In molti sostengono che lo Stato dovrebbe prendersi cura dei poveri, e non solo per motivi etici. la disuguaglianza diffusa è un fattore di instabilità sociale e quindi un trasferimento di ricchezza costituirebbe un' assicurazione sociale.
1. Innanzitutto lo Stato non ha doveri etici, a meno che non sia uno Stato Etico. L' affermazione per cui la diseguaglianza sarebbe un destabilizzatore sociale è contraddetta dai fatti. La stabilità sociale è legata al reddito medio e non alla diseguaglianza. L' intervento dello Stato a volte incide positivamente con il secondo indice ma incide sempre negativamente con il primo.
2. Affidare il trasferimento di ricchezza ai burocrati ha effetti perversi: a) churning b) crowding out c) moral hazard.
a): chi riceve è chi dà sono la stessa persona, per cui a guadagnarci è solo chi "trasferisce" ed incassa le commissioni (politica e burocrazia). In Italia funziona proprio così: paga la classe media ed incassa la classe media. Si pensi solo al fatto che le pensioni costituiscono i 2/3 della spesa sociale. Una marea di "trasferimenti" e dei veri poveri deve occuparsi il Comune se avanza qualcosa.
b) la filantropia privata è spiazzata e la sociatà subisce così un' erosione morale.
c) fare il povero conviene; la filantropia privata, quella che eleva il sostegno a diritto e mette in crisi i comportamenti opportunistici, è spiazzata. Il sostegno è un diritto a tutti gli effetti e ognuno fa i suoi calcoli.
martedì 30 novembre 2010
Giavazzi difende la Gelmini
E' vero, la Gelmini non ha abolito il titolo di studio e nemmeno ha liberalizzato le rette...
Ma:
Il risultato... non è poca cosa. La legge abolisce i concorsi, prima fonte di corruzione delle nostre università...
«Non si fanno le nozze con i fichi secchi», è la critica più diffusa. Nel 2007-08 il finanziamento dello Stato alle università era di 7 miliardi l’anno. Il ministro dell’Economia lo aveva ridotto, per il 2011, di un miliardo. Poi, di fronte alla mobilitazione di studenti, ricercatori, opinione pubblica e alle proteste del ministro Gelmini, Tremonti ha dovuto fare un passo indietro: i fondi sono 7,2 miliardi nel 2010, 6,9 nel 2011, gli stessi di tre anni fa...
La legge innova la governance delle università: limita l’autoreferenzialità dei professori prevedendo la presenza...
La valutazione è l’unico modo per non sprecare risorse, per consentirci di risalire nelle graduatorie mondiali e fornire agli studenti un’istruzione migliore. Per questo l’Anvur, l’Agenzia per la valutazione degli atenei, è il vero perno della riforma...
Il Pd ha annunciato che voterà contro. Davvero Bersani pensa che se vincesse le elezioni riuscirebbe a far approvare una legge migliore?
Il risultato... non è poca cosa. La legge abolisce i concorsi, prima fonte di corruzione delle nostre università...
«Non si fanno le nozze con i fichi secchi», è la critica più diffusa. Nel 2007-08 il finanziamento dello Stato alle università era di 7 miliardi l’anno. Il ministro dell’Economia lo aveva ridotto, per il 2011, di un miliardo. Poi, di fronte alla mobilitazione di studenti, ricercatori, opinione pubblica e alle proteste del ministro Gelmini, Tremonti ha dovuto fare un passo indietro: i fondi sono 7,2 miliardi nel 2010, 6,9 nel 2011, gli stessi di tre anni fa...
La legge innova la governance delle università: limita l’autoreferenzialità dei professori prevedendo la presenza...
La valutazione è l’unico modo per non sprecare risorse, per consentirci di risalire nelle graduatorie mondiali e fornire agli studenti un’istruzione migliore. Per questo l’Anvur, l’Agenzia per la valutazione degli atenei, è il vero perno della riforma...
Il Pd ha annunciato che voterà contro. Davvero Bersani pensa che se vincesse le elezioni riuscirebbe a far approvare una legge migliore?
Strenna per Di Pietro
Molti regimi non consentono il voto, altri - quelli democratici - non lo pesano. Il danno arrecato da simili lacune non è riparabile facilmente.
Ma un rimedio a questo fastidioso impiccio c' è: la corruzione.
Tralasciamo la teoria e veniamo agli esempi.
E' assurdo che sulla "proibizione del fumo" il voto di un "disinteressato" che passa per strada valga quanto quello di chi considera un affare del genere questione di "vita o di morte".
E continuiamo pure con questo esempio. Se una maggioranza di votanti svogliati proibiscono il fumo ma una ristretta e motivata minoranza di fumatori non vuole rinunciare, non si preoccupino, una via per raddrizzare l' ingiusto esito democratico esiste: si corromperanno, attraverso lo spacciatore, i funzionari addetti a reprimere i traffici illegali. Visto infatti l' interesse per la faccenda, i fondi non mancheranno. Mancheranno invece i fondi per far rispettare una legge che non interessa più di tanto a chi l' ha votata. Morale: con la corruzione, tutti vivranno più felici e contenti.
La corruzione, per questa sua virtù "correttiva", è diffusa ovunque nella storia e i più onusti personaggi che la dominano non ne andarono esenti. Si pensi solo a Pericle, Cesare, Napoleone... Altri la tollerarono, anche perchè consapevoli dei vantaggi sociali che arrecava. Corruzione, spesso, era sinonimo di prosperità.
Bacchettoni e affaristi raggiungevano il loro scopo; una corruzione discreta consentiva ad apparenza e sostanza di convivere senza combattersi in modo dispendioso.
Si pensi solo al fatto che quella che oggi chiamiamo "libertà civile" vide la luce nella Storia grazie alla compravendita di un privilegio.
La logica dunque fila, si tratta nient' altro che di un' applicazione del teorema di Coase. Ma in questa sede ad interessarmi è l' infinita sequela di avvenimenti storici in grado di rimpolparla. A metterli in fila c' ha pensato Gaspard Koenig in un libro provvidenzialmente tradotto.
Solo la morale cristiana pose in seguito un freno parziale al fenomeno.
Una coppia di personaggi storici illustra bene la logica nascosta di quel che spesso succede in termini meno macroscopici: Kurt Becher, individuo amorale, per avidità e scarso senso della legge salvò migliaia di ebrei dall' olocausto. Eichmann, funzionario dotato di moralità sinceramente sentita e grande senso del dovere, ne infornò una quantità industriale.
Il libro: Le virtù discrete della corruzione.
Ma un rimedio a questo fastidioso impiccio c' è: la corruzione.
Tralasciamo la teoria e veniamo agli esempi.
E' assurdo che sulla "proibizione del fumo" il voto di un "disinteressato" che passa per strada valga quanto quello di chi considera un affare del genere questione di "vita o di morte".
E continuiamo pure con questo esempio. Se una maggioranza di votanti svogliati proibiscono il fumo ma una ristretta e motivata minoranza di fumatori non vuole rinunciare, non si preoccupino, una via per raddrizzare l' ingiusto esito democratico esiste: si corromperanno, attraverso lo spacciatore, i funzionari addetti a reprimere i traffici illegali. Visto infatti l' interesse per la faccenda, i fondi non mancheranno. Mancheranno invece i fondi per far rispettare una legge che non interessa più di tanto a chi l' ha votata. Morale: con la corruzione, tutti vivranno più felici e contenti.
La corruzione, per questa sua virtù "correttiva", è diffusa ovunque nella storia e i più onusti personaggi che la dominano non ne andarono esenti. Si pensi solo a Pericle, Cesare, Napoleone... Altri la tollerarono, anche perchè consapevoli dei vantaggi sociali che arrecava. Corruzione, spesso, era sinonimo di prosperità.
Bacchettoni e affaristi raggiungevano il loro scopo; una corruzione discreta consentiva ad apparenza e sostanza di convivere senza combattersi in modo dispendioso.
Si pensi solo al fatto che quella che oggi chiamiamo "libertà civile" vide la luce nella Storia grazie alla compravendita di un privilegio.
La logica dunque fila, si tratta nient' altro che di un' applicazione del teorema di Coase. Ma in questa sede ad interessarmi è l' infinita sequela di avvenimenti storici in grado di rimpolparla. A metterli in fila c' ha pensato Gaspard Koenig in un libro provvidenzialmente tradotto.
Solo la morale cristiana pose in seguito un freno parziale al fenomeno.
Una coppia di personaggi storici illustra bene la logica nascosta di quel che spesso succede in termini meno macroscopici: Kurt Becher, individuo amorale, per avidità e scarso senso della legge salvò migliaia di ebrei dall' olocausto. Eichmann, funzionario dotato di moralità sinceramente sentita e grande senso del dovere, ne infornò una quantità industriale.
Il libro: Le virtù discrete della corruzione.
Capire la mente cattolica IV
Quando ELV giunge a discutere dell' "infallibilità papale" sembra davvero avere tutta la sensibilità contemporanea dalla sua parte. L' accusa rivolta alla Chiesa cattolica non fa sconti:
Nessuno non sbaglia mai, e infatti il papa vuol farci credere di non sbagliare solo quando si pronuncia "ex cathedra", ma poi definisce in modo vago questa condizione. Ad ogni modo, se l' infallibilità riguarda verità verificabili, allora è inutile, se riguarda verità inverificabili, allora anch' io potrei ritenermi "infallibile".
[...e infatti puoi farlo. Devi solo chiederti perchè in questo caso nessuno si prende la briga di contestare una simile attribuzione...]
Dopo di che ELV passa in rassegna alcuni "errori" storici della Chiesa. Si parla dell' appoggio al fenomeno della schiavitù, della discriminazione prodotta tra i sessi, dell' attacco alla scienza con il processo a Galileo...
Una lista insoddisfacente, per usare un eufemismo. E per sfiorare il merito a proposito dei destini della Chiesa Cattolica... mi si dica solo quale istituzione nella storia ha fatto di più per far sparire la "schiavitù" dalla faccia della terra. Mi si dica soltanto quale istituzione nella storia ha fatto di più per le donne. Mi si dica soltanto quale filosofo contemporaneo starebbe oggi dalla parte di Galileo, mi si dica soltanto quale scienziato contemporaneo acceterebbe le prove portate da Galileo a sostegno delle sue tesi.
Presto, occorrono altri esempi, perchè siamo rimasti decisamente a corto.
Ma torniamo all' accusa di fondo.
Notiamo innanzitutto che il Cattolico non è un relativista, pensa che la Verità esista, che ci sia una "bocca" che la pronuncia e delle "orecchie" che la ascoltano. Se la verità esiste e possiamo coglierla, esiste necessariamente anche una fonte "infallibile" da cui promana. La fallibilità della condizione terrena non è estromessa da questa visione, bensì relegata alle "orecchie".
Cristo è la fonte individuata dalle orecchie Cattoliche e la Chiesa, con il Papa suo portavoce, prolunga la presenza di Cristo sulla terra. Proclamare l' infallibilità di questa parola è abbastanza conseguenziale. Cosa si pretende dalla Chiesa? Forse una contraddizione?
ELV si lamenta poi della vaghezza con cui vengono individuati i pronunciamenti "ex cathedra".
Strano, finora, e proprio su questi stessi temi, si era lagnato dell' eccesso di "particolari" e definizioni perentorie. Ora si dedica invece ad una lamentazione di segno opposto.
Passiamo all' ultima parte dell' accusa.
Posso capisco ELV quando asserisce l' inutilità di autoproclamarsi infallibili allorchè si pronuncino verità verificabili. E infatti la Chiesa non lo fa.
Tuttavia la Chiesa ha pronunciato (e testimoniato, e vissuto) nel corso della Storia alcune verità etiche fondamentali intorno alla dignità dell' uomo. Tutto cio' non è stato "inutile", ha dato lustro, credibilità e Tradizione all' istituzione.
Questo modo di attraversare la storia rende la Chiesa qualcosa di fondamentalmente diverso da "me" o da "te" presi come monadi isolate. Per questo che "io" o "te" possiamo pure dichiaraci "infallibili" ma una dichiarazione del genere suonerebbe poco credibile se non ridicola.
Nel linguaggio del mondo il termine "infallibile" è ripudiato. Ma esistono valide "traduzioni" che faciliterebbero la comunicazione tra i due fronti.
La teoria dei giochi teorizza un accordo necessario tra le parti che decidono di discutere ad oltranza (Teorema di Aumann). Chi non è relativista puo' chiamare questo accordo "verità" e la discussione comunitaria che precede la sua individuazione "avanzamento infallibile verso la verità". La Chiesa Cattolica (universale!!) va pensata allora come "comunità" in discussione (in cammino) e la parola del Papa come tappa progressiva di questo avanzamento infallibile. Tutto cio' che appariva arrogante acquisterebbe nuovo senso anche per la mente secolarizzata.
Nessuno non sbaglia mai, e infatti il papa vuol farci credere di non sbagliare solo quando si pronuncia "ex cathedra", ma poi definisce in modo vago questa condizione. Ad ogni modo, se l' infallibilità riguarda verità verificabili, allora è inutile, se riguarda verità inverificabili, allora anch' io potrei ritenermi "infallibile".
[...e infatti puoi farlo. Devi solo chiederti perchè in questo caso nessuno si prende la briga di contestare una simile attribuzione...]
Dopo di che ELV passa in rassegna alcuni "errori" storici della Chiesa. Si parla dell' appoggio al fenomeno della schiavitù, della discriminazione prodotta tra i sessi, dell' attacco alla scienza con il processo a Galileo...
Una lista insoddisfacente, per usare un eufemismo. E per sfiorare il merito a proposito dei destini della Chiesa Cattolica... mi si dica solo quale istituzione nella storia ha fatto di più per far sparire la "schiavitù" dalla faccia della terra. Mi si dica soltanto quale istituzione nella storia ha fatto di più per le donne. Mi si dica soltanto quale filosofo contemporaneo starebbe oggi dalla parte di Galileo, mi si dica soltanto quale scienziato contemporaneo acceterebbe le prove portate da Galileo a sostegno delle sue tesi.
Presto, occorrono altri esempi, perchè siamo rimasti decisamente a corto.
Ma torniamo all' accusa di fondo.
Notiamo innanzitutto che il Cattolico non è un relativista, pensa che la Verità esista, che ci sia una "bocca" che la pronuncia e delle "orecchie" che la ascoltano. Se la verità esiste e possiamo coglierla, esiste necessariamente anche una fonte "infallibile" da cui promana. La fallibilità della condizione terrena non è estromessa da questa visione, bensì relegata alle "orecchie".
Cristo è la fonte individuata dalle orecchie Cattoliche e la Chiesa, con il Papa suo portavoce, prolunga la presenza di Cristo sulla terra. Proclamare l' infallibilità di questa parola è abbastanza conseguenziale. Cosa si pretende dalla Chiesa? Forse una contraddizione?
ELV si lamenta poi della vaghezza con cui vengono individuati i pronunciamenti "ex cathedra".
Strano, finora, e proprio su questi stessi temi, si era lagnato dell' eccesso di "particolari" e definizioni perentorie. Ora si dedica invece ad una lamentazione di segno opposto.
Passiamo all' ultima parte dell' accusa.
Posso capisco ELV quando asserisce l' inutilità di autoproclamarsi infallibili allorchè si pronuncino verità verificabili. E infatti la Chiesa non lo fa.
Tuttavia la Chiesa ha pronunciato (e testimoniato, e vissuto) nel corso della Storia alcune verità etiche fondamentali intorno alla dignità dell' uomo. Tutto cio' non è stato "inutile", ha dato lustro, credibilità e Tradizione all' istituzione.
Questo modo di attraversare la storia rende la Chiesa qualcosa di fondamentalmente diverso da "me" o da "te" presi come monadi isolate. Per questo che "io" o "te" possiamo pure dichiaraci "infallibili" ma una dichiarazione del genere suonerebbe poco credibile se non ridicola.
Nel linguaggio del mondo il termine "infallibile" è ripudiato. Ma esistono valide "traduzioni" che faciliterebbero la comunicazione tra i due fronti.
La teoria dei giochi teorizza un accordo necessario tra le parti che decidono di discutere ad oltranza (Teorema di Aumann). Chi non è relativista puo' chiamare questo accordo "verità" e la discussione comunitaria che precede la sua individuazione "avanzamento infallibile verso la verità". La Chiesa Cattolica (universale!!) va pensata allora come "comunità" in discussione (in cammino) e la parola del Papa come tappa progressiva di questo avanzamento infallibile. Tutto cio' che appariva arrogante acquisterebbe nuovo senso anche per la mente secolarizzata.
lunedì 29 novembre 2010
Shermer affronta la "big question"
Perchè c' è qualcosa al posto del nulla?
http://www.bigquestionsonline.com/columns/michael-shermer/the-biggest-big-question-of-all
Interessante, ma per me non si tratta affatto della "big question".
Propenderei invece per: "il mondo in cui viviamo è illusione o realtà?"
http://www.bigquestionsonline.com/columns/michael-shermer/the-biggest-big-question-of-all
Interessante, ma per me non si tratta affatto della "big question".
Propenderei invece per: "il mondo in cui viviamo è illusione o realtà?"
Nuova luce sul processo di Galileo
http://www.msnbc.msn.com/id/39440712/ns/technology_and_science-science/
Da imitare al più presto
Se penso ad un paese civile, penso giocoforza alla Svizzera.
Democrazia più antica d' Europa, federalismo vero e non parolaio. Uno sberleffo istituzionale vivente a chi pensa ed insegna che, affinchè ci sia un "popolo", occorre condividere "lingua & costumi". La Svizzera troneggia alle spalle di questi professori saputelli a prescindere dai fatti e ci ricorda che invece basta un accordo.
Non mi stupisco quindi se in tema di emigrazione adotti una politica per molti versi condivisibile: generosità nell' accoglienza ed espulsione immediata per chi commette un crimine.
Il liberale va in sollucchero quando sente una cosa del genere. Lui disdegna punire gli innocenti (magari con dei limiti all' ingresso). Ma, per una questione di realismo, deve compensare punendo molto duramente i colpevoli.
Il referendum di ieri ha confermato questa soluzione.
Ricordo solo che la Svizzera è il paese in Europa che accoglie nei suoi confini più immigrati (in %).
A proposito, ne approfitto per ricordare altresì che nessun paese ha salvato tanti ebrei quanti ne ha salvati la Svizzera in tempo di guerra. E, nonostante le dimensioni del paese, parlo di numeri assoluti!
Meglio ripeterlo visto che Lilliana Segre, fino a poco tempo fa, girava per le scuole a raccontare la sua drammatica esperienza di respingimento proprio ai confini svizzeri. Girava anche per le Radio, per esempio a Radio Tre, per esempio a Fahrenheit, dove, come al solito, hanno preferito tralasciare i "particolari" (!?) per consentire all' uditorio di concentrarsi sulla lacrimuccia e sull' odio per i "cattivoni" che nessuno produce a getto continuo quanto riescono a fare i "relativisti".
http://www.chicago-blog.it/2010/11/29/ciapa-la-lezione-dalla-svizzera-sui-referendum-e-il-fisco-di-sergio-morisoli/
Democrazia più antica d' Europa, federalismo vero e non parolaio. Uno sberleffo istituzionale vivente a chi pensa ed insegna che, affinchè ci sia un "popolo", occorre condividere "lingua & costumi". La Svizzera troneggia alle spalle di questi professori saputelli a prescindere dai fatti e ci ricorda che invece basta un accordo.
Non mi stupisco quindi se in tema di emigrazione adotti una politica per molti versi condivisibile: generosità nell' accoglienza ed espulsione immediata per chi commette un crimine.
Il liberale va in sollucchero quando sente una cosa del genere. Lui disdegna punire gli innocenti (magari con dei limiti all' ingresso). Ma, per una questione di realismo, deve compensare punendo molto duramente i colpevoli.
Il referendum di ieri ha confermato questa soluzione.
Ricordo solo che la Svizzera è il paese in Europa che accoglie nei suoi confini più immigrati (in %).
A proposito, ne approfitto per ricordare altresì che nessun paese ha salvato tanti ebrei quanti ne ha salvati la Svizzera in tempo di guerra. E, nonostante le dimensioni del paese, parlo di numeri assoluti!
Meglio ripeterlo visto che Lilliana Segre, fino a poco tempo fa, girava per le scuole a raccontare la sua drammatica esperienza di respingimento proprio ai confini svizzeri. Girava anche per le Radio, per esempio a Radio Tre, per esempio a Fahrenheit, dove, come al solito, hanno preferito tralasciare i "particolari" (!?) per consentire all' uditorio di concentrarsi sulla lacrimuccia e sull' odio per i "cattivoni" che nessuno produce a getto continuo quanto riescono a fare i "relativisti".
http://www.chicago-blog.it/2010/11/29/ciapa-la-lezione-dalla-svizzera-sui-referendum-e-il-fisco-di-sergio-morisoli/
Coraggio!
La "destra" sembra a volte talmente intimorita dalla battaglia per l' ambiente da negare persino l' esistenza di un pericolo.
Eppure proprio la destra (libertaria) ha un' ideologia che le consente di elaborare policy vincenti in questo ambito. Viene da dire: "coraggio ragazzi, non dormite"!
Vediamo allora le quattro opzioni fondamentali sul tappeto a tutt' oggi in modo da poterle etichettare ideologicamente.
1 Proibizionismo: ad ogni paese è proibito superare certe soglie di inquinamento.
2 Cap & trade: ogni paese non puo' oltrepassare le soglie di cui sopra, a meno che non compri dei "diritti ad inquinare" spostando così i limiti concessi.
3 Carbon tax + sussidi: vengono tassate le attività inquinanti destinando i ricavi alla ricerca di fonti energetiche alternative.
4 Carbon tax: è la stessa tassa di cui sopra ma ad impatto zero (viene automaticamente riversata alla generalità dei contribuenti - gli "inquinati" - con un credito fiscale).
5 Resilienza: poichè dal punto di vista morale non esiste una responsabilità individuale per i danni causati dall' effetto serra, non esiste neppure una responsabilità collettiva qualora quest' ultima sia definita come sommatoria delle singole responsabilità individuali. Non resta allora che la libertà di difendersi da una minaccia seguendo il proprio ingegno. L' umanità si è sempre difesa bene (ci sono popoli ricchissimi che vivono sotto il livello del mare!) e continuerà a farlo.
La prima politica è assurda considerati i costi. La seconda è complicata e zeppa di arbitri che la fanno naufragare. La terza punta molto sui sussidi e già la mafia si strofina le mani gongolante (vedi ultimo Report). La quarta, con i suoi incentivi alla ricerca non sussidiati, è la più semplice e diretta per chi vuole far qualcosa di serio. La quinta forse è la più efficiente e realistica (per "decarbonizzarci" del 50% dovremmo inaugurare una centrale nucleare al giorno da qui al 2050) ma difficilmente le democrazie, che devono fare almeno finta di interessarsi alla vicenda, potranno mai permettersela.
Scorrendo l' elenco si passa da politiche autoritarie (sinistra) a politiche libertarie (destra). Poichè le ultime sembrano le migliori, direi che la destra ha buone possibilità di trarre una rendita politica e mi aspetto dunque che combatta in modo un po' più spavaldo la sua battaglia su questo fronte.
Eppure proprio la destra (libertaria) ha un' ideologia che le consente di elaborare policy vincenti in questo ambito. Viene da dire: "coraggio ragazzi, non dormite"!
Vediamo allora le quattro opzioni fondamentali sul tappeto a tutt' oggi in modo da poterle etichettare ideologicamente.
1 Proibizionismo: ad ogni paese è proibito superare certe soglie di inquinamento.
2 Cap & trade: ogni paese non puo' oltrepassare le soglie di cui sopra, a meno che non compri dei "diritti ad inquinare" spostando così i limiti concessi.
3 Carbon tax + sussidi: vengono tassate le attività inquinanti destinando i ricavi alla ricerca di fonti energetiche alternative.
4 Carbon tax: è la stessa tassa di cui sopra ma ad impatto zero (viene automaticamente riversata alla generalità dei contribuenti - gli "inquinati" - con un credito fiscale).
5 Resilienza: poichè dal punto di vista morale non esiste una responsabilità individuale per i danni causati dall' effetto serra, non esiste neppure una responsabilità collettiva qualora quest' ultima sia definita come sommatoria delle singole responsabilità individuali. Non resta allora che la libertà di difendersi da una minaccia seguendo il proprio ingegno. L' umanità si è sempre difesa bene (ci sono popoli ricchissimi che vivono sotto il livello del mare!) e continuerà a farlo.
La prima politica è assurda considerati i costi. La seconda è complicata e zeppa di arbitri che la fanno naufragare. La terza punta molto sui sussidi e già la mafia si strofina le mani gongolante (vedi ultimo Report). La quarta, con i suoi incentivi alla ricerca non sussidiati, è la più semplice e diretta per chi vuole far qualcosa di serio. La quinta forse è la più efficiente e realistica (per "decarbonizzarci" del 50% dovremmo inaugurare una centrale nucleare al giorno da qui al 2050) ma difficilmente le democrazie, che devono fare almeno finta di interessarsi alla vicenda, potranno mai permettersela.
Scorrendo l' elenco si passa da politiche autoritarie (sinistra) a politiche libertarie (destra). Poichè le ultime sembrano le migliori, direi che la destra ha buone possibilità di trarre una rendita politica e mi aspetto dunque che combatta in modo un po' più spavaldo la sua battaglia su questo fronte.
Tutto il resto
Bellissima.
Il regista Alessandro Blasetti cerca a Roma una bambina per una parte in un film. A Cinecittà accorre una folla di madri tra le quali la popolana Maddalena Cecconi con la figlia Maria. La madre fa qualsiasi sacrificio per garantire alla figlia il fotografo, la maestra di recitazione, quella di ballo, il parrucchiere e la sarta e litiga col marito Spartaco, contrario ai suoi desideri di successo per la figlia. In seguito paga un truffatore per fare ammettere al provino la figlia: la bambina viene finalmente ammessa. Maddalena riesce a vedere la proiezione e, mentre vede la figlia che piange amaramente nella sala, l'entourage del regista si sbellica dalle risate. Indignata, si rende conto di aver sbagliato tutto e, quando la figlia viene effettivamente scelta per il film, rifiuta di firmare il contratto riconciliandosi col marito
Insomma, si affronta il tema molto attuale del "velinismo".
Ho rivisto il film con Sara e si è discusso su quale fosse la "scena madre".
[... dopo ogni film noi fissiamo sempre la "scena madre", altrimenti non ci si alza dal divano...]
Almeno tre sequenze si contendono la palma.
La prima illustra l' umiliazione subita.
La seconda il dolore patito.
La terza lo sfogo esternato.
La prima scena è memorabile, non fosse altro che, prima di rivedere il film, nel mio immaginario restava la scena finale.
Ma dopo la rinfrescata voto per la seconda. Lo sguardo perso della Magnani risulta oggi un po' troppo caricato, ma mi sembra proprio che in quella sofferenza ci sia una scoperta decisiva: l' origine dell' amore verso la figlia.
E' un amore che non dipende dalla bellezza e da nessun altra virtù esibita.
Con la marghe sperimento qualcosa del genere; quando lei non c' era ancora o stava solo arrivando, speravo tante cose in mancanza delle quali avrei fatto volentieri a meno di "tutto il resto"; ora conservo molte speranze ma capisco che le delusioni difficilmente aprirebbero una distanza o diminuirebbero l' intensità del legame; in altre parole, "tutto il resto" in realtà è "tutto".
Evidentemente l' origine dell' amore sta altrove e Maddalena lo scopre proprio su quella panchina, mentre la banda del circo apre lo spettacolo.
Sara vota la terza, le piace tanto l' idea che un amore possa rinforzarne un altro in un circolo virtuoso: "per me e suo padre è tanto bella".
Il regista Alessandro Blasetti cerca a Roma una bambina per una parte in un film. A Cinecittà accorre una folla di madri tra le quali la popolana Maddalena Cecconi con la figlia Maria. La madre fa qualsiasi sacrificio per garantire alla figlia il fotografo, la maestra di recitazione, quella di ballo, il parrucchiere e la sarta e litiga col marito Spartaco, contrario ai suoi desideri di successo per la figlia. In seguito paga un truffatore per fare ammettere al provino la figlia: la bambina viene finalmente ammessa. Maddalena riesce a vedere la proiezione e, mentre vede la figlia che piange amaramente nella sala, l'entourage del regista si sbellica dalle risate. Indignata, si rende conto di aver sbagliato tutto e, quando la figlia viene effettivamente scelta per il film, rifiuta di firmare il contratto riconciliandosi col marito
Insomma, si affronta il tema molto attuale del "velinismo".
Ho rivisto il film con Sara e si è discusso su quale fosse la "scena madre".
[... dopo ogni film noi fissiamo sempre la "scena madre", altrimenti non ci si alza dal divano...]
Almeno tre sequenze si contendono la palma.
La prima illustra l' umiliazione subita.
La seconda il dolore patito.
La terza lo sfogo esternato.
La prima scena è memorabile, non fosse altro che, prima di rivedere il film, nel mio immaginario restava la scena finale.
Ma dopo la rinfrescata voto per la seconda. Lo sguardo perso della Magnani risulta oggi un po' troppo caricato, ma mi sembra proprio che in quella sofferenza ci sia una scoperta decisiva: l' origine dell' amore verso la figlia.
E' un amore che non dipende dalla bellezza e da nessun altra virtù esibita.
Con la marghe sperimento qualcosa del genere; quando lei non c' era ancora o stava solo arrivando, speravo tante cose in mancanza delle quali avrei fatto volentieri a meno di "tutto il resto"; ora conservo molte speranze ma capisco che le delusioni difficilmente aprirebbero una distanza o diminuirebbero l' intensità del legame; in altre parole, "tutto il resto" in realtà è "tutto".
Evidentemente l' origine dell' amore sta altrove e Maddalena lo scopre proprio su quella panchina, mentre la banda del circo apre lo spettacolo.
Sara vota la terza, le piace tanto l' idea che un amore possa rinforzarne un altro in un circolo virtuoso: "per me e suo padre è tanto bella".
sabato 27 novembre 2010
Le priorità del laico
Il laico sostiene la separazione tra Stato e Chiesa.
Ma soprattutto quella tra Stato e Scuola.
http://www.schoolandstate.org/home.htm
Ma soprattutto quella tra Stato e Scuola.
http://www.schoolandstate.org/home.htm
venerdì 26 novembre 2010
Tutti contro tutti
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Meditazioni libertarie sul Vangelo del 28.11.2010
Vangelo secondo Matteo 11, 2-15
In quel tempo. Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti!».
Profeti e miracoli annunciano la venuta del Cristo.
Come si puo' essere profeti oggi? Come si puo' annunciare un miracolo catturando l' attenzione dell' uomo di mondo?
Compito arduo. L' uomo di mondo crede a cio' che vede e la via migliore per parlargli è illustrare i miracoli che ha davanti agli occhi.
Il concetto di "miracolo" e quello di "abuso della ragione" sono cugini primi, ma, poichè il laureato medio di oggi fatica parecchio con il primo, meglio puntare sul secondo, in fondo è lo stesso.
Giovanni, ma anche Gesù, catturarono l' attenzione della folla evocando "miracoli" straordinari. Noi, nella nostra missione profetica, faremmo meglio a mettere nel mirino quelli più ordinari.
Gesù faceva vedere i ciechi, noi limitiamoci ad osservare bene chi ci vede, al miracolo di una persona normale. I miracoli sono ovunque.
E' difficile vedere cio' che si ha davanti agli occhi tutti i giorni. Aiutiamo il nostro fratello a farlo.
Il miracolo è una certezza inspiegabile, e nella nostra vita tutti tocchiamo con mano certezze inspiegabili. Viene subito in mente la propria libertà e il proprio libero arbitrio. Pensa solo a come la scienza sia impotente nel tentativo di renderne ragione.
Convertirsi alla libertà e alla scienza è il primo passo per convertirsi grazie ai miracoli.
In quel tempo. Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti!».
Profeti e miracoli annunciano la venuta del Cristo.
Come si puo' essere profeti oggi? Come si puo' annunciare un miracolo catturando l' attenzione dell' uomo di mondo?
Compito arduo. L' uomo di mondo crede a cio' che vede e la via migliore per parlargli è illustrare i miracoli che ha davanti agli occhi.
Il concetto di "miracolo" e quello di "abuso della ragione" sono cugini primi, ma, poichè il laureato medio di oggi fatica parecchio con il primo, meglio puntare sul secondo, in fondo è lo stesso.
Giovanni, ma anche Gesù, catturarono l' attenzione della folla evocando "miracoli" straordinari. Noi, nella nostra missione profetica, faremmo meglio a mettere nel mirino quelli più ordinari.
Gesù faceva vedere i ciechi, noi limitiamoci ad osservare bene chi ci vede, al miracolo di una persona normale. I miracoli sono ovunque.
E' difficile vedere cio' che si ha davanti agli occhi tutti i giorni. Aiutiamo il nostro fratello a farlo.
Il miracolo è una certezza inspiegabile, e nella nostra vita tutti tocchiamo con mano certezze inspiegabili. Viene subito in mente la propria libertà e il proprio libero arbitrio. Pensa solo a come la scienza sia impotente nel tentativo di renderne ragione.
Convertirsi alla libertà e alla scienza è il primo passo per convertirsi grazie ai miracoli.
Capire la mente cattolica III
Nel capitolo tre, ELV affronta il tema del primato della coscienza. Apprezzo il fatto che questo insegnamento venga riconosciuto come un "capolavoro di saggezza" uscito dalle officine ecclesiastiche. Mi associo volentieri ad un simile giudizio.
Ma veniamo alle note dolenti, ovvero alla parte critica che di seguito riassumo scomponendola in due parti:
1. La Chiesa afferma il "primato della coscienza", ma poi chiede obbedienza, le due cose sono incompatibili.
Perchè incompatibili?
Prima considerazione: si puo' obbedire senza un' adesione coscienziosa. E allora si è dannati.
Seconda considerazione: si puo' obbedire in coscienza. Allora si è salvi.
Terza considerazione: si puo' disobbedire consapevolmente. Allora si è dannati.
Quarta considerazione: si puo' disobbedire inconsapevolmente. Allora non si è dannati.
Se le quattro considerazioni sono vere, allora il primato della coscienza in realtà è compatibile con la richiesta di obbedienza. Che si obbedisca o meno la nostra sorte resta ancora nelle mani della nostra coscienza.
2. Ad ogni modo, quando la Chiesa si pronuncia, scende troppo nei particolari, cosicchè la coscienza del singolo resta stritolata.
Particolari? Qui bisogna specificare, e infatti ELV specifica. Rifaccio i suoi esempi.
"Dio è uno e trino".
Non mi sembra un "particolare", bensì un dogma fondamentale.
Nel linguaggio del mondo ci dice che Dio stabilisce un contatto con l' uomo ed entra in comunicazione empatica con lui mettendosi al suo livello. Un Cattolico deve crederlo, siamo nella sostanza del suo credo, non nei "particolari".
Per illustrare un "particolare superfluo, esempio peggiore non poteva essere portato. Ma proseguiamo.
"Dio è presente nella Comuinione del pane".
Stesso discorso di prima. Anche qui siamo nel vivo della fede. Credere nel dogma della presenza reale qui ed ora della sostanza di Cristo è importante, non è un particolare.
Poi ELV si sposta sulla morale, e qui le sue ragioni sembrano preoccupare molti credenti.
Però, essendomi occupato un pochino della dottrina sociale della Chiesa, devo ammettere di averla trovata molto "generica", tutt' altro che "paticolare". In teoria quella dottrina è compatibile sia con forme di libertarismo che con forme di socialismo spinto. Uno spettro ampissimo, dunque.
ELV, con i suoi esempi, privilegia le prescrizioni sessuali.
Molti condividono la sua sensibilità, non mi resta che far notare come a questo punto non si parli più di dogmi. Ci viene chiesto di uniformarci nell' obbedienza con i comportamenti, ma questo non ci impedisce di prendere parte in modo civile alla discussione interna alla Chiesa affinchè l' indirizzo evolva in un certo senso.
Io, favorevole al testamento biologico, ubbidisco senza per questo sentire in gabbia la mia coscienza dissenziente. Al limite sento in gabbia le mie azioni, cosa in questa sede irrilevante visto che ELV affronta il problema della coscienza.
Altri "particolari" che ad ELV non vanno giù sono in realtà formalismi cerimoniali che la Chiesa riceve dalla sua ricca Tradizione.
Dovrebbe forse snobbarli? Per giungere a questa conclusione bisognerebbe essere pronti a sostenere che per una Comunità la Tradizione non rappresenti un valore. Io sostengo esattamente l' opposto, e con il conforto ormai sia delle scienze umane che di quelle logiche.
Ma veniamo alle note dolenti, ovvero alla parte critica che di seguito riassumo scomponendola in due parti:
1. La Chiesa afferma il "primato della coscienza", ma poi chiede obbedienza, le due cose sono incompatibili.
Perchè incompatibili?
Prima considerazione: si puo' obbedire senza un' adesione coscienziosa. E allora si è dannati.
Seconda considerazione: si puo' obbedire in coscienza. Allora si è salvi.
Terza considerazione: si puo' disobbedire consapevolmente. Allora si è dannati.
Quarta considerazione: si puo' disobbedire inconsapevolmente. Allora non si è dannati.
Se le quattro considerazioni sono vere, allora il primato della coscienza in realtà è compatibile con la richiesta di obbedienza. Che si obbedisca o meno la nostra sorte resta ancora nelle mani della nostra coscienza.
2. Ad ogni modo, quando la Chiesa si pronuncia, scende troppo nei particolari, cosicchè la coscienza del singolo resta stritolata.
Particolari? Qui bisogna specificare, e infatti ELV specifica. Rifaccio i suoi esempi.
"Dio è uno e trino".
Non mi sembra un "particolare", bensì un dogma fondamentale.
Nel linguaggio del mondo ci dice che Dio stabilisce un contatto con l' uomo ed entra in comunicazione empatica con lui mettendosi al suo livello. Un Cattolico deve crederlo, siamo nella sostanza del suo credo, non nei "particolari".
Per illustrare un "particolare superfluo, esempio peggiore non poteva essere portato. Ma proseguiamo.
"Dio è presente nella Comuinione del pane".
Stesso discorso di prima. Anche qui siamo nel vivo della fede. Credere nel dogma della presenza reale qui ed ora della sostanza di Cristo è importante, non è un particolare.
Poi ELV si sposta sulla morale, e qui le sue ragioni sembrano preoccupare molti credenti.
Però, essendomi occupato un pochino della dottrina sociale della Chiesa, devo ammettere di averla trovata molto "generica", tutt' altro che "paticolare". In teoria quella dottrina è compatibile sia con forme di libertarismo che con forme di socialismo spinto. Uno spettro ampissimo, dunque.
ELV, con i suoi esempi, privilegia le prescrizioni sessuali.
Molti condividono la sua sensibilità, non mi resta che far notare come a questo punto non si parli più di dogmi. Ci viene chiesto di uniformarci nell' obbedienza con i comportamenti, ma questo non ci impedisce di prendere parte in modo civile alla discussione interna alla Chiesa affinchè l' indirizzo evolva in un certo senso.
Io, favorevole al testamento biologico, ubbidisco senza per questo sentire in gabbia la mia coscienza dissenziente. Al limite sento in gabbia le mie azioni, cosa in questa sede irrilevante visto che ELV affronta il problema della coscienza.
Altri "particolari" che ad ELV non vanno giù sono in realtà formalismi cerimoniali che la Chiesa riceve dalla sua ricca Tradizione.
Dovrebbe forse snobbarli? Per giungere a questa conclusione bisognerebbe essere pronti a sostenere che per una Comunità la Tradizione non rappresenti un valore. Io sostengo esattamente l' opposto, e con il conforto ormai sia delle scienze umane che di quelle logiche.
giovedì 25 novembre 2010
A scuola si peggiora
E già a partire dalle elementari, di cui sarebbe bene sfatare il mito.
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=5043&ID_sezione=&sezione
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=5043&ID_sezione=&sezione
Uno che durò poco-
C' è da divertirsi a seguire i dribbling, le finte e gli slalom che deve inscenare a Milano chi non ha voglia di lavorare.
Specialmente se il lavativo è un soggetto talentuoso, se i potenziali incarichi fioccano molesti e la domanda di suoi servigi preme su di lui come una cappa asfissiante.
Luciano Bianciadi era certamente persona corredata da ingegno non comune.
Era un maremmano emigrato sotto la Madonnina, durante il boom, nel vertice più palpitante del triangolo industiale.
Ma sopratutto, per la gioia di noi lettori, aveva pochissima voglia di lavorare (e molta di destabilizzare). Una pigrizia incistata sottopelle.
Bisogna spiegare meglio: aveva la fissa del lavoro inutile, lo fuggiva.
Purtroppo, nei suoi momenti più ispirati, arrivava a teorizzare che quasi tutto il lavoro fosse inutile.
Poi, per non costringersi ad una noiosa opera di cernita, finì per trovare razionale la strategia di fuggire qualsiasi lavoro.
Poichè con queste premesse gli rimaneva un casino di tempo libero, pensò bene di impiegarlo coltivando il suo hobby di sempre: far saltare in aria la Montecatini. Non è mica come ridere, è un impegno a tempo pieno.
Ma questa esplosione, più che a un delirio ideologico, assomiglia ad una visione felliniana.
La trincea ideale per combattere questa "Resistenza unilaterle a guerra finita" fu felicemente individuata nell' accrocchio di Bar e Osterie della Brera ambrosiana (esci dal Duomo, prendi a destra, poi sempre dritto, quando incontri i bassi tavolinetti delle false zingare che leggono la mano senza emettere fattura, ci sei).
Il suo "libro della vita" me lo sono letto in spiaggia questa estate sull' asciugamano, e ancora oggi lo devo sbattere per liberarlo dai granelli più raffinati dell' Adriatico.
Poichè gli ingredienti ci son tutti, non meraviglia che seguire la narrazione di questa Vita Agra sia stato uno spasso.
Però c'è un "però".
Lo spasso ha raggiunto il suo picco scorrendo la "Nota Biografica Redazionale" che immediatamente succede alla Prefazione. Un po' precoce come acme.
Attaccando invece il testo vero e proprio, dopo i primi capitoli, l' umore entusiastico si smorza leggermente fino a toccare, a volte, depressioni imbarazzanti in cui si procede con il corto remo nella bonaccia.
Come l' anonimo Redattore possa superare il blasonato Autore è mistero che merita indagare.
***
Sono partito da una flebile traccia che mi aveva insospettito fin da subito: le modalità della difesa preventiva e reiterata che il prefatore Carlo Bo faceva del suo pupillo.
Parlandone Bo aveva una fissa che, dalla smisurata pedana della sua Cattedra, ci teneva a ripetere: un pericolo doveva allertarci su tutti gli altri, quello di scambiare l' agro toscano per un guitto satirico sempre pronto a metterla in burletta. Mai e poi mai prenderlo per uno che cerchi di fare del colore con effetti caricaturali.
Questo qui era invece uno che dietro la cortina grottesca alza il suo urlo stridulo facendo vibrare una corda autenticamente esistenziale e gettando luce su un' intera epoca della storia italica.
La foga con cui Bo spingeva avanti questa avvertanza per pagine e pagine, mi aveva impensierito non poco.
***
Gli allarmi erano fondati.
Procedendo nella lettura riscontravo come il libro perdesse sempre più quota allorchè l' Autore emergeva come un satirico sempre pronto a metterla in burletta, oppure come qualcuno che cerca di fare del colore con effetti caricaturali.
Le urla esistenziali, nel frattempo, si erano rarefatte fino a sparire e l' Italia degli anni 60 giaceva avvolta in un cono d' ombra.
Cio' non toglie, si badi bene, che quel toscanaccio anarcoide e un po' scioperato, sbarcato da queste parti a pascolare pigramente tra gli impiegati delle case editrici, non sia riuscito a consegnarci un paio di acquarelli d' alta scuola nei quali illustra, una volta per tutte, il lato oscuro di noi ossobuchivori che battiamo indaffaratissimi gli uffici delle multinazionali.
Basterebbe il profilo dei "Fannulloni Frenetici" a convalidare questa tesi: "...gente che non combina una madonna dalla mattina alla sera, e riesce non so come, a dare l' impressione, fallace, di stare lavorando. Si prendono persino l' esaurimento nervoso...".
Purtroppo o per fortuna, Bianciardi è un battutista fulminante. Cio' si accompagna puntualmente con una sorta di "fiato corto". In più, come tutti i pigri, guarda in tralice la lunga e faticosa distanza del romanzo.
Dà il meglio di sè quando puo' inserirsi un po' parassitariamente facendo il controcanto responsoriale al discorso altrui.
Da geniale clandestino s' imbarca nell' analisi di terzi per farsi trasportare, magari sabotandola lungo il tragitto.
Le sue interpolazioni amarognole si abbinano meravigliosamente al tono ufficiale del dirimpettaio; è invece farraginoso se deve affabulare con un monologo che lo costringe a coprire ampi spazi. Cio', infatti, non è compatibile con la respirazione dei suoi piccolissimi polmoni.
Il Redattore della "Breve Biografia" ha avuto l' intuizione di offrirsi come sparring partner. Proprio cio' che cerca, rigenera e ispira uno scrittore del genere.
La necessità di una Spalla veniva soddisfatta al meglio in quella parte del libro.
Ogni intervallo della biografia ufficiale Bompiani è costellato da felici battutine del nostro che sintetizzano eloquentemente il sentimento con cui sono stati vissuti gli anni di cui si parla.
Esempio supremo il periodo di decadimento alcolista chiusosi con la consunzione definitiva. Veniamo informati che agli amici bisbigliava mesto: "...Sopportatemi. Duro ancora poco...". C' è un epitaffio migliore?
***
P.S. devo precisare che ho svolto le mie considerazioni di lettore avendo sottomano l' edizione Bompiani de "La Vita Agra".
Specialmente se il lavativo è un soggetto talentuoso, se i potenziali incarichi fioccano molesti e la domanda di suoi servigi preme su di lui come una cappa asfissiante.
Luciano Bianciadi era certamente persona corredata da ingegno non comune.
Era un maremmano emigrato sotto la Madonnina, durante il boom, nel vertice più palpitante del triangolo industiale.
Ma sopratutto, per la gioia di noi lettori, aveva pochissima voglia di lavorare (e molta di destabilizzare). Una pigrizia incistata sottopelle.
Bisogna spiegare meglio: aveva la fissa del lavoro inutile, lo fuggiva.
Purtroppo, nei suoi momenti più ispirati, arrivava a teorizzare che quasi tutto il lavoro fosse inutile.
Poi, per non costringersi ad una noiosa opera di cernita, finì per trovare razionale la strategia di fuggire qualsiasi lavoro.
Poichè con queste premesse gli rimaneva un casino di tempo libero, pensò bene di impiegarlo coltivando il suo hobby di sempre: far saltare in aria la Montecatini. Non è mica come ridere, è un impegno a tempo pieno.
Ma questa esplosione, più che a un delirio ideologico, assomiglia ad una visione felliniana.
La trincea ideale per combattere questa "Resistenza unilaterle a guerra finita" fu felicemente individuata nell' accrocchio di Bar e Osterie della Brera ambrosiana (esci dal Duomo, prendi a destra, poi sempre dritto, quando incontri i bassi tavolinetti delle false zingare che leggono la mano senza emettere fattura, ci sei).
Il suo "libro della vita" me lo sono letto in spiaggia questa estate sull' asciugamano, e ancora oggi lo devo sbattere per liberarlo dai granelli più raffinati dell' Adriatico.
Poichè gli ingredienti ci son tutti, non meraviglia che seguire la narrazione di questa Vita Agra sia stato uno spasso.
Però c'è un "però".
Lo spasso ha raggiunto il suo picco scorrendo la "Nota Biografica Redazionale" che immediatamente succede alla Prefazione. Un po' precoce come acme.
Attaccando invece il testo vero e proprio, dopo i primi capitoli, l' umore entusiastico si smorza leggermente fino a toccare, a volte, depressioni imbarazzanti in cui si procede con il corto remo nella bonaccia.
Come l' anonimo Redattore possa superare il blasonato Autore è mistero che merita indagare.
***
Sono partito da una flebile traccia che mi aveva insospettito fin da subito: le modalità della difesa preventiva e reiterata che il prefatore Carlo Bo faceva del suo pupillo.
Parlandone Bo aveva una fissa che, dalla smisurata pedana della sua Cattedra, ci teneva a ripetere: un pericolo doveva allertarci su tutti gli altri, quello di scambiare l' agro toscano per un guitto satirico sempre pronto a metterla in burletta. Mai e poi mai prenderlo per uno che cerchi di fare del colore con effetti caricaturali.
Questo qui era invece uno che dietro la cortina grottesca alza il suo urlo stridulo facendo vibrare una corda autenticamente esistenziale e gettando luce su un' intera epoca della storia italica.
La foga con cui Bo spingeva avanti questa avvertanza per pagine e pagine, mi aveva impensierito non poco.
***
Gli allarmi erano fondati.
Procedendo nella lettura riscontravo come il libro perdesse sempre più quota allorchè l' Autore emergeva come un satirico sempre pronto a metterla in burletta, oppure come qualcuno che cerca di fare del colore con effetti caricaturali.
Le urla esistenziali, nel frattempo, si erano rarefatte fino a sparire e l' Italia degli anni 60 giaceva avvolta in un cono d' ombra.
Cio' non toglie, si badi bene, che quel toscanaccio anarcoide e un po' scioperato, sbarcato da queste parti a pascolare pigramente tra gli impiegati delle case editrici, non sia riuscito a consegnarci un paio di acquarelli d' alta scuola nei quali illustra, una volta per tutte, il lato oscuro di noi ossobuchivori che battiamo indaffaratissimi gli uffici delle multinazionali.
Basterebbe il profilo dei "Fannulloni Frenetici" a convalidare questa tesi: "...gente che non combina una madonna dalla mattina alla sera, e riesce non so come, a dare l' impressione, fallace, di stare lavorando. Si prendono persino l' esaurimento nervoso...".
Purtroppo o per fortuna, Bianciardi è un battutista fulminante. Cio' si accompagna puntualmente con una sorta di "fiato corto". In più, come tutti i pigri, guarda in tralice la lunga e faticosa distanza del romanzo.
Dà il meglio di sè quando puo' inserirsi un po' parassitariamente facendo il controcanto responsoriale al discorso altrui.
Da geniale clandestino s' imbarca nell' analisi di terzi per farsi trasportare, magari sabotandola lungo il tragitto.
Le sue interpolazioni amarognole si abbinano meravigliosamente al tono ufficiale del dirimpettaio; è invece farraginoso se deve affabulare con un monologo che lo costringe a coprire ampi spazi. Cio', infatti, non è compatibile con la respirazione dei suoi piccolissimi polmoni.
Il Redattore della "Breve Biografia" ha avuto l' intuizione di offrirsi come sparring partner. Proprio cio' che cerca, rigenera e ispira uno scrittore del genere.
La necessità di una Spalla veniva soddisfatta al meglio in quella parte del libro.
Ogni intervallo della biografia ufficiale Bompiani è costellato da felici battutine del nostro che sintetizzano eloquentemente il sentimento con cui sono stati vissuti gli anni di cui si parla.
Esempio supremo il periodo di decadimento alcolista chiusosi con la consunzione definitiva. Veniamo informati che agli amici bisbigliava mesto: "...Sopportatemi. Duro ancora poco...". C' è un epitaffio migliore?
***
P.S. devo precisare che ho svolto le mie considerazioni di lettore avendo sottomano l' edizione Bompiani de "La Vita Agra".
Diseguaglianza
Volete misurarla nella sostanza?
Non guardate ai redditi, guardate ai consumi.
Anzi, guardate alla sostanza dei consumi.
Un orologio puo' costare 100 volte più di un altro senza differenziarsi granchè.
Non guardate ai redditi, guardate ai consumi.
Anzi, guardate alla sostanza dei consumi.
Un orologio puo' costare 100 volte più di un altro senza differenziarsi granchè.
martedì 23 novembre 2010
Capire la mente cattolica II
Con il capitolo II, ELV sembra buttarla in filosofia.
Ripropongo la sua accusa suddividendola in due parti:
1. Quando il cattolico dice "credo in Dio" non sa in realtà di cosa parla, questo per il fatto che la parola "Dio" non è intelleggibile, trattasi infatti di un concetto indefinibile; per esempio, cosa significa "eterno"? Boh. Così come ha ben poco senso la parola "credo" quando è usata come la usano i Cattolici, ovvero per significare una certezza.
In un certo senso è vero che per parlare di Dio dobbiamo ricorrere a metafore, ed è anche vero che Dio in gran parte è Mistero.
Detto questo, l' accusa si regge bene solo se si adotta una prospettiva "materialista".
Dicendo "Dio" ci manca un riferimento naturale che i sensi possano cogliere, Dio non è avvistabile da alcun telescopio e cio', agli occhi del materialista, lo rende un concetto insensato.
Ma noi, credenti o no, utilizziamo spesso concetti che non hanno riferimenti nel mondo naturale, penso ora a "mente", "coscienza", "responsabilità", "causa", "numero" e molti altri. Difficile dire che siano concetti senza senso o che siano in qualche modo riducibili naturalisticamente, anche se proprio in questo consiste la tortuosa fede dei materialisti.
Andiamo avanti, perchè mai Dio non sarebbe definibile? E le trenta pagine che Richard Swinburne dedica alla definizione del concetto di Dio nel suo ormai classico "The existence of God"? E la definizione formale di chi, da Anselmo a Godel, si è impegnato nella dimostrazione dell' esistenza divina?
Il fatto che un concetto non sia definibile in modo completo non significa che sia insensato. Tutti i giorni maneggiamo concetti del genere senza considerarli insensati.
Ancora un passo, perchè mai non potremmo cogliere il senso di una parola come "eterno"?
D' accordo, non possiamo sperimentare con i sensi l' "eternità", ma, a riprova di quanto dicevamo, un limite del genere puo' allarmare giusto un materialista!
Per tutti gli altri un concetto come "infinito" è da noi bene o male compreso, in caso contrario molta matematica farneticherebbe.
Con Swinburne direi di più, si tratta di un concetto talmente familiare per la mente umana che, semplificando le spiegazioni fondate sul concetto di "Dio", finisce per renderle razionalmente preferibili rispetto alle spiegazioni concorrenti.
Veniamo ora alla parola "credo".
Per respingere l'accusa basterebbe notare come anche il non credente in molti frangenti usi questa parola proprio per esprimere qualcosa di vicino alla certezza.
Pensiamo a questa domanda: "vivo in un Matrix o in una realtà?". Noi, credenti o meno, non ci poniamo nemmeno l' interrogativo, diamo per scontata la risposta. Eppure è una risposta fondata sulla "credenza".
Altra domanda che potrei pormi: "tu hai una mente come ce l' ho io?": altra risposta scontata, altra "credenza".
E adesso la seconda accusa.
2. Ammesso che l' espressione "credo in Dio" abbia senso, molti credenti non sanno quel che dicono quando la pronunciano.
Su questo posso concordare, il credente oggi non è abituato a riflettere sulle basi razionali della sua fede, ma devo aggiungere che i cattolici, proprio in virtù di cio' che la loro fede domanda, sono anche i più attrezzati per rimediare all' inconveniente.
... continua...
Ripropongo la sua accusa suddividendola in due parti:
1. Quando il cattolico dice "credo in Dio" non sa in realtà di cosa parla, questo per il fatto che la parola "Dio" non è intelleggibile, trattasi infatti di un concetto indefinibile; per esempio, cosa significa "eterno"? Boh. Così come ha ben poco senso la parola "credo" quando è usata come la usano i Cattolici, ovvero per significare una certezza.
In un certo senso è vero che per parlare di Dio dobbiamo ricorrere a metafore, ed è anche vero che Dio in gran parte è Mistero.
Detto questo, l' accusa si regge bene solo se si adotta una prospettiva "materialista".
Dicendo "Dio" ci manca un riferimento naturale che i sensi possano cogliere, Dio non è avvistabile da alcun telescopio e cio', agli occhi del materialista, lo rende un concetto insensato.
Ma noi, credenti o no, utilizziamo spesso concetti che non hanno riferimenti nel mondo naturale, penso ora a "mente", "coscienza", "responsabilità", "causa", "numero" e molti altri. Difficile dire che siano concetti senza senso o che siano in qualche modo riducibili naturalisticamente, anche se proprio in questo consiste la tortuosa fede dei materialisti.
Andiamo avanti, perchè mai Dio non sarebbe definibile? E le trenta pagine che Richard Swinburne dedica alla definizione del concetto di Dio nel suo ormai classico "The existence of God"? E la definizione formale di chi, da Anselmo a Godel, si è impegnato nella dimostrazione dell' esistenza divina?
Il fatto che un concetto non sia definibile in modo completo non significa che sia insensato. Tutti i giorni maneggiamo concetti del genere senza considerarli insensati.
Ancora un passo, perchè mai non potremmo cogliere il senso di una parola come "eterno"?
D' accordo, non possiamo sperimentare con i sensi l' "eternità", ma, a riprova di quanto dicevamo, un limite del genere puo' allarmare giusto un materialista!
Per tutti gli altri un concetto come "infinito" è da noi bene o male compreso, in caso contrario molta matematica farneticherebbe.
Con Swinburne direi di più, si tratta di un concetto talmente familiare per la mente umana che, semplificando le spiegazioni fondate sul concetto di "Dio", finisce per renderle razionalmente preferibili rispetto alle spiegazioni concorrenti.
Veniamo ora alla parola "credo".
Per respingere l'accusa basterebbe notare come anche il non credente in molti frangenti usi questa parola proprio per esprimere qualcosa di vicino alla certezza.
Pensiamo a questa domanda: "vivo in un Matrix o in una realtà?". Noi, credenti o meno, non ci poniamo nemmeno l' interrogativo, diamo per scontata la risposta. Eppure è una risposta fondata sulla "credenza".
Altra domanda che potrei pormi: "tu hai una mente come ce l' ho io?": altra risposta scontata, altra "credenza".
E adesso la seconda accusa.
2. Ammesso che l' espressione "credo in Dio" abbia senso, molti credenti non sanno quel che dicono quando la pronunciano.
Su questo posso concordare, il credente oggi non è abituato a riflettere sulle basi razionali della sua fede, ma devo aggiungere che i cattolici, proprio in virtù di cio' che la loro fede domanda, sono anche i più attrezzati per rimediare all' inconveniente.
... continua...
Teoria generale del fisco
Un' introduzione chiara e di sostanza.
Soggettivismo, utilitarismo, just desert e pari opportunità.
http://gregmankiw.blogspot.com/2010/12/fairness-and-tax-policy.html
p.s. critiche all' utilitarismo: 1) richiede confronti interpersonali 2) non è sentito giusto (vedi tassa sull' altezza).
Soggettivismo, utilitarismo, just desert e pari opportunità.
http://gregmankiw.blogspot.com/2010/12/fairness-and-tax-policy.html
p.s. critiche all' utilitarismo: 1) richiede confronti interpersonali 2) non è sentito giusto (vedi tassa sull' altezza).
Dietro il politicamente corretto
Cosa nasconde il timore di dire "negro"? Cosa nasconde la pulsione verso il politicamente corretto?
Secondo me una diffidenza nei confronti della libertà. Ma vediamo meglio qualche argomento.
L' intellettuale politically correct, un cultore del linguaggio, vorrebbe cambiare il mondo cambiando le parole.
Vasto programma! Ma non così assurdo come potrebbe sembrare!
Affinchè sia efficiente, è necessario poter usare il linguaggio senza pensarci su troppo e chi sa piazzare strategicamente le sue trappole linguistiche puo' riscuotere una rendita considerevole, almeno nel breve periodo.
La mia critica non riguarda tanto il progetto in sé, quanto il fatto che chi lo propugna, ovvero il progressista che vive di parole, lo fa poichè esclude vie alternative molto più comode ed efficienti: quelle che fanno affidamento sui soggetti coinvolti.
È già tempo di esempi.
Ipotizzate che in una popolazione esistano solo individui "gialli" ed individui "rossi".
I primi, diversamente dai secondi, hanno una tendenza più marcata a delinquere. Non m' interessa ora il motivo alla base di questa tendenza, diciamo che si tratta di "motivazioni culturali".
Se questi sono fatti oggettivi, ben presto i membri della comunità svilupperanno un comportamento conseguenziale, e tutto ciò a prescindere dal loro "colore".
Per esempio, se un cittadino si troverà ad attraversare un quartiere "giallo", lo farà in tutta fretta e stando ben attento all' incolumità personale. Attenzione e velocità caleranno transitando per i quartieri "rossi".
Una sorta di discriminazione comicia ad operare inesorabilmente. La stessa parola "giallo" assume una non gratuita connotazione negativa.
Esempio: a parità di tutto il resto, in un colloquio di lavoro, il rosso sarà preferito al giallo. Ci sono più probabilità che il giallo sia disonesto.
Questo fatto danneggia i "gialli onesti". Come tutelarli?
Una soluzione ottimale del problema richiede di sfruttare la libertà contrattuale: il "giallo", a parità di tutto il resto, dovrà offrire maggiori garanzie al datore di lavoro. Ai "gialli onesti" la cosa non costerà granché.
Riprendendo l' esempio un po' forte ma chiaro fatto altrove: alla donna in carriera che non vuole figli costa poco firmare l' impegno a non averne.
Ma il progressista s' indispettisce pensando alla via contrattuale, nutre una diffidenza di fondo nei confronti della libertà.
Crede però nel potere delle parole e si chiede allora a questo punto se una perversione del linguaggio possa tornare utile.
E se il "giallo" anzichè "giallo" lo chiamassi "limoncino"? Riferirsi ad un "giallo" chiamandolo "limoncino" equivale a mettergli una maschera che ostacola la discriminazione.
Ammettiamo che lo stratagemma funzioni, avrà risolto il problema?
No, ha solo spostato i costi dai "gialli onesti" all' intera comunità privandola di un linguaggio efficiente.
Ora, i membri della comunità non dispongono più di uno strumento utile per fare scelte informate. Ma il progressista non sembra molto interessato a questo genere di argomenti: d' accordo, si sta male come prima, ma si sta male tutti. Il problema per lui può dirsi risolto.
Ma se il progressista politically correct accettasse alla lettera una descrizione come quella che ho appena fatto, non dormirebbe più la notte tormentato dai sensi di colpa. Lui, il cultore delle parole, ridotto a perorare il loro "taroccamento".
Ecco allora come si salva in corner: la gente è disinformata e ritoccare il linguaggio serve per compensare questa lacuna levando di mezzo le "connotazioni negative" che non hanno motivo di esistere visto che non rispecchiano la realtà.
A questo punto delle due una: o nel caso concreto le "connotazioni negative" sono giustificate, allora la ripulitura del linguaggio resta un taroccamento; oppure la discriminazione a favore dei "rossi" è ingiustificata, e allora la pulizia linguistica è inutile.
E' molto costoso stabilire se ci troviamo nella prima o nella seconda situazione. Fortunatamente non è necessario distinguere visto che la soluzione è sempre la stessa: libertà contrattuale.
Perchè infatti dicevo che il "politically correct" nel migliore dei casi è comunque inutile? Perchè anche in quel caso pensa a tutto la libertà contrattuale, quella cosa per cui chi è affetto da pregiudizi se li paga cari: chi non affitta ai neri farà magri affari, chi non assume asiatici per principio sarà mangiato dalla concorrenza. Eccetera. In questo modo i "disinformati" si "informano" sulla loro pelle, il modo migliore per farlo.
Ma il progressista parolaio, come già detto, non si fida della libertà e, prima di passare alla violenza autoritaria - bontà sua, non gli resta che provarci con i giochi di parole.
Secondo me una diffidenza nei confronti della libertà. Ma vediamo meglio qualche argomento.
L' intellettuale politically correct, un cultore del linguaggio, vorrebbe cambiare il mondo cambiando le parole.
Vasto programma! Ma non così assurdo come potrebbe sembrare!
Affinchè sia efficiente, è necessario poter usare il linguaggio senza pensarci su troppo e chi sa piazzare strategicamente le sue trappole linguistiche puo' riscuotere una rendita considerevole, almeno nel breve periodo.
La mia critica non riguarda tanto il progetto in sé, quanto il fatto che chi lo propugna, ovvero il progressista che vive di parole, lo fa poichè esclude vie alternative molto più comode ed efficienti: quelle che fanno affidamento sui soggetti coinvolti.
È già tempo di esempi.
Ipotizzate che in una popolazione esistano solo individui "gialli" ed individui "rossi".
I primi, diversamente dai secondi, hanno una tendenza più marcata a delinquere. Non m' interessa ora il motivo alla base di questa tendenza, diciamo che si tratta di "motivazioni culturali".
Se questi sono fatti oggettivi, ben presto i membri della comunità svilupperanno un comportamento conseguenziale, e tutto ciò a prescindere dal loro "colore".
Per esempio, se un cittadino si troverà ad attraversare un quartiere "giallo", lo farà in tutta fretta e stando ben attento all' incolumità personale. Attenzione e velocità caleranno transitando per i quartieri "rossi".
Una sorta di discriminazione comicia ad operare inesorabilmente. La stessa parola "giallo" assume una non gratuita connotazione negativa.
Esempio: a parità di tutto il resto, in un colloquio di lavoro, il rosso sarà preferito al giallo. Ci sono più probabilità che il giallo sia disonesto.
Questo fatto danneggia i "gialli onesti". Come tutelarli?
Una soluzione ottimale del problema richiede di sfruttare la libertà contrattuale: il "giallo", a parità di tutto il resto, dovrà offrire maggiori garanzie al datore di lavoro. Ai "gialli onesti" la cosa non costerà granché.
Riprendendo l' esempio un po' forte ma chiaro fatto altrove: alla donna in carriera che non vuole figli costa poco firmare l' impegno a non averne.
Ma il progressista s' indispettisce pensando alla via contrattuale, nutre una diffidenza di fondo nei confronti della libertà.
Crede però nel potere delle parole e si chiede allora a questo punto se una perversione del linguaggio possa tornare utile.
E se il "giallo" anzichè "giallo" lo chiamassi "limoncino"? Riferirsi ad un "giallo" chiamandolo "limoncino" equivale a mettergli una maschera che ostacola la discriminazione.
Ammettiamo che lo stratagemma funzioni, avrà risolto il problema?
No, ha solo spostato i costi dai "gialli onesti" all' intera comunità privandola di un linguaggio efficiente.
Ora, i membri della comunità non dispongono più di uno strumento utile per fare scelte informate. Ma il progressista non sembra molto interessato a questo genere di argomenti: d' accordo, si sta male come prima, ma si sta male tutti. Il problema per lui può dirsi risolto.
Ma se il progressista politically correct accettasse alla lettera una descrizione come quella che ho appena fatto, non dormirebbe più la notte tormentato dai sensi di colpa. Lui, il cultore delle parole, ridotto a perorare il loro "taroccamento".
Ecco allora come si salva in corner: la gente è disinformata e ritoccare il linguaggio serve per compensare questa lacuna levando di mezzo le "connotazioni negative" che non hanno motivo di esistere visto che non rispecchiano la realtà.
A questo punto delle due una: o nel caso concreto le "connotazioni negative" sono giustificate, allora la ripulitura del linguaggio resta un taroccamento; oppure la discriminazione a favore dei "rossi" è ingiustificata, e allora la pulizia linguistica è inutile.
E' molto costoso stabilire se ci troviamo nella prima o nella seconda situazione. Fortunatamente non è necessario distinguere visto che la soluzione è sempre la stessa: libertà contrattuale.
Perchè infatti dicevo che il "politically correct" nel migliore dei casi è comunque inutile? Perchè anche in quel caso pensa a tutto la libertà contrattuale, quella cosa per cui chi è affetto da pregiudizi se li paga cari: chi non affitta ai neri farà magri affari, chi non assume asiatici per principio sarà mangiato dalla concorrenza. Eccetera. In questo modo i "disinformati" si "informano" sulla loro pelle, il modo migliore per farlo.
Ma il progressista parolaio, come già detto, non si fida della libertà e, prima di passare alla violenza autoritaria - bontà sua, non gli resta che provarci con i giochi di parole.
Libertarianism A-Z: arte e cultura
Chi vorrebbe una "cultura" sussidiata dalla Stato insiste sugli spillover in termini di ricchezza che genera una simile impresa.
Ma questi spillover sono tutt' altro che evidenti. Forse è più ragionevole supporre il contrario: più ricchezza, più cultura.
Probabilmente i cinesi, oggi al centro della produzione di ricchezza, domani saranno centrali anche nella produzione culturale ed artistica. Non sembra prorio che il nesso vada nel senso opposto, ovvero che la loro crescita economica improvvisa quanto impetuosa, sia spinta da una particolare diffusione di arte e cultura.
Ci sono culture che generano ricchezza, altre che generano povertà. La "cultura sussidiata", proprio per il fatto di essere tale, probabilmente apparterrà alla seconda categoria.
Ma il vero inconveniente della "cultura mantenuta" è un altro. Chi decide cosa è "cultura" o "arte"? L' arbitrio scatena una lotta senza quartiere e tutto diventa gioco per l' egemonia. Non sarà un caso se i più interessati a foraggiare la cultura sono i regimi autoritari?
Nei casi meno drammatici il tutto si risolve invece con un bel trasferimento di denaro dai più poveri ai più ricchi. Insomma, i ragazzi operai delle case popolari, con le loro trattenute in busta, mi pagano il museo zeppo di quelle opere astruse che a me piacciono tanto. Loro andranno a godersi la domenica pomeriggio sul calcio-in-culo e faranno pure il piacere di pagare i biglietti per intero, lì non sembra si generino grandi ricadute per la società civile.
***
P.S.1 Mi sono affrettato a fare questo post in occasione dello "sciopero" della cultura italiana dopo i tagli al settore. Io, da libertario, spero solo che i tagli siano veramente tali. Uno degli sport preferiti esercitato dalla "cultura con le stampelle" è quello di "pervertire il linguaggio" in modo da chiamare "taglio" anche un aumento meno generoso del previsto.
P.S.2 Ieri Moni Ovadia, anzichè raccontare barzellette ebraiche, concionava imbufalito dai microfoni di Radio Popolare perorando le ragioni dello sciopero e riversando il suo livore verso gli avversari politici. Una chicca per cui pagare il biglietto, un vero esempio di "cultura". Di "cultura dell' odio", ovviamente. In certi casi il podcast sarebbe davvero prezioso, in Radio staranno ancora asciugando la moquette dalla bava persa.
Ma questi spillover sono tutt' altro che evidenti. Forse è più ragionevole supporre il contrario: più ricchezza, più cultura.
Probabilmente i cinesi, oggi al centro della produzione di ricchezza, domani saranno centrali anche nella produzione culturale ed artistica. Non sembra prorio che il nesso vada nel senso opposto, ovvero che la loro crescita economica improvvisa quanto impetuosa, sia spinta da una particolare diffusione di arte e cultura.
Ci sono culture che generano ricchezza, altre che generano povertà. La "cultura sussidiata", proprio per il fatto di essere tale, probabilmente apparterrà alla seconda categoria.
Ma il vero inconveniente della "cultura mantenuta" è un altro. Chi decide cosa è "cultura" o "arte"? L' arbitrio scatena una lotta senza quartiere e tutto diventa gioco per l' egemonia. Non sarà un caso se i più interessati a foraggiare la cultura sono i regimi autoritari?
Nei casi meno drammatici il tutto si risolve invece con un bel trasferimento di denaro dai più poveri ai più ricchi. Insomma, i ragazzi operai delle case popolari, con le loro trattenute in busta, mi pagano il museo zeppo di quelle opere astruse che a me piacciono tanto. Loro andranno a godersi la domenica pomeriggio sul calcio-in-culo e faranno pure il piacere di pagare i biglietti per intero, lì non sembra si generino grandi ricadute per la società civile.
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P.S.1 Mi sono affrettato a fare questo post in occasione dello "sciopero" della cultura italiana dopo i tagli al settore. Io, da libertario, spero solo che i tagli siano veramente tali. Uno degli sport preferiti esercitato dalla "cultura con le stampelle" è quello di "pervertire il linguaggio" in modo da chiamare "taglio" anche un aumento meno generoso del previsto.
P.S.2 Ieri Moni Ovadia, anzichè raccontare barzellette ebraiche, concionava imbufalito dai microfoni di Radio Popolare perorando le ragioni dello sciopero e riversando il suo livore verso gli avversari politici. Una chicca per cui pagare il biglietto, un vero esempio di "cultura". Di "cultura dell' odio", ovviamente. In certi casi il podcast sarebbe davvero prezioso, in Radio staranno ancora asciugando la moquette dalla bava persa.
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