martedì 18 agosto 2020

PERCHÉ MI SPENDO PER IL NO AL REFERENDUM COSTITUZIONALE

Molti mi hanno chiesto per quale ragione io mi spenda per il no al referendum, quando è già chiaro che stravincerà il sì. A questa domanda penso di poter fornire almeno due risposte.

In primo luogo, non so come si possa dire che vincerà il sì ancora prima di aver fatto un po’ di informazione: molti pensano che tagliare i parlamentari sia una soluzione a molti problemi. È falso, come ho già illustrato in una mia riflessione ferragostana. E se tutti coloro che ne hanno consapevolezza si spendessero per informare i loro vicini e conoscenti, forse la preannunciata vittoria del sì non sarebbe poi così scontata. Credo che difendere il corretto funzionamento della democrazia sia interesse di tutti. 

In secondo luogo, il voto sul referendum costituzionale rappresenta un banco di prova per verificare se esiste un fronte di persone (più che di partiti) che condivide un approccio pragmatico (non ideologico, populistico e qualunquistico) al problema delle riforme. Conosco e stimo militanti del PD e di Forza Italia che, in dissenso con i loro partiti, hanno già coraggiosamente dichiarato pubblicamente che voteranno no al taglio dei parlamentari. 

E va sottolineato che questo non è un no a qualsivoglia riforma costituzionale: la costituzione – nella parte in cui regola il funzionamento dell’ordinamento dello Stato – non è un feticcio intoccabile. Il no vuole essere un monito a varare riforme equilibrate. Moltissimi di noi pensano che le cose non vadano bene così e che molto sia da cambiare. Ma la Costituzione è un organismo delicato, che rischia di essere sfigurato da interventi privi di logica. Dire che il taglio dei parlamentari fa risparmiare è una menzogna: si risparmia riducendo le retribuzioni, i privilegi e gli sprechi, non riducendo la rappresentatività. Dire che tagliare i parlamentari semplificherà la politica è una menzogna: servirà soltanto a concentrare il potere politico nelle mani di un gruppo ancora più ristretto di persone. Ma non muterà nulla, se non in peggio. 

Occorre invece essere compatti nel richiedere una riforma che differenzi le competenze di Camera e Senato, che ristrutturi il regionalismo e che riduca il numero (le retribuzioni e i privilegi) non solo dei parlamentari, ma anche dei consiglieri regionali, in modo funzionale alle nuove competenze dei due rami del Parlamento e delle regioni. 

Se, ad esempio, si immagina un Senato che sia la camera delle regioni e dell’Unione europea, gli si potrà affidare, in via esclusiva, ogni decisione relativa a tali ambiti. E il numero dei suoi membri potrà essere ridotto adeguatamente, non dovendo occuparsi di tutte le vicende politiche o dell’approvazione di tutte le leggi, se non di quelle costituzionali (che manterranno il procedimento di formazione aggravato), della modifica dei trattati europei, della recezione del diritto dell’UE, delle autonomie locali e – in seduta comune con la Camera – delle elezioni del Presidente della Repubblica, dei membri laici del CSM e di un terzo dei membri della Corte costituzionale. Alla sola Camera dei deputati sarà riservato il voto di fiducia e di sfiducia verso il Governo e sarà la sede unica del potere legislativo ordinario. Anche in questo caso si potrà, con le dovute cautele, ridurre il numero complessivo dei deputati. Il tutto, però, dovrà essere equilibrato da una revisione dell’ordinamento regionale, visto che non è pensabile che possano essere mantenute in piedi 20 pletoriche assemblee regionali, 20 giunte e 20 presidenti di regione, perché tutto questo ha un enorme costo, senza portare reali e visibili benefici. Anzi, spesso ha generato solo incertezza e confusione. E, infatti, i malfunzionamenti di questo pseudo-federalismo incompiuto si sono visti durante i mesi drammatici della pandemia e si vedono, da anni, nella gestione del territorio e della sanità. 

Occorre, insomma, snellire con criterio la macchina pubblica a tutti i livelli, ma non serve farlo a colpi di sciabola menati a caso, perché il rischio è solo di autoprocurarsi delle gravi menomazioni.