venerdì 29 novembre 2019

SCHIO

Non entro nella vicenda particolare ma già in passato, di fronte a casi simili, mi è capitato di storcere il naso e pensare: "qui c'è qualcosa che non va". Mi chiedo: ma che cavolo di differenza fa "rifiutare" piuttosto che "non proporre"?
A livello di sforzo, risorse ed energie spese la differenza è praticamente zero. Proporre un ricordo mi costa quanto "rifiutare" quel ricordo.
A livello di giudizio morale la differenza è enorme. Chi si rifiuta viene indicato al pubblico ludibrio, chi non propone resta tranquillamente nell'ombra.
Come sanare l'assurdità? Personalmente, in casi del genere, legittimerei il rifiuto. Chi propone non sta dando un giudizio ma sta elevando una bandiera, costruendo un simbolo. Chi rifiuta, allora, è come se dicesse: "condivido il tuo giudizio ma non ne faccio il mio simbolo". Più che legittimo, direi.
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Bocciata l’iniziativa Pd a ricordo delle vittime dell’Olocausto. Tra le obiezioni dei consiglieri di centrodestra: «Rischiano di portare di nuovo odio e divisioni

UN COLOSSALE PAREGGIO

UN COLOSSALE PAREGGIO

L’astronomo credente va a nozze con gli universi che hanno un inizio, in questi casi è lesto a tirare fuori l’argomento della “causa prima” e trovare un conforto “scientifico” per la sua fede. Tra big bang e argomento antropico gli indizi di un “inizio” non mancano, anche se l’astronomo ateo non tace di certo e risponde colpo su colpo parlando di conservazione dell’energia, salti quantici e rimbalzi entropici, al che il primo si scatena con i cervelli di Botzmann e gli hotel di Hilbert. In casi del genere è facile fare notte. Ma questo è un film già visto, qui vorrei occuparmi degli universi che esistono da sempre, ciclici o non ciclici poco importa.
In questi casi il teista ipotizza che l’universo eterno sia comunque “sostenuto” da una causa divina mentre l’ateo risponde con il regresso infinito di cause. Quale spiegazione preferire?
Mi concentro sulla teoria preferita dagli atei e faccio un paio di analogie:
1) Teoria omuncolare della percezione. In questa teoria si sostiene che per una persona “vedere” significa produrre un’immagine interna che viene poi vista da una “personcina” che abita il suo cervello. Ma questo ancora non ci dice in cosa consista il “vedere” poiché occorre ipotizzare un omuncolo ancora più minuto all’interno del cervello del primo omuncolo, e così via all’infinito.
2) Teoria cosmologica dei colossi. Sappiamo che le cose tendono a cadere. Ma perché l’universo non cade? Teoria: perché è sostenuto da un colosso. E perché il colosso non cade? Perché è sostenuto da un altro colosso! E via così all’infinito.
Le due teorie non sembrano molto convincenti – ovviamente lasciamo perdere il merito ridicolo – cosicché i teisti hanno tentato di assimilarle formalmente alla teoria del regresso infinito delle cause: proprio come i regressi delle teorie 1 e 2 spiegano poco, anche il regresso delle cause – per quanto reso più credibile nel merito dalla moderna cosmologia – ha una capacità esplicativa difettosa.
L’osservazione non è peregrina ma c’è qualcosa che non torna.
Innanzitutto l’analogia con l’omuncolo non sembra pertinente poiché in quel caso si intende spiegare “cosa sia la visione umana”, la teoria del regresso causale non ha lo scopo di spiegare “cosa sia l’universo” ma solo giustificare la sua presenza. In questo senso è più simile alla teoria 2.
Ma anche la teoria 2 è difettosa: spiega perché l’universo non cade ma non spiega perché non cadono i colossi. Questo difetto lo ritroviamo pari pari nella teoria del regresso causale poiché viene giustificata la presenza dell’universo ma non della serie di cause che lo ha generato.
In altri termini, la teoria giustifica l’universo ma non ci dice perché esiste. Perché esiste qualcosa anziché niente?
E’ un difetto grave? Sì, ma solo se esiste un’alternativa migliore. Sembrerebbe che non esista visto che anche l’ipotesi di Dio giustifica l’universo ma non ci dice perché Dio esiste anziché no. In realtà alcuni filosofi hanno provato a dirlo finendo nella circolarità dell’argomento ontologico.
Io concluderei salomonicamente che il confronto sul potere esplicativo dell’argomento cosmologico e della regressione debba finire con un onorevole pareggio.
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giovedì 28 novembre 2019

SEVERINO, SPIEGATI!

SEVERINO, SPIEGATI!
Emanuele Severino, per molti il nostro massimo filosofo, è assurto a notorietà per aver negato l'esistenza del tempo in TV gettando tutti nello sconforto e nella meraviglia. In realtà chi ha fato il liceo ci assicura che ha illustri predecessori. Il problema, semmai, è trovarne uno che l'abbia fatto in modo chiaro, ovvero analitico.
Forse l'ho trovato: J.M.E. McTaggart.
Vediamo come vede le cose il McTaggart. Gli eventi nel tempo possono essere passati, presenti o futuri, dove queste proprietà si intendono reciprocamente esclusive. Ora considera un evento "e". Prima che si verifichi "e" è nel futuro. Mentre sta accadendo è nel presente. Dopo che si verifica è nel passato. Pertanto, "e" è sia nel futuro che nel presente che nel passato. Ma questo è contraddittorio, poiché, come abbiamo detto, gli attributi di passato, presente e futuro si escludono a vicenda. Ergo: il tempo non esiste.
Come se ne esce? Per esempio così: supponiamo che l'evento sia la scrittura di questo post: ora è nel presente, ieri era nel futuro e domani sarà nel passato. Nulla può avere proprietà incompatibili contemporaneamente; tuttavia, non c'è contraddizione nel fatto che una cosa abbia proprietà incompatibili in momenti diversi.
McTaggart risponde che l'obiezione implica l'introduzione di una seconda serie temporale. La serie temporale originale prevedeva "eventi ordinari" che possono verificarsi nel passato, nel presente e nel futuro. La seconda serie temporale, invece, coinvolge "eventi passati" che si verificano nel passato, "eventi presenti" che si verificano nel presente ed "eventi futuri" che si verificano nel futuro. Ma l'impertinente considerazione di McTaggart può essere sollevata nuovamente per questa seconda serie: la presenza stessa di "e", tanto per dire, ha la proprietà di poter essere passata, presente e futura. Ancora una volta, queste sono proprietà incompatibili, quindi torna la contraddizione. Inutile dire che la replica a questa risposta di McTaggart sarebbe simile alla precedente e la discussione si inabisserebbe in un regresso infinito.
Ma la presenza del regresso infinito a chi dà rgione? A chi afferma o a chi nega l'esistenza del tempo?
Il regresso infinito, non spiegando nulla, dà ragione a chi non deve spiegare nulla. E' McTaggart (con Severino) che deve spiegarci la bizzarra affermazione per cui il tempo non esisterebbe!
Mc Taggart potrebbe rispondere che siamo noi a dover spiegare le contraddizioni che si creano postulando l'esistenza del tempo. Qui occorre chiarire un punto che abbiamo dato per scontato: il principio di non contraddizione.
Ammettiamo che il principio di non contraddizione sia questo: nulla al mondo può avere due o più proprietà incompatibili contemporaneamente. In questo caso utilizzare il regresso è legittimo per gli oppositori di Mc Taggart poiché non c'è nessuna contraddizione che devono spiegare.
Ma ammettiamo che il principio di non contraddizione fosse: nulla al mondo può avere due o più proprietà incompatibili, indipendentemente dal fatto che siano possedute contemporaneamente o in momenti diversi. In questo caso il ricorso al regresso è vano, ma per fortuna non ce n'è bisogno visto che basta rigettare questa strana versione del principio di contraddizione per mettersi al sicuro dalle bizzarrie filosofiche.

COME FARE SOLDI IN RETE (mai pubblicato)

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Quando andavo all'università studiavo un economia che ha perso quasi completamente di senso. Perché? Non perché è cambiata l'economia ma perché sono cambiati i prodotti. La tecnologia digitale è piena di beni "non escludibili" a costo marginale pari a zero. Ma che significa?

1) Bene "non escludibile": sono quei beni che, una volta prodotti, possono essere goduti da tutti. Esempio: una strada. Ma anche un saggio in rete: per impedire a qualcuno di leggerlo, dovrei creare una barriera artificiale, come un paywall. Ma i paywalls generano il problema dell'uovo e della gallina: prima di pagare uno vuole sapere a cosa accede e se viene a saperlo non pagherà per accedervi.

2) Costo marginale pari a zero: quando chiedi una pagnotta al panettiere lui sopporta un costo per fabbricarla. Ma quando chiedi un e-book ad Amazon, quell'e-book non costa nulla, solo la prima copia ha un costo.

I vecchi beni (tipo la pagnotta) vengono commercializzati mettendoli metaforicamente all'asta, ma questa strategia non funziona con i prodotti digitali. Che fare allora? Ecco le strategie più seguite: discriminazione dei prezzi, campioni gratuiti, versioni alternative, pacchetto, pubblicità, effetti di blocco.

Discriminazione di prezzo: perché i venditori offrono buoni sconto? Per mantenere prezzi elevati solo per le persone che sono meno sensibili ai prezzi e prezzi più bassi per gli altri. Perché, per esempio, le compagnie aeree variano i prezzi dei loro biglietti? I prezzi bassi aiutano a riempire gli aerei con clienti sensibili al prezzo, mentre i prezzi elevati sono destinati ai clienti le cui esigenze di viaggio sono relativamente rigide, rendendoli meno sensibili al prezzo. Con i suoi e-book Kindle, Amazon ha l'opportunità di discriminare i prezzi. Possono applicare prezzi diversi in punti diversi nel tempo per lo stesso libro. Ci sono prezzi diversi anche grazie all'opzione unlimited. In un mercato senza aste la discriminazione compensa le difficoltà di trovare un prezzo di equilibrio.

Campioni gratuiti e estratti: è la soluzione al problema dell'uovo e della gallina. Puoi leggere alcuni articoli gratuitamente, ma se vai oltre devi pagare. Anche Amazon ti regala gli estratti dei suoi e-book.

Versioni differenti: ad esempio, Spotify offre una versione gratuita del suo servizio e una versione in abbonamento a pagamento. La versione gratuita include pubblicità e manca di alcune funzionalità della versione a pagamento.

Pacchetto: consiste nel combinare merci diverse e venderle insieme. Alcune aziende raggrupperanno un bene digitale con un bene fisico. Ad esempio, quando ti abboni alla versione stampata di un giornale, ottieni un accesso illimitato alla versione web. Amazon Prime è un pacchetto che include qualcosa di fisico (servizi di consegna) e accesso a contenuti digitali. Microsoft era famosa per il pacchetto app + s.o.

Pubblicità: consente ai fornitori info, come Google e Facebook, di finanziarsi con la pubblicità senza addebitare nulla agli utenti.

Effetti di rete: la strategia aziendale è quella di pagare per attirare gli utenti a breve termine, al fine di poter trarre profitto dai consumatori a lungo termine. Ad esempio, Uber ha bruciato il capitale di investimento per offrire prezzi bassi, il che è necessario per costruire una solida rete di piloti e clienti dotati di app. Ovviamente, non serve a niente questa politica se i clienti ti abbandoneranno una volta che inizi a caricare i prezzi e realizzare profitti. Ciò significa che sono necessari effetti di blocco per sfruttare gli effetti di rete. Facebook deve trovare il modo di tenerti bloccato nel suo servizio piuttosto che lasciarti andare altrove, in questo aiuta il fatto, per esempio, che i tuoi amici sono lì ed è difficile coordinarsi per sostarsi altrove.

LA DECRESCITA DELLA SCIENZA

LA DECRESCITA DELLA SCIENZA
Se lo scontro classico è quello tra progressisti e conservatori, vi assicuro che ce n'è un altro più interessante, quello tra chi crede che il progresso ci sia e chi ormai non ci crede più mica tanto. In questi casi la materia del contendere è il progresso scientifico stesso. Esiste ancora?
Il partito del "no" sembra stia avendo la meglio. Nelle parole di Peter Thiel: "ci aspettavamo macchine volanti e abbiamo avuto i 140 caratteri". Le innovazioni che hanno accompagnato la rivoluzione industriale erano ben altra cosa rispetto alla molta fuffa attuale. Pensiamoci due volte prima di mettere soldi nella scienza, potrebbe essere uno spreco.
Cosa è andato storto?
C'è una disciplina che va sotto il nome di "scienza della scienza" e misura la produzione scientifica: numero di ricerche, numero di brevetti, ma anche età anagrafiche e zone geografiche più creative, oppure quante persone occorrono mediamente per partorire un'idea degna di nota. Roba del genere, insomma. Gli indicatori generali su cui si ripercuote la produttività scientifica sono la produttività economica, la resa dei terreni, la speranza di vita la legge di Moore e altri ancora. Ecco, al netto di tutte le difficoltà definitorie, la produttività scientifica risulterebbe in calo piuttosto marcato, anche se la produzione aggregata non sembra ancora risentirne.
Il rallentamento è comunque una cattiva notizia visto che ci sono mega-problemi ancora inevasi come il cambiamento climatico e la residua povertà.
Se la qualità organizzativa della ricerca migliora, non c'è dubbio che oggi ci sia più burocrazia. Ma lo spettro è quello di rendimenti fisiologici decrescenti: abbiamo già colto i frutti sui rami bassi. Nel qual caso pensare ad un disinvestimento non sarebbe tanto assurdo.

mercoledì 27 novembre 2019

Alla gente piace dire cose del tipo: "una società che paga di più gli atleti degliinsegnanti è una società marcia". Ma ecco un problema.

Lo scorso anno la spesa per la scuola è stata circa di 66 miliardi di euro, per lo sport professionistico 5/8 miliardi.

Quindi, secondo la logica della denuncia, la società apprezza molto di più l'educazione rispetto allo sport, come dimostra il fatto che devolviamo molto di più ad essa che allo sport. Invece, le star dello sport fanno più soldi degli insegnanti star, anche se l'atleta professionista mediano non guadagna quasi nulla. Questa cosa è ingiusta? Ronaldo dovrebbe guadagnare meno del mio ottimoinsegnante di ragioneria? Bene, ciò dipende da quale sia la teoria corretta del compenso eqip. Ma, dato quello che sappiamo su quanto poco apprendono gli studenti e data la bassa produttività degli insegnanti, vale la pena notare che il "servizio alla società" di Ronaldo è migliaia di volte maggiore di quello di qualsiasi insegnante.

brennan su fecebook

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In politica il nostro avversario ci sembra un alieno. Sbagliato:

1) non siamo bene informati su di lui

2) siamo molto più simili di quel che pensiamo
Tra i resoconti giornalistici della crisi, il mio preferito è Bethany McLean e Joe Nocera, All the Devils are Here. Penso che aiuti a far emergere due aspetti importanti della crisi. Un aspetto è la mancanza di consapevolezza che molti dirigenti senior delle società finanziarie avevano sui complessi rischi insiti nei portafogli delle loro imprese. Un altro aspetto è il ruolo svolto dalle attività di lobby delle società di Wall Street e Fannie Mae nel dare forma al sistema di finanziamento ipotecario mentre si evolveva nei decenni precedenti la crisi.

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RICCARDI MARIANI

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RICCARDI MARIANI
La premessa del libro: il nostro comportamento è guidato dall' "apprendimento emotivo". Le emozioni intense generano gli schemi che ci facciamo su come funziona il mondo e il cervello usa poi questi modelli per guidarci al meglio. Anche l'irrazionalità si genera indirettamente dalla coesistenza di più modelli del mondo impliciti che si sono formati in risposta a varie sfide esterne.
Esempio: un uomo di nome Riccardo non riesce a parlare nelle riunioni aziendali. Ha buone idee ma ha inspiegabilmente paura di esporle al momento opportuno. Durante la terapia ha descritto suo padre come un narcisista chiacchierone che metteva bocca dappertutto. Tutti lo odiavano o lo prendevano in giro per essere uno sciocco che non sta mai zitto. Il terapeuta ipotizza che Riccardo lo osservasse e formasse un suo modello predittivo, qualcosa come "parlare ti rende odioso". Si tratta di una regola generale ma quando sei un bambino non hai molti dati e generalizzare in questo modo è normale.
La regola del tipo "parlare ti porta ad essere odiato" è una "memoria emotiva" di Riccardo. Puo' razionalmente capire che non è più utile, ma ciò non sempre aiuta poiché la sua memoria emotiva non se ne va, resta lì e si fa sempre sentire in modo più o meno conscio.
Cosa dovrebbe fare il terapeuta? Puo' somministrare anisomycina, ma è una sostanza tossica. Puo' fare un bell'elettroshock, ma ci sono danno collaterali. Puo' somministrare sostanze psichedeliche, ma si tratta di terapie in embrione. Occorre comunque fare qualcosa per indebolire la memoria emotiva passata e "riconsolidarla" diversamente. Il libro illustra una sua terapia ma qui diventa per me meno interessante e lo lascio alla vostra eventuale lettura.
La cosa interessante è invece l'idea di mente che ne viene fuori. Noi non siamo una persona ma tante persone, non un cervello ma tanti. Gli schemi interpretativi vengono generati dalle emozioni e le emozioni che proviamo sono le più disparate, così di schemi ce ne sono tanti nella nostra testa ma soprattutto poco connessi tra loro, anche perché noi non li abbandoniamo mai, nemmeno di fronte alla prova provata che non funzionano. Il potere di ricucirli è assai limitato.
Il nostro cervello deve essere immaginato come un paesaggio montuoso con fertili vallate separate da alte vette. Ogni ricordo (con annesso relativo schema interpretativo) scava e vive nella sua valle (un po' come un fiume). Ma non possono parlarsi. I valichi sono stretti e insidiosi. Gli schemi vivono autonomamente, non vincolati dalle conclusioni raggiunte altrove. La coscienza è una capitale che si stende su un'ampia pianura. Quando il cervello ha bisogno delle informazioni archiviate in una valle particolare, invia messaggeri sui passi. Questi messaggeri sono in gamba, ma portano semplici lettere, non tomi pesanti né tanto meno files; spesso possono solo trasmettere ciò che pensano gli abitanti della valle e non il perché. I collegamenti tra capitale e valli di solito sono precari e il commercio tra valle e valle è quasi inesistente. Puoi avere due valli in cui ferve il lavoro ma che non comunicheranno mai tra loro. A volte, quando è molto importante, il re può ordinare di costruire una strada. Ma non è la norma, e costruire su quei territori è molto dura.
In parole povere siamo dei dissociati. I pazienti dello psichiatrico sono la nostra caricatura... fedele. Avete presente quel tale a cui piace tanto il suo dottore? Lo ama, lo loda di fronte a tutti gli altri pazienti, dice che una volta fuori da lì lo nominerà per il Nobel. Poi, quando il dottore prende una decisione poco gradita - magari rifiuta un permesso - improvvisamente quel medico diventa un violento, peggio di Hitler, peggio di Mengele. Quando sarà fuori lo denuncerà a tutte le autorità portandogli via anche le mutande. Poi il dottore prende una decisione gradita e lui torna ad amarlo incondizionatamente. Ecco, un soggetto del genere non riesce ad integrare i suoi giudizi sul medico, ha schemi diversi che si formano in vallate diverse e non comunicanti del suo cervello.
Così noi non siamo il nostro cervello ma la moltitudine dei nostri cervelli. Non esiste un dipartimento verso cui si convogliano i dati e che, in base alla sua potenza (IQ), riuscirà in modo più o meno brillante a comporre in modo razionale, generando qua e là qualche sbavatura che noi chiameremo pomposamente "bias cognitivo". No, non funziona così. E infatti noi vediamo persone intelligentissime e istruite che credono a cose sciocche e dicono cose sceme quando escono dal loro ambito. Le persone faziose, per esempio: magari intelligentissime quando sono nella loro valle preferita ma completamente deficienti e impermeabili ad ogni argomento ragionevole non appena ci si sposta in una valle collaterale del loro cervello. Ci sono persone intelligenti che hanno letto molto su un argomento ma che alla fine prendono posizioni dettate solo da schemi sballati internalizzati a suo tempo. Alcuni temi (aborto, cambiamento climatico, famiglia, religione, patria, scuola statale, omosessualità...) si prestano particolarmente ad essere elaborati in vallate assai periferiche del nostro cervello. Proprio come nel caso del nostro Riccardo. Riccardo ha prove sufficienti per rendersi conto che in azienda non odiano affatto tutti quelli che parlano durante le riunioni. Ma sente ancora, a un livello profondo, che parlare alle riunioni lo metterebbe nei guai. Le prove a sua disposizione non sono riuscite a connettersi con il suo schema emotivo, la parte di lui che prende le decisioni. Quando parli di aborto o riscaldamento globale succede un po' la stessa cosa? Le prove razionali non si collegano agli schemi dell'apprendimento emotivo? I messaggeri del Re riusciranno a recapitare il loro precario dispaccio nella sperduta vallata?
In un certo senso questo è spaventoso, significa che puoi essere uno scienziato di livello mondiale e avere dimestichezza con la matematica bayesiana e ancora non riuscire ad evitare credenze puerili che neanche un bambino di dieci anni... I razionalisti si consumano per classificare i bias cognitivi, ma ho la netta impressione che la maggior parte dei bias siano spiegati dalla mancata integrazione tra i paesini che costellano l'aspra montagna del nostro cervello.

La Fede dal barbiere


La Fede dal barbiere


La ragione ci avvicina o ci allontana da Dio?
Difficile dirlo, un modo comune di pensare il confronto razionale tra fede e ateismo consiste nel suppporre che l’ateismo sia il default razionale, dato che non postula Dio e che sulla fede ricada l’onere della prova poiché l’esistenza di Dio è un postulato straordinario.
Di solito, in questi casi, si parla di “rasoio di Occam”: a parità di altre condizioni, le teorie più semplici dovrebbero essere preferite. Ma perché dovremmo prendere per buona un’assunzione del genere?
Vediamo un altro esempio: la probabilità che la mente coincide con il cervello è maggiore della probabilità che la mente sia distinta dal cervello. E’ un’ipotesi sostenuta dai fisicalisti sulla base della “semplicità”. Ma è anche un’ipotesi alquanto strana poiché i più fanno esperienza diretta della mente (la loro) e non sono disposti a considerarla un’illusione da sfatare facendola coincidere con il cervello. Che ne direste, a questa stregua, di considerare i gatti come pianeti? In fondo questa stravagante ipotesi è più semplice che considerare le due cose distinte.
Ma cosa convalida l’idea di “semplicità”? Difficile cercare la risposta tra i fisicalisti. Forse i dubbi possono essere illuminati da due esempi.
1) Caso 1: sei seduto nel tuo appartamento e utilizzi due dispositivi elettrici: un computer desktop e una lampada. Entrambi si spengono improvvisamente nello stesso momento. Cosa è successo? Consideri due teorie, una semplice (S: è andata via la corrente) e una complessa (C: la lampadina si è bruciata e il pc si è collassato). Poiché S prevede una causa unica per entrambi gli eventi ha anche maggiori probabilità di essere corretta. La correlazione trasemplicità e probabilità qui è evidente.
2) Caso 2: parti per un lungo viaggio. Quando esci, per qualche motivo, lasci accesi il computer e la lampada. Ritorni un anno dopo e constati che entrambi sono spenti. Consideri due ipotesi, S: c’è stato un black out. C: la lampadina si è bruciata e il pc è collassato. Quale ipotesi privilegiare? S è più semplice di C visto che contempla una sola causa mentre C ne contempla due. Tuttavia, questa volta, C è più probabile di S. (se hai dubbi considera un’assenza di 10 anni).
Ricapitolando: S e C spiegano entrambi bene il fenomeno ma S è più semplice. Nonostante questo nel caso 1 scegliamo S e nel caso 2 C. Davvero singolare!
Il punto importante è che il rasoio di Occam non è un principio utile. Puoi fare alcune contorsioni interpretative che ti consentono di dire che resta vero, ma il principio in realtà non ci aiuta a valutare le teorie. Dobbiamo prima capire quanto riteniamo probabile ciascuna teoria e dopo – solo dopo – possiamo vederla come la più semplice. Ma la semplicità in sè – occorre rendersene conto – non gioca un ruolo chiaro nel generare le stime di probabilità, è un concetto mal definito.
Così istruiti, torniamo alla nostra domanda iniziale: la ragione ci avvicina o ci allontana da Dio?
Una volta tolto di mezzo il “rasoio di Occam” non resta che saggiare la plausibilità (o probabilità) delle due diverse teorie su vari problemi. Fortunatamente, esistono anche problemi sulla cui soluzione, almeno a livello intuitivo, più o meno tutti concordano. Propongo queste quattro categorie:
1) Problemi su cui tutti concordano che favoriscono l’ipotesi di Dio: realismo, ordine nell’universo, coscienza, libero arbitrio.
2) Problemi su cui tutti concordano che favoriscono l’ipotesi atea: esistenza del male.
3) Problemi su cui tutti concordano che non favoriscono nessuno: esperienza religiosa (psicologia o realtà?).
4) Problemi su cui non c’è accordo che favoriscono l’ipotesi di Dio: fatti morali oggettivi, conoscenza a priori, universali, senso della vita.
5) Problemi su cui c’è disaccordo che favoriscono l’ipotesi atea: non me ne vengono in mente.
Conclusioni: per me il l’ipotesi di Dio spiega più problemi su cui c’è un complessivo accordo, e anche cose importanti su cui però non c’è accordo. Ammetto che la presenza del male – nonostante teodicee ingegnose – favorisca l’ateismo, ma non al punto da prevalere. Quindi dal mio punto di vista la fede è la scelta più razionale.
Bibliografia:
Kevin Vallier: Atheism and Theism as Model Choices –
Michael Huemer: Who Cares About Simplicity? –
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