martedì 10 dicembre 2019

LA COMPLESSITA'

LA COMPLESSITA'
Taleb, come al solito, è incazzatissimo. E' incazzato con chi parla di "complessità". Ma perché, visto che la complessità e l'incertezza sono al centro della sua speculazione? Perché chi ne parla non lo fa per affrontarla ma per giustificare i suoi fallimenti. Di fronte alla complessità occorrerebbe cambiare metodo decisionale, e invece che si fa? Si utilizzano le vecchie strategie, si sbaglia e poi ci si giustifica con la complessità. La complessità è qualcosa che ci rende irresponsabili.
Per Taleb non c'è conoscenza affidabile senza avere interessi in gioco, senza essere responsabili. Solo chi "scommette" su cio' che dice è degno di essere ascoltato. Ma ecco che ad azzerare tutte le scommesse arriva la complessità, un magma che anziché renderci più umili ci rende più liberi da ogni responsabilità.
Nella mitologia greca il suo personaggio preferito è Anteo, un gigante libico con una strana occupazione che consisteva nello schiantare al suolo i malcapitati passanti. Mirava a costruire un tempio per suo padre, Poseidone, usando come materia prima i teschi delle sue vittime. Traeva tutta la sua immane forza dal contatto con sua madre, la Terra.
Ecco, anche la conoscenza umana, come Anteo, trae la sua immane forza dal contatto con la terra. E questo contatto si esplicita ragionando su cose in cui si hanno interessi in gioco. Il filosofare astratto ci fa perdere in contatto inaridendo la conoscenza. I Greci dicevano: " guida il tuo apprendimento attraverso il dolore". Una neo-mamma sa bene di cosa parlo.
La maggior parte delle cose che crediamo siano state "inventate" dalle università sono state effettivamente scoperte armeggiando con le cose del mondo, e solo dopo legittimate e formalizzate nei Templi del Sapere.
Poche migliaia di anni dopo, la Libia, la terra putativa di Anteo, è messa malino, ridotta praticamente ad un mercato di schiavi. E' solo il seguito di un fallito "cambio di regime" progettato da chi pensava di conoscere avendo perso ogni contatto con la terra, persone prive di interessi in gioco che Taleb chiama "interventisti".
Gli esiti dell' "interventismo" sarebbero buffi se non fossero atroci, hanno per esempio contribuito a creare, addestrare e sostenere i ribelli islamisti. Si sono praticamente creati il lavoro da soli visto che proprio i ribelli islamisti sarebbero stati il loro prossimo problema da risolvere. Purtroppo. un problema ben più grosso. Con l'Iraq è successa più o meno la stessa cosa.
L' "interventista" ragiona come il medico che inietta in un paziente con cellule tumorali sostanze per migliorare il suo colesterolo rivendicando con orgoglio gli ottimi esiti dell'intervento anche dopo la morte del paziente: gli esami sul cadavere mostrano infatti valori ottimali del colesterolo. Fortunatamente i medici non infliggono simili "cure" fatali ai pazienti, o non lo fanno in modo così rozzo, e c'è una chiara ragione per questo: i medici di solito hanno interessi in gioco nella faccenda, e quindi una vaga comprensione di sistemi complessi, oltre a un paio di millenni di etica che ne determina la condotta.
L' "interventista" pensa in termini statici e non dinamici. Progetta il primo passo incapace di pensare che ne esisterà un secondo e un terzo. E' la vita reale da insegnarci che esiste un secondo e un terzo passo, ma lui ha perso il contatto con la vita reale.
L'interventista ha un pensiero unidimensionale. Ogni atto ha molteplici conseguenze che si ripercuotono su molteplici piani. La cosa non sembra interessare l'"interventista", il quale sembra ossessionato solo dal fatto di dover intervenire.
L'interventista pensa solo alle azioni, più raramente alle reazioni. I suoi modelli non funzionano bene se postuliamo delle interazioni complesse.
Per poter pensare in termini dinamici che tengano conto di molte dimensioni e delle molte razioni, non serve un Intervenista più intelligente o con computer più grossi, serve un metodo di conoscenza differente.
Quando l'"interventista" fallisce invoca l'incertezza. La colpa non è sua, il mondo è così complesso. Ma prima di pretendere di conoscerlo non se n'era accorto?
Il mondo però sembra credergli: è vero, il mondo è complesso e se l'"interventista" sbaglia non è colpa sua. A volte poi il mondo è talmente complesso che i fallimenti dell'"interventista" nemmeno si notano. Giustificato o inosservato, l'interventista non ha comunque interessi in gioco. Non rischia in proprio. Per questo finiamo per popolare la nostra intelligentsia con persone deliranti, letteralmente squilibrate mentalmente. Se diventano così è solo perché non devono mai pagare per le conseguenze di cio' che dicono.
Di fronte al mondo complesso i principi guida dovrebbero essere due: 1) primum non nocere; 2) chi non corre rischi non dovrebbero mai essere coinvolto nelle decisioni.
Anche in passato l'uomo ha avuto deliri di onnipotenza, ma non aveva armi per distruggere il mondo. Adesso sì. Meglio non far entrare nella stanza dei bottoni chi è irresponsabile di fatto.
Storicamente, tutti i "signori della guerra" erano essi stessi guerrieri e, con alcune curiose eccezioni, le società erano gestite da persone che si assumevano il rischio senza trasferirlo in capo a terzi. Faccio solo un'esempio: l'imperatore romano Giuliano l'Apostata morì sul campo di battaglia combattendo nella guerra senza fine sulla frontiera persiana. ma come lui fecero Giulio Cesare, Alessandro e Napoleone. L'ultimo imperatore bizantino, Costantino XI Paleologo, è stato visto l'ultima volta quando si è spogliato della sua toga di corte per unirsi a Ioannis Dalmatus e a suo cugino Teofilo Paleologo con lo scopo di caricare le truppe turche. Meno di un terzo degli imperatori romani morì nel proprio letto. Ancora oggi, i monarchi derivano la loro legittimità da un contratto sociale che richiede l'assunzione di rischi fisici. Il principe Andrea ha preso più rischi dei "comuni" soldati durante la guerra delle Falkland del 1982, con il suo elicottero era costantemente in prima linea. Noblesse oblige, si diceva un tempo.
L'invenzione della burocrazia consentì per la prima volta di separare l'individuo dalle sue azioni. Il decentramento del potere è l'unico rimedio alla de-responsabilizzazione, l'unico modo di riportare l'amministratore con i piedi per terra. E' più facile fare i bulli quando si vive sulla luna.
Nel decennio precedente il crollo bancario del 2008, Robert Rubin incassò oltre 120 milioni di dollari da Citibank. Quando la sua banca, letteralmente insolvente, fu salvata dal contribuente, non risarcì nessuno invocando l'incertezza e la complessità come scusa. Alle banche capita spesso: "Testa" incassano loro, "Croce" paga il contribuente. D'altronde, il mondo è complesso e queste sono cose che capitano.
La più grande vittima della crisi finanziaria è stato il libero mercato, poiché il pubblico, già incline a odiare i banchieri, ha iniziato a confondere il libero mercato con forme corrotte di clientelismo, quando in realtà è l'esatto contrario: è il governo, non i mercati, che rende vicende come quelle di Robert Rubin possibili.
A quel punto l'attività di assunzione dei rischi ha iniziato a spostarsi verso piccole strutture indipendenti note come hedge funds. Mentre la grande banca non "skin in the game" poiché sa di poter contare sui parafulmini della politica, i piccoli e odiati hege sanno benissimo che nessuno li salverà se dovessero saltare in aria. Inoltre, nello spazio decentralizzato degli hedge fund, gli operatori proprietari detengono almeno la metà del loro patrimonio netto nel fondo.
Ricapitolando, gli "interventisti" non imparano perché non sono vittime dei loro errori. Questa è una legge generale. Il fatto di poter trasferire il rischio su terzi mostacola l'apprendimento. Non convincerai mai completamente nessuno che ha torto; solo la realtà può convincerlo. E gli interventisti non dialogano con la realtà. E' la sopravvivenza che ci rende saggi, ma agli interventisti la sopravvivenza è garantita a priori. La maledizione della modernità è che siamo invasi da una classe di persone bravissima a spiegare ma inetta a imparare, e ancora di più a fare. L'apprendimento non è esattamente quello processo che si tiene nel carcere di sicurezza che chiamamo scuole. In biologia, l'apprendimento è qualcosa che, attraverso il filtro della selezione intergenerazionale, viene impresso a livello cellulare. Ma l'evoluzione può avvenire solo se è presente un rischio di estinzione. Taleb è indignato perché vede schiere di accademici senza "interessi in gioco" difendere l'evoluzione e nello stesso tempo rifiutare il rischio e la lotta per la sopravvivenza. E' gente che prende le distanze dalla nozione di Grande Disegno o dall'idea di un Creatore che sa tutto, mentre, allo stesso tempo, vogliono operare come tali considerando la società umana un pongo nelle loro sapienti mani.
Una cosa è certa: senza "skin in the game" l'arroganza umana non ha limiti.
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From the bestselling author of The Black Swan, a bold book that challenges many of our long-held beliefs about risk and reward, politics and religion, finance and personal responsibility'Skin in the game means that you do not pay attention to what people say, only to what they do, and how much of...

I problemi della sinistra con la scienza

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dal post modernismo al politicamente corretto

lunedì 9 dicembre 2019

PER UNA NUOVA DESTRA MORALISTA.

PER UNA NUOVA DESTRA MORALISTA.

Quando si tratta di questioni morali, lo scontro evidente è tra una sinistra e una destra che adottano a ritmi differenti i medesimi valori, ovvero quelli proposti dalla sinistra.
Mentre la sinistra gioca d' anticipo, la destra procede attardata seguendo un ritmo più lento. Questo attrito che si crea viene spesso interpretato come un segno di polarizzazione perché, all'inizio del processo, il divario tra le due fazioni è stridente.
Ripeto: la politica sociale è essenzialmente uno scontro tra sinistra e libertari. Alla destra intelligente non resta che appoggiare questi ultimi in modo da potersi ritagliare una "bolla sociale" in cui vivere coltivando i propri valori tradizionali, per poi magari mostrare al mondo con i fatti che sono i più adatti alla comunità umana.

IL NEMICO DELLA CONOSCENZA TUTTO E' CORRELATO +hl Why Correlation Usually ≠ Causation

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IL NEMICO DELLA CONOSCENZA
Il nemico della conoscenza non è l'ignoranza ma la conoscenza casuale, ovvero la credenza di conoscere solo perché si sa prevedere.
La congettura sarebbe questa: in una rete causale in espansione il numero delle possibili correlazioni cresce più velocemente del numero delle relazioni causali.
Bene, ciò significa che ben presto tutto è correlato. Non trovi una relazione tra la variabile A e la variabile B? Raccogli più dati e la troverai.
Quando il sistema sarà abbastanza complesso il rapporto tra nessi causali e correlazioni diventa infinitesimale e a noi non resta che una conoscenza casuale.
Ma a questo punto cosa significa che due variabili sono correlate tra loro? Trovare una correlazione non ha più senso laddove tutto è correlato.
GWERN.NET
Correlations are oft interpreted as evidence for causation; this is oft falsified; do causal graphs explain why this is so common, because the number of possible indirect paths greatly exceeds the direct paths necessary for useful manipulation?

TUTTO E' CORRELATO CON TUTTO
La correlazione non è causalità. Fin qui ci siamo?
Certo che ricordarlo a un economista è come ricordare a un chirurgo di lavarsi le mani prima di operare.
Eppure bisogna farlo. Le false correlazioni imperversano oggi più che mai. La "crisi delle repliche" è stata uno tsunami per le scienze umane; una frazione enorme della ricerca in psicologica e non solo è risultata fallata e impossibile da replicare. Le ipotesi fatte di questa debacle sono sempre le stesse: basso potere statistico, manomissioni, campioni troppo ridotti o selezionati male, correlazioni spurie, bias nella pubblicazione e altre fonti di errore sistematico.
Ma come mai tanta insistenza nel medesimo errore? No, le solite spiegazioni non bastano.
Ipotesi aggiuntiva: partendo dall'idea che "tutto è correlato con tutto", dietro l'illusione ottica c'è qualcosa che riguarda la natura stessa della realtà. E' probabile che nell'estensione delle reti causali (uno scenario che si attaglia alla società moderna)) il numero di possibili correlazioni cresca più velocemente del numero di possibili relazioni causali. Un simile squilibrio spiegherebbe l'eccesso di fiducia.


GWERN.NET
Correlations are oft interpreted as evidence for causation; this is oft falsified; do causal graphs explain why this is so common, because the number of possible indirect paths greatly exceeds the direct paths necessary for useful manipulation?


È risaputo che la correlazione statistica tra due variabili non implica causalità. Nonostante questo ammonimento, anche le persone più avvertite, tendono ad ingannarsi e a rimanere sorprese quando esperimenti più accurati la smentiscono. Penso che l'inganno sia dovuto a un'idea che ho avuto qualche tempo fa sulla natura della realtà. Per questo ho ipotizzato che nelle reti causali realistiche il numero di possibili correlazioni cresca più velocemente del numero di possibili relazioni causali. Un simile squilibrio spiega l'eccesso di fiducia.

Tutto è cominciato con la cosiddetta crisi della replica: una frazione enorme della ricerca psicologica (e non solo) risultava fallata e impossibile da replicare a causa di basso potere statistico, manomissioni, campioni troppo ridotti o selezionati male, correlazioni spurie, parzialità nella pubblicazione e altre fonti di errore sistematico.

Vale la pena di ricordare che in un mondo complesso "tutto è correlato", quindi trovare delle correlazioni è la cosa più facile che ci sia. Quando misuriamo sistematicamente molte variabili su larga scala troviamo correlazioni in abbondanza, anche tra cose che sembrano non avere alcuna relazione causale. Se non riesci a respingere l' "ipotesi nulla" (l'ipotesi secondo cui due fenomeni sono indipendenti), semplicemente non hai ancora raccolto abbastanza dati. Quindi, cosa significa una correlazione tra 2 variabili se sappiamo perfettamente in anticipo che sarà positiva o negativ ma ci sarà? Capita spesso che promettenti correlazioni informino politiche, programmi sociali su istruzione, sanità e economia. L'impatto di questi programmi valutato secono gli strumenti statistici si avvicina sempre allo zero.

Il numero di chiese in una città può essere correlato al numero di bar, ma sappiamo che è perché entrambi sono correlati a quante persone abitano quella città; il numero di pirati può essere inversamente correlato alle temperature globali (ma sappiamo che i pirati non controllano il riscaldamento globale ed è più probabile che qualcosa come lo sviluppo economico porti alla soppressione della pirateria ma anche alle emissioni di CO2); le vendite di gelati possono essere correlate ai morsi di serpente o ai crimini violenti o ai morti per colpi di calore (ma ovviamente i serpenti non si preoccupano di sabotare le vendite di gelati); le persone magre possono avere una postura migliore delle persone grasse, ma stare in piedi non sembra un piano plausibile per perdere peso; indossare indumenti XXXL chiaramente non provoca attacchi di cuore, anche se ci si potrebbe chiedere se la soda dietetica provoca obesità; più vigili del fuoco sono in giro, peggiore è la situafione sul fronte incendi; a giudicare dai voti degli studenti tutorati rispetto a quelli non tutorati, i tutor sembrerebbero dannosi piuttosto che utili; la pelle nera non provoca anemia falciforme né causa vaiolo e malaria; vaccini e autismo sono correlati ma probabilmente cio' è dovuto al fatto che molti vaccini vengono somministrati ai bambini nello stesso momento in cui l'autismo inizierà ad emergere; l'altezza, il lessico utilizzato o le dimensioni del piede e le abilità matematiche possono essere fortemente correlate (nei bambini); il consumo nazionale di cioccolato si correla con i premi Nobel, così come i prestiti bancari e l'affitto di killer. Il consumo moderato di alcol prevede un aumento del reddito; il ruolo delle cicogne nel parto può essere stato sottovalutato; i bambini con alta autostima hanno voti più alti e tassi di criminalità più bassi. In fondo è normale: aumentare l'autostima delle persone ci fa vivere in modo più responsabile e ci tiene lontani da soluzioni criminali. A meno che l'autostima non sia causata da alti voti e successo personale, in questo caso aumentare l'autostima non avrebbe alcun beneficio.



Viviamo in un mondo in cui la ricerca produce molti risultati spuri e, anche quando cerchiamo di distinguere, trovare una correlazione non ha senso perché tutto è correlato fin dall'inizio e, di conseguenza, invalida le nostre scoperte. In campi come medicina, sociologia, economia, psicologia quando chiediamo in che misura le correlazioni predicono esperimenti più affidabili scopriamo che il potere predittivo è scarso. La ricerca correlativa di altissima qualità fatica ancora a sovraperformare il lancio di una moneta nel predire i risultati di un esperimento randomizzato.
aaaaaaaaaaaaaaaaa

Why Correlation Usually ≠ Causation: Causal Nets Cause Common Confounding
Gwern Branwen
Citation (APA): Branwen, G. (2020). Why Correlation Usually ≠ Causation: Causal Nets Cause Common Confounding [Kindle Android version]. Retrieved from Amazon.com

Parte introduttiva
Evidenzia (giallo) - Posizione 2
Why Correlation Usually ≠ Causation: Causal Nets Cause Common Confounding By Gwern Branwen
Nota - Posizione 3
@@@@@@@@ Congettura: quando la complessitá aumenta le correlazioni aumentano più che proporzionalmente rispetto alle cause. Il problema non é non trovare le cause ma credere di averle trovate. Tutto é correlato. Se nn é correlato raccogli piú dati
Evidenzia (giallo) - Posizione 7
I speculate that in realistic causal networks or DAGs, the number of possible correlations grows faster than the number of possible causal relationships.
Nota - Posizione 8
Congettura di fondo
Evidenzia (giallo) - Posizione 8
since people do not think in realistic DAGs but toy models, the imbalance also explains overconfidence.
Nota - Posizione 9
Origini dell ottimismo
Evidenzia (giallo) - Posizione 11
the nature of reality.
Nota - Posizione 11
La congettura é reale.
Evidenzia (giallo) - Posizione 11
evidence from meta-analysis and replication initiatives
Nota - Posizione 11
Bisogna spiegare certi fallimenti teorici....
Evidenzia (giallo) - Posizione 13
and countless failed social engineering attempts.
Nota - Posizione 13
.....e pratici
Evidenzia (giallo) - Posizione 15
The Replication Crisis:
Nota - Posizione 15
Primo concetto
Evidenzia (giallo) - Posizione 21
‘everything is correlated’— even things which seem to have no causal relationship
Evidenzia (giallo) - Posizione 23
If you fail to reject the null hypothesis with p < 0.05, you simply haven’t collected enough data yet.
Nota - Posizione 24
Il trucco
Evidenzia (giallo) - Posizione 24
what does a correlation between 2 variables mean
Nota - Posizione 24
La domanda sorge spontanea
Evidenzia (giallo) - Posizione 26
The Metallic Laws:
Nota - Posizione 26
Terzo concetto
Evidenzia (giallo) - Posizione 26
most efforts to change human behavior and sociology and economics and education fail
Nota - Posizione 27
Tutto torna al suo posto
Evidenzia (giallo) - Posizione 28
Correlation ≠ Causation:
Nota - Posizione 28
Conseguenza
Evidenzia (giallo) - Posizione 29
finding a correlation is meaningless because everything is correlated
Nota - Posizione 30
La triste verit
Evidenzia (giallo) - Posizione 31
when we directly ask how well correlations predict subsequent randomized experiments, we find that the predictive power is poor.
Nota - Posizione 32
Correlazione ed esperimenti
Evidenzia (giallo) - Posizione 33
the highest quality correlational research still struggles to outperform a coin flip
Evidenzia (giallo) - Posizione 36
But why is correlation ≠ causation?
Nota - Posizione 36
Oggi paliamo di questo
Evidenzia (giallo) - Posizione 36
if we write down a causal graph consistent with ‘everything is correlated’
Nota - Posizione 37
Reti causali

MINI-MANIFESTO PER UNA NUOVA DESTRA

MINI-MANIFESTO PER UNA NUOVA DESTRA

La destra di fine secolo riteneva che tassare poco i ricchi fosse essenziale per la crescita economica, i benefici sarebbero poi "ricaduti" sull'intera società con la filantropia privata pronta a tappare le falle aiutando i "poveri meritevoli" rimasti ai margini. Ma l' economia dello "sgocciolamento" verso il basso si è con il tempo screditata e gli straordinari livelli di disuguaglianza riscontrati in molti paesi dell'occidente avanzato sono sempre più difficili da difendere.
La scelta della destra è stata semplicemente quella di cambiare argomento intensificando l'animus contro immigrati e gli altri nemici esterni. Gli appelli alla Nazione si sono moltiplicati.
Ma un'alternativa c'è. Piuttosto che incaricare politici inaffidabili di risolvere dall'alto i problemi della società creando quei conflitti tipici di cui sono ghiotte le prime pagine dei giornaloni nazionali, la destra potrebbero agire per decentralizzare la spesa pubblica mettendola nelle mani degli elettori attraverso una serie di "buoni sociali" spendibili per i servizi di base. Saranno loro a indirizzare verso qualsiasi organizzazione no profit di proprio gradimento la spesa pubblica.
Una simile mossa rivitalizzerebbe la società civile e il settore no profit sfruttando l'ingegnosità degli attori privati ​​per promuovere il bene comune. Le sparate dei politici diminuirebbero poiché diminuirebbe il loro protagonismo, con conseguente riduzione della polarizzazione e della partigianeria. I cittadini che non sono d'accordo con te non saranno più "nemici civici" che minacciano di strapparti il ​​controllo del timone; saranno semplicemente concittadini che spendono diversamente da te i loro buoni sociali.
La chiave sta nell'inghiottire il rospo di una politica ridistributiva - cosa difficile per la destra -, per poi mettere i cordoni della borsa staranno saldamente nelle mani dell'elettore. Qualcosa di insopportabile per la sinistra (l'istinto verso la scuola privata parla chiaro).
Faccio solo un esempio perché fresco fresco e di grande impatto. In questi giorni il Mega-Super-Ministrone centrale ha deciso per tutti che nidi/asili saranno gratis. Il proclama suona bene ma si traduce in una manovra per colpire la famiglia tradizionale. Supportare la famiglia è importante, ma qual è la giustificazione per escludere dall'aiuto chi sceglie di avere un genitore casalingo dedito all'assistenza della prole? Nessuno. Ma una politica di sinistra lo fa a cuor leggero (e lo ha appena fatto), una politica di destra non deve assolutamente farlo. I modi per evitarlo ci sono e si raccolgono attorno al principio per cui la spesa pubblica deve passare dalle mani ignoranti del Mega-Super-Ministro centrale alle mani sapienti dell'elettore. In questo caso si tratterebbe di trasformare l'asilo gratuito in un trasferimento di denaro che ognuno poi impiega come desidera.
La nuova destra non deve consegnare agli avversari il monopolio sulla spesa pubblica limitandosi a maledirla e sforbiciarla, dovrebbe invece accettarla per poi riconsegnarla al cittadino sotto forma di buoni, voucher o trasferimenti di denaro.

domenica 8 dicembre 2019

LA TASSA PERFETTA

Piccolo saggio di filosofia fiscale.
LA TASSA PERFETTA
La tassa perfetta non distorce l'economia creando disincentivi al lavoro, per questo motivo non colpisce i guadagni effettivi ma quelli potenziali. In altre parole, non tassa lo sforzo ma l'abilità. Una tassa del genere non crea disincentivi: io tasso il tuo talento, quanto poi vorrai o meno sfruttarlo sono affari tuoi. Una tassa del genere, in teoria, non si puo' nemmeno evadere: la sua natura è oggettiva.
Se Dio volesse realizzare una tassa perfetta potrebbe farlo, Lui conosce il potenziale di ogni persona. Tuttavia, per gli uomini è un po' più difficile, sarebbe necessaria una sorta di onniscienza.
Il meglio che possiamo fare è approssimarci alla tassa ideale. Ciò significa tassare chi presenta "indizi di fortuna". Per esempio, tassare i bianchi più dei neri, gli uomini più delle donne, gli alti più dei bassi, i belli più dei brutti, gli umori stabili più dei neurotici eccetera. Tasse di questo genere non creano disincentivi al lavoro e sono quindi efficienti. Tutti questi tratti, poi, sono "naturali" e positivamente correlati con il reddito.
Si puo' pensare che tassare la natura del contribuente sia una proposta radicale da accantonare, se non fosse che già si fa. Il sistema INPS, per esempio, tassa gli uomini più delle donne. Anche il sistema delle quote rosa e nere è un modo per tassare la razza e il sesso della persona.
Tuttavia, tassare in maniera esplicita il colore della pelle o la conformazione dei genitali del contribuente, per ora, resta tabù, cosicché ideare formule ipocrite è ancora oggi imprescindibile.
Idealmente potremmo tassare in base a tratti della personalità come l'intelligenza, l'autocontrollo o la pazienza, ma non funziona poiché si tratta di caratteristiche facili da falsificare. E' facile produrre un basso punteggio nei test. Forse domani sarà possibile ma per oggi occorre ripiegare su razza, sesso, bellezza e statura.
Ma se questa imposta è l'imposta perfetta, perché ci appare così "sgradevole"?
Vale la pena di esplorare i difetti e le imperfezioni di questa tassa sulla natura.
Innanzitutto, l'efficienza non è sempre una benedizione. Una tassa che non si puo' evadere e che non penalizza l'economia dà un grande potere ai governi. Forse troppo! Tasserebbero eccessivamente, probabilmente fino a distruggere tutto. Una tassa del genere potrebbe colpire anche i non nati. Come porsi di fronte a questi problemi?
Il problema di un fisco efficiente è che non pone freni all'ingordigia dei governi. Più in generale, potremmo dire che una tassa inefficiente distorce l'economia mentre una tassa efficiente distorce la politica.
Il problema della politica esisterà sempre quando si giudica un sistema fiscale: qualsiasi imposta richiederà un esattore delle tasse. Tassazione e autorità centralizzata vanno di pari passo, sia nella storia che nella logica.
Eppure non tutti ne hanno tenuto conto. Molti "contrattualisti" di ultima generazione, ispirati dal lavoro di John Rawls, sembrano dimenticarselo. Piccolo inciso: nl 1953, un economista di nome John Harsanyi inventò la metafora degli obblighi sociali come adempimento di contratti pre-parto. Nel 1971, l'influente filosofo John Rawls usò quei contratti - contratti firmati dietro il "velo dell'ignoranza" che ci protegge dalla conoscenza dei tratti particolari con cui nasceremo - come pietra angolare della sua teoria della giustizia. Questo filone di studi ragionava sul sistema ideale senza dare troppo peso al fatto che poi "qualcuno" avrebbe dovuto realizzarlo. Non si pensava che i difetti potevano riguardare questo "qualcuno" più che il sistema fiscale in sé. Il non-nato di Rawls che ragiona dietro il "velo di ignoranza", prima ancora di pensare ai criteri di giustizia ideali abbracciati dal paese in cui vorrebbe nascere, dovrebbe pensare di non nascere a Cuba, in Albania, in Mali, in Venezuela ma invece in Canada, in Lussemburgo. E questo a prescindere dai criteri di giustizia che a parole informano questi stati.
Poiché sia le tasse inefficienti che quelle efficienti presentano problemi, un' idea potrebbe essere quella di non tassare evitando di redistribuire la ricchezza dai più ricchi ai più poveri. Ma comportarsi in questo modo non violerebbe i nostri criteri di giustizia?
Penso di no. Al di là dei proclami di principio, infatti, nessuno sembra in realtà credere sul serio che esista un dovere in questo senso, altrimenti lo attueremmo beneficiando i veri poveri, ovvero le popolazioni del Terzo Mondo.
Su cosa si basa allora una credenza tanto diffusa? Probabilmente è un modo per legittimare la rapina. Partiamo dalle basi: se una squadra di bisognosi forti, robusti e armati fino ai denti incontra un ricco mingherlino inerme come finirà secondo voi? E' ovvio: i bisognosi prenderanno al ricco con un atto di forza. Se però per un qualche motivo dobbiamo mantenerci in buoni rapporti con il rapinato il prelievo deve essere in qualche modo giustificato, in questo senso occorre razionalizzare la situazione diffondendo una credenza filosofico\religiosa che renda "giusta" quella rapina specifica. Il riccone è solo e inerme, i "bisognosi" sono tanti e incazzati. Tuttavia, non si puo' provvedere ad una sottrazione indebita, il senso di giustizia che tiene insieme la società potrebbe risentirne. Ecco allora comparire una cervellotica teoria della giustizia che, pur presentando molte incoerenze, mantiene uno ieratico potere seduttivo.
Ma perché talvolta questa credenza filosofico\religiosa è condivisa anche dai ricchi? Alcuni di loro, come il miliardario Warren Buffett, chiedono a gran voce tasse più elevate! In fondo nessuno gli impedirebbe di fare un bonifico e mettersi la coscienza a posto, l'IBAN del Tesoro ce l'ha! Perché allora sgolarsi a quel modo? Probabilmente lo fa a fini pratici, il retro-pensiero è: "se noi ricchi non diamo ai poveri, la rivolta ci schiaccerà". In questo caso più che "dare" occorre "legittimare" il sistema ridistributivo. Anche qui appare evidente che non si fa appello a principi di giustizia ma a questioni di opportunità.
Per capire che non esiste un principio di giustizia che ci obbliga all'elemosina fiscale, prova questa variante: è "giusto" che le persone attraenti siano costrette a concedere favori sessuali occasionali alle persone brutte? Senza tali favori i brutti difficilmente potranno mai avere rapporti coi belli, e questi ultimi, oltretutto, sarebbero a costante rischio di stupro. Ma se riteniamo giusto sovvenzionare con denaro coloro che sono nati senza le competenze per guadagnare un reddito decente, perché non sovvenzionare con il sesso coloro che sono nati senza le capacità per attrarre partner desiderabili? Sembrerebbe giusto farlo, la logica è la medesima. Poiché la bellezza e il talento dipendono entrambe dalla fortuna sarebbe logico assicurarsi contro la sfortuna in entrambe le lotterie. Rawls che ne dice? Eppure la soluzione ci ripugna. Perché? Probabilmente perché un diritto del genere non esiste in entrambi i casi ma mentre nel primo le risorse in questione sono facilmente trasferibili mentre nel secondo no, ecco allora che per sfruttare la facile trasferibilità nel primo caso ci sforziamo di vedere un "diritto" mentre nel secondo un simile sforzo artificioso puo' essere evitato lasciando che la violenza susciti un naturalissimo sentimento di repulsa.
Ognuno di noi ha sensazione che il suo talento sia "suo" esattamente come la "sua" bellezza. Talento e bellezza ci appartengono. Una sottrazione lederebbe la nostra dignità e il nostro orgoglio. E' una specie di furto, di sfregio. Questo è esattamente il motivo per cui indietreggiamo di fronte all'idea del sesso coatto, abbiamo la consapevolezza che i nostri corpi ci appartengano. Ma lo stesso vale per i talenti. Consideriamo assurdo che Usain Bolt debba dividere la sua medaglia con l'ultimo arrivato. Sia lo stupro che il furto offendono la nostra dignità perché violano i diritti di proprietà. Se fai un'eccezione qua, devi farla anche là, e alla fine ti accorgi che la ridistribuzione coercitiva è una sorta di rapina. Questo è il motivo per cui non permettiamo ai bambini di subire o beneficiare di una "ridistribuzione" violenta dei giocattoli al parco giochi. Oltretutto, il talentuoso già dà a tutti senza dover essere sottoposto a un trattamento coercitivo. Quasi tutta la nostra prosperità la dobbiamo a un numero molto piccolo di scienziati, inventori e imprenditori. Dobbiamo tenerne conto in questa sede.
Anche la legittimità dei trasferimenti alle generazioni future è alquanto dubbia, soprattutto perché qui non puo' nemmeno essere evocato Robin Hood. Qui siamo di fronte all'operazione contraria. L'agenda dei gruppi ambientalisti consiste di fatto nel prendere ai poveri (noi) e dare ai ricchi (le generazioni future).
I nostri discendenti dovranno aspettare solo alcune generazioni, non più di qualche dozzina, per raggiungere uno standard di vita simile a quello di Bill Gates. Quindi ogni volta che il WWF o l'ONU ostacola lo sviluppo economico per preservare alcune ricchezze naturali del pianeta, chiede alle persone che vivono come te e me di sacrificarsi per il godimento delle generazioni future che vivranno come Bill Gates.

sabato 7 dicembre 2019

LA PARABOLA DI UN SOCIALISTA

David Brooks ha recentemente raccontato sul NYT la sua personale storia intellettuale, poiché la trovo edificante cerco di riproporla qui di seguito. Come molti giovani del suo tempo David non è stato attratto tanto dal socialismo quanto dalle belle definizioni che se ne davano, tipo quella di Michael Walzer, "ciò che tocca tutti dovrebbe essere deciso da tutti". Le decisioni delle grandi imprese "toccano" tutti? Sì? Ecco, allora dovrebbero essere prese da tutti realizzando una proprietà comune. Si deve decidere nell'interesse di tutti senza guardare alla massimizzazione dei profitti.
Se è per questo parole del genere fanno ancora vibrare il cuore di David. Il socialismo è la religione secolare più avvincente di tutti i tempi. Ti dà un ideale egualitario per cui sacrificarti e per cui vivere.
Le simpatie socialiste di un giovane così brillante non potevano sopravvivere a lungo una volta che, diventato giornalista, ha cominciato a guardare il mondo da vicino. Le parole di Walzer erano belle ma era palese che i burocrati di stato non fossero in grado di pianificare alcunché.
Al contrario, il capitalismo era davvero bravo a fare una cosa in cui il socialismo era decisamente inetto: creare un processo di apprendimento per aiutare le persone a capire i bisogni reciproci ed organizzarsi per soddisfarli. Se vuoi gestire una società di noleggio auto, il capitalismo ha un sacco di segnali di mercato, di prezzo e circuiti di feedback che ti fanno capire che tipo di auto le persone vogliono noleggiare, dove posizionare la tua impresa, quante auto ordinare e roba del genere.
Le economie socialiste pianificate - avendo la proprietà comune dei mezzi di produzione - interferiscono sui prezzi e gli altri segnali del mercato in milioni di modi. Sopprimono o eliminano i motivi di profitto, ovvero quelle ragioni che spingono le persone a imparare e migliorarsi. Non importa quanto siano poderosi i loro computer, il socialista non potrà mai raccogliere tutti i dati rilevanti per decisioni così complesse. Per esempio, non puo' permettersi di fallire mentre il fallimento d'impresa è l'anima del capitalismo.
Non c'è voluto molto per un giovane così brillante notare che il capitalismo aveva di recente assestato alla povertà il colpo più letale mai visto nella storia dell'uomo. Nel 1981, il 42 percento del mondo viveva in estrema povertà. Ora la quota non supera il 10 percento. Più di un miliardo di persone sono recentemente uscite da questa condizione.
Nei luoghi che hanno avviato le riforme del mercato, come la Corea del Sud e la Cina di Deng Xiaoping, si tende ad essere più ricchi e fieri. I luoghi che si sono invece spostati verso il socialismo - la Gran Bretagna negli anni '70, il Venezuela più recentemente - tendono inesorabilmente ad essere più poveri e miserabili.
Anche le condizioni ambientali sono molto migliori nelle nazioni capitaliste che in quelle socialiste. Le economie più libere del mondo sono luoghi come Hong Kong, Stati Uniti, Canada, Irlanda, Lettonia, Danimarca, Mauritius, Malta e Finlandia. Le nazioni nel quartile superiore in fatto di libertà economica hanno un PIL medio pro capite di $ 36.770. Quelle nel quartile inferiore arrivano a $ 6.140. Le persone nelle economie libere hanno un'aspettativa di vita di 79,4 anni. Nelle economie pianificate la media è di 65,2 anni. Non sono prove, sono indizi. Ma indizi pesanti, e andando avanti si accumulano. Vedete voi. Ad ogni modo David Brooks c'ha visto chiaro.
Nell'ultima generazione, il capitalismo ha abbattuto come non mai le disparità di reddito globale. Il rovescio della medaglia è che i lavoratori poco qualificati dell'occidente sono ora in competizione con i lavoratori in Vietnam, India e Malesia. La riduzione della disuguaglianza tra le nazioni ha portato all'aumento della disuguaglianza all'interno delle nazioni ricche, come Europa occidentale e Stati Uniti.
Inoltre, i livelli di istruzione e gli standard morali non hanno tenuto il passo con la tecnologia. Sempre più persone crescono in scuole inadeguate, in famiglie distrutte e in quartieri anonimi. Costoro trovano più difficile acquisire le abilità per diventare dei buoni capitalisti in miniatura. Il mercato è effettivamente chiuso a loro.
Questi problemi non sono segni che il capitalismo sia rotto. Sono segni che abbiamo bisogno di un capitalismo migliore per questa gente. Occorre un sostegno che al contempo non sia uno sfregio alla cultura capitalista del lavoro. Gli emigrati, per contro, non hanno problemi, pur essendo loro quelli messi peggio: toccano ogni giorno con mano il miracolo del capitalismo, lo fanno oggi, e magari lo fanno proprio nelle nostre città, a pochi metri da noi. Vivono in prima persona un miglioramento notevole delle loro condizioni di vita. David Brooks li vede indaffarati nelle loro botteghe precarie e non puo' che pensare alla sua famiglia ebrea appena sbarcata a NY.
David Brooks nota che le nazioni scandinave hanno livelli assistenziali elevati senza rinunciare alla cultura del lavoro: i loro mercati sono tra i più deregolamentati del mondo. L'unica ragione per cui possono permettersi di avere generosi stati sociali è che hanno anche mercati molto liberi. Non so se il loro modello si attagli a paesi più grandi e diversificati tuttavia il loro successo indica alcune verità: lo stato alimenta la prosperità quando aiuta le persone a diventare borghesi in miniatura, non quando attacca il capitalismo. Lo stato provoca incredibili livelli di miseria quando si spinge troppo avanti nei processi decisionali interferendo con la dinamica capitalista. Crea un'enorme sofferenza quando paralizza il sistema motivazionale che guida il capitalismo. Provoca un insanabile vulnus quando si intromette nel sistema di apprendimento reso possibile dai meccanismi di mercato.
Oggi l'ex socialista non ha più dubbi, il capitalismo non è una religione. Non salverà la tua anima, non esaudirà i desideri del tuo cuore. Ma in qualche modo susciterà le tue energie, ti farà alzare gli occhi e ti inserirà in un percorso permanente di apprendimento affinché tu conosca meglio le cose, ti possa migliorare e possa osare e osare ancora. Abbiamo bisogno di tanti tentativi e tanti errori per fare un passo in avanti stando dentro un mare di complessità, c'è bisogno del tentativo di tutti, di ognuno di noi.