- La nota tesi di MW: senza rule of law garantita da uno stato forte, emerge "la rule of clan"
- Ricordiamo cosa sia la rule of clan enunciando il classico elemento anti-individualista: la responsabilità è collettiva per cui se sbaglia Tizio puo' essere punito Caio in sua vece, basta che appartenga allo stesso clan. In questo mondo l'onore è l'elemento principale che genera fiducia.
- Avviso di MW: attenzione ad indebolire lo stato, si rischia un ritorno alla rule of clan con conseguenze nefaste per gli istituti cari ai libertari.
- Risposta di AK: riconosce che esiste una storia che va dallo stato naturale regolato dalla rule of clan fino allo stato moderno e all'individualismo liberale.
- Per Kling la famiglia nucleare ha stabilmente preso il posto dei clan. Possiamo procedere a ridurre lo stato senza temere un ritorno alla legge del clan
- Bennett e Lotus mettono in evidenza una differenza culturale decisiva rispetto a ieri: abbiamo 1500 anni di famiglia nucleare alle spalle, qs ci garantisce dalla tirannia del clan...
- Le caratteristiche della famiglia nucleare: 1) matrimonio nn combinato 2) no ad obblighi legati all'eredità 3) abbandono del nido in giovane età 4) nessun obbligo verso il figlio che se n'è andato 5) nessun obbligo verso i genitori...
- Guarda ai Freedom Index: in testa stanno molti piccoli paesi mentre in coda i grandi paesi centralizzati. Perchè: il leviatano è farraginoso e x orientarsi là dentro occorrono "agganci". Oggi il xicolo mafia è più presente dove lo stato è forte quanto esteso. E' la burocrazia che si organizza per clan...
- La struttura federalista può ben garantire l'individuo sia dai clan naturali che dai clan burocratici
- IMHO: la soluzione clanica non va vista come il demonio, bisognerebbe piuttosto coglierne gli aspetti positivi, potrebbe ancora essere ancora la migliore in molti ambiti, per esempio nel welfare che assorbe gran parte delle risorse pubbliche generando una burocrazia non meno "clanica".
Purtroppo, il presidente del Consiglio non ha fornito dati a supporto di una affermazione così impegnativa. Né lo hanno fatto i molti commentatori che si sono avventurati sul tema sui mezzi di informazione. Sconcertante, ad esempio, che Giovanni Belardelli sul Corriere della Sera del 31 gennaio, rimproveri alla Cei (che aveva contestato le tesi del presidente del Consiglio) di non guardare i numeri quando nel suo articolo non cè uno straccio di numero, vengono solo richiamate fonti di seconda o terza mano (e si fa riferimento allideologia di chi avrebbe fornito questi dati come se le statistiche fossero di destra o di sinistra!).
Proviamo allora a guardarli noi i dati, ma dopo aver notato che sono disponibili sul sito dellIstat. Sorprende che nessuno abbia sentito il dovere di consultarli prima di commentare le dichiarazioni di Silvio Berlusconi.
Questi dati tuttavia risentono del fatto che una larga parte degli stranieri, soprattutto irregolari, non può accedere alle misure alternative al carcere, tra cui gli arresti domiciliari, in quanto sprovvista di un valido certificato di residenza. La maggiore incidenza negli istituti di pena potrebbe quindi essere dovuta, almeno in parte, a una maggiore probabilità di finire in carcere dopo aver commesso un reato, piuttosto che a effettive differenze nella propensione a delinquere. Data linsostenibile lunghezza dei processi in Italia, questo fatto potrebbe avere un peso non da poco nel gonfiare il peso relativo della popolazione carceraria straniera. I dati messi a disposizione dal ministero di Giustizia confermano che più della metà dei detenuti stranieri (il 57 per cento per la precisione) è in attesa di giudizio, mentre la percentuale è significativamente più bassa tra gli italiani (42 per cento). (1)
Unaltra possibile spiegazione dellapparente discrepanza fra i dati sullincarcerazione e quelli sul rapporto fra criminalità e immigrazione è che, analogamente a quanto avvenuto nell’economia legale, gli immigrati siano subentrati agli italiani in diverse attività criminali. Emblematico è il caso del traffico di stupefacenti, passato in larga parte dal controllo delle organizzazioni italiane a quelle straniere, soprattutto per quello che riguarda l’attività di spaccio, senza che ciò comportasse un aumento significativo nell’incidenza di tali reati.