella prassi ciò avvenne a spese altrui, sfruttando gli strumenti della guerra  all’esterno e della rapina fiscalecontro  alcune minoranze all’interno.
Sotto questo profilo le politiche hitleriane rappresentano nient’altro che una delle utopie rivoluzionarie, sociali e nazionali dello scorso secolo.
Fu ciò a rendere popolare il regime, e fu da ciò che il regime trasse le sue energie criminali. Hitler voleva la costruzione dello stato social-popolare, ovvero di uno stato sociale che sarebbe stato di esempio in Europa e in cui si sarebbero dovute “abbattere sempre di più le barriere sociali“.
Il movimento nazista si propose con una carica rivoluzionaria e i giovanissimi dirigenti crearono un clima riassumibile nella frase “o adesso o mai più“. Goering poté constatare, rifacendosi a un rilevamento statistico: “secondo questi dati l’età media dei nostri dirigenti è di 34 anni mentre nell’ambito dello Stato è di 44. Si può dunque davvero affermare che la Germania è oggi guidata dalla sua gioventù”.
Per la maggior parte dei giovani tedeschi il nazionalsocialismo non significò dittatura, divieto di esprimere le proprie opinioni e oppressione, ma libertà e avventura. Vi ravvisano una prosecuzione dei movimenti giovanili in cui avevano militato, un programma fisico e spirituale contro l’invecchiamento.
Nel 1935 i ventenni e trentenni rampanti scavalcano con disprezzo i burocrati pusillanimi, si consideravano moderni, anti-individualisti e uomini d’azione. La loro fissa è il bene comune.
Consideravano il loro un lavoro pionieristico per l’Europa. Erano preda dell’euforia di “chi agisce”, nonché di una convinzione ideologica inscalfibile.
Quelli che nel 1933 si impadronirono del potere erano studenti universitari o freschi diplomati. Fra di loro c’erano i figli ribelli delle vecchie élite: ridevano degli anziani resi scettici dall’esperienza chiamandoli “verzure cimiteriali“.
I molti prestiti intellettuali che il socialismo nazionale attinse dalla riserva di idee del socialismo tradizionale,  emergono già dalle biografie dei protagonisti. Non pochi dei futuri attivisti avevano fatto esperienze comuniste e socialiste nella fase finale della repubblica di Weimar. Eichmann lo dichiarò ripetutamente nelle sue memorie: “per sensibilità le mie inclinazioni politiche erano di sinistra con la componente socialista spiccata almeno quanto quella nazionale”. Lui e i suoi amici durante il periodo della lotta avevano guardato al nazismo e al comunismo come a “giovani fratelli’. Capirono ben presto che all’ “io” occorreva sovraordinare un “noi”.
Molti artisti che fiancheggiavano il nazismo, come per esempio lo scrittore Wolfang Hillers, avevano collaborato con Bertolt Brecht, ma anche lavorato al coro “Il grande piano” che magnificava la violenta industrializzazione staliniana. A loro bastava sostituire la parola “proletario” con la parola “tedesco” e si ritrovavano a casa.
Molte strategie di finanziamento interno erano state paradossalmente ispirate  dalle clausole del trattato di Versailles con cui i vincitori della prima guerra sanzionarono la Germania.
Si può ben dire che – almeno nella fase iniziale – i nazisti trattarono gli ebrei come i vincitori della prima guerra trattarono la Germania: così come i tedeschi dovevano pagare per “l’inutile bagno di sangue”, lo speculatore giudeo doveva risarcire il popolo tedesco delle inique sofferenze inflitte durante la guerra.
Un esempio: la penalità collettiva imposta agli ebrei tedeschi nel 1938 e che Goering, in preda a furore antisemita, aveva fissato nell’ ammontare di un miliardo di marchi. Fu il Ministero delle Finanze a concretizzarla sotto forma di imposta patrimoniale del 20%,  a fissarne i termini di pagamento in quattro rate trimestrali e a riuscire infine a raccogliere parecchio più denaro di quello richiesto da Goering.
Questo lavoro ai fianchi fatto dai burocrati del Ministero delle Finanze costituì la fase preliminare dello sterminio degli Ebrei europei. Dal fisco esoso si passò all’esproprio poi alla deportazione e infine alle camere a gas.

I protagonisti iniziali della persecuzione antisemita non furono le SS ma i membri della Corte dei Conti del Reich Germanico che supervisionarono costantemente l’esproprio ebraico. L’Agenzia delle Entrate di Hitler fu il ferro di lancia di una campagna anti ebraica che il popolo appoggiava sotto le insegne della “lotta alla speculazione selvaggia contro la nazione tedesca“.
Fu in questo modo che certe iniziative suggestive per le masse trovarono un solido sostegno da parte di un’ entusiasta burocrazia. Fu così che si costituì quella che risulta una micidiale miscela di volontarismo politico e funzionale razionalità amministrativa.
Smaniosa di fare, l’amministrazione nazionalsocialista buttò sbrigativamente a mare molte cose che erano già da tempo considerate inutili e antiquate.
Qualche esempio:  esaudì fra nel 1941 un desiderio formulato fin dal 1854 da Jacob Grimm, il quale aveva definito la grafia in uso nel mondo tedesco “informe e offensiva per l’occhio” si abrogano con il “decreto sulla scrittura” il Sütterlinle il gotico a favore della normale grafia latina.
Altro esempio: l’articolo 155 della costituzione di Weimar aveva stabilito si dovesse abolire la feudale forma di “proprietà protetta fedecommissaria“, ancora diffusa nella Germania settentrionale ma di ostacolo per il moderno capitalismo. Senonché  non era poi stata capace di passare all’opposizione. La norma attuativa dell’abrogazione si avrà di slancio il 6 giugno del 1938 a firma Adolf Hitler.
La classe dirigente nazista si fece inoltre promotrice di un primo assaggio di quella che sarebbe diventata la motorizzazione popolare, introdusse il concetto di ferie, raddoppiò il numero delle giornate festive e cominciò a sviluppare quel turismo di massa che oggi ben conosciamo. Il responsabile a Berlino del “fronte tedesco del lavoro” intervenne con ogni energia per favorirlo: “siamo ormai nel 1938 e intendiamo coinvolgere in misura sempre maggiore tutti quei connazionali i quali credono che un viaggio di vacanza non sia cosa per i lavoratori. Questa mentalità deve essere finalmente superata”. E  un viaggio di 14 giorni all’interno della Germania fu in effetti reso possibile a un prezzo tutto compreso oscillante fra i 40 e gli 80 marchi di allora.
Fin dall’inizio lo stato nazionalsocialista si prodigò nell’aiuto alle famiglie (svantaggiando le persone non sposate e senza figli) e protesse i contadini dalle imponderabilità del mercato mondiale e della meteorologia.
Molte misura particolarmente “moderne” risalgono a quegli anni. Qualche esempio: le basi dell’ordinamento agrario, i principi che regolano la separazione coniugale, le disposizioni in materia di traffico stradalel’assicurazione obbligatoria degli autoveicoli contro la responsabilità civile, gli assegni familiari per i figli, le fasce di contribuzione fiscale progressiva e anche i fondamenti per la protezione della natura.
Furono i dirigenti politici e sindacali nazisti a sviluppare le linee generali del sistema pensionistico che è stato attuato poi nella Repubblica federale tedesca nel 1957 e con il quale si stabilì che “vecchio e povero non dovevano essere più sinonimi”. Si affermava inoltre che “il livello di vita dei veterani del lavoro non doveva discostarsi da quello dei connazionali che lavorano”.
Poiché molti dirigenti nazisti provenivano da condizioni sociali che li avevano costretti a far conoscenza dell’ l’ufficiale giudiziario, si preoccuparono fin dalle prime settimane di governo di mitigare la piaga dei pignoramenti e degli sfratti che specialmente in tempo di crisi incombeva minacciosa sulla maggioranza dei tedeschi di allora.
L’organo centrale degli Ufficiali Giudiziari intonò subito una nuova musica: “un ufficiale giudiziario che abbia sensibilità sociale non se la sentirà di precipitare i più poveri nella miseria”.
In linea con questi principi Hitler aveva enunciato ben presto il suo slogan preferito: “la Germania sarà più grande che mai quando i suoi cittadini più poveri saranno anche quelli più preziosi”.
La sensibilità sociale di Goering era particolarmente spiccata: “sappia il proprietario di casa che  mette spietatamente e senza scrupoli sul lastrico i poveri connazionali, che egli si gioca con questa iniziativa la protezione dello stato”.
Il governo nazista accentua inoltre il sostegno agli inquilinirichiamati alle armi.
Sulla stessa linea si colloca il decreto sul pignoramento delle retribuzioni che migliora ulteriormente la protezione dei tedeschi dalle esecuzioni forzate. Esenta dai pignoramenti anche le parti di retribuzione imputabili al lavoro straordinario, e con esse i sopra-soldi per le ferie per il Natale, gli assegni familiari per i figli e le pensioni di invalidità. Fissò l’esenzione dal pignoramento innalzando gli importi di base calcolati ora al netto anziché al lordo per ogni persona e per ogni componente della famiglia. Puntò sull’uguaglianza fra i tedeschi estendo a tutti il un privilegi –  risalenti ai tempi del primo affermarsi della borghesia, che aveva protetto dai pignoramenti i pubblici funzionari e gli ecclesiastici.
Furono leggi come queste a rendere popolare il socialismodei nazisti.
Le istituzioni scientifiche, comprese quelle dello stato, conservarono durante il nazismo una rilevante misura di pluralismo interno e di meritocrazia. I protagonisti della ricerca scientifica non dovettero rinunciare ai loro convincimenti personali.
Diversamente dal regime comunista, il nazionalsocialismo non pretese mai la devozione assoluta quanto piuttosto una “vocazione di vicinanza al popolo”.
Si puo’ ben dire che il mondo della ricerca fu un’isola di libertà all’interno della costruzione hitleriana, e che gli esiti furono chiari allorché la scienza nazista fu in grado di tenere il passo di quella internazionale ponendosi spesso all’avanguardia.
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Tutto questo portò a una singolare combinazione fra politica populista, interventi intelligenti e omicidi mirati. Più di quanto avesse mai fatto la repubblica di Weimar, e in evidente contrasto con l’immagine corrente di uno stato retto da un Führer, il nazionalsocialismo limitò la formazione verticale delle decisioni a favore di quella modernamente orizzontale.
Nelle istituzioni esistenti – e ancor di più in quelle create ex novo –  lasciò libera l’iniziativa dei migliori. Scardinò la rigidità delle gerarchie tradizionali. Là dove prima si prestava stancamente a servizio in base alle prescrizioni, subentrò la gioia di lavorare, non di rado unità a contributi innovatori di idee.
Nell’estate del 1935 il ministro delle finanze indisse, per esempio, fra i suoi funzionari un concorso di idee al fine di arrivare a un miglior saccheggio fiscale degli speculatori (ebrei). La partecipazione fu massiccia, entusiasta e di qualità, i concorrenti distinsero fra “misure raccomandabili”, “possibili ma non raccomandabili” e “in nessun caso raccomandabili”. Proposero di abrogare tacitamente dozzine di agevolazioni nei casi in cui risultavano favorevoli agli ebrei. Con riferimento a norme ancora in vigore manifestarono il parere che nel caso degli ebrei un’ applicazione contra legem fosse possibile. Inoltre, suggerirono di valutare se fosse o meno il caso di mantenere l’esenzione dall’imposta comunale sui cani per ciechi appartenenti a ebrei ciechi di guerra. Un altro funzionario elaborò uno schema di legge già pronto per la firma che prevedeva di addossare agli Ebrei un’ addizionale straordinaria sulle normali imposte sui redditi e sulle imposte patrimoniali.
Quasi sempre – a sorpresa – i più efficaci nella rapina fiscale erano gli esponenti della vecchia élite. Il direttore delle Entrate finanze Lutz Schwerin von Krosigk, per esempio, era il cocco di Goebbels che di lui parlava in questi termini: “mentre nella fase di ogni inasprimento i nostri uomini si dimostrano un po’ tremolanti, la vecchia guardia della burocrazia  tedesca sembra più affidabile”.
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Pur constatandone l’intolleranza  verso i socialisti, gli ebrei e gli anormali, i tedeschi non considerarono Hitler, come si potrebbe facilmente supporre a posteriori, uno spietato emarginatore ma, anzi, un grande integratore. Soprattutto in politica estera.

Esempio: i trattati di pace di Versailles avevano recisamente vietato la fusione statale di Austria e Germania. La maggioranza della popolazione lo considerava una profonda ingiustizia. Nel 1938 con l’annessione dell’Austria si realizza infine il sogno nazionale romantico del 1848. Il grande stato nazionale tedesco non si costituì come i suoi fautori l’avevano immaginato, e cioè come una repubblica, però ugualmente fra il giubilo della popolazione. D’un tratto l’infinito numero di vittime e le sofferenze patite durante il primo conflitto mondiale non sembrarono più inutili. La sconfitta della prima guerra fu riconvertita nel preludio di una grandiosa vittoria. Quando Hitler nel novembre del 1939 aveva impegnato con giuramento gli alti comandi della Wermacht a seguirlo nel rapido attacco contro la Francia, lo aveva fatto con questo argomento: “costituirà la conclusione della prima guerra mondiale, e non un’azione isolata”. Era il sentimento del popolo.
La lunga serie di vittorie, accompagnata dall’apparenza del progresso economico, finì alla lunga con indebolire in Germania la posizione dei pragmatici. Gli uomini più propensi ai poco brillanti compromessi realistici perdettero l’autobus. Finirono per rappresentare solo un elemento di fastidio nel clima creato dalla politica di Hitler, quella della grande spinta innovatrice, delle alternative chiare, del tutto o niente.
Del resto, la direzione nazionalsocialista sviluppò assai presto una sensibilità particolare di fronte agli umori della gente, e fu proprio per questo che assecondò costantemente le esigenze del consumo, spesso anche a scapito delle sue stesse priorità in fatto di politica degli armamenti.
Fino al 1938 si consolidò una regime politico per il quale Mussolini coniò l’azzeccata definizione di democrazia totalitaria. Dopo gli anni della guerra civile, dell’odio di classe e delle paralisi prodotte dalla rivalità e dalle rissosità politiche dei partiti, i tedeschi si trovarono uniti dal bisogno di una comunità popolare. La politica hitleriana assecondò questa esigenza con grande efficacia. Attirò migliaia di persone istruite che avevano abbandonato la loro spocchia di classe nel fango della guerra. Integrò operai formati dal socialismo, piccoli artigiani e impiegati che speravano nel riconoscimento sociale e di migliori occasioni di vita per i loro figli.
A posteriori la dottrina razziale del nazionalsocialismo è vista come una pura incitazione all’odio e all’eliminazione fisica. Invece allora attirò milioni di tedeschi soprattutto per l’implicita promessa di uguaglianza etnico nazionale che fu loro fatta. L’ideologia nazista sottolinea le differenze verso l’esterno ma le livella all’interno. Ovvero, per dirlo con un proclama di Hitler: “all’interno del popolo tedesco massima comunità popolare e possibilità di istruzione per ognuno, invece verso l’esterno affermazione di assoluta supremazia”. Anche a scuola l’uniforme serve allo scopo di ridurre le differenze fra i bambini ambienti e meno abbienti
Anche il piano di insediamento nei territori orientali va considerato come elemento propulsore di un movimento ascensionale delle classi sociali in Germania. Himmler ne parlò come di “socialismo del buon sangue”. Tutto ciò non fu progettato perché ne traessero vantaggio gli Junker e i monopolisti, ma come una concreta utopia a disposizione del popolo.
La Prima Guerra Mondiale incise sui tedeschi con tre gravi traumi: la carestia che dilagò in seguito al blocco inglese, la svalutazione del denaro e il divampare della guerra civile. I rincari, difficilmente controllabili da parte delle autorità statali, precipitarono nella miseria la gente semplice, molti tedeschi erano istintivamente portati ad associare l’umiliazione nazionale con l’odio per i “vili profittatori”.
Secondo un’opinione largamente diffusa, furono proprio gli speculatori a precipitare un popolo fedele alla patria in quello stato di  lacerante scontento. Non a caso al punto 12 del programma nazista si leggeva: “considerato lo straordinario sacrificio di beni materiali e di sangue che ogni guerra richiede a un popolo, il personale arricchimento di chi si approfitta della guerra va definito come un crimine a danno del popolo. Noi chiediamo perciò un integrale confisca di tutti questi profitti”.
L’equazione speculatori = ebrei fu il passo successivo. I promotori della politica antisemita motivarono costantemente i loro provvedimenti contro gli ebrei come una forma di difesa. Il capitolo conclusivo di Mein Kampf si intitola: “La legittima difesa è un diritto” ed è tutto improntato alla “resistenza ariana”. La concezione socialista, ovvero la teoria del proletariato storicamente vincitore e della borghesia indegna e moribonda, aleggia in modo chiaro nelle parole di Hitler quando promette giustizia sociale perequativa e lotta contro ogni genere di disgregazione atomistica di natura liberal capitalistica.
Complessivamente, la prima guerra mondiale costò all’ impero germanico 160 miliardi di franchi. Nonostante le condizioni di partenza molto migliori, fu finanziata rispetto alla seconda guerra in modo molto più sfavorevole. Questo non per l’incapacità dei dirigenti politici ma per l’autonomia fiscale di cui godeva ogni stato tedesco. Nel caso della seconda guerra, la musica cambia, Hitler fu lesto ad accentrare la sovranità fiscale nelle sue mani in modo da poter riscuotere tasse in una misura che nel 1914 sarebbe stata definita del tutto intollerabile.

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La domanda che ogni storico si pone di fronte al fenomeno nazista è facile da formulare ma spesso inevasa: come è potuto accadere? Come ha potuto manifestarsi tanta follia criminale?
Al centro della possibile risposta deve essere messo il rapporto tra il popolo tedesco e i suoi dirigenti durante il periodo nazionalsocialista.
È giusto guardare alla dominazione nazista come ad una dittatura compiacente, Hitler e i suoi gerarchi agirono come classici uomini politici attenti agli umori dei loro amministrati.
Durante la seconda guerra mondiale la dirigenza nazista si preoccupa affinché il rifornimento di generi alimentari alla popolazione sia sempre tale da poter essere giudicato equo,specie dalla  gente semplice. In secondo luogo, fece di tutto per conservare stabile il valore del marco. In terzo luogo, operò in modo che le famiglie dei soldati fossero sufficientemente provviste di denaro, in concreto fu garantito loro l’ 85% della retribuzione netta che il militare aveva guadagnato prima di essere arruolato.
Hitler ottenne che né i contadini né gli operai né i piccoli e medi impiegati e i pubblici funzionari fossero gravati in misura apprezzabile dalle tasse di guerra. Accrebbe invece il peso fiscale su quella parte della società tedesca che aveva introiti elevati se non addirittura molto elevati.
Un esempio rimarchevole della politica di giustizia sociale perseguita e ostentata dal terzo Reich è costituito dalla contribuzione una tantum di 8 miliardi di marchi che dovettero sborsare alla fine del 1942 i tedeschi proprietari di case.
Un esempio  di indulgenza fiscale verso i meno abbienti, può essere ravvisato in quelle esenzioni della retribuzione straordinaria percepita per il lavoro notturno, domenicale e festivo che fu sancita dopo la vittoria sulla Francia e che è stata mantenuta per i tedeschi, come conquista sociale, fino a tempi recentissimi.
Quanto la direzione nazista fu spietata nelle sue scelte a discapito degli ebrei, tanto fu deliberatamente equa nel distribuire all’interno del paese i pesi a vantaggio dei  più deboli.
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Ma come fu pagata la più costosa guerra della storia?
Innanzitutto aggredendo i beni dei benestanti. Tuttavia, poiché solo il 4% dei contribuenti tedeschi guadagnava più di 6000 aarchi all’anno, questo contributo era del tutto insufficiente.
Come fu integrato?
La risposta fu subito chiara: Hitler risparmiò l’ariano a discapito delle basi esistenziali altrui. Il governo del Reich rovinò le altre monete europee imponendo contribuzioni sempre più elevate.
Per garantire lo standard di vita nazionale fece predare molti milioni di tonnellate di viveri in modo da sfamare sul posto i soldati tedeschi e trasportare in Germania tutto il resto su cui poter mettere le mani.
Operando sulla base di una guerra razzista e di rapina su larga scala, il socialismo nazionale provvede affinché in Germania lo stato sociale non avesse a soffrire. Ciò lo rese contemporaneamente popolare e delinquenziale.
La risposta più consona alla domanda “come è potuto accadere?” rifiuta la pedagogica riduzione dell’accaduto a pochi e semplici concetti antifascisti.
D’altra parte appare necessario guardare alla dominazione nazista per quello che di fatto fu, e per il successo che ebbe (e che avrebbe ancora oggi).
Questa prospettiva evita di proiettare le colpe su poche singole persone o su gruppi esattamente circoscritti. Non c’era un dittatore pazzo o addirittura malato o semplicemente carismatico insieme ad un gruppo ristretto di paladini. Non c’era un incantatore al governo ma una nazione socialista che non voleva perdere i privilegi di uno stato sociale lussuoso e avanzato.
Una nazione che non voleva uscire dal sogno degli “ammortizzatori sociali”, che non voleva perdere i tipici privilegi di una società equamente governata, e che quindi era più incline a girarsi dall’altra parte allorché veniva in contatto con l’aspetto più turpe alla base di tanto benessere.
Ai 6 milioni di disoccupati Hitler promise nel 1933 “lavoro, lavoro, lavoro”. E dopo 5 anni mantenne la promessa. Bastarono la sensazione della ripresa economica e la risolutezza autoritaria per garantire allo stato nazista la lealtà della stragrande maggioranza della popolazione.
Hitler eluse la precaria situazione finanziaria ricorrendo a operazioni belliche repentine a scapito di milioni di persone. Espropri, deportazioni e uccisioni in massa divennero le fonti più importanti per finanziare il perfetto “welfare tedesco”, una costruzione modernissima a cui guarderebbero con invidia anche i paesi scandinavi contemporanei.
Al Ministero delle Finanze dovettero continuamente studiare il modo di rifinanziare i debiti dello stato. In situazioni tanto precarie l’attenzione si soffermò sulle proprietà degli ebrei alle quali cominciarono sbrigativamente a guardare come ad una parte integrante del cosiddetto “patrimonio del popolo”.
Quando tra gli ebrei cominciò il fuggi-fuggi generale, lo stato tedesco si adoperò in tutte le maniere per arricchirsi ricorrendo all’imposta detta “sulla fuga dal Reich” e a norme sempre più restrittive in materia di esportazione di valute.Non si può parlare fino alla fine del 1937 di esproprio sistematico ma di una confisca parziale sempre meglio organizzata. Le proprietà ebraiche furono statalizzate nel vero senso della parola solo a partire dal 1938. In quegli anni  partiva anche un programma di “arianizzazione” delle aziende dove il termine “arianizzazione” stava per statalizzazione.

All’interno della Germania il governo di allora, come dicevamo, impose un severo regime redistributivo, comprensivo di un controllo dei prezzi contro un mercato (il regno degli speculatori). Il Reich ne trasse come profitto la soddisfazione dei cittadini, del tutto a prescindere dal fatto che fossero  vicini al regime oppure che se ne stessero distanti.
costi della guerra non dovevano ricadere sul tedesco di classe medio-bassa.
Un esempio di per sé poco rilevante può chiarire cio’ che intendo. Nel 1940 i funzionari del ministero dell’alimentazione del Reich, responsabili dell’approvvigionamento di generi alimentari per la popolazione civile, avrebbero voluto vietare ai tedeschi di tenere animali domestici per risparmiare in questo modo frumento e carne. Il progetto falli però per l’opposizione di Hitler, il quale non se la sentì di imporre ai suoi connazionali questo genere di sacrifici. Naturalmente gli sembrò invece giusto adottare il divieto in questione per gli speculatori ebraici La conseguenza fu l’emanazione del molto citato decreto che proibì agli ebrei di tenere gatti, bassotti o canarini.
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L’immagine di uno stato del Führer permeato di autoritarismo in tutte le sue articolazioni è sbagliata. All’interno di determinati limiti politici tracciati con la violenza, il sistema nazista conservò margini notevoli per la differenziazione delle opinioni e delle proposte tecnico politiche. Talvolta la diatriba di natura politica era addirittura infuocata.
Goebbles, osservando i conti al Ministero delle Finanze, rilievò nel gennaio 1938 con fare spavaldo: “le cose sono messe peggio di quanto pensassi. Però nessun popolo è mai andato in rovina per i debiti. Casomai per mancanza di armi. Abbiamo un notevole disavanzo. Però, in compenso, abbiamo l’Austria”.Parole che la dicono lunga sulle fonti di finanziamento dello stato sociale!
Le guerre lampo e i relativi successi in Europa non significavano altro che la grande nazione tedesca, unificata in un unico grande stato, non avrebbe dovuto pagare essa stessa i debiti che erano stati accumulati per creare lavoro, riarmare la Wermacht, realizzare imponenti opere pubbliche e accordare privilegi al popolo.
Ricorrendo all’esproprio degli ebrei, alla vendita delle proprietà nemiche e infine all’assassinio di alcune centinaia di migliaia di individui che “mangiano senza dare nulla in cambio”, una grande Germania sarebbe riuscita tuttalpiù a superare alcune strettoie finanziarie, ma non ad ammortizzare gli enormi debiti. Occorrevano guerre e rapina su vasta scala per poter superare l’ostacolo dell’indebitamento. Nelle circostanze politiche date, la guerra non era solo una strada comoda, ma l’unica direzione in cui nell’estate del 1940 il governo tedesco poteva ancora muoversi.
3 punti su cui Hitler basò il suo successo furono: innanzitutto la rivendicazione di una radicale revisione del diktat di Versailles. In secondo luogo una, fino a quel momento sconosciuta, giovanilmente spensierata accelerazione delle decisioni e delle azioni politiche. Ma soprattutto il terzo importante elemento venne dalla promessa di uguaglianza tra i tedeschi, e di un giusto ordinamento sociale. La guerra accelerò di fatto in Germania l’abbattimento delle barriere fra le classi. Un osservatore del partito socialdemocratico riferisce preoccupato che “i lavoratori sono decisamente soddisfatti nel vedere che la gente altolocata abbia praticamente cessato di esserlo”.
Hitler continua a propagandare ciò che aveva preteso per se stesso, e cioè il diritto all’ascesa sociale per il singolo individuo dotato, per quanto misere e incolte fossero le sue condizioni di nascita.
Non pochi dirigenti della futura Repubblica federale tedesca si diplomarono nelle scuole superiori del partito nazionalsocialista, la cui frequenza non costava un centesimo di tasse scolastiche. Hitler dichiarò orgoglioso: “d’ora in poi, in questa nuova Germania, ogni figlio di operaio o di contadino, che abbia qualità e sia benedetto da dio, deve poter emergere, grazie alle caratteristiche all’aiuto delle nostre organizzazioni e grazie a una razionale selezione della classe dirigente fino ai massimi posti di guida dell’intera nazione”.
Il governo spendeva più di un miliardo di marchi all’anno in aiuti e sostegno dei bambini e per l’istruzione. Fritz Reinhard, sottosegretario al Ministero delle Finanze: “il prossimo passo verso l’equilibratura degli oneri che gravano sulle famiglie consisterà nell’eliminazione delle tasse scolastiche, dei tributi che gravano sul tirocinio degli artigiani e delle spese per gli strumenti di studio per tutti i ragazzi e per i tipi di scuole, istituti tecnici e università comprese”.
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L’ufficiale britanni Julius Pesener partecipò sia alla liberazione dell’Italia che alla presa della Germania nazista. Nel 1944-45, risalendo lo Stivale, ricorda che “i napoletani morivano a centinaia di fame per le strade”. Al contrario, in Germania, i liberatori trovarono un paese completamente distrutto, ma “non c’era corrispondenza fra la gente e le distruzioni… la gente aveva un bell’aspetto, erano tutti rosei, allegri, curati è assai ben vestiti”. Quello che si esibiva in tal modo era un sistema economico tenuto in piedi fino alla fine dal lavoro di milioni di mani straniere e dalla rapina di tutto un continente.
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I dirigenti nazisti non fecero della maggioranza dei tedeschi né dei fanatici né dei convinti membri di una razza superiore, riuscirono semplicemente a conquistarli costruendo uno Stato Sociale all’avanguardia, e lo fecero attraverso un sistema di potere almeno all’apparenza meritocratico e trasparente.
Chi non è disposto a parlare dei vantaggi che ne trassero milioni di semplici tedeschi, specie i più umili, farebbe meglio a tacere sul nazismo e sull’olocausto.
Se le cose stanno in questo modo, capiamo bene che anche la guerra sia un portato, vorrei quasi dire un effetto collaterale, della costruzione di uno Stato ideale zeppo di diritti e quindi particolarmente dispendioso.
Possiamo ben dire che Hitler non desiderasse la guerra mondiale ma si rendeva conto che una serie di espansioni territoriali a scopo di rapina erano necessarie per finanziare il suo welfare.
Quando Hitler nel 1939 attaccò la Polonia non avrebbe voluto dare inizio alla seconda guerra mondiale. Sapeva che la Germania non possedeva forze sufficienti a combattere un conflitto lungo e costoso. Lo storico Alan John Percival Taylor è stato il primo a dimostrarlo nel suo libro sulle origini della seconda guerra mondiale.
Tutto partì da una pace assurda: quella che chiuse la prima guerra.
Nel 1919, sotto la minaccia dell’occupazione militare, i tedeschi erano stati costretti ad accettare condizioni durissime. La Germania aveva perso un ottavo del suo territorio. E si era inoltre impegnata a pagare i danni di guerra per un ammontare che le avrebbe reso difficile la ripresa economica. Alla fine del 1922 i tedeschi sospesero i pagamenti e la Francia e il Belgio reagirono occupando la Ruhr: l’ economia tedesca subì un tracollo. Il valore del marco tedesco non venne più difeso e un chilo di pane arrivo costare 4000 miliardi di marchi. I tedeschi che avevano già sofferto perdite a causa della grande guerra non credevano di essere stati i soli responsabili del conflitto, e in questo probabilmente non avevano torto, come confermò la storiografia successiva.
Hitler si limitò a dire quello che pensavano tutti i tedeschi, ovvero che non avrebbe più rispettato le limitazioni imposte dal Trattato di Versailles.
La Germania nazista rioccupò la Saar dopo un plebiscito che militarizzò nuovamente la Renania. Nel Marzo del 38 riuscì ad annettersi l’Austria fra l’entusiasmo di molti austriaci. Subito dopo occupò la Cecoslovacchia – un nuovo Stato che era nato nel 1919 con territori già appartenuti al disciolto impero austro-ungarico.
Dopo tanti successi conseguiti senza scatenare nessuna guerra Hitler rivolse la sua attenzione alla Polonia pensando che il mondo avrebbe continuato ad assistere passivamente.
La Polonia era rinata nel 1919 grazie al trattato di Versailles e incorporava a ovest territori ex tedeschi e a est regioni già appartenute al l’impero zarista. La regione di Danzica faceva parte della Polonia ma era abitata da tedeschi, per dire. Hitler intendeva ricongiungerla alla madrepatria.
D’altronde, nel 39 Hitler si sentiva sicuro di poter controllare perfettamente la situazione poiché il 23 agosto aveva stipulato con Stalin un patto di non aggressione. In pratica, tedeschi e russi intendevano tornare al passato e cancellare le decisioni del l’ingiusto trattato di Versailles. Sia Hitler che Stalin erano convinti che con il loro patto avrebbero salvato la pace anche dopo la caduta della Polonia.
Stalin fu indotto ad accogliere le proposte di Hitler, il che non risulta molto comprensibile se accettassimo la tesi che Hitler  volesse una guerra a tutto campo; molto più lineare ipotizzare che Hitler volesse restituire alla Germania un ruolo di grande potenza. Proprio ciò che Stalin desiderava anche per l’unione sovietica.
È vero – come testimonia il memorandum Hossbach – che Hitler parlava di espansione e di “spazio vitale” ma riteneva di poter conseguire questi obiettivi senza una grande guerra. La forza militare gli sembrava necessaria per spaventare gli europei e mantenerli nella passività. Nel memoriale di cui sopra la Polonia non era nemmeno menzionata e non sembrava neppure un problema dato che numerosi governi europei la consideravano nient’altro che uno stato satellite della Germania.
La disgrazia di Hitler fu quella di scontrarsi con un’ opinione pubblica britannica a lui decisamente ostile. Del resto, ancora nel 1939 la Germania non aveva piani precisi per combattere un conflitto su vasta scala. Dopo lo scoppio della guerra i francesi si erano limitati a schierare le truppe lungo il confine con la Germania e gli inglesi avevano inviato un semplice corpo di spedizione. Il 6 ottobre 39, volendo uscire da questa situazione di stallo, Hitler parlò al parlamento proponendo una conferenza internazionale di pace. Londra respinse la proposta e il Führer incredulo decise di replicare attaccandolo la Francia allo scopo di toglierla di mezzo e da indurre la Gran Bretagna ad un accordo. Sì ingannò ancora una volta.
Il Führer, come riportano le parole di Goebbles, voleva infliggere agli inglesi un colpo da KO, e allo stesso tempo sarebbe stato disposto a fare la pace ancora nel maggio del 1940. Goebbles: “il Führer è profondamente sconcertato dal persistente rifiuto britannico di fare la pace”.
I grandi bombardamenti su Londra e sulle altre città illusero Hitler di portare la Gran Bretagna al tavolo dei negoziati. I tentativi tedeschi di fare una pace continuano a lungo e non possiamo trascurare il misterioso viaggio che il numero due del regime hitleriano Rudolf Hess compì in Scozia il 10 maggio del 1941. Voleva incontrare un parente stretto del re – il duca Hamilton – considerato amico della Germania. Paracadutatosi, atterrà fuori dalla tenuta del Duca e venne arrestato. Secondo molti storici Hitler era al corrente e approvava questa missione.
Hitler perse la partita perché era stato un giocatore abituato all’ “all-in” ed era stato a lungo assistito dalla fortuna. Detto questo, non si rinviene nei suoi piani un desiderio di intraprendere guerre se non quelle necessarie per ottenere tramite la rapina a popoli stranieri ciò che gli era necessario per finanziare il suo splendido welfare ariano, nonché gli armamenti per difenderlo.
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Possiamo ben concludere affermando che per sostenere il loro socialismo i sovietici massacrarono il loro popolo mentre i tedeschi massacrarono il popolo europeo.
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sabato 25 novembre 2017

Essere single è un lusso

Essere single è un lusso

Il matrimonio rende: taglia i costi e aumenta le entrate.
E’ da sempre – insieme all’etica del lavoro duro – l’arma segreta dei poveri, quella con cui mantengono il contatto con l’élite.
Sulla relazione tra redditi e matrimonio abbiamo già detto: sposarsi rende più che laurearsi, almeno per gli uomini.
Il taglio delle spese si deve al fatto che molti beni hanno un consumo non rivale: la casa, l’auto, la connessione internet, i libri, il cibo… Una volta che ci si separa occorre raddoppiare la spesa.
Questi vantaggi si catturano anche coabitando ma una relazione del genere è precaria e disincentiva gli investimenti seri.
Ma perché se il matrimonio è tanto conveniente sono proprio i meno abbienti a divorziare?
Forse perché sono più impulsivi, più irrazionali, fanno tanti errori. D’altronde sono poveri anche per quello.
Il matrimonio ti motiva, ti induce alla meditazione e ti spinge a dare di più.
Una medicina del genere è particolarmente preziosa per chi è impulsivo e beneficia di un minor autocontrollo, ovvero il povero.
Il declino dei matrimoni tra i poveri puo’ essere visto come un fallimento dell’economia neoclassica, quella dell’ homo oeconomicus.
C’è chi sostiene che lo stress da povertà induca all’errore ma è più probabile il contrario: se coltivi i giusti valori – tra cui quello famigliare – scegli bene, altrimenti fai una brutta fine.
La deregulation etica e il paternalismo welfarista potrebbero essere all’origine della sciagurata scelta dei poveri per una vita da single (ovvero una vita fatta di lussi).
Ma perché le persone sposate fanno più soldi?
1. Sono più in gamba.
2. Sono più motivati (lavorano di più).
3. Sono più credibili: il datore di lavoro si fida di più di chi si è dimostrato in grado di prendere impegni a lunga scadenza.
Congettura: 50-40-10.

Mogli e buoi dei paesi tuoi

Mogli e buoi dei paesi tuoi

Facilitare il divorzio ha ripercussioni sul valore del legame familiare e sulla composizione della coppia.
Quando il divorzio è facile conviene formare un capitale umano che abbia valore soprattutto fuori dalla famiglia. Questo per il semplice fatto che la famiglia potrebbe scomparire da un momento all’altro.
Quando si investe fuori dalla famiglia, il valore della famiglia decresce.
Oltretutto, il divorzio è costoso: laddove bastava una macchina ora ne servono due, laddove bastava una casa idem, laddove bastava una connessione internet idem.
Il costo nei beni di consumo non-rivali (come dicono gli economisti) esplode.
Essere single è un lusso e il divorzio produce single a ripetizione.
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Effetti del divorzio facile:
1. Il fatto che la famiglia perda di valore lo vediamo dal calo dei matrimoni.
2. Il fatto che sposarsi diventi più rischioso lo vediamo dagli accoppiamenti più oculati.
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Gli sposi sono sempre più simili: ricchi con ricchi, poveri con poveri, bianchi con bianchi, neri con neri…
Il divorzio facile rende quanto mai attuale il detto “mogli e buoi dei paesi tuoi”.
In sintesi il divorzio facile aumenta le diseguaglianze sociali.
Prima il matrimonio era un’arma attraverso cui gli ultimistavano a “galla”. Il divorzio facile scarica quest’arma.
Prima il matrimonio era un frullatore attraverso cui la società mescolava “alto e basso”. Il divorzio facile lo ha mandato in corto circuito.
Risultato: più diseguaglianza.
Una studiosa della questione è Ana Reynoso. Ha ricavato una solida evidenza sfruttando il fatto che nei cinquanta stati USA la legislazione sul divorzio facile, quando è entrata, è entrata in tempi diversi.
Fuori tema. Ecco un chiaro vantaggio del federalismo: l’autonomia consente di sperimentare e facilita la vita agli studiosi.
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