lunedì 2 dicembre 2019

ESSERE RICCHI E' OK

ESSERE RICCHI E' OK
I moralisti scuotono il ditino dicendo che l'amore per il denaro è la radice di tutti i mali. Presumono che fare un sacco di soldi implichi lo sfruttamento degli altri e che il modo migliore per lavarsi la coscienza consista nel dedicarsi alla filantropia. Ma è facile mostrare che i moralizzatori hanno torto, e che è vero l'esatto contrario. In generale, più soldi guadagni, più fai per gli altri. Chi è produttivo restituisce alla società semplicemente facendo il suo lavoro. Inoltre, la ricchezza ci consente di condurre una vita autenticamente nostra, ci rende più coscienti e responsabili. Le società capitaliste che mettono al centro il denaro ospitano cittadini più affidabili, più empatici e più cooperativi. Tutto cio' non è un caso: chi non ha queste caratteristiche affonda. Magari è un'apparenza ma è comunque un'apparenza benefica per molti. Se vengo accolto in un negozio con tutti gli onori subodoro l'ipocrisia ma intanto mi sento bene. La storia poi mostra che le nazioni ricche sono diventate tali a causa delle loro cultura e delle loro istituzioni sane, NONOSTANTE le vicende legate alla schiavitù e al colonialismo. I popoli africani e medio-orientali hanno praticato lo schiavismo su larga scala ma non si sono arricchiti. Noi non siamo nati con un debito perpetuo verso la società, non ha senso postulare che "il ricco è tenuto a dare", il ricco - essendo ricco - è quello che già oggi dà di più. Essere ricchi è ok, diventare ricchi è ancora più ok.

ROUTLEDGE.COM
Finger-wagging moralizers say the love of money is the root of all evil. They assume that making a lot of money requires exploiting others, and that the best way to wash off the resulting stain is to give a lot of it away. In Why It’s OK to Want to…

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si critica considerandolo utopico

COSA C'E' ALLE RADICI DEL RAZZISMO?

A quanto pare non c'è il pregiudizio.
Il collegamento tra razzismo e pregiudizio è alquanto dubbio, anche se il nesso figura nella maggior parte delle spiegazioni ingenue del fenomeno. La presenza di stereotipi a fondamento dei sentimenti razzisti è puntualmente ripresa da tutti i manuali di psicologia elementare e psicologia sociale. Tuttavia, anche una lettura veloce della letteratura disponibile sull'argomento ci spinge verso l'idea che gli stereotipi non spieghino alcunché.
L'equivoco si genera perché abbiamo una versione distorta del concetto di pregiudizio. Lo si considera come una sorta di mito rigido e altamente resistente al cambiamento. In particolare, siamo condizionati da vecchie teorie etnocentriche che stabilivano un collegamento robusto tra concezione ortodossa del pregiudizio e razzismo. Questa impostazione prevedeva, per esempio, che chi valorizza molto il proprio gruppo d'appartenenza tendeva a disprezzare gli altri gruppi. Ma esiste davvero una correlazione, per esempio, tra odio per lo straniero e sopravvalutazione del proprio gruppo di appartenenza? Diversi studi sono giunti alla conclusione che è alquanto debole se non inesistente. Pensare bene del proprio gruppo, in altre parole, non ha praticamente nulla a che fare con il pensare male degli altri gruppi. Non solo il favoritismo della propria "squadra" non è legato alla bassa considerazione delle altre "squadre" ma non esiste nemmeno la relazione inversa. E' più probabile la teoria contraria: l’autostima - ovvero un atteggiamento positivo per il proprio gruppo - ci spinge ad instaurare relazioni più sane con lo straniero. Vi è un corpus sostanziale di lavori che vede il sentimento "patriottico" come qualcosa di simile all'autostima, cioè una base sana per allacciare relazioni con il diverso. Secondo questa visione è difficile pensare bene degli estranei se non si pensa bene innanzitutto dei propri "vicini".
C'è poi la faccenda dell'accuratezza degli stereotipi. Già il fatto che siano differenziati per gruppo etnico è un indice di attenzione. Non esiste "lo straniero": ciò che si crede di un gruppo etnico non lo si crede di altri. Gli ebrei, ad esempio, sono visti come diversi dai neri. Gli asiatici potrebbero essere visti come "industriosi" e i neri come "sporchi" e così via. Altro indice che depone a favore dell'accuratezza: c’è accordo tra gruppi nel sostenere uno stereotipo, spesso l'accordo s estende al gruppo interessato dallo stereotipo. Ad esempio, in una situazione di laboratorio Callan e Gallois hanno scoperto che anglo-australiani, greco-australiani e italo-australiani mostravano tutti un alto livello di accordo sul fatto che gli anglo-australiani fossero "sportivi, felici, fortunati e di aspetto piacevole". Chi discrimina lo fa in modo molto differenziato, la persona che discrimina dal punto di vista razziale ha un pensiero complesso piuttosto che semplice.
Altra questione: gli stereotipi positivi fanno bene? Non sempre. Esempio, Viljoen scoprì che alcuni gruppi di neri sudafricani avevano una considerazione particolarmente elevata dei bianchi di lingua inglese, tuttavia erano i meno propensi ad integrarsi con loro. Più la considerazione dell'altro è elevata, più si mantengono le distanze. Lo stereotipo positivo allarga la distanza sociale e ostacola l’integrazione tra gruppi. Gli studenti bianchi con un' alta considerazione dei neri sono anche quelli che hanno più probabilità di opporsi ad una politica delle quote. La politica delle quote è invece spesso sostenuta da chi nutre, magari nascondendoli, pregiudizi negativi sulla minoranza. La semplice idea che gli stereotipi positivi siano buoni e gli stereotipi negativi cattivi si rivela una semplificazione fuorviante.
Gli stereotipi hanno anche una funzione positiva: se riesci a classificare le persone, devi fare meno sforzi per interagire in modo costruttivo con loro. Lo stereotipo è uno strumento conoscitivo, come la generalizzazione e l’astrazione. La guerra agli stereotipi in fondo è una piccola guerra portata al metodo scientifico. Gli stereotipi possono davvero avere un ruolo utile, sono un aiuto nel conoscere accuratamente i tratti chiave del "diverso" e consentono di gestire molte ambiguità. Lo stereotipo non fa che mettere a frutto l’informazione minima e ridurre l’incertezza. È una grande leva a nostra disposizione per esaltare le più minute informazioni in nostro possesso. La sua utilità lo rende talmente radicato nella natura umana che tendiamo a generalizzare anche quando ci viene detto che una certa info è specifica.
Tuttavia, ciò non significa che chi o impiega possieda una struttura mentale rigida. Al contrario, gli stereotipi sono approssimazioni continuamente aggiornate man mano che l'informazione affluisce. Lo stereotipo è un’approssimazione in itinere. Gli stereotipi si affievoliscono quando le informazioni sulla persona specifica ci raggiungono e vengono messi da parte laddove l'informazione è completa. Quando si rendono disponibili informazioni migliori di quelle contenute nello stereotipo, lo stereotipo viene abbandonato come guida all'azione. Gli stereotipi sono resistenti in quelle situazioni in cui le informazioni specifiche sono rare o poco adeguate, e comunque non saranno disponibili con sollecitudine. Ad esempio, di fronte a un nero sconosciuto incrociato in un vicolo buio, un bianco usa gli stereotipi, non sospende i suoi giudizi. Lo stereotipo persiste nelle situazioni anonime per aggiornarsi poi con la presa di contatto. Se lo sconosciuto di colore dice semplicemente "buongiorno" quando passa, lo stereotipo non avrà più alcun ruolo nell'interazione e svanirà nel nulla. In laboratorio il "nero" anonimo viene descritto dalle "cavie" secondo lo stereotipo: "sporco, pigro...". Quando i gestori dell'esperimento precisano la descrizione del soggetto presentandolo come un "nero istruito", le cavie immediatamente mutano i loro sentimenti e le loro reazioni. Il nero istruito è infatti descritto in termini molto simili a un bianco istruito.
Cos'è allora uno stereotipo? Lo definirei un processo di approssimazione successive verso giudizi accurati. Direi che fa parte a pieno titolo della razionalità bayesiana. Puo' iniziare contenendo pochissime informazioni accurate ma, man mano che si accumulano conoscenze ed esperienze, le informazioni diventeranno progressivamente più definite e vicine alla realtà che si vuole conoscere.
Eppure ci sono autori che hanno sostenuto la rigidità degli stereotipi. Costoro trascurano che non è affatto razionale abbandonare uno stereotipo in seguito ad un’eccezione: “una rondine non fa primavera“. Noi non abbandoniamo o rivediamo immediatamente una regola, aspettiamo piuttosto che si accumulino diverse eccezioni. Se i neri sono generalmente visti dai bianchi come pigri, un nero diligente non perturberà lo stereotipo. Se, tuttavia, si incontreranno molti neri diligenti, si verificherà un cambiamento radicale. Gli autori che sostengono la rigidità non colgono quanto sia razionale tollerare delle eccezioni, sono vittime di un’ idealizzazione popperiana della conoscenza.
Conclusione: lo stereotipo non è il primo passo verso il razzismo ma verso la conoscenza in generale, tanto è vero che anche il "tollerante" ha i suoi bravi stereotipi, solo che li nasconde.
Ma se i pregiudizi non spiegano il razzismo, quali sono le teorie alternative più promettenti? Forse la linea di ricerca da seguire è quella che punta sull'esaltazione del sentimento comunitario. In casi del genere lo "straniero", al di là del suo valore specifico, è visto come una fonte di perturbazione della coesione sociale. Un forte sentimento comunitario può facilmente evolvere in razzismo. In questo senso sono i pilastri della comunità i soggetti più a rischio. Un caso di studio interessante è quello svedese, lì una società omogenea e coesa ha nel tempo messo a punto istituzioni comunitarie solidali robuste che con l'arrivo dello "straniero" sono andate sotto pressione sollevando un'ondata di rigetto negli "indigeni". Si è dovuto ripiegare su livelli di politicamente corretto che a noi suonano parossistici. Ecco, il brodo di cultura dei paesi nordici è particolarmente favorevole alla nascita del razzismo, e la cosa non ha nulla a che vedere con ignoranza e pregiudizi.
Tanto per essere chiari, questo lavoro mostra che gli stessi metodi con i quali si è preteso di quantificare la creazione di valore da parte degli insegnanti, spiegano anche l' effetto degli insegnanti medesimi sull'altezza dei loro studenti. Poiché tale effetto nella realtà è presumibilmente pari a zero, è lecito dubitare anche del primo calcolo.primo calcolo. https://www.nber.org/papers/w26480.pdf

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PICCOLO RIMPIANTO PER I VECCHI RADICALISMI

Leggo la notizia e già sento il chiasso assordante di chi non accetta le sfide e/o fa appello all'istinto di chi non accetta le sfide. Mi spiego meglio.
E' giusto ed opportuno ridurre il ruolo dello stato nell'assistenza sanitaria? Ho la mia opinione e la ritengo abbastanza radicale, ma accetto di buon grado che possa essere sfidata. Vedo il problema come aperto. Ecco, oggi c'è carenza di credenze "sfidabili".
Preferisco di gran lunga l'espressione "credenza sociale" all'espressione "scienza sociale", il termine "scienza" suggerisce un protocollo per arrivare a certezze su questioni che sospetto rimarranno irrisolte, come la questione del ruolo del governo nella sanità. Si tratta di certezze che inducono atteggiamenti nocivi e sempre più diffusi. Diffido sempre di che sbandiera parole come "scienza".
L'opinione stessa per cui la maggior parte delle credenze dovrebbe restare aperta è essa stessa una questione aperta. Anche qui io ho semplicemente la mia opinione.
La credenza "non sfidabile" sfocia nel sacro. Ad esempio, supponi di credere che tutti i fallimenti sociali delle donne debbano essere attribuiti alla discriminazione e al sessismo. Inoltre, vedi qualsiasi indagine nel merito come una minaccia, una forma di sessismo latente. Ritieni che la tua convinzione non possa e non debba essere sfidata. Ecco, la tua è una convinzione religiosa. Una convinzione sacra.
Se tu credessi che l'Olocausto non abbia avuto luogo, sarei in veemente disaccordo con te, fino al punto di dubitare della tua ragionevolezza, nonostante questo considererei la mia una posizione contestabile.
Trasformare le proprie credenze da contestabili a sacre è pericoloso. Innanzitutto, poiché la tue convinzioni ora è sacra, il tuo discorso non ha più la funzione di persuadere chicchessia ma entra in modalità "demonizzazione". In altre parole, diventi intollerante. Vedrai il disaccordo come un'eresia e vorrai punire gli eretici.
I radicalismo del passato spesso non implicavano lo spostamento dalla sfida alla religiosità. In effetti, la tendenza era quella contraria. C'era la sacra convinzione che la tradizione andasse contestata. Era la possibilità di "contestare" ad essere sacralizzata. La guerra andava contestata, la sessualità andava contestata, l'università andava contestata. In questo senso meglio il radicalismo di ieri che quello di oggi. Ieri il senso della sfida era molto più sviluppato.

CORRIERE.IT
Polemica per i messaggi del docente e per la reazione del rettore dell'ateneo senese, che si è limitato a un: «Scrive a titolo personale»

FALLIRE CON ONORE

Nella "società bambocciona" il progresso va a passo di lumaca, si preferisce fallire stando sulla via maestra che ottenere risultati attraverso vie non convenzionali. Questo non vale in tutti i campi: se dobbiamo organizzare una vacanza, per esempio, puo' capitare, e capita molto frequentemente ormai, che si abbandoni la via maestra del tour operator e, magari, smanettando sull' app giusta facciamo tutto da soli. Qui il progresso non soffre come altrove, le app proliferano. In altri ambiti, infatti, il timore di soluzioni creative personalizzate è paralizzante. Nessun genitore della classe media vuole dire ai suoi colleghi che il proprio figlio non sta andando in una delle università "benedette" ma magari - considerate certe esigenze - ha optato per un'istruzione telematica, oppure che non si cura negli ospedali "consacrati" ma con cure a pagamento spesso realizzate a distanza, oppure che la sua casa non ha certe caratteristiche canoniche (villetta a schiera di metratura minima con giardino e box). Anche per questo il costo di certi beni/servizi esplode: sulle alternative pesa una condanna di natura culturale: tollerare gruppi di persone che, sperimentando, si ritrovino poi troppo avanti o troppo indietro rispetto al gruppone sembra essere impossibile.
I nemici del progresso sono la paura delle novità e l'invidia. Quando questi nemici dominano, il progresso soffre. Quando quei nemici sono deboli, i progressi sono rapidi. Istruzione, sanità e costruzione sono tre settori in cui l'invidia domina e le lo scetticismo sulle novità la regola: troviamo sempre più inammissibile che ci si possa fare concorrenza sulle cure sanitarie, oppure che possano esistere ospedali profit. Quando nelle costruzioni si sviluppano idee alternative è sempre pronta la paura del "ghetto" (magari esclusivo). Se l'istruzione sperimenta soluzioni c'è subito l'incubo che le élite vogliano isolarsi dalla massa. Stando all'edilizia urbana basterebbe constatare quanto sia stato difficile per Google trovare una città che le consentisse di sperimentare la città del futuro. Le città, infatti, sono disposte ad approvare chilometri di piste ciclabili, ma neanche un metro per le auto senza conducente.
L'idea del lusso ha sempre trainato la società. Quello che i ricconi hanno oggi, la massa l'avrebbe dieci anni dopo. Ma nella società bambocciona lusso e pop non hanno più diritto di cittadinanza, almeno in certi ambiti.
Fondare un'università di successo è quasi impossibile. Non che restrizioni legali insuperabili ti vietano di farlo. E' proprio una questione sociologica, istituzionale, legata alle dinamiche di accreditamento. Perché l'università telematica non decolla? Le barriere sono innanzitutto culturali.
Ci sono ragazzi palesemente impreparati per l'università ma che ci andranno lo stesso, non cercheranno alternative. Perché? Il motivo è sempre quello: preferiamo il fallimento convenzionale al successo anti-convenzionale. Nessuno vuole essere un genitore il cui figlio riesce adottando un approccio non tradizionale all'istruzione superiore.
Anche la filantropia si concentra sulla tradizione, e così le università tradizionali incamerano enormi beneficienze quando queste risorse sarebbero meglio investite nelle start-up dell'istruzione superiore. Ma se dai alla tua alma mater o crei un istituto di ricerca in un'università consolidata, il massimo rischio che corri è quello fallire in modo convenzionale, quindi accettabile.
La quantità di denaro che la "società bambocciona" spreca in inutili cure negli ultimi sei mesi di vita è enorme. Riceviamo una montagna di cure in più per avere benefici minuscoli. Se togliessimo euro al margine di queste cure e li mettessimo nella sanità sperimentale l'effetto netto sarebbe positivo. Ma, ancora una volta, sprecare soldi in procedure mediche con costi elevati e bassi benefici è comunque un modo convenzionale di fallire, quindi la cosa non presenta problemi.
In breve, quando si tratta di edilizia urbana / ingegneria civile, istruzione e assistenza sanitaria, abbiamo una cultura conformista, con l'imprenditorialità perennemente scoraggiata. La forte presenza governativa in questi settori non fa che rafforzare questo vizietto, ma non si accusi la politica, lei non fa che darci quel che le chiediamo.
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LEZIONI DI VITA

Il Corriere suona l'allarme: l'aspettativa di vita negli Stati Uniti diminuisce. Le cause del fenomeno sono l'uso di oppiacei e l'obesità.
In questi casi si puo' scegliere di celebrare o di rattristarsi. Massimo Gaggi si butta sulla tristezza anche se l'aumento dei tassi di mortalità deriva da scelte volontarie.
La cosa da festeggiare, ovviamente, non sarebbero le morti stesse, ma il fatto che le persone abbiano trovato qualcosa per cui valga la pena morire. E' come quando compri una casa, non mi rattristo per l'ammanco sul tuo conto corrente ma mi congratulo per l'acquisto, per aver trovato qualcosa che ha reso utile quella spesa.
Supponiamo di vivere legati ai nostri letti in stanze d'ospedale, con i medici che monitorano ogni vibrazione della nostra salute e la assistono immediatamente. Le nostre sarebbero vite lunghissime, ma miserabili. Qualora progettassimo una fuga di massa l'aspettativa di vita diminuirebbe ma noi tutti festeggeremmo l'evento. Gli oppioidi offrono una fuga da vite miserabili. La decisione d'ingrassare ha molti vantaggi: puoi dedicare molto più tempo a mangiare M & M e molto meno sulla cyclette. Come tutte le cose buone anche queste hanno dei costi. In questo caso, il costo si presenta sotto forma di aumento della mortalità. Sembra che in molti pensino che sia un costo che vale la pena pagare. Dovremmo essere contenti per loro.
Ora, si puo' certamente raccontare una storia in cui la mortalità dovuta all'uso di oppiacei è aumentata perché il mondo è peggiorato così tanto che c'è più richiesta di vie di fuga. Il segnale sarebbe pessimo. Ma puoi anche raccontare una storia in cui la mortalità dovuta all'uso di oppiacei è aumentata perché le persone sono diventate molto più ricche e ora si possono permettere di essere tossicodipendenti, oppure una storia nella quale gli oppiacei sono migliorati o sono diventati più facilmente disponibili. In questo caso il segnale sarebbe positivo. Gaggi sceglie la prima possibilità senza nessuna ragione per pensare che sia la storia giusta. Negli ultimi decenni è aumentata anche la spesa per smartphone. E' davvero sensato ignorare il fatto che le persone che stanno spendendo tutti quei soldi ottengano in cambio degli smarthpones?! Allo stesso modo, una tendenza al rialzo della mortalità dovuta al consumo di M&M non puo' ignorare il fatto che le persone mangiano molte più M&M.

sabato 30 novembre 2019

dualismo cristiano

il dualismo cristiano non è cartesiano.

il dualismo cristiano non è sostanziale. ovvero: l'uomo non è fatto da carne più spirito.

il dualismo cristiano è proprietario: l'uomo ha sia proprietà spirituale che carnali.

dimostrazione: prendi un uomo e toglia le sue unghie. è ancora lui? sì. toglili un braccio. è ancora lui? sì. comincia a smontarlo. è ancora lui? sì. quando hai tolto tutto il corpo è ancora lui? sì. ma allora quello che sembrerebbe puro spirito conserva proprietà corporee, altrimenti l'anima non potrebbe essere l'essere umano visto che quest'ultimo è anima e corpo insieme..

TU E IL TUO BACKUP

Per caricare la mente di una persona in un ambiente digitale, dovrebbero essere risolte almeno due sfide tecniche. Innanzitutto, avremmo bisogno di costruire un cervello artificiale standard fatto di neuroni simulati. In secondo luogo, avremmo bisogno di scansionare il cervello biologico reale di una persona e misurare esattamente come i suoi neuroni sono collegati tra loro al fine di porci in grado di plasmare allo stesso modo, tramite una stampante, quel modello nel cervello artificiale standard. Nessuno sa se questi due passaggi potrebbero davvero ricreare la mente di una persona o se anche altri aspetti più sottili della biologia del cervello devono essere copiati, in ogni caso si tratterebbe di un buon punto di partenza.
Supponiamo che decida di sottoporre a scansione il mio cervello e di caricare la mia mente su un pc. Nessuno sa cosa comporterà il processo, ma poniamo che una mente cosciente si risvegli nel pc e dia delle risposte alle mie domande. Quella mente ha la mia personalità, i miei ricordi, la mia saggezza e le mie emozioni... la mia anima. Lui stesso pensa di essere me. Può imparare e ricordare cose nuove, le sue connessioni sinaptiche continuano ad evolvere con l'esperienza esattamente come le mie.
Ipotizziamo che il mio emulatore si ritrovi in un ambiente di videogiochi simulato. Se quel mondo è reso bene, assomiglierà molto al mondo reale e il suo corpo virtuale sembrerà un corpo reale. Forse il mio emulatore convivrà con un'intera popolazione di altre persone caricate digitalmente. Odore, gusto e tatto potrebbero essere attivati grazie all'enorme larghezza di banda disponibile per gestire quelle informazioni. Il mio emulatore potrebbe pensare: “ah, qui sto proprio bene, questo ambiente digitale è proprio confortevole. Possa il cloud computing durare indefinitamente! ”.
Il tuo emulatore sentirà e imparerà esattamente come te, avrà la tua stessa memoria. Viene il dubbio che siate la stessa persona!
La cosa più naturale è vederlo come un tuo gemello. Un gemello nato da un adulto, quindi praticamente identico a te. Se nel processo di copia tu dovessi morire potrebbe essere tranquillamente te. Ammettiamo che tu commetta un omicidio. Quando stai per essere preso entri nella stanzetta dello scanner e premi il bottone della copia uccidendo il tuo vecchio "io" e facendo nascere nel computer il tuo nuovo "io". Ecco, se queste due identità fossero differenti nessuno potrebbe incolparti del delitto commesso. Sarebbe l'uovo di Colombo per i criminali! Il sistema giuridico sarebbe costretto a considerare la tua copia come un te stesso e condannarla per il delitto commesso da te.
Se invece la copia prevede la tua sopravvivenza le cose sono più complicate. Essendoci due corpi distinti tu negherai l'attribuzione ad essi della medesima identità. Ma il nostro senso della continuità fisica con il passato è in gran parte un'illusione. Ospitiamo un sostanziale ricambio di molecole e particelle. Solo la persistenza della memoria è la variabile chiave per identificare se stessi.
Tuttavia, i due esseri (tu e il tuo emulatore) sono isolati l'uno dall'altro. Eppure c'è chi sostiene che le due coscienze appartengono alla medesima persona, sono entrambe "io". Se una di queste due coscienze finisce in modo permanente, allora una parte di me finisce ma l'altra me continua. Diventerebbe possibile morire al 50%. Il fatto che abbia diverse linee di coscienza contemporaneamente può sembrare strano, ma accade già oggi. Potremmo rispolverare lo schema quantistico dei "molti mondi" per descrivere al meglio la cosa.
Il mondo digitale in cui vive la copia (se la copia non è incorporata in un robot fisico) interagirà con il mondo fisico in cui viviamo. In fondo viviamo già in un mondo in cui già oggi abbiamo vite reali e vite digitali parallele. Potrei fare dell'emulatore il mio emissario nel mondo digitale. I due cervelli (quello reale e quello digitale) potrebbero essere sincronizzate in automatico affinché le esperienze del primo si trasfondano nelle esperienze dell'altro a intervalli regolari. L'ambito digitale sarebbe semplicemente un'altra regione del mondo in cui io agisco attraverso un prolungamento della mia mente, così come la mia auto è il prolungamento delle mie gambe. Con il mio emulatore potrei viaggiare nello spazio: mando lui - magari in una ricostruzione virtuale dello spazio - e poi mi sincronizzo. Tramite i backup potrei avere molti "io" di riserva, non si sa mai. E' probabile che sia facile ed economicamente vantaggioso velocizzare il mio emulatore: avrei una versione di me più intelligente e più brillante.
Non vi piacerebbe "caricarvi" su un pc? Avere una doppia/tripla vita? Poter vivere 10 vite in una? Poter far lavorare "loro" e ritirarvi dagli affari? Ah no, dimenticavo, "loro" sono "te". Mi spiace, niente pensione.
Questo libro indaga le ripercussioni socio-economiche di un mondo del genere. La filosofia non interessa l'autore, e nemmeno i dilemmi etici. Le domande che si pone sono più concrete: quanto guadagneremo? Come saranno le diseguaglianze? Che fine farà la religione? Come verranno trattati i pochi umani in carne ed ossa (giusto qualche miliardo rispetto ai molti miliardi di emulatori)? Che pericoli corriamo? Eccetera, eccetera, eccetera.
#Amazon

AMAZON.IT
Robots may one day rule the world, but what is a robot-ruled Earth like?Many think the first truly smart robots will be brain emulations or ems. Scan a human brain, then run a model with the same connections on a fast computer, and you have a robot brain, but recognizably human.Train an em to do ...

DOPO IL TUO FUNERALE


DOPO IL TUO FUNERALE
I cattolici sono divisi su cosa capiterà loro appena dopo la morte. Tutti concordano sul fatto che l'anima esista, che persista anche dopo la morte e tutti concordano sul fatto che il corpo si unirà di nuovo all'anima dopo la resurrezione. Ma cosa ci succede tra morte e resurrezione? Continueremo ad esistere? O cesseremo di esistere fino alla definitiva risurrezione? Non spero certo che parole di chiarezza giungano da papa Francesco che, come ogni buon materialista, si interessa a noi solo prima del nostro funerale.
I "sopravviventi" (S) è l'etichetta usata per contrassegnare chi crede che l'essere umano in qualche modo continui ad esistere. "Corruzionisti" (C) è l'etichetta che contrassegna chi crede che che l'essere umano cessi di esistere dopo la morte (ma ritorni all'esistenza con la risurrezione).
Gira voce che Tommaso, autorità suprema in materia, fosse un "corruzionista", anche se la cosa è alquanto dubbia. Di certo per lui un essere umano non si identifica unicamente con la sua anima, altrimenti sarebbe un platonico. Ma la cosa non implica necessariamente corruzione. Il motivo del contendere ai suoi tempi era se fosse legittimo pensare agli esseri umani in un modo essenzialmente platonico, come anime immateriali che sono sostanze complete a sé stanti, e solo accidentalmente legate al loro corpo. Qui il "no" di Tommaso è chiaro nel momento in cui pone grande enfasi sulla presenza del corpo come essenziale per l'integrità dell'essere umano. Ma sia i S che i C possono concordare fin qui. Sempre inteso che cio' che conta non è tanto il discorso esegetico ma cio' che discende dalle premesse di Tommaso.
Il fatto è che la posizione di C, dal punto di vista metafisico, non ha molto senso.
Sia i C che i S concordano (contro Platone e Cartesio) che un essere umano sia UNA SOLA sostanza, non due. Siamo sia corpo che mente (e non corpo+mente). Abbiamo sia proprietà corporee (altezza, peso) che incorporee (mente, volontà). L'assunto dell'unica sostanza significa inscindibilità: c'è anima anche nel corpo e c'è corpo anche nell'anima. Se il dualismo cattolico non è sostanziale, infatti, diventa difficile "smontare" l'uomo in un corpo e in un'anima. In questo caso s'imporrebbe la posizione S. Se l'uomo fosse composto da due sostanze la sua scissione comporterebbe la sua sparizione. In caso invece di sostanza unica l'uomo sarebbe inscindibile, in questo caso la morte è solo una grave diminuzione ma non una sparizione. L'inscindibilità significa che anche in cio' che chiamiamo "anima" c'è una parte di "corpo" che conserva l'umanità. Il fatto che l'anima umana persista significa che persiste la sostanza umana (c'è corpo anche nell'anima), ovvero l'essere umano. Quindi, l'essere umano deve esistere dopo la morte.
Ma come può un essere umano esistere dopo la morte se il corpo, che poi è scomparso, è parte integrante dell'essere umano?
La risposta è: in un modo simile al modo in cui un essere umano può continuare a esistere dopo aver perso braccia, gambe, occhi, orecchie, lingua, ecc. Braccia, gambe, occhi, orecchie, lingua, ecc. sono parte integrante di noi. Ogni essere umano nel suo stato completo li possiede. Un essere umano che ne è privo esiste in uno stato altamente anormale e fortemente diminuito. Ma esiste! Il morto esiste in uno stato ancora più radicalmente ridotto. Ma persiste. Ed è così che l'anima persiste oltre la morte. Dire invece, come fanno i C, che l'anima persiste dopo la morte ma l'essere umano no, implica che la sua sostanza sia sparita, quasi che questa sostanza sia una costruzione (anima+corpo) che ora viene smontata.
C soffre anche di difficoltà teologiche. Sia S che C, infatti, concordano sul fatto che, dopo la morte ma prima della risurrezione, le anime umane vengano ricompensate o punite e possano essere pregate. Ad esempio, puoi pregare San Pietro, che ha raggiunto la sua ricompensa in cielo. Ma ha senso ricompensare, punire o pregare solo le persone reali. Quindi San Pietro può essere intelligibilmente ricompensato e pregato solo se esiste come persona. Ma che tipo di persona è San Pietro? È un angelo o un essere umano? Un essere umano, ovviamente.
C risponde a questo problema dicendo che i discorsi sulla preghiera o sulla ricompensa di San Pietro dovrebbero essere interpretati come esempi di sineddoche, vale a dire, l'uso di un'espressione per riferirsi a una parte del tutto, come quando diciamo "Il governo italiano ha condannato gli attacchi", il che significa che un determinato ministro incaricato del governo ha condannato gli attacchi. L'idea è che quando preghiamo San Pietro, questo è semplicemente un modo retorico di riferirsi a lui riferendosi alla sua anima, che è solo una parte di lui. Ma questo non risolve affatto il problema. Supponiamo che, dopo la sua morte, il bulbo oculare sinistro di San Pietro o il suo polmone destro siano stati mantenuti artificialmente in vita (forse ai fini del trapianto in qualcuno che aveva bisogno di un occhio o di un polmone). In questo caso avrebbe senso pregare l'occhio sinistro di San Pietro? Avrebbe senso premiare il polmone destro di San Pietro? Ovviamente no.

venerdì 29 novembre 2019

LA MADRE DI TUTTE LE LIBERTA'

A cosa serve la Storia?
No, non serve ad ammaestrarci per il futuro, serve ad ammaestrarci per il presente, in particolare a sopire i nostri bollori moralistici. Serve a farci vedere la terra dalla luna, serve a spiegarci, per esempio, che certi comportamenti che oggi tanto ci oltraggiano, ci indignano moralmente e ci fanno rivoltare l'anima, in passato erano la regola. Non solo: erano una regola giustificata razionalmente! Razzismo, sessismo, xenofobia e bla bla bla erano la regola, ed erano una regola giustificata! La libertà e l'eguaglianza tra gli uomini non sono un progresso, sono invece un lusso che ci siamo concessi quando abbiamo potuto permettercelo, ovvero in un contesto mutato (magari grazie a quelle forze che gli indignati di professione disprezzano. Dobbiamo quindi 1) gioire per questo fatto e 2) capire chi conserva certi atteggiamenti che in passato erano comunque la regola giustificata. Il libro di Koyama, a prescindere ci sia accordo o meno, porta esempi illuminanti, ma uno svetta e riguarda la nascita delle società libere.
Come sono emersi i moderni stati liberali? Gli economisti si sono tradizionalmente concentrati sulla produzione della ricchezza mentre gli scienziati della politica su questioni relative a democratizzazione e stabilità politica. Ma c'è un fattore che è stato trascurato da tutti: la religione.
Questa negligenza è facile da capire. Nel mondo sviluppato la libertà religiosa è così radicata nelle istituzioni che la diamo per scontata.
Il primo passo di questo ragionamento consiste nel non confondere libertà religiosa e tolleranza religiosa. Oggi sono praticamente sinonimi. Ci riteniamo tolleranti quando non giudichiamo o condanniamo gli altri per le loro scelte di vita, ma questo non è il significato originale latino di "tolere". Fino al XVII secolo tollerare significava sopportare qualcosa con cui non si è d'accordo. Si trattava di un principio pratico piuttosto che morale, ed era contingente e soggetto a revisione arbitraria. C'è quindi una certa differenza tra tolleranza e autentica libertà religiosa.
Perché questa distinzione è importante? Troppo spesso gli storici lodano le società che non hanno perseguitato attivamente le minoranze religiose e le chiamano "tolleranti". Ma l'assenza di persecuzioni non implica che gli individui fossero liberi di perseguire il miglioramento economico o sociale adorando il loro dio. L'ipotesi che il dissenso potesse invitare alla repressione da un momento all'altro era sufficiente a creare un clima in cui i pensieri potenzialmente sovversivi non fossero espressi liberamente. Né l'antica Roma né gli imperi islamici o mongoli avevano libertà religiosa. Spesso si astenevano dal perseguitare attivamente le minoranze religiose, ma erano anche spietati nel reprimere queste difformità quando la cosa si adattava ai loro obiettivi politici. La libertà religiosa è un'esclusiva della modernità post-1700. Perché?
E qui arriviamo al punto. Alcuni studiosi hanno introdotto la fertile distinzione tra "regole personali", "regole identitarie" e "regole generali". Le prime comportano un trattamento differenziato a seconda delle caratteristiche individuali. La legge cambia da persona a persona. Questo funziona quando la comunità è minuscola e i membri si conoscono personalmente, possono fidarsi l'un l'altro ed avranno interazioni future. Perché Ronaldo riceve un trattamento speciale nello spogliatoio della Juve? Perché tutti sanno chi è e cosa fa. Non solo, possono sempre tenerlo d'occhio e verificare che continui a rispondere alle aspettative. Le regole personali hanno tuttavia una grave lacuna, sono di scarsa utilità nel trattare con estranei.
Con il passaggio all'agricoltura, le organizzazioni politiche sono diventate più estese e i sistemi legali più sofisticati, le leggi hanno assunto la forma di regole identitarie, ovvero dipendevano dall'identità sociale dei gruppi coinvolti. Ogni gruppo aveva la sua legge. Ci si poteva riferire al clan, alla casta, alla classe, all'affiliazione religiosa, il sesso o all'etnia di un individuo. Gli aristocratici avevano regole diverse da quelle comuni. Gli schiavi avevano regole diverse rispetto ai liberi. Il Codice di Hammurabi, ad esempio, prescriveva una punizione basata sullo status del colpevole e/o della vittima. Le regole identitarie erano comuni perché più pratiche di quelle personali quando le dimensioni del gruppo si ampliavano e la conoscenza reciproca diminuiva. Poiché l'identità religiosa era particolarmente saliente, si differenziava spesso in base alla religione.
In un'epoca precedente agli stati nazionali la religione era una componente particolarmente importante dell'identità. Le credenze religiose condivise erano cruciali per mantenere l'ordine sociale. In queste condizioni la libertà religiosa era impensabile, si poteva giusto arrivare alla tolleranza. Ad esempio, nell'Europa medievale e nella prima modernità i giuramenti prestati davanti a Dio hanno svolto un ruolo importante nel sostenere l'ordine sociale. Gli atei, tanto per dire, erano fuori dalla comunità politica, poiché, come diceva John Locke, "le promesse, le alleanze e i giuramenti, che sono i vincoli della società umana, non possono avere alcuna presa su un ateo". Ma un'identità religiosa condivisa era anche cruciale per l'appartenenza alla gilda, che escludevano i musulmani, per esempio. Le corporazioni di Tallinn escludevano i cristiani ortodossi, altro esempio di Koyama. Gli ebrei poi erano sottoposti a leggi ad hoc e furono esclusi quasi ovunque.
Ma come siamo passati da un mondo di regole identitarie ad un mondo di regole generali in cui siamo "tutti uguali davanti alla legge"? Il potenziamento degli stati è stato decisivo. Per capacità statale s'intende la capacità di far rispettare le regole, e le regole identitarie sono un modo per facilitare questo compito. Il singolo va facilmente fuori dai radar e si imbosca impunito ma la comunità no. Quando il radar si potenzia l'espediente della regola identitaria non serve più.
Facciamo un esempio di come le regole identitarie potevano facilitare la convivenza con beneficio reciproco: i primi governi moderni usavano spesso le comunità ebraiche come fonte di entrate fiscali, al contempo ne tutelavano l'esistenza. Le restrizioni all'usura, per esempio, rendevano i prestiti interdetti ai cristiani. Tuttavia, i prestiti realizzavano profitti tassabili, cosicché i sovrani potevano sopperire a questa lacuna concedendo i diritti legati al prestito agli ebrei senza violare precetti religiosi. A loro volta, i tassi di interesse applicati dai finanziatori ebrei erano alti e gli utili venivano tassati dagli stessi sovrani che incameravano cospicue entrate. Certo, questa esclusiva alla lunga ha esacerbato l'antisemitismo preesistente tra la popolazione cristiana. Ciò a sua volta ha reso relativamente facile per i governanti minacciare gli ebrei nel caso in cui non intendessero pagare le enormi tasse a loro carico. Ora, fintanto che i governanti si affidavano al denaro "giudeo" come fonte di entrate, gli ebrei rimasero intrappolati in questa morsa che li rendeva quasi-liberi e vulnerabili allo stesso tempo. La loro posizione migliorò solo quando gli stati svilupparono sistemi finanziari e di tassazione più sofisticati, allora divennero cittadini tra tanti. Insomma, la limitata capacità statale implica potenti regole identitarie. Inoltre, la religione è una comoda fonte di legittimità per gli stati deboli. Ciò dà origine a una collaborazione tra stato e chiesa. Lo stato impone la conformità religiosa (privilegi) in cambio del sostegno dell'autorità ecclesiastica.
La modernità è l'epoca in cui lo stato si emancipa dalla religione, la sua potenza rende desuete le regole identitarie, e quindi anche il ruolo sociale della religione. Ma il passaggio non fu indolore, la storiella semplificata degli ebrei che ho appena raccontato non inganni. Dopo la Riforma, la violenza religiosa fu più estrema proprio laddove lo stato era forte, ovvero dove la regola identitaria - e quindi la tolleranza - non aveva più senso. La ratio è chiara, se la religione non serve più ad organizzare la società non ha più senso "tollerare" le minoranze religiose. Al contrario, in paesi come la Polonia, dove lo stato era debole, le persecuzioni religiose furono limitate nonostante la diffusione del protestantesimo. Le Guerre di religione non erano tanto legate a controversie confessionali e dottrinali. I principali stati europei si stavano spostando da regole identitarie a regole generali, avevano bisogno di un popolo omogeneo e proteiforme, i nuovi gruppi si sarebbero dovuti formare spontaneamente sul mercato senza ricorrere a identità pre-costituite. Il contratto (tra parti anonime) diventava metafora del sociale. Il passaggio da uno status fisso a una società fluida (contrattuale) ha contribuito a mettere in moto una serie di sviluppi, tra cui la crescita dei mercati e una più ampia divisione del lavoro. Ma ebbe la conseguenza non intenzionale di diminuire l'importanza politica della religione, e ciò rese il liberalismo possibile. La libertà religiosa si diffonde perché la religione conta sempre meno.
Non esiste alcuna relazione necessaria tra forza dello stato e liberalismo. Gli orrori del XX secolo furono condotti tutti da stati Leviatano. Ma il liberalismo è fragile, artificiale e altamente vulnerabile in assenza di uno stato potente. Quando manca lo stato si torna alla legge dei clan, ovvero delle comunità religiose.

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Religious freedom has become an emblematic value in the West. Embedded in constitutions and championed by politicians and thinkers across the political spectrum, it is to many an absolute value, something beyond question. Yet how it emerged, and why, remains widely misunderstood. Tracing the hist...