La sera di Sabato 2 giugno, grazie ai canali digitali di Telenova, ho potuto seguire il “festival delle testimonianze” che si è tenuto in quel di Bresso alla presenza di Papa BXVI in occasione dell’ incontro mondiale delle famiglie.
Devo confessare una certa delusione, non certo per le chiose papaline, quanto per il tenore delle testimonianze: praticamente una lamentela continua.
Siccome la cosa mi è rimasta qui, spero di levarmela con questo sfogo.
“… Santo Padre, le istituzioni non ci aiutano…”
“… Santo Padre ci sentiamo abbandonati a noi stessi…”
“… Santità, arrivo alla sera che ho messo a letto i figli e sono distrutta…”
“… Santo Padre, lo stress della vita contemporanea non ci lascia il tempo di vivere la nostra relazione…”
“… Santità, conciliare la famiglia con il lavoro diventa sempre più oneroso…”.
“… Santità, teniamo duro ma è molto dura… il mondo ci appare come ostile…”
Non si chiede di affrontare i leoni con il sorriso, ma anche questo assordante piagnisteo inscenato da cattolici con un tenore di vita pari a quello del Re Sole lascia quantomeno perplessi.
Ammetto che nei Salmi non manchino i miserere, ma si alternano sapientemente con lodi e ringraziamenti, dopodiché, come è risaputo, si finisce in gloria. Qui no! Qui il gemito era martellante fino alla chiusa finale, quella che prevede l’ invocazione del “quoziente familiare”, vero e unico esorcismo contro le forze demoniache della modernità.
L’ accattone all’ angolo, anziché festeggiare il Signore che gli si fa incontro, è indaffarato nell’ esibire le piaghe slabbrandole a dovere.
Forse anche il fedele subisce la mutazione in “sincero democratico” e la frignatina d’ ordinanza (alias rivendicazione) è ormai l’ unica modalità che conosce per esternare il proprio pensiero.
Il Papa, suo malgrado, viene così fatto apparire nel suo scranno come un bianco burocrate presso cui sollecitare la pratica.
Lo confesso, non si capiva bene se la famiglia fosse più una gioia o un’ occasione di martirio.
Per un attimo mi è sembrato di scorgere Ruotolo aggirarsi per le piazze e porgere i microfoni a operai disperati sull’ orlo del licenziamento.
Il “sindacalese” è ormai la nostra lingua madre, non ne conosciamo più altre: Vespa, Floris, Santoro, Lerner – i nuovi Maestri Manzi della TV - ci hanno rintronato a dovere; un tempo la Politica attingeva alla Teologia per forgiare il suo apparato concettule, oggi i ruoli si sono degradati e invertiti al contempo, cosicché il “teatrino della politica” diventa fonte d’ ispirazione per i discorsi di fede.
Intanto, nella mia mente, la famiglia si trasformava da navicella ideale per solcare le onde di un mondo periglioso, in rottame alla deriva che il mondo stesso è chiamato a rimorchiare pietosamente e rabberciare in qualche modo non si sa più bene neanche a quale scopo.
Da dono a fardello, insomma.
Il “povero di spirito” all’ ascolto si sarà chiesto se davvero non c’ è un modo alternativo per organizzarsi e sfuggire alle vessazioni denunciate così vividamente dai “testimoni”.
Il mio pensiero vola a chi è dubbioso nell’ intraprendere il grande passo del metter su famiglia. A questo punto, come minimo, considererà seriamente la possibilità di rinunciare: qualcosa di meglio a tanta sofferenza ci deve pur essere da qualche parte se è vero come è vero che questo resta pur sempre “il migliore dei mondi possibili”.