(o perlomeno del colore di cio’ che mangi)…
,,, e allora non mangiarmi, ti prego…
… ti scongiuro…
(o perlomeno del colore di cio’ che mangi)…
,,, e allora non mangiarmi, ti prego…
… ti scongiuro…
C’ è una gran voglia di estendere il teorema dell’ impossibilità ai mercati. Ovvero, si vorrebbe che, una volta dimostrata l’ impossibilità di aggregare le preferenze tramite voto, dello stesso male soffrisse anche la scelta di mercato.
Ma la cosa non è possibile: l’ incoerenza della democrazia deriva da un confronto omogeneo tra le scelte, l’ incoerenza dei mercati no: bisogna confrontare l’ esito di scelte di mercato con l’ esito di una scelta politica.
Meglio che a dirlo sia James Buchanan.
Trovo che vivere con la fede renda le cose più facili.
Ma soprattutto renda più facile il pensiero. E’ un po’ come se lo facesse rotolare in discesa.
Non sapendo quale sia la strada giusta, sempre meglio percorrere quella in discesa. O no?
Eppure molti “pensatori” atei non hanno una grande considerazione della fede in Dio. La classificano addirittura alla stregua di una disfunzione cognitiva.
Per Freud era una nevrosi e per Marx una perversione. Per Russell era irrazionale e per Hume contraria all’ evidenza.
Nello sforzo civico d’ indorare la pillola si arriva giusto a dire che il credente pensa con il cuore anziché con la testa.
Come previsto, in questi casi il credente più agguerrito non porge l’ altra guancia ma reagisce.
E’ restio ad ammettere umilmente le sue deficienze cognitive, è piuttosto incline a rovesciare l’ accusa: il peccato obnubila le facoltà intellettuali dell’ ateo. Insomma, è l’ altro a ragionare male.
Qui però, secondo me, finisce l’ asimmetria.
Proprio quando lo scontro frontale appare senza sbocchi, una via di uscita si presenta.
Ma solo al credente.
Cosa dobbiamo intendere infatti per “disfunzione cognitiva”, cosa dobbiamo intendere per “funzionamento corretto della ragione”?
La mia auto funziona correttamente se fa quello per cui è stata costruita.
L’ aereo funziona bene se vola e arriva a destinazione.
Il credente, che adora un Dio creatore dell’ universo, ha buon gioco ad avvalersi dell’ analogia servita su un vassoio d’ argento e sostiene che il cervello funziona bene se si adegua al disegno divino.
L’ ateo, invece, su un punto tanto cruciale ammutolisce e stringe i denti.
Potrebbe accennare al fatto che una cosa “funziona bene” se ci aiuta a ottenere cio’ che desideriamo. Oppure se ci aiuta a sopravvivere.
Ma sa anche lui che in entrambi i casi la credenza in Dio non ne uscirebbe affatto sminuita.
p.s. Dettagli: link
Quel due giugno di sei anni fa era ancora più noioso ed inutile di una parata militare.
Forse per il solleone, forse perché sotto l’ influsso di eretiche letture, mi venne fatto di elencare nel vecchio forum di fahre 45 ragioni per cui i regimi monarchici si fanno preferire alla repubblica democratica (qui il post originale).
In realtà si trattava solo di una lunga domanda senza punto interrogativo (se li metti non ti rispondono o lo fanno senza passione): perché mai dovrei credere nella democrazia?
In assenza di spieghe convincenti (qui la discussione) continuai a coltivare il mio cripto-monarchismo.
Ma anche a tenere ben tese le orecchie in attesa di udire parole illuminanti.
E finalmente, dalla lontana Chicago, una voce si alzò:
Donald Wittman: The myth of democratic failure – The University of Chicago Press
Il meriggiare pallido e assorto doveva essere davvero neghittoso se è vero com’ è vero che le 43 obiezioni potevano in fondo ridursi ad una: in democrazia informarsi non è conveniente per l’ elettore.
Persino recarsi al seggio non è conveniente. Sarà per questo che le gallonate autorità democratiche insistono su questo pseudo dovere ricorrendo ad imbarazzanti argomenti vodoo (gli unici a loro disposizione).
Donald Wittman, è di diversa pasta, non deve reggere uno Stato, di lui ci si puo’ fidare.
Comincia con l’ ammettere: difficilmente l’ elettore democratico andrà mai incontro all’ informazione.
Ma prosegue: anche perché sarà l’ informazione a venire da lui.
Se c’ è un minimo di competizione elettorale i politici (a caccia di rendite enormi) faranno il diavolo a quattro pur d’ inseguire il riluttante elettore ed informarlo sulle malefatte del concorrente.
E in effetti siamo sommersi di sexy-informazioni. Ci si metterebbe in mutande pur di pietire l’ ascolto.
Ma un dubbio continua a mordere: puo’ uno scolaro svogliato imparare la lezione quand’ anche disponga di un precettore disposto ad inseguirlo fino a casa? I vecchi dicevano che l’ asino puo’ essere condotto all’ acqua ma non puo’ essere costretto a bere.
Un dubbio resta, ma le ragioni di Wittman sono potenti. A me convince.
Mi accorgo di sapere più dei ministri che stanno a Roma rispetto agli assessori del Comune che sta a 150 metri dal mio divano. Quando l’ informazione si mette in testa di inseguirti ti bracca. Me ne accorgo e mi convinco.
Convince anche quando fa notare come un elettore razionale tiene conto che il politico è mediamente egoista quanto lui, e vota di conseguenza evitando le trappole.
Wittman, dunque, convince.
Eppure non avrà da me né un’ abiura completa, né una conversione a tracentosessanta gradi.
Ok, è riuscito a smontare in marchingegno ben oliato come quello dell’ “ignoranza razionale”, eppure resta ancora lì, intatto, quello dall’ “irrazionalità razionale”.
Nella sua apologia ha trascurato il sottile fascino esercitato dell’ ideologia: il sistema democratico spinge a non informarsi, ma invita soprattutto ad abbandonarsi all’ ideologia. Ci dice ogni giorno che possiamo permettercelo!
Non è un caso se la Propaganda marchia a fuoco la Democrazia quasi fosse il suo vitellino prediletto.
Professare un’ ideologia puo’ essere bello.
Giuro! Vivi da pascià, la salute migliora a vista d’ occhio. Rifiorisci. Hai da dire la tua su tutto e tutti. La lettura del giornale ti manda in estasi ogni mattino consentendoti di scatenare finte rabbie che attirano l’ attenzione. C’ è anche il brividino dell’ avventura: passi per un tipo con le idee chiare, magari un “estremista” che se lo puo’ permettere, un radicale reso tale dagli approfondimenti che gli hanno svelato il giro del fumo, ora sei una minoranza preziosa in via di estinzione. Dal gregge all’ élite, dall’ élite all’ unicum. L’ importante, comunque, è “essere”. Chiedete a qualsiasi psicologo e ditemi se “essere” è secondario per la salute psico-fisica dell’ individuo. Finalmente ti esprimi gridando a pieni polmoni (i polmoni del dubbioso cogitabondo sono messi peggio di quelli del fumatore). Hai una tua identità mentre prima non eri né carne né pesce.
Vuoi mettere?
Se poi prendi un granchio, niente di male, puoi sorvolare agilmente in assenza di controprove che non verranno mai (“il mondo è così complesso”) ma soprattutto il conto si paga alla romana.
E allora, sotto con le ordinazioni!
Ma, se permetti, continuo anche a pensare che quello dell’ informazione sia un vano tragitto: non ci troverà a casa!
Troverà invece appeso alle porte del cervello un bel cartello con su scritto: “sono in visita presso Signora Ideologia, torno subito dopo le elezioni o forse mai. A presto!”.
Frederick Wiseman ha simpatie radicali e qui gira il basic training dei marines americani in partenza per il Vietman.
Avete presente cosa puo’ fare e dire un radicale quando parla di marines e di Vietman?
Avete presente cosa puo’ fare e dire quando ne parla nel 1970?
Se le Torri le ha stese Bush, e c’ erano migliaia di giornalisti “sul pezzo”, chissà, stando a quella vulgata, cosa diavolo succede nel blindato fortino di Fort Knox. Come minimo si praticano lavaggi del cervello con turni anche di notte e la cupola degli scienziati pazzi si riunisce ogni tre per due con quella dei politici stupidi per varare sempre nuovi piani di conquista e destabilizzazione. L’ immaginazione ideologica puo’ correre libera a briglia sciolta.
Eppure:
1. Eppure, grazie a Wiseman, ora so per certo che l’ Accademia della Guardia di Finanza di Bergamo è luogo molto più alienante e giocosamente oppressivo rispetto al Fort Knox dell’ epoca d’ oro.
2. Eppure, il documentario rimane bello e attendibili (anche se in mancanza di sottotitoli la mia comprensione è inesorabilmente amputata).
Perché?
Onestà intellettuale? Forse.
L’ elemento soggettivo è importante, ma è anche radicato nel soggetto: va solo dove va lui, cammina sulle sue gambe.
più fruttuoso impegnarsi per scovare un elemento oggettivo esportabile ovunque.
E allora faccio la mia ipotesi: perché manca la voce fuori campo. Wiseman gira con un braccio legato privandosi volontariamente di questo espediente.
Averlo avrebbe potuto trasformare tutto in una “gabanellata” a tesi telecomandata.
Di più: manca qualsiasi voce o faccia che non sia quella dei protagonisti.
Di più: manca qualsiasi suono estraneo all’ ambiente.
Un film sul convento dei marines dove parlano solo i marines. Puro montaggio senza altre voci che “riassumono”, “razionalizzano”, “edificano”, “moralizzano”, “inquietano” o “tirano le somme”.
Visione cruda e senza filtri.
Dovrebbe essere il Dogma triersiano dei documentaristi di ogni tempo..
Mica tanto: http://econlog.econlib.org/
Scendete ora giù al bar e chiedete a bruciapelo al vostro compagno di bevute quanto fa “171 x 24”, quello vi guarda senza rispondere, strizza gli occhi, corruga la fronte, chiede brancolando carta e penna e si apparta finché s’ è fatta l’ ora dell’ aperitivo.
In effetti non è un’ operazione semplice.
Eppure, se alla stessa persona fate domande molto più complicate – mafari che tirino in ballo centinaia di variabili, magari implicanti valutazioni generali sull’ economia o sulla politica estera – quello non vi farà neanche finire e attaccando con grande verve vi esporrà la sua convinta opinione sui fatti.
Ma come mai sappiamo risolvere tanto velocemente solo i problemi più incasinati?
Per chi difende la libertà la domanda non è pellegrina dato che la libertà trionfa laddove riconosciamo la nostra ignoranza: non esiste soluzione univoca, liberi tutti! Se invece ci districhiamo davvero così bene su questioni tanto complesse, la libertà diventa un orpello inutile: esiste una soluzione, applichiamola!
Purtroppo, a quanto pare, i nostri limiti così evidenti quando trattiamo problemi semplici, spariscono all’ improvviso quando le complicazioni si stratificano.
Il fatto è che una domanda facile (171 x 24) non la si puo’ cambiare, se ne sta lì implacabile davanti a noi come una sfinge sfacciata. Al contrario, una domanda difficile (“quanto bisognerebbe dedicarsi al salvataggio delle specie animali in via di estinzione?”) è proteiforme, sfaccettata. E tu puoi scegliere di rispondere alla faccia più benevola pensando di aver risposto a tutte.
Qualche esempio testato in laboratorio:
Quanto bisognerebbe dedicarsi al salvataggio delle specie in via di estinzione?
Nella nostra testa lentamente si trasforma in:
Come mi sento pensando all’ ultimo panda che tira le cuoia?
Oppure:
Quanto sei felice in questo ultimo periodo?
Diventa:
Come ti senti ora?
Oppure:
Di che popolarità gode il Presidente ora?
Diventa:
Di che popolarità ha goduto il Presidente negli ultimi sei mesi?
Oppure:
Dovrebbero essere punite le banche che hanno consigliato male i pensionati?
Diventa:
Quanto ti monta la rabbia sentendo notizie sulla speculazione?
Oppure:
Questa donna si presenterà alle elezioni, che opportunità avrà di vincere?
Diventa:
Questa donna ha la faccia da vincente?
Conclude lo psicologo:
… le scorciatoie facilitano reazioni rapide a domande che se prese sul serio richiederebbero una notevole mole di duro lavoro… trucchi del genere evitano di farsi toccare con mano le nostre incertezze facendoci scampare l’ ammissione d’ ignoranza…
Ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi:
E’ giusto avere un salario minimo per tutti?
Diventa:
Sarei contento se il padrone desse un aumento a chi guadagna poco?
Oppure:
Quale politica per la crescita?
Diventa:
Quale politica colpirebbe chi mi è antipatico?
Oppure:
L’ art. 18 andrebbe abrogato?
Diventa:
E’ sgradevole essere licenziati?
Oppure:
Come andrebbe graduata la progressività del sistema fiscale?
Diventa:
Ammiro o disprezzo i ricchissimi?
Morale: al bar la libertà è indifendibile.
Peccato che i bar non stiano solo qua sotto: ce ne sono anche in banca, al ministero, in parrocchia… Ma soprattutto ne sono piene le Università.
Benvenuti nel paradiso dell’ idiotismo elettroacustico.
Qui persino l’ ottusità è sgargiante e diffonde ovunque il buon umore e la cordialità (del cocainomane).
Vietato cantare. Gradite invece le lallazioni prodotte da adulti neonati mentre girano in tondo con accelerazioni da comica finale.
Un mondo sotto spirito che grazie a dosati elettroshock viene rianimato di tanto in tanto per scatenare la sua funebre vivacità marionettistica. Dietro le transenne il popolo dei curiosi lo guarda come uno di quei fiori kitsch che sbocciano ogni dieci anni.
link
Dan Deacon - Bromst - Cak
p.s. (che non c’ entra niente) auguroni al nostro mitico davide che oggi aggiunge una primavera alla sua saggezza!
There is a crack in everything. That’s how the light gets in.
Leonard Cohen
Quando una situazione puo’ essere descritta in almeno due modi differenti, entrambi coerenti al loro interno ma tra loro inconciliabili, parliamo di “ambiguità”.
Se una giovane è anche vecchia, siamo in un caso del genere.
Di fronte all’ ambiguità molti si sentono mancare la terra sotto i piedi e annaspano. Ultimamente va molto di moda trovare rifugio sul solido terreno delle scienze.
Illusi!
Luogo comune: l’ ambiguità valorizza forse l’ arte, ma quando si pensa seriamente è la chiarezza a divenire un valore.
Tutto giusto. Ma perché allora proprio la scienza cumula una quantità di conoscenze dove l’ ambiguità regna sovrana? E non parlo di curiosità da zoo safari ma di dinamite posta ai piedi dei piloni centrali che reggono l’ edificio del sapere. E’ questo un fallimento?
Di seguito, una dozzina di esempi.
1. Moltiplicazione. 3x2=6. Questo “sei” è un “oggetto” o un’ “operazione”?
2. Variabile X. Rappresenta una qualsiasi delle soluzioni possibili o l’ insieme delle soluzioni possibili?
3. Calcolo. Ogni calcolo integrale è riducibile a calcolo differenziale (e viceversa). Ma cosa si adatta meglio alla realtà?
4. Logica. La logica classica è un’ enorme tautologia e l’ essenza della tautologia sta proprio nella sua ambiguità.
5. Meccanica quantistica. Ma l’ elettrone è un’ onda o una particella?
6. Relatività. La realtà è materia o energia?.
7. Neuroscienze. Pensiamo con il cervello o con la mente? Con il cervello, ci dice la mente.
8. Scienza. Cos’ è? Una collezione di “leggi” o un’ attività umana?
9. Leggi della finanza. Esistono o no? Sembra di sì, ma se ci si adegua si dissolvono.
10. Significato. Lo trovo nel dizionario o nell’ uso?
11. Visione binoculare. L’ immagine reale si forma nell’ occhio destro o nel sinistro?
12. Matematica. I grandi matematici innovarono la loro disciplina attraverso "invenzioni" o attraverso "scoperte".
13. Evoluzionismo. Innesca la vita o è innescato dalla vita?
14 Caso, Infinito… Sono concetti definibili o no?
La risposta migliore è sempre la stessa: entrambe le cose. Anche se non riusciamo e non possiamo pensarle insieme!
Diffidate di chi trascura uno dei due corni del dilemma e tende a svalutarne l' importanza.Ok, il cervello riconcilia le immagini che abbiamo negli occhi producendo l’ immagine che vediamo. Anche le ambiguità possono essere riconciliate ad un livello superiore, senonché tornano puntualmente a riproporsi anche a quel livello.
Prendiamo il concetto di “matematica”. Il formalista cerca di dimenticarsi della matematica come “attività umana”. Ma poi l’ ambiguità che crede di superare pensando in questo modo la realtà, torna a riproporsi in vesti curiose proprio nel cuore dei suoi teoremi.
Che vita d’ inferno quella dello scienziato che non ama l’ ambiguità.
Ma torniamo alla domanda iniziale. Questa ipertrofia dell’ ambiguo è un fallimento del sapere?
La scienza osserva e poi ragiona a tavolino. Solo che il tavolino su cui ragiona sembra avere tre gambe.
Tutto cio’ potrebbe essere visto come un bene, se esistessero zeppe in grado di fermarlo rischieremmo l’ immobilità assoluta. In questo modo siamo invece condannati al movimento e al cambiamento.
Speriamo che questo “cambiamento” sia anche un “avanzamento”. Ma qui interviene la fede.
Chi è in cerca di precisione e certezze stia dunque alla larga dalla scienza e dal pensiero scientifico, sarebbe una fatica immane quel far finta di non vedere a cui sarebbe costretto. La scienza ci consegna oggetti bellissimi ma anche fatalmente crepati, solo chi apprezza la luce che entra da quelle crepe si troverà a suo agio.
William Byers – The blind spot
Era già un pezzo notevole (il primo di questa playlist); ora una chicca di Frankel prova ad illustrarlo.
Ottima occasione per osservare da vicino l’ incastro tra due bellezze. Come si relazionano?
Sinergia? Conflitto? Erosione?
Purtroppo, nell’ investirci, il nuovo prodotto ci chiama a dare delle precedenze, e l’ immagine se la prende senza tanti riguardi.
L’ ambiguità dei suoni risulta amputata, qualcuno ha già scelto per noi.
Il fascino della musica, quello di portarci ad un crocicchio ricco di alternative, si dissolve: siamo incamminati su una strada. E’ bellissima, è asfaltatissima, è scorrevole e ben illuminata. Mille promettenti negozi la costeggiano.
Ma è… “una”. Non l’ abbiamo scelta ed è senza ritorno.
Proibire la compravendita di organi umani ha poco senso. Uno scambio migliora la condizione di entrambe le parti ma questo scambio in particolare allevierebbe le sofferenze di molti per non dire delle vite umane che si salverebbero.
Qualcuno obietta che individui disperati o poco lungimiranti ci andrebbero di mezzo. In realtà dottori, ospedali, amici e parenti limiterebbero di molto gli abusi. A tutto cio’ si affiancherebbero regole sicure per il consenso.
Basterebbe un piccolo compenso per aumentare di molto le liste dei donatori. molti sarebbero felici di registrarsi per 100 euro. Compagnie private curerebbero questi registri rivendendoli agliospedali.
I principali sistemi fiscali si basano sulla tassazione del reddito, non è la tassa ottima (meglio tassare il consumo) cio’ nonostante vediamo quale struttura è preferibile.
Meglio evitare privilegi e esenzioni particolari.Anche quando sono ragionevoli complicano all’ inverosimile il sistema.
Inoltre alimentano la lotta politica e le azioni delle lobbies: perché impegnarsi sul lavoro quando conviene far casino e premere sul legislatore?
Opportuno poi minimizzare l’ aliquota marginale: una flat tax coglie al meglio questo obiettivo.
Da ultimo, una negative income tax realizza le politiche del reddito minimo garantito.
Tassare il reddito d’ impresa costituisce una doppia tassazione qualora sia tassato anche il reddito distribuito.
Spesso la doppia tassazione è scongiurata ma solo attraverso complicate leggi fiscali che rendono il sistema molto oscuro e vulnerabile alle elusioni.
La tassa sulle imprese abbassa i salari e aumenta i prezzi: non è mai un bell’ affare.
Inoltre disincentiva il risparmio poiché non ha più molto senso investire in azioni.
Poiché tassare la produzione deprime l’ economia, ecco fioccare le esenzioni a macchia di leopardo, una pratica che è fonte di disordine e iniquità in campo fiscale.
La tassazione dell’ impresa fomenta la fuga verso il no-profit tramite mille forme di elusione fiscale.
La chiarezza di un sistema fiscale è perduta per sempre una volta stabilito che non solo le persone ma anche le cose pagano le tasse.
Caleb Burnheim ha scritto parecchia avventurosa musica per archi nel tentativo di riproporre creativamente le tristi inflessioni vocali del suo idolo, il cantautore inglese Nick Drake. Microtoni, glissandi, archetti modificati… le ha provate tutte per inseguire quel modo tutto particolare di pitturare le parole.
Per noi è una benedizione che ascoltando le scheletriche ballate del depresso menestrello dall’ alto dei suoi diplomi non le abbia liquidate con un: “niente male per essere solo spazzatura!”, e nemmeno: “ottimo per la pausa caffé, in attesa di cominciare il lavoro serio sulla carta pentagrammata”. E nemmeno le abbia pensate come hobby da sfruttare per dar la stura ai suoi numeri da virtuoso.
No, per lui quella musica indolente e triste era un “mistero artistico” autentico che lo riguardava da vicino in quanto musicista, e con la sua opera e il suo linguaggio personale ha tentato di dare un resoconto credibile di cio’ che lo aveva colpito.
Il piccolo Nick Muhly, da corista di collegio, si è arrotondato la bocca su molta della tradizione anglicana e oggi, nella sua musica corale, le reminiscenze di questo passato (molto prossimo) traboccano: un fraseggio stretto dal Te Deum di Howells, un salto vocale da una canzone di Tye, un colpo di glottide nel mottetto pentecostale o un responsorio a velocità variabile, ricordo del Taverner della settimana santa.
Il climax a lungo sospeso della sua musica attende che affiorino in modo rapsodico queste trovatine eclettiche che finiscono qua e là per agglutinarsi in agitati caleidoscopi.
Il giovanotto predilige la musica sacra perché la Scrittura è zeppa di “you”, che con il “me” risulta essere parolina particolarmente musicabile e pitturabile; e anche perché lì la tradizione del “word painting” è consolidata. Non a caso, pur di infilare qualcosa di profano che si prestasse ad una fantasiosa sonorizzazione lessicale, si è affidato a Whitman, poeta le cui gioie assomigliano a quelle del bambino che trova la figurina mancante intonando salmi laudatori, e le cui rabbie lo portano ad inveire come un Geremia ad Arcore. Ma soprattutto è un tale che non esita a dire chi è (i “me” si sprecano, per la gioia del pittore di parole) e a parlare guardandoti negli occhi mentre ti mette spalle al muro infarcendo il suo sermone laico con un mitragliante “you”.
Nico Muhly – A good understanding - Decca
Ci sono molti che considerano la scienza moderna un monolite, a costoro la mitica “comunità scientifica” appare alla stregua di un tribunale chiamato ad emettere sentenze.
Un simile approccio lega inestricabilmente “scienza” e “certezza” facendo della prima la “religione del nostro tempo” (la vecchia viene mandata in pensione).
Si compone una graduatoria ordinando le ipotesi in funzione della loro “certezza”. In cima svetta la teoria “ provata scientificamente”.
Questo modo di procedere risponde ad un bisogno: l’ uomo è da sempre a caccia di rassicurazioni e oggi le rinviene nei solidi contenuti della produzione scientifica.
Altri, pensando alla scienza, preferiscono enfatizzare i processi rispetto ai contenuti. Costoro sponsorizzano una “scienza-meraviglia” da contrapporre alla “scienza-certezza”.
Per loro lo scienziato è un “curioso”, non un “sacerdote”. Il suo marchio di fabbrica lo rintraccerete negli occhi con cui guarda al mondo, non nella sicumera con cui prova un teorema.
Il curioso, va da sé, apprezza la “diversità” ed evita di delegittimarla con graduatorie o condanne inappellabili. Sa che anche nelle istanze quantomeno dubbie c’ è sempre qualcosa che vale la pena “rubare”.
Avete presente lo scommettitore? Per lui l’ esistenza di posizioni minoritarie è da benedire per almeno due motivi: 1. gli alti rischi hanno un loro fascino e 2. che senso avrebbe scommettere (occupazione tanto amata) se un cavallo attirasse su di sé tutte le puntate.
Ecco. lo “scienziato curioso” ha un istinto simile.
Secondo William Byers la prima posizione è, tanto per cominciare, pericolosa.
Pensate solo al mondo contemporaneo e alle crisi profonde che vive: terrorismo, economia, ambiente. La loro presenza e la loro entità ci colpisce nell’ intimo, sembriamo più vulnerabili dei nostri avi che tiravano avanti indifferenti in ambienti altrettanto se non ancora più ostili.
Ma colpiscono e sconvolgono soprattutto chi pensava che padroneggiando una solida scienza avremmo agevolmente scampato pericoli di questa portata.
Ma, per William Byers, la falsa credenza della “scienza-certezza” non è solo pericolosa, è anche tipica di chi, non frequentando la scienza, non percepisce il volume impressionante d’ incertezze che sprigiona il suo dispiegarsi.
E qui si scatena nel merito.
Veramente singolare questa marcia verso la verità a suon d’ incertezze. Un’ incertezza che fa strabuzzare gli occhi: a chi dallo spavento, a chi dall’ entusiasmo.
L’ autore mi convince su cio’ di cui sono già convinto, per esempio quando dipinge la scienza come un forum caratterizzato dall’ inclusione piuttosto che dalla proscrizione. Un po’ meno quando traccia una così netta cesura tra “certezza” e “meraviglia”.
William Byers – The blind spot – Princeton press
Rather than being learned from parents, a concept of property rights may automatically grow out of 2- to 3-year-olds’ ideas about bodily rights, such as assuming that another person can’t touch or control one’s body for no reason, Friedman proposed.
...
Friedman’s team presented a simple quandary to 40 preschoolers, ages 4 and 5, and to 44 adults. Participants saw an image of a cartoon boy holding a crayon who appeared above the word “user” and a cartoon girl who appeared above the word “owner.” After hearing from an experimenter that the girl wanted her crayon back, volunteers were asked to rule on which cartoon child should get the prized object.
About 75 percent of 4- and 5-year-olds decided in favor of the owner, versus about 20 percent of adults.