venerdì 20 ottobre 2017

Contro la civiltà


Contro la civiltà


Il conservatore non ama la politica.
Fa politica solo per ostacolare chi crede nella politica, ovvero il progressista.
È il progressista a credere nella politica, è lui acredere che il progresso venga da lì.
Anzi, il concetto stesso di progresso rinvia ad unmiglioramento ottenuto grazie alla politica.
Il conservatore, non credendo nella politica, dubita anche del progresso.
Per lui il progresso è un mito. Anche quello delle idee.
Questa mancata fede nel progresso in politica lo penalizza. A dir la verità  lo pone proprio fuori dai giochi.
L’idea di progresso è talmente scontata che chi la nega non comunica più col prossimo.
***
Ogni civiltà tende a considerarsi la migliore, tranne noi che siamo umili.
Umilissimi.
Tuttavia, anche noi adottiamo dei trucchetti per riferirci indirettamente alla nostra superiorità, penso appunto al concetto che abbiamo elaborato di “progresso”.
Diciamo che noi non siamo “i migliori” ma poi agiamo come se volessimo uniformare gli altri a noi dando per scontato che la nostra condizione è la più avanzata.
Il mito del progresso è il nostro modo per affermare la superiorità del nostro mondo su quello altrui.
C’è qualcosa che ci fa sentire “superiori”. Cosa? Essenzialmente il fatto che non torneremo mai indietro.
Ma questo non significa di per sé che è stato un bene “andare avanti”. Se la cosa sfugge conferiamo un vantaggio non da poco al pensiero progressista.
Il progressista ti dice: “vedi come oggi stiamo meglio?, vedi come sono migliorate le cose?, lo tocchi con mano anche tu considerando il fatto che non torneresti mai e poi mai indietro!”
Il reazionario casca subito nella trappola negando l’evidenza. Rivendicando un ritorno al passato si disconnette in modo palese dalla realtà, perde il contatto con i suoi simili, non riesce ad accettare una realtà chiara a tutti, ovvero che noi non torneremo mai e poi mai indietro!
Il buon conservatore invece sa che il rifiuto di tornare indietro è comunque compatibile con il fatto che sia stato un male “andare avanti”, e su questa compatibilità fonda la sua speculazione.
È un po’ come se ci avessero rapito e portati su una barca in mezzo al mare. Dopodiché il rapitore ci pone una domanda capziosa: “ti piace di più stare qui o tornare a casa tua? Se ti piace di più tornare sei libero di tornarci!”. Ovviamente 1) noi torneremmo volentieri a casa ma 2) sarebbe assurdo farlo visto che annegheremo nell’oceano.
Ma c’è di più. Concentriamoci su coloro che sono rimasti “indietro”. Perché gli zingari, per esempio, sono così restii ad integrarsi?
Ma non vedono come la nostra civiltà sia superiore e garantisca sia una maggiore prosperità che una maggiore libertà?
No, non lo vedono. Sono proprio pazzi.
La loro cecità ci inquieta.
Significa forse che la nostra civiltà non è così superiore come crediamo? Certo che un minimo di dubbio ce l’ho insinuano.
Chissà che la civiltà non sia un regresso rispettoalla barbarie, e questo nonostante sia fuori discussione un nostro ritorno al passato.
Altro esempio: i nativi americani sono stati per molto tempo a stretto contatto con una delle civiltà più prospere ed avanzate del pianeta, ovvero quella americana. Possibile che non si siano convertiti al progresso?
Possibile che non abbiano colto la superiorità del modus vivendi statunitense? Possibile che non abbiano bisogni che la modernità non sia in grado di soddisfare all’istante? Sono forse solo degliorgogliosi testardi che fanno finta di nulla o nel loro rifiuto c’è di più?
È decisamente sconcertante che preferiscano vivere in ghetti ripugnanti come le riserve piuttosto che accomodarsi in città avveniristiche.
E vabbè, peggio per loro. Non sono loro che mi interessano, siamo noi. Il fatto che questi selvaggi preferiscano arrangiarsi altrimenti forse significa che per loro  è meglio così, che sono più felici così.
Forse significa che il loro modo di vivere è migliore del nostro, Il che è decisamente inquietante.
Nel giudizio sul presente il fatto che “noi” non torneremmo mai indietro non può pesare di più rispetto al fatto che “loro” non vogliono “andare avanti”.
Sì noti poi che le cose non vanno sempre in questo modo. I cittadini dell’Unione Sovieticaconoscevano da lontano lo stile di vita occidentale e questa conoscenza ha contribuito in modo decisivo a far crollare un impero. In quel caso, evidentemente, quegli uomini, diversamente dagli zingari e dai nativi americani, volevano eccome “andare avanti”. Noi non vorremmo mai trovarci nelle loro condizioni e loro preferiscono cambiare e vivere secondo il nostro stile di vita. In questo caso sì che c’è concordanza, e quindi la superiorità del nostro stile di vita può essere affermata con maggiore sicurezza.
Potrei aggiungere il caso storico della “rivoluzione industriale“: dalle campagne di Londra i contadini affluirono spontaneamente a frotte in città per ingrossare la manodopera. Evidentemente, miglioravano la loro condizione.
Un altro caso è quello dell’immigrazione: l’immigrato parte spontaneamente!
***
Amish, zingari, pellerossa… ma non stiamo parlando di casi marginali? Di situazione scelte ad hoc per giungere alla conclusione desiderata?
Si potrebbe aggiungere benzina sul fuoco affermando che un secolo fa le donne   erano probabilmente più felici e più libere di oggi. Poiché quando parliamo di donne parliamo della metà della popolazione, la cosa comincia ad essere rilevante.
Ma forse ancora non basta, cerchiamo allora di concentrarci sul caso più generale concepibile da uno storico.
Nella storia dell’uomo cosa possiamo contrassegnare come  “progresso” per antonomasia? Quando possiamo dire che è cominciato? E, una volta individuata questa soglia, c’è stata resistenza ad oltrepassarla o tutti sono corsi oltre invidiando chi l’ha fatto per primo?
Certo, che se trovassimo una soglia che tutti ambissero a oltrepassare a che, una volta oltrepassata, non fomentasse nostalgie, l’esistenza del Progresso sarebbe  dimostrata una volta per tutte.
Cerchiamo di fare delle ipotesi.
Progresso fa rima con civiltà, che fa rima con città. La città: un insieme concentrato e ordinato di uomini, cose, animali e piante che convive in modo sedentario e pacifico.
Cosa c’è di più potente sul nostro pianeta che una città umana?
La città umana puo’ avere un solo nemico: un’altra città umana.
Il passaggio dell’uomo dai boschi – dove viveva in bande disperse – alla città puo’ ben definirsi il Progresso con la P maiuscola.
La città umana è qualcosa di relativamente recente, ha circa 6000 anni.
Ma forse anziché di città dovremmo generalizzare parlando di Stato, ovvero quell’istituzione che concentra, scheda e ordina la convivenza umana. Lo stato è il trionfo della ragione. E’ la ragione applicata alle relazioni umane.
La città degli uomini nasce essenzialmente inMesopotamia, quindi in tempi recentissimi, parliamo dell’ultimo 5% della nostra storia.
Se invece avessimo in mente la città moderna,quella fatta funzionare dell’energia fossile, allora dobbiamo datare il suo inizio a fine Ottocento, ovvero nell’ultimo 0,25% della nostra storia.
Sia come sia lo Stato si è rivelata un’istituzione talmente potente da consentire all’uomo dicambiare l’aspetto dell’ambiente che lo ospita. Un vero e proprio balzo per le sorti dell’umanità.
Lo scienziato del clima Paul Crutzen ha parlato di “Antropocene” per definire l’epoca storica in cui l’uomo diventa decisivo nel modellare l’ecosistema  in cui è immerso.
Ma quando inizia l’ Antropocene? Siamo sicuri che inizia con lo stato? Alcuni propongono come punto di inizio il primo test nucleare.
Altri pensano alla rivoluzione industriale e all’uso massiccio dell’energia fossile.
Altri ancora si rifanno alla disponibilità di alcuni mezzi come per esempio la dinamite o il bulldozer, che hanno facilitato l’opera trasformatrice dell’uomo.
In questi casi l’ Antropocene inizierebbe giusto qualche “minuto” fa.
Alcuni propongono allora di retrodatarlo alla scoperta del fuoco, il primo vero grande “attrezzo” dell’uomo.
In questo caso però torneremmo indietro di 400000 anni, in un periodo ben precedente la comparsa dello stesso homo sapiens. Un po’ troppo.
Dopo il fuoco fu l’agricoltura, apparsa circa 12000 anni fa, a segnare un punto di svolta importantissimo.
Ecco, ci siamo, con l’agricoltura comparve anche la città, o meglio, lo stato.
Un attimo dopo (circa seimila anni dopo) la comparsa dell’agricoltura entra in scena nella Mesopotamia meridionale il primo embrione di stato.
È questa la soglia cruciale! È qui che l’idea di progresso si concretizza nel modo più chiaro. E’ qui che entrano in scena tutti quei cambiamenti ai quali ci riferiamo con i concetti di “civiltà” e “progresso”. È qui che dobbiamo vedere a fondo come sono andate le cose per capire se il progresso dell’uomo è qualcosa di reale.
Come è stato possibile trasformare un cacciatore vagabondo in un cittadino con tutte le proprietà accatastate nei pubblici registri?
Possiamo veramente dire che questo passaggio sia stato un progresso? Che la domanda per un suo compimento esisteva ed era robusta?
Qui il lavoro degli storici è decisamente sviante, vediamo perché.
Da un punto di vista temporale, come dicevamo, la presenza dello stato nella storia umana è anomala: l’ homo sapiens apparve 200000 anni fa, 60000 anni fa usciva dall’Africa, 12000 anni fondava le prime comunità sedentarie e finalmente 6000 anni fa il primo Stato. Lo stato è estraneo al 95% della nostra storia. Un’ organizzazione umana fondata sulla raccolta delle tasse e sull’ innalzamento di mura comparve tra il Tigri e l’Eufrate all’incirca nel 3100 avanti Cristo. Ben quattro millenni dopo i primi segnali di agricoltura e vita sedentaria.
Questa origine recente è un problema per chi considera lo Stato come un’istituzione “naturale”,qualcosa a cui la marcia del progresso ci conduce inevitabilmente. Come mai la marcia del progresso, se è così naturale, ha ritardato tanto?
Nella narrativa degli storici l’agricoltura ha rimpiazzato un mondo selvaggio, primitivo, senza legge e violento, realizzando così il grande balzo dalla barbarie alla civiltà, dalla arretratezza al progresso. E’ da quel momento che inizia anche la Storia dell’uomo, o almeno la parte degna di essere raccontata nel dettaglio.
La superiorità del mondo formatosi “dopo il grande balzo” è sottointesa da un’elaborata mitologiamessa in piedi dagli storici.
Per molti è la vita sedentaria stessa ad essere superiore rispetto a quella nomade. Questo è scontato, non se ne parla neanche! I pesci non parlano dell’acqua in cui sono immersi.
Ma c’è qualcosa che turba l’armonia degli storici: non trovano quel che cercano, non trovano gente desiderosa di compiere “il grande balzo”, il desiderio del mondo “arretrato” di progredire.
Quel che trovano è solo un’inesplicabile e pervicace resistenza delle popolazioni primitive a civilizzarsi. Imbarazzante da sorvolare.
La vita sedentaria è sempre stata associata aschiavitù e malattia. E con una montagna di ragioni! Nessuno vuole ammalarsi, nessuno vuole schiavizzarsi.
Ma il mito del progresso è sbocciato nonostante tutto. Ha potuto contare su figure di spicco comeThomas Hobbes, John Locke, Giambattista Vico, Lewis Henry Morgan, Friedrich Engels, Herbert Spencer, Oswald Spengler e altri.
Roma era il bene, l’apice. I Celti e la Germania il regno delle tenebre, l’orrore da cui scappare.
Ma è innanzitutto l’archeologia a mettere in imbarazzo la narrativa degli storici. I popoli “selvatici” non erano certamente gente affamata che arrancava in condizioni disperate come sottointende certo folklore.
Possiamo ben dire che i cacciatori stessero benone in termini di dieta, di salute e di di tempo libero. Un benessere generalizzato.
Passare dai boschi alla città non era consigliabile in termini di analisi costi/benefici. A quanto pare i selvaggi facevano bene i loro conti.
Il mito dell’ Eden avrà un suo perché? Come mai viene collocato “prima”?
Senza contare quel che molti dimenticano, ovvero che parecchie forme di vita “sedentaria” erano già adottate in tempi precedenti all’agricoltura.
L’agricoltura stessa si associava spesso alla mobilità, una mobilità che si arrestava giusto il tempo di un raccolto.
Ancora oggi esistono molte varietà di frumento  selvatico, per esempio in Anatolia. E non dobbiamo stupirci se molti attrezzi agricoli precedono di parecchio l’agricoltura stabilizzatasi nei pressi delle città.
Anche l’addomesticamento delle bestie è rimesso in questione. A quanto pare risale ad epoche parecchio precedenti i primi insediamenti stabili dell’uomo. Si trattava di forme ibride di addomesticamento,  si trattava di animali né interamente selvatici, né interamente addomesticati.
Qualcuno potrebbe vedere queste forme di agricoltura e di allevamento come proto-agricoltura e proto-allevamento, cio’ non toglie che gli uomini le preferivano rigettando l’alternativa della città?
Come riferisce Guillermo Algarve: “l’uomo addomesticò piante e animali, ma le istituzioni che si diede per farlo al meglio addomesticavano l’uomo stesso… e poiché non tutti lo accettavano si dovette ricorrere ad una coercizione di massa”.
Ricordate il lavoro certosino di Robert Fogel?: nel XIX secolo la qualità della vita di un operaio bianco di Detroit era inferiore rispetto a  quella di un nero schiavo in Alabama. Attenzione quindi a non abusare dell’analisi utilitaristica trascurando la volontà reale dei protagonisti.
A noi la presenza di uno stato amministrato appare come una costante ineludibile. A questa illusionecontribuisce l’archeologia presa in considerazione dagli storici.
Forse a questo punto è bene soffermarsi un attimo sulla cosiddetta “illusione degli storici”.
Se costruisci i tuoi edifici con il sasso, l’archeologo avrà qualcosa da studiare e lo storico qualcosa di cui scrivere.
Se invece li costruisci con il legno ed il bambù, l’archeologo resterà a mani vuote e lo storico lascerà bianca la pagina che ti spetta.
Ma chi era interessato a costruire mastodontici e duraturi monumenti? Chi se non uno Stato intento a celebrare se stesso?
Ecco di cosa parliamo quando parliamo di bias  degli storici.
Se poi pensiamo alla scrittura il bias diventa ancora più aberrante.
Lo Stato ha bisogno di burocrazia e la burocrazia ha bisogno di infiniti registri. Deve tenere il conto dei suoi schiavi. Ma anche i cittadini comuni sono oggetti da schedare e contabilizzare in modo ordinato. Tributi, catasto, liste genealogiche, tutto deve restare, tutto deve fissarsi in uno scritto, tutto deve essere archiviato! Una coercizione programmata sarebbe impossibile senza un archivio permanente, lo sa bene anche il contribuente italiano del terzo millennio.
Dopodiché, per lo storico concentrato unicamente sui documenti scritti non resterà che una sola realtà da testimoniare, quella dello Stato! L’unica creatura umana degna di nota!
Per lo storico la nostra storia è fatta di stati. Per lo storico il nostro passato è lo stato, e tuttavia i primi stati apparsi nel sud della Mesopotamia, oppure in Egitto o lungo il Fiume Giallo erano affariniminuscoli sia dal punto di vista demografico che da quello geografico.
Delle cagatine, uno sputo sulla carta geografica, piccoli nodi di potere circondati da un vasto territorio abitato dai barbari che rappresentavano il 95% dell’umanità. Un 95% espulso dalla storia studiata alle elementari… ma anche all’università!
E anche se ci limitiamo agli ultimi 400 anni, almeno un terzo della popolazione non ha mai vissuto all’interno di uno Stato.
La stragrande maggioranza dell’umanità non ha mai pagato una tassa, e non sembra affatto leggendo il sussidiario.
Rischiamo tutti i giorni di sorvolare sul fatto decisivo che nella maggior parte del mondo non è mai esistito uno stato, fino a poco tempo fa.
Non solo, i primi stati solo raramente e per tempi brevi erano quei formidabili Leviatani che risultano da alcune esaltate descrizioni.
Disintegrazione, frammentazione, periodi oscuri erano la regola anche laddove sorgeva formalmente uno stato.
Incantati dai documenti che magnificano le dinastie noi pensiamo agli Stati come a blocchi monolitici in grado di controllare il territorio. Altro mito!
I quattro secoli di “periodo oscuro” della Grecia, quando i documenti scritti spariscono, sono praticamente una pagina bianca nei libri di storia, che invece dedicano capitoli interi all’ “era classica”. Già solo il fatto di poterne parlare la promuove automaticamente in “periodo di splendore”.
Per migliaia di anni dopo la sua creazione lo Stato non è mai stato una costante della nostra storia quanto piuttosto una variabile effimera. La storia dell’uomo è essenzialmente la storia di un essere che ha vissuto al di fuori dello Stato.
Niente di più comune, poi, che la “fuga” dallo Stato. Questo è imbarazzante per chi presenta lo Stato come un benefattore che elargisce la luce e la cività ad un’umanità ottenebrata.
Malattie, schiavitù e pulizia etnica erano una deprimente costante della presenza statale.
“Pulizia, pulizia”… lo Stato per nascere deve fare piazza pulita di ciò che lo precede, nel vero senso della parola. Senza ordine i registri non riescono a fotografare fedelmente la situazione e senza registri il burocrate e paralizzato.
Meglio adeguare i registri alle esigenze dell’uomo o l’umo alle esigenze dei registri? Ma ovviamente la seconda che hai detto!
La cultura delle piante e l’allevamento di animali hanno bisogno di spazi vasti e controllabili. Tutto deve essere riunito, concentrato, schedato.
Il fuoco, con il suo potere distruttivo, aiuta nel fare tabula rasa del paesaggio, aiuta nell’addomesticamento, nella registrazione e nella schedatura, nella contabilizzazione.
Il fuoco consente di cucinare i cibi di rendere digeribili piante prima indigeste, consente di rendere nutrienti alimenti prima non commestibili. Il fuoco, con la sua capacità di eclissare le presenze scomode, è un grande alleato delle mega-amministrazioni.
La vita nello Stato è molto più dura rispetto a quella fuori ma soprattutto è meno salubre. Nessuno, se non spinto dalla fame più nera o dalla coercizione, si sognerebbe mai di abbandonare i boschi, la caccia, la raccolta dei frutti o la pastorizia itinerante per dedicarsi al duro e insalubre lavoro dell’agricoltura. “La tèra l’è bassa!” dice un proverbio dei Celti contemporanei.
Lo Stato è luogo di “addomesticamento” e  di artificio.
Tra gli antropologi si dice: ” non conosciamo in che misura noi abbiamo addomesticato il cane o il cane ha addomesticato noi”. Il senso è chiaro: in un posto dove quasi tutti sono servi non si capisce mai bene chi è il servo di chi.
All’interno dello stato la parola d’ordine è “addomesticare”. Addomesticare la pianta, addomesticare l’animale, addomesticare l’uomo, addomesticare il territorio. Tutto deve essere domato. Uno sforzo che nella sua essenza consiste nel ridurre la varietà all’uniformità affinché si possa contabilizzare, tassare, amministrare, incasellare. Insomma, dominare.
Il nuovo assemblaggio di piante, animali e uomini crea un ambiente artificiale. È naturale pensare alla vita dell’agricoltore come ad una vita angusta dal punto di vista delle esperienze, dal punto di vista culturale e dal punto di vista rituale. Una vita nel complesso più povera rispetto a quella del suo predecessore.
La vita nello Stato è molto dura per chi non fa parte delle élite. Molto più dura di quella condotta fuori dalle sue mura. Coltivare il suolo è più oneroso che cacciare o raccogliere frutti. Non c’è ragione per cui un raccoglitore, se non forzato, debba spontaneamente optare per l’ingresso in quelle mura che sono di fatto le mura di un carcere.
Entrare nello Stato comporta un altro sacrificio, quello di rendersi più esposti alle malattie.Influenza, orecchioni, difteria e altre infezioniben note a tutti noi. Ma non al cacciatore!
Oggi la medicina ha fatto miracoli. Oggi non esistono più le epidemie di peste che annientavano metà della popolazione! Ma ricordiamoci sempre che questi miracoli sono stati compiuti contro nemici che prima non avevamo.
La peste “inventata” dallo Stato non è solo quella infettiva, è anche quella delle tasse. Una miriade di tributi che assume varie forme: la forma del grano, la forma del lavoro forzato e quella della coscrizione.
I primi stati si sono formati solo in ambienti dove la popolazione poteva essere rinchiusa da un deserto, da montagna o comunque da una periferia ostile. Oggi è rinchiusa dagli altri stati. Sul punto è illuminante il lavoro di Carneiro: “A theory of the origin of the state”.
Ma è l’agricoltura e la coltivazione del frumento il marchio di fabbrica dello Stato. La coltivazione di questa pianta può essere concentrata, è misurabile e quindi tassabile, richiede poi un cospicuo sforzo umano valorizzando così la schiavitù. Concentrazione, misurabilità, tassazione, schiavitù… non c’è stato senza frumento. Sarà un caso?
Tutti gli Stati classici si fondano sul grano. Non  c’è uno stato della manioca, del sego, della palma, della pianta del pane, della patata dolce, o della banana. Tutti gli stati sono stati del grano.
Il grano favorisce la produzione concentrata, favorisce la tassazione pro quota, l’appropriazione proporzionale, l’  immagazzinaggio, il razionamento e la catastizzazione dei territori.
Lo Stato si forma solo laddove mancano  diete alternative a quella basata sul frumento.
L’agricoltura stanziale non inventa né l’irrigazione, né l’addomesticamento delle mandrie, queste sono conquiste che spettano alle popolazioni pre-statuali. Ma l’agricoltura stanziale le perfeziona, le amplifica, le espande, le razionalizza.
I primi stati si sforzano di creare un paesaggio facilmente “leggibile”, misurabile è per lo più uniforme. Questo facilita la tassazione dei raccolti e il controllo di una popolazione che lavora a corvé.
Ma cos’è uno Stato in fondo? Guardiamo alla Mesopotamia: è un continuum istituzionale con uno staff amministrativo specializzato, con un centro monumentale, con delle mura, con un re e con un sistema di raccolta delle tasse. Nasce negli ultimi secoli del IV millennio prima di Cristo nelle valli alluvionali della Mesopotamia meridionale.
Nasce quindi successivamente rispetto alle prime coltivazioni del grano e ai primi allevamenti.
Dopo, lo stato si fa vivo in Egitto, nella Mesopotamia settentrionale e in molte valli indiane. Ma prolifica anche in Cina, a Creta, in Grecia, a Roma e nel nuovo mondo con i Maya.
Cosa serve allo stato per nascere?
Innanzitutto un tipo di ricchezza appropriabile emisurabile: la “rapina” parziale e in misura fissa fatta a tutti è più tollerata dallo schiavo. In questo senso il raccolto di grano è l’ideale. Poi serve una massa di persone (popolo) che lo coltivi su vasta scala. Una popolazione docile, che sopporti la schiavitù o comunque forme severe di servitù, che possa essere facilmente amministrata e spostata laddove ce n’è bisogno. Una popolazione uniforme, che si lasci registrare e schedare.
Varietà e diversità sono nemiche giurate dello Stato. Anche per questo le paludi rappresentano per lo stato un territorio ostile, il rifugio ideale dei transfughi.
E qui veniamo alla questione centrale, il ruolo della coercizione nello stabilire e mantenere gli antichi stati.
Se dimostriamo che la formazione dei primi stati è avvenuta con un largo uso della violenza possiamo confutare  teorici del “contratto” come Hobbes e Locke: per loro la vita fuori dello stato è “breve, violenta e crudele”. In queste condizioni è logico si scenda a patti: sicurezza contro libertà.
Ma nella storia di patti del genere, anche impliciti, non se ne vedono.
Si vedono solo rifiuti e resistenze. Ma soprattutto molte molte fughe.
I primi stati hanno spesso fallito nel tentativo di trattenere la loro popolazione presentandosi come estremamente fragili e soggetti a collasso da frammentazione.
L’istinto alla fuga è invece facilmente spiegato da chi non vede nello stato un progresso ma il regno del lavoro forzato.
La schiavitù era essenziale soprattutto per quel che riguarda i lavori pubblici, la costruzione degli edifici comunali, delle mura e delle strade.
La Grecia classica costituisce sia l’apoteosi della civiltà occidentale che l’apoteosi della schiavitù. La stessa cosa si può dire per Roma.
Che un’ampia fetta della popolazione greca e romana fosse detenuta contro la propria volontà è testimoniato dalle frequenti ribellioni degli schiavi.
Ma non si tratta solo di poche schiavi riottosi, intere popolazioni tentavano la fuga o quantomeno cercavano di nascondersi. Evidentemente la “civiltà” non allettava granché.
Owen Lattimore parlò delle mura cinesi come di un manufatto dalla doppia funzione: “ quella principale… rinchiudere i tartassati… e quella secondaria, scoraggiare gli assalti dei barbari…”.
A proposito di barbari, esistono anche loro. Sono i 4/5 dell’umanità. Per gli storici esistono solo quando attaccano la città.
È molto probabile che nell’epoca in cui lo Stato sorgeva era molto meglio essere barbari. Da barbari si viveva meglio, per questo i barbari non erano affatto allettati dal progresso.
Il territorio dei barbari è molto vario e disordinato, è una zona di caccia, di coltivazione improvvisata, di pesca provvisoria, di raccolta fugace e di pastorizia. Radici, tuberi e ben pochi campi fissi. E’ una zona di mobilità, in poche parole una zona impossibile da trattare amministrativamente, l’incubo di ogni burocrate esattore.
Il barbaro non è una categoria culturale ma una  categoria politica. Barbaro è colui che vive fuori dallo Stato, colui che non ha carta d’identità, che non è schedato, che non è amministrato, che non è accatastato, che “non risulta”. E così come non risulta al burocrate, non risulta nemmeno allo storico burocratizzato.
Il barbaro vive nel mondo del “nero”, del sommerso, non è registrato e non è proporzionato secondo alcuna misura. Nel suo  disordine il povero burocrate non trova punti di riferimento per poterlo incasellare. Il barbaro vive fuori da ogni mappa. Hic sunt leones.
Tra barbari e civilizzati è esistita per molto tempo una relazione tipica: la rapina.
Perché mai un barbaro dovrebbe coltivare un raccolto quando può semplicemente andare a prendersi i frutti coltivati in schiavitù dall’uomo sedentario?
In un certo senso è colpa dei civilizzati se i barbari godono di cattiva fama!
I raid nei confronti dello Stato erano la norma.
I pellerossa si accorsero ben presto che le vacche dei bianchi erano l’animale in assoluto più facile da cacciare!
Intanto, lo Stato che investe in sicurezza aumenta le tasse e abbisogna di più schiavi.
Ma i barbari non rapinavano e basta,commerciavano anche molto con lo stato, erano loro a fornire molti beni necessari come per esempio metalli, legna, minerali, pelli, medicinali, miele, sostanze aromatiche e altro ancora.
L’esito di questi commerci fu una civiltà ibridamolto diversa dalla dicotomia spesso rappresentata nella forma  civiltà/barbarie.
Thomas Barfield ha sostenuto che per ogni civiltà esiste una specie di “gemello barbaro”. L’esempio tipico è offerto dall’ oppida dei celti, una presenza costante alla periferia dell’impero romano.
Possiamo ben dire che l’era dei primi stati fu anche l’epoca d’oro dei barbari.
Ma la merce principale che si scambiavano barbari e civilizzati erano gli schiavi. Lo Stato ne era un insaziabile consumatore!
Seconda merce per importanza: il mercenario. Lo stato era uno stato guerriero e aveva bisogno già allora di quella che poi venne denominata “carne da cannone”. I cittadini erano ancora pochi e non soddisfacevano le esigenze del levitano, cosicché a fornire la “carne da cannone” erano spesso i barbari stessi che vendevano così i loro prigionieri di guerra.
***
Allo stato, per esistere, serve una massa di persone ma non serve la volontà della massa.
Acquisire e controllare una massa di persone è l’ossessione dei primi stati.
Una popolazione estesa di coltivatori seriali, ecco quello di cui abbisogna.
Lo stato è essenzialmente una macchina produttiva fatta di carne umana: più ce n’è meglio è.
Una massa di uomini addomesticati, un gregge, uno stormo. Questa è l’immagine più fedele dei primi stati.
Un gregge in grado di produrre un surplus a disposizione dell’ élite.
Che la “concentrazione” di carne umana sia il primo obbiettivo lo si vede ovunque. Prendi gli spagnoli nelle Filippine. Cosa sono le “reducciones” se non dei campi di concentramento adibiti a produzione?
Le stesse Missioni cristiane, come prima mossa all’atto dell’insediamento tendono a concentrare la popolazione dispersa.
Il concetto di surplus non è mai esistito fino all’invenzione recente dello stato.
Marshall Sahlins spiega che prima dello stato l’accesso alle risorse era libero per qualsiasi appartenente al gruppo. Ogni forma di coercizione assente. Nessun incentivo a “produrre” oltre al necessario per sopravvivere o per il proprio confort personale. Nulla era “conservabile“, prima.
A. V. Chayanov mostra che quando in un gruppo di cacciatori il rapporto lavoratori/non lavoratori si alza, il lavoro diminuisce.
Per ottenere il surplus che cercano, le élite  puntano sull’agricoltura e inventano lo stato, e con esso una serie infinita di forme del lavoro coercitivo: corvé, consegna forzata, schiavitù, debito vincolato, servitù, eccetera.
Ma c’è il rischio che la gente scappi o si nasconda, specie se i confini non sono ben presidiati. Che fare?
Mura e pene severe. Solo la proprietà della terra riuscirà a sostituire la schiavitù.
Ester Boserup è un autore di riferimento per testimoniare il doppio nesso tra stato e schiavitù.
Ma ogni stato antico aveva un “tasso naturale di fuga”. Veniva tollerato ben sapendo che la guerraera comunque uno strumento fenomenale per ripristinare il livello quantitativo degli schiavi.
Lo stato più potente, anche dal punto di vista militare, era lo stato con più popolazione asservita.
Il vero bottino di guerra erano gli uomini più che iterritori.
In linea con quanto detto le guerre senza sosta  in Mesopotamia aveva lo scopo essenziale di assemblare forza lavoro.
La guerra tipica secondo Seth Richardson era quella in cui “pesce grande mangia pesce piccolo“. L’obbiettivo era quello di radunare un gregge, di addomesticare i selvaggi dispersi sul territorio in una continua lotta per compensare gli schiavi fuggiti.
codici scritti ritrovati e custoditi nei musei iracheni hanno una sola preoccupazione: stabilire pene iperboliche per i fuggitivi e chi li aiutava.
La schiavitù non è stata inventata dagli stati ma, secondo Fernando Santos-Granaros, lo stato ne ha fatto la quintessenza del suo esistere.
Anche presso i pellerossa, per esempio, esisteva una schiavitù dei prigionieri, spesso temperata da una graduale assimilazione dello schiavo.
Il medio oriente ha conosciuto la sua schiavitù pre-statuale documentata da Adam Hochschild. Ma anche lì è con lo stato che esplode il fenomeno.
Ancora alle soglie del XIX secolo 3/4 della popolazione mondiale è schiava.
Nel sud est asiatico l’attività economica più redditizia era quella di mercante di schiavi.
Niente stato senza schiavi. Niente Grecia senza schiavi, a sostenerlo è stato Moses Finley.
Ad Atene 2/3 della popolazione era schiava.
La schiavitù era scontata mai nessuno tra quei saggi sollevò mai la questione della popolazione schiava.
Per Aristotele, una quota della popolazione, quasi tutta, mancando delle necessarie facoltà razionali, era   “naturalmente schiava”.
Sparta? Peggio mi sento… la quota di popolazione schiava qui cresce.
Sparta schiavizzava sul posto mantenendo gli schiavi “in situ”, venivano chiamati iloti.
Roma trasformò il mediterraneo in un emporio per gli schiavi.
Le guerre in Gallia procurarono un milione di schiavi. Soprattutto a questo Giulio Cesare dovette il suo trionfo.
Gli schiavi a Roma erano 1/3 della popolazione.
La schiavitù era talmente comune che gli schiavi costituivano un’unità di conto.
Gli schiavi erano trattati malissimo, molti sono raffigurati in ceppi e sottomessi fisicamente. Ma perché trattare così male una risorsa così preziosa? Perché era anche una risorsa abbondante.
Il rincorrersi tra popolazioni nomadi e cacciatori di schiavi era un po’ il classico guardia e ladridell’antichità.
Lo stato schiavista cresce a spese delle società non schiaviste. Lascia che queste ultime si occupino del futuro schiavo finché non è produttivo, poi lo prelevano e lo sfruttano nei suoi anni “migliori”.
Lo schiavo viene “sradicato” e isolato, in questo  modo è più controllabile.
Lo schiavo è una bestia e la sua riproduzioneassomiglia a quella delle bestie addomesticate. Ogni gregge ha pochi arieti e molti agnelli. Lo stesso si riscontra nella comunità degli schiavi. Sul mercato le femmine in età riproduttiva sono i pezzi più pregiati.
L’impiego prevalente degli schiavi è nei lavori pubblici. Bertold Brecht si chiedeva retoricamente: “chi costruì  la Tebe dalle sette porte?”. Ora sappiamo la risposta.
CONCLUSIONE
Bene, dopo amish, zingari, pellerossa e donne abbiamo fatto il “caso generale”, abbiamo individuato il “progresso umano per eccellenza”, ovvero il passaggio dalla vita “breve, violenta e brutale” alla vita “sicura” all’interno delle mura statali. Il passaggio dalla barbarie alla civiltà. Ma l’esito non sembra cambiare: nessun “barbaro” ha inteso o intende di fatto “progredire“, non solo, le sue ragioni per resistere sono più che solide e ben comprensibili anche a noi, lo abbiamo appena toccato con mano!
Conclusione: dopo questa passeggiata nella storia i dubbi che il Progresso sia un mito permangono e si rafforzano. Forse siamo stati davvero rapiti e confinati su una barca nell’ oceano, e ci permettiamo di dubitare se qualcuno ci fa notare che l’evento costituisce un progresso per il semplice fatto che non scendiamo da quella barca per tornare a casa di corsa.
civiltà

Medioevo bistrattato

Medioevo bistrattato

La reazione ad affermazioni esagerate è spesso esagerata.
A chi sostiene che “il medioevo fu un’epoca buia” si reagisce spesso stizziti controribattendo in modo spericolato che il medioevo fu invece un’epoca dinamica e vitale.
Lo si fa con una tale foga ostile che i primi, spaventati, si stanno ormai estinguendo. Resta giusto qualche anziano conduttore televisivo che ancora rispolvera dal suo arsenale  espressioni desuete del tipo: “ma non vorrai mica tornare la medioevo!?”. Tuttavia, si tratta di simpatici gaffeur a cui si perdona volentieri.
Nel medioevo non si bruciavano gli scienziati, non si credeva che la terra fosse piatta, non vigeva lo ius primae nocti, nel medioevo si registra persino una certa prosperità materiale e si gettavano le basi del Rinascimento futuro. Eccetera.
A molti basta controbattere ad alcune “leggende metropolitane” per riabilitare ipso facto un’intera epoca storica e, con qualche riverniciatina, presentarla come un momento di fioritura della nostra civiltà.
In queste reazioni esagerate c’è un “rigore selettivo” che si concentra su singole questioni trascurando il quadro generale.
In realtà nel medioevo si assiste ad un profondo declino economico e intellettuale, almeno se lo confrontiamo con  ciò che viene prima e dopo.
E San Tommaso? E le cattedrali gotiche? E Dante? E i trovatori? E la notazione musicale? E la Canzone di Rolando? E Ruggero Bacone? E fra’ Pacioli patrono di tutti i ragionieri? E questo? E quell’altro?
Ottima obiezione. Ma è tutta roba che viene dopo il 1000 dc. Diciamo allora che consideriamo il periodo 500-1000, e se non volete chiamarlo medioevo inventiamoci pure un nuovo nome.
Dopo l’anno 1000 anche il più accanito detrattore del medioevo dovrà ammettere a denti stretti una fioritura, sebbene la considererà probabilmente un recupero sullo sfascio del periodo precedente.
Ma come stabilire se un’epoca è luminosa oppure buia? Quali criteri adottare?
Questo è un problema talmente serio che se non lo “semplifichiamo” non facciamo un passo avanti. Tanto per dire : l”impero romano al suo apice era zeppo di schiavi, una roba odiosa da cui va esente l’ottenebrato Medioevo.
Direi allora di escludere dalla discussione il lato morale della faccenda.
Alessandro il Grande potrebbe essere “grande” solo per chi conta i morti-ammazzati. Il fatto è che Alessandro potrebbe essere stato anche una “cattiva” persona, di certo le sue imprese sono state “impressionanti”.
Alla fine ciò che conta come “prosperità” è la capacità di impressionare l’osservatore per le realizzazioni compiute.
Se lasciamo cadere questo assunto allora è possibile anche difendere la barbarie contro la civiltà, e lo hanno fatto in modo certosino storici illustri come Jared Diamond o James Scott.
Avete presente la foto satellitare della Corea? Quella con il Sud tutto illuminato e il Nord immerso nel buio? Ecco, magari dentro quel buio chissà quante opere virtuose vengono compiute, tuttavia la palma del paese più “avanzato” la consegno senza indugio laddove la luce mi abbaglia.
Ebbene, le realizzazioni economiche e intellettuali tra il 500 e il 1000 sono meno “impressionanti” rispetto all’epoca precedente e a quella successiva. Difficile negarlo.
Certo che  reperire numeri attendibili per fare i dovuti confronti a supporto della mia tesi è dura. Parliamo di un periodo storico con fonti rarefatte. A pensarci bene già questo dato è sintomo di decadenza.
Sul PIL esiste un doppio lavoro di rilevanza scientifica a cui attingere: quello di Elio Lo Cascio e Paolo Malanima e quello di Angus Maddison. In entrambi i casi il periodo 500-1000 è deludente. Ma tanto!
Ma ci sarà da fidarsi? Per fortuna c’è un parametro più “pulito” del PIL per misurare la ricchezza prodotta, parlo della densità demografica: in epoche malthusiane la ricchezza si traduce in più popolazione cosicché la popolazione è una proxy della ricchezza.
Anche da qui arrivano conferme: l’alto medioevo è un periodo gramo.
Roma vantava 500.000 abitanti, Atene 100.000, durante l’epoca buia non esistono città con più di 50000 abitanti.
Però c’è anche  un’anomalia di cui tener conto nella nostra narrativa:  la forbice temporale “oscura” si trasla sul periodo 300-800.
Anche i riscontri sulle miniere d’argento, di rame e di ferro, le misure dell’inquinamento da piombo e i fenomeni legati al cosiddetto “Rinascimento Carolingio” spingono ulteriormente a racchiudere l’ “era buia” nell’intervallo di cui sopra.
Si noti che nel 300 siamo ancora in epoca romana, e in effetti la rinuncia a difendere le principali città dell’impero dagli attacchi dei barbari contribuisce enormemente allo sfacelo.
E per quanto riguarda le conquiste intellettuali? Su Google è facile stilare una lista dei 100 filosofi più grandi di tutti i tempi. Nel periodo che stiamo considerando non ce n’è neanche uno.
Non sarà un metodo molto rigoroso ma mi sembra efficace per farsi un’idea.
Affidiamoci ad Harold Bloom e al suo Canone Occidentale per avere una lista dei grandi capolavori della letteratura di tutti i tempi. Nel periodo da noi considerato non ce n’è neanche uno. 😦 Alt, fermi tutti,  calma… forse uno ce n’è: Beowulf.
Certo, i monaci hanno lavorato duro sui libri ma non tanto per scriverli quanto per copiarli. E, nonostante questo, l’epoca altomedioevale risulta perdente anche sul fronte quantitativo circa i libri disponibili: non c’è niente di paragonabile alla biblioteca d’Alessandria.
Tuttavia, un verdetto così duro sulla “quantità” non può essere considerato definitivo vista la difficoltà nel confrontare pergamene e cartigli, tipici dell’epoca romana, con i libri nell’accezione medievale. Sembra comunque che l’inferiorità sia ammessa dai protagonisti stessi delle miniature che guardavano al passato come ad un epoca d’oro da preservare.
E per quanto riguarda l’inventiva e il dinamismo sociale?
Non sembra che la bardatura dei buoi, il ferro di cavallo e l’assale anteriore dei carri siano invenzioni in grado di togliere il periodo considerato dalla sua cattiva fama. Ai greci, tanto per dire, dobbiamo la geometria, la storia, la cartografia, le eliche, i mulini ad acqua, i fari, l’equipaggiamento per la pesca, e un’altra valanga di cose.
E gli occhiali? Dopo il 1000.
E i bottoni? Dopo.
E i proto-bottoni? Ok, congedo i proto- bottoni, mettiamoli pure a fianco del ferro di cavallo.
***
Ma dire male del Medioevo non si può, mette il cattolicesimoin una cattiva luce. E con questo siamo già usciti dalla storia per entrare nell’ideologia. È chiaro che un dibattito del genere perde tutto il suo rigore nel momento stesso in cui in bocca questa strada. O meglio, si entra in pieno nella trappola del “rigore selettivo”.
Spero che le precisazioni fatte tolgano, almeno in parte, la patina ideologica che inquina la discussione. Infatti, con quanto detto, il cattolicesimo può essere in buona parte salvato. Ho infatti ridisegnato i confini dell’ “età buia” ricomprendendo la parte finale dell’impero romano ed escludendo un periodo dove la cultura cattolica è stata l’indubbia protagonista. Senza dire che i monasteri possono comunque essere interpretati come fioche luci dentro le tenebre.
Negare che ci sia stata una età buia in Occidente e che questa coincida in gran parte con l’alto medioevo è un esercizio intellettualistico, serve per esibirsi in virtuosismi un po’ cervellotici che “torturano” la logica o applicano standard di rigore solo su casi delimitati.
Sebbene lo schema del bianco e nero sia particolarmente inadatto all’analisi storica, è possibile dire con ragionevole certezza che in quei secoli che vanno dal 300 all’ 800 la civiltà occidentale è stata particolarmente fragile e priva di conquiste “impressionanti”.
medioevo

giovedì 19 ottobre 2017

Were There Dark Ages? scott alexander

Were There Dark Ages?
scott alexander
Citation (APA): alexander, s. (2017). Were There Dark Ages? [Kindle Android version]. Retrieved from Amazon.com

Parte introduttiva
Evidenzia (giallo) - Posizione 2
Were There Dark Ages? By scott alexander
Evidenzia (giallo) - Posizione 13
Roman nostalgia.
Nota - Posizione 13
LA CAUSA SUPPOSTA DEL DISPREZZO... PETRARCA
Evidenzia (giallo) - Posizione 16
Not every scientist was burned at the stake, not everyone thought the world was flat
Nota - Posizione 17
MITI FONTE DELLA REAZIONE
Evidenzia (giallo) - Posizione 17
High Middle Ages were notable for impressive levels of material progress which in some cases outpaced the Classical World
Nota - Posizione 18
ccccc
Evidenzia (giallo) - Posizione 18
set the stage for the upcoming Renaissance
Nota - Posizione 18
TESI DELKA CONTINUITÀ
Evidenzia (giallo) - Posizione 20
corrective to an overblown narrative of darkness has itself been overblown.
Nota - Posizione 20
TESI
Evidenzia (giallo) - Posizione 21
flourishing civilization
Nota - Posizione 21
COME VIENE DESCRITTO
Evidenzia (giallo) - Posizione 23
profound economic and intellectual decline and stagnation relative to the periods that came before and after it.
Nota - Posizione 23
LA VERITÀ DEL DECLINO
Evidenzia (giallo) - Posizione 25
isolated demands for rigor,
Nota - Posizione 25
LO STRUMENTO X RIBALTARE
Evidenzia (giallo) - Posizione 26
1. The “Dark Ages” were only dark in Europe.
Nota - Posizione 26
ttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 35
What about all the great stuff in the Dark Ages?
Nota - Posizione 35
ttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 35
Thomas Aquinas! Gothic cathedrals! Dante! Troubadours! The Song of Roland! Roger Bacon! Musical notation!
Nota - Posizione 36
ELENCO GRANDIOSITÀ
Evidenzia (giallo) - Posizione 37
after the period 500– 1000 AD.
Nota - Posizione 37
PICCOLO PARTICOLARE
Evidenzia (giallo) - Posizione 38
Great Plains,
Nota - Posizione 38
ANALOGIA
Evidenzia (giallo) - Posizione 41
period after 1000 AD did indeed have lots of great accomplishments.
Nota - Posizione 41
AMMISSIONE
Evidenzia (giallo) - Posizione 41
500 years to recover from the civilizational collapse that demolished its economic and intellectual capacity
Nota - Posizione 42
RECUPERO
Evidenzia (giallo) - Posizione 44
five hundred year period– more than long enough to count as a real historical age
Nota - Posizione 44
5 SECOLI
Evidenzia (giallo) - Posizione 45
“Dark Ages” was invented by Petrarch– who wasn’t even a real historian
Nota - Posizione 45
tttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 46
The term “Cold War” was invented by George Orwell, who was not a historian,
Nota - Posizione 47
ANALOGIA
Evidenzia (giallo) - Posizione 48
The term “Renaissance” was invented by Giorgio Vasari,
Evidenzia (giallo) - Posizione 50
The term “World War I” was invented by Ernst Haeckel, who was not a historian,
Evidenzia (giallo) - Posizione 56
“Dark Ages” was originally just supposed to mean that there aren’t many sources describing it, not that the era was bad
Nota - Posizione 57
tttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 89
There were lots of ways they might have been good.
Nota - Posizione 89
ttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 89
For example, ancient Rome had slavery, and most Dark Age societies didn’t.
Evidenzia (giallo) - Posizione 90
Alexander the Great was only “great” if you like killing a lot of people
Nota - Posizione 91
ANALOGIA
Evidenzia (giallo) - Posizione 92
Jared Diamond thinks hunter-gatherers were freer and happier
Nota - Posizione 92
ESEMPIO
Evidenzia (giallo) - Posizione 96
two axes: goodness and impressiveness.
Nota - Posizione 96
DUE ASSI
Evidenzia (giallo) - Posizione 97
Alexander may or may not have been a good person, but he was certainly an impressive one.
Nota - Posizione 97
ESEMPIO
Evidenzia (giallo) - Posizione 99
compared to the periods before or after, Dark Ages Europe was unimpressive.
Nota - Posizione 99
TESI
Evidenzia (giallo) - Posizione 101
light, population density,
Nota - Posizione 101
ANALOGIA
Evidenzia (giallo) - Posizione 107
“Unimpressive Ages”,
Nota - Posizione 107
SOSTITUTIVO
Evidenzia (giallo) - Posizione 108
involving economic and intellectual activity,
Nota - Posizione 108
LA MISURA
Evidenzia (giallo) - Posizione 109
using normal meanings of the word “bad”, the Dark Ages were not that bad.
Nota - Posizione 110
tttttttt
Evidenzia (giallo) - Posizione 111
there weren’t great statistics
Nota - Posizione 111
DIFFICILE PROVARE
Evidenzia (giallo) - Posizione 111
compare Classical, Dark Age, and High Medieval societies
Evidenzia (giallo) - Posizione 112
estimate Western European GDP
Evidenzia (giallo) - Posizione 114
GDP declined from 1 AD (classical era) to 1000
Evidenzia (giallo) - Posizione 117
the few real pieces of evidence we have
Evidenzia (giallo) - Posizione 118
lead pollution
Nota - Posizione 118
ALTRO PARAMETRO
Evidenzia (giallo) - Posizione 122
silver mining, copper mining, and iron mining.
Evidenzia (giallo) - Posizione 124
a similar decline in population.
Evidenzia (giallo) - Posizione 125
Europe had a population of 36 million people at its peak in 200 AD, falling to 26 million at a nadir in 600
Nota - Posizione 126
ALTRO PARAMETRO
Evidenzia (giallo) - Posizione 129
population decrease of about 10 million, or 30%
Evidenzia (giallo) - Posizione 130
usually only associated with the worst plagues and genocides.
Nota - Posizione 131
ANALOGIA
Nota - Posizione 131
CITTÀ
Evidenzia (giallo) - Posizione 131
Rome
Evidenzia (giallo) - Posizione 132
Athens
Nota - Posizione 134
MAX MEDIO
Evidenzia (giallo) - Posizione 134
50,000
Evidenzia (giallo) - Posizione 140
“civilization collapsed, so fewer people were tracking wages and prices”.
Nota - Posizione 140
POCHO DATI
Evidenzia (giallo) - Posizione 143
there was still lots of great culture and intellectual advancements
Nota - Posizione 143
tttttttttr
Evidenzia (giallo) - Posizione 143
a list of the hundred greatest philosophers of all time,
Nota - Posizione 144
PROXY CULTURA
Evidenzia (giallo) - Posizione 148
from 500 to 1000 where there was not a single European philosopher worthy
Nota - Posizione 148
ZERO
Evidenzia (giallo) - Posizione 149
Harold Bloom has a list of great books in ‘the Western Canon’.
Nota - Posizione 150
CANONE
Evidenzia (giallo) - Posizione 152
a giant pit from 500 to 1000
Evidenzia (giallo) - Posizione 153
Beowulf is the sole qualifying work).
Evidenzia (giallo) - Posizione 175
themselves acknowledged this.
Nota - Posizione 175
L EPOCA D ORO ERA PRIMA ANCHE X MOLTI MEDIEVALI
Evidenzia (giallo) - Posizione 181
The night includes several bright things, such as the moon, the stars,
Nota - Posizione 181
PICCOLI LUMI
Evidenzia (giallo) - Posizione 187
“collar and harness for horses and oxen”, “iron horseshoes”, and “the swivel axle”.
Nota - Posizione 187
LE INVENZIONI
Evidenzia (giallo) - Posizione 188
Greeks gave us geometry, history, cartography, the screw, the water wheel, gears, cranes, lighthouses, and fricking analog computers.
Nota - Posizione 189
GRECI
Evidenzia (giallo) - Posizione 212
it casts Catholicism or Christianity in a bad light,
Nota - Posizione 212
IDEOLOGIA
Evidenzia (giallo) - Posizione 213
conflict between science and religion,
Nota - Posizione 213
PERCHÈ NEGARE?
Evidenzia (giallo) - Posizione 213
civilization is more fragile
Nota - Posizione 214
CONSEGUENqa
Evidenzia (giallo) - Posizione 219
loudly proclaiming that there was never a Dark Age is one way to signal education and intellectualism
Nota - Posizione 219
PERCHÈ NEGARE? INTELLETTUALISMO
Evidenzia (giallo) - Posizione 224
I hate when faux-intellectuals give stupid black-and-white narratives
Nota - Posizione 224
BIANCO E NERO