giovedì 9 novembre 2017

Saggezza delle superstizioni (6): la danza della pioggia.

Saggezza delle superstizioni (6): la danza della pioggia.

Ancora da piccolo, nel corso della “lunga estate calda”, mi capitava di partecipare a processioni parrocchiali organizzate per “far piovere”.
Una specie di “danza della pioggia” cattolica.
Francamente, non saprei dire quanti fedeli credessero realmente all’efficacia di un simile strumento, eppure l’incredulità non sminuiva l’entusiasmo.
Forse pesava l’aspetto folkloristico: finalmente qualcosa di diverso!
Forse pesava l’aspetto provocatorio: i laiconi a bocca aperta arano uno spasso da vedere.
Forse pesava l’aspetto sociale: segnalavamo a chi era colpito dalla siccità che eravamo tutti consapevoli del problema.
Forse pesava l’aspetto psicologico: era uno sfogo contro una frustrazione da impotenza. Un modo per dire “accidenti!”.
Forse pesava la fede: alcuni pensavano realmente che Dio si sarebbe scomodato per quisquilie del genere.
Forse pesava l’aspetto tradizionale: roba del genere appartiene al nostro passato lombardi.
Ecco, è proprio partendo dalla tradizione che possiamo capire meglio le motivazioni sotto simili gesti.
***
A partire dal tardo medioevo fino al XVII secolo medioevo queste pratiche erano routine dalle nostre parti.
L’agricoltura era attività decisiva e cio’ che turbava i raccoltiandava esorcizzato dallo stregone, ovvero dal prete.
Il nemico era la siccità, ma più spesso le bestiacce che mandavano tutto in malora. All’epoca non esistevano pesticidi.
Forse per questo la danza della pioggia era soppiantata da una pratica molto più capillare e singolare: i “processi agli animali”.
Sì, si processavano le bestiacce.
Venivano prese e messe fisicamente sul banco degli imputati, poi si istruiva un vero dibattimento con tanto di accuse formali.
L’imputato – per esempio un topo – doveva essere processato vivo, e il processo doveva essere un “giusto processo” come direbbe la commissione parlamentare.
Per almeno 250 anni in alcune parti di Francia, Italia e Svizzera esistevano corti giudiziarie specializzate nel giudicare insetti, roditori e ogni genere di parassita.
I giudici convocavano le lumache con atti ufficiali per accusarle di “invasione territoriale”.
Esistevano consulenti legali per le locuste e difensori di maggiolini.
La base giuridica per procedere era solida: anche le bestiacce sono creature di dio, e quindi dotate di personalità giuridica.
Le condanne spaziavano dall’esilio alla scomunica, e potevano colpire gli uccelli come le cavallette.  Tutto era “processabile”.
A volte il colpevole era soggetto ad anatema o a maledizione.
Queste cose non avvenivano nell’epoca più oscura della civiltà occidentale ma nel basso medioevo e in epoca umanistico-rinascimentale, e riguardavano le zone più ricche e laboriose dell’ Europa continentale.
Anche se emanava ordinanze destinate ai grilli, anche se proponeva patteggiamenti tra contadini e scarafaggi, la magistratura ecclesiastica preposta non era una manica di folli, tutt’altro. Si trattava di chierici seri e dotati di istruzione e reputazione solida.
Se si consultano i registri di allora tutto ci appare una barzelletta, ma il rigore e la correttezza con cui cio’ che leggiamo è redatto, ci fuga subito il dubbio.
L’epoca d’oro del processo ai vermi: tra il 1400 e il 1600.
Lo strumento più utilizzato per perseguire i parassiti era laclass action. La città di Chiavenna ne imbastì una memorabile contro i bruchi accusandoli di aver violato i confini dei campi comunali.
Un tipico caso lombardo: popolo vs locuste.
L’ accusa era un rappresentante della comunità stressata e tutto avveniva sotto l’alto patronato del vescovo.
La sequela attesa era all’incirca questa: processo+condanna+incantesimo+intervento divino liberatorio.
In genere si cominciava con un’ordinanza per fermare l’invasione, e poi, se l’accusa era meritoria, si procedeva con le condanne e gli anatemi rituali. Se l’accusa veniva invece reputata insussistente, si liquidava l’attore consigliandolo di pregare (“dì su un quai pater-ave-gloria”), o di finanziare una processione, o di intensificare la sua fede.
Una specie di pesticida soprannaturale.
Assurdo? Non poi così tanto se comparato ai metodi laici: “far prendere un bagno ad un gatto rognoso e cospargere l’acqua sui campi infettati”. Oppure: “uccidere un buon numero di ranocchi, cospargerli di cenere e concimare i campi infettati con quelli”. Oppure: “catturare un campione rappresentativo di roditori, castrarli e liberarli tra gli altri”. Oppure: “appendere ad un traliccio una fesa d’aglio sul lato est del campo”.
Quando nulla funziona, l’uomo ragionevole va in chiesa.
La difesa accordata alle bestiacce era di prima qualità. Bartholomé Chassenée, insigne giurista dell’epoca, si fece le ossa difendendo orde di ratti.
L’argomento difensivo più utilizzato: “anche loro sono creature divine con il diritto di godere dei frutti della terra”.
Un altra difesa canonica consisteva nell’annullare la condanna: l’invasione parassitaria era stata minima o inesistente.
Molti scagionamenti si ebbero per vizi di forma: gli avvocati degli animali (specie quelli dei topi) erano abilissimi nel rilevarli.
Altra strategia (meno efficace, però): “i parassiti sono incapaci di intendere e di volere”.
Un difensore arrivò addirittura a ventilare lo stato clericaledelle lumache, il che dava loro taluni privilegi.
Taluni passeri vennero di fatto scagionati per difetto di notifica nella scomunica (che doveva portare il bollo ufficiale della Chiesa Cattolica di Roma).
Tutto era molto complicato e rigoroso, a cominciare dalla correttezza e incorruttibilità del collegio giudicante. Un apprendista potrebbe imparare molto leggendo questi atti di alta giurisprudenza.
***
E’ strano tutto questo ardore di un’istituzione lucida e razionale fino al cinismo come la Chiesa Cattolica. Ma unamotivazione forse la si puo’ trovare.
All’inzio dell’epoca moderna la chiesa era titolata ad esigere dai contribuenti la cosiddetta “decima”. Si trattava di una tassa ecclesiale.
La base imponibile era la produzione agricola effettiva.
Si trattava di una tassa molto difficile da esigere. Il controllo della produzione era problematico e le elusioni frequenti. Il calcolo delle quantità sempre vago e surrettizio.
I trucchi per evadere erano “1001” come diceva un vecchio proverbio.
Il contadino poteva “aprire” campi in nero. O nascondereparte del suo raccolto. O destinarlo a finto consumo personale (era esente). Oppure poteva falsamente convertirele coltivazioni su prodotti esentati o privilegiati. Oppure poteva presentare quantità “non divisibili” in modo da speculare sui resti (per convenzione non tassabili).
Insomma, senza un’adeguata compliance la raccolta della decima sarebbe stata fallimentare.
In questi casi cosa si fa?
Si indottrina. Si punta cioè sui sensi di colpa.
E’ una mossa classica.
Mia mamma non poteva controllare ovunque andassi, se volevo drogarmi avrei potuto farlo facilmente, figuriamoci fumare. E quindi giù con l’indottrinamento: la droga fa male, ti distrugge, guarda che fine ha fatto Carletto… a scuola c’era persino un corso intensivo sui mali del fumo, dell’alcol e della droga. C’erano foto impressionanti!
Se voglio che mia figlia lavi i piatti non posso costringerla a suon di botte o con altri ricatti (lo dice il pedagogista). Cosa mi resta? L’indottrinamento. Ovvero, fare in modo che se lei non collabora ai lavori di casa senta un certo senso di colpa.
Se vogliamo combattere le molestie sessuali l’arma giuridica è spuntata, tutti lo vedono, specialmente quelli che non hanno ancora ben capito cosa sia una molestia sessuale. Occorre allora puntare sull’indottrinamento.
L’economista parla di costi interni: quando non ci sono quelli esterni, o sono minimi, non resta che puntare su quelli interni.
Detto in modo ancora più semplice: se qualcosa è sbagliata basterebbe proibirla, perché perdiamo allora tempo in prediche? Semplice: perché proibire a volte è impossibile o eccessivamente costoso.
L’evasione della decima è “impossibile” da proibire, occorre quindi creare un’adesione spontanea.
All’epoca – chi aveva questo obbiettivo, ovvero la chiesa – puntava meno sull’indottrinamento e più sul soprannaturale.
L’indottrinamento di oggi non è che il soprannaturale di ieri.
Dio era onnisciente e onnipotente: poteva sapere e punire.
Si arrivò addirittura ad annoverare il pagamento della decima tra i comandamenti!
Si arrivò a dire che la decima era un debito verso dio, e non verso la chiesa (Concilio Laterano IV). Un modo per considerare l’evasore un apostata.
E’ chiaro che la gente, per pagare, doveva credere a questa maledizione dell’evasore. nel momento in cui si infiltrava il dubbio, scattava l’evasione.
Nel tardo medioevo la fede nella chiesa ha un nemico ben preciso: gli eretici.
Si va verso la riforma e la chiesa sente il suo monopoliominacciato: la salvezza delle anime (e del fisco) è in pericolo.
In questo senso, gli eretici più insidiosi erano i valdesi di Lione.
Perché? Perché erano praticamente dei cattolici, la loro dottrina era ortodossa… tranne per quel che riguarda l’autorità ecclesiastica, che non riconoscevano. L’unica regola che violavano era quella di predicare (senza permesso papale).
La loro presenza mette particolarmente in dubbio l’autoritàecclesiastica. Di fatto erano dei cattolici anarchici.
I valdesi erano “donatisti”: per loro il sacramento puo’ essere somministrato da chiunque. Si noti che la loro dottrina sostanziale è cattolica (non si può attaccarli su questo punto), la loro eresia si concentra unicamente sulle “persone” e sulla loro autorità. Quel che contestano è il monopolio, ma questo costituisce una vera minaccia alla complinace fiscale.
I valdesi denunciavano la corruzione dei chierici, per loro evadere la decima non era peccato perché dio non ci ha mai ordinato di pagarla. Le scomuniche su questa disobbedienza, per loro, non avevano alcun effetto.
Non credevano neanche nel purgatorio: un pretesto dei chierici per preci a pagamento ed altre pratiche corruttive.
La risposta cattolica ai valdesi: primo, assimilarli alle streghe e condannarli alla stessa fine. Secondo, istruire processi ai parassiti.
La loro epoca d’oro, il XV secolo, è l’epoca d’oro di tali processi.
Ricordiamo che l’intento della chiesa era quello di collegare l’evasione alla sfiga. Vuoi evadere? Attento perché la sfiga ti colpirà.
Questo nesso veniva continuamente ripetuto nei processi, era il chiodo più battuto.
Le condanne inflitte alle bestiacce, tanto per cominciare, sono le medesime di quelle inflitte agli evasori: scomunica e anatema. La similitudine è scoperta.
Non solo: nelle sentenze di condanna alle locuste veniva esplicitamente raccomandato agli attori di pagare meticolosamente tutte le tasse.
Il processo era quindi occasione di “predica” fiscale.
Ma le cose non si esaurivano in una predica, occorreva ancherafforzare la fede in quanto veniva detto. E qui veniamo al cuore della faccenda.
Dopo la condanna giudiziaria inflitta agli insetti poteva succedere che gli insetti abbandonassero i campi o morissero.
In questo fortunato casi, grande trionfo della chiesa, grande irrobustimento della fede e… valdesi maramao!
Il fatto cruciale è che insetti e roditori sono itineranti, quando hanno devastato un campo se ne vanno altrove.
E’ la legge del meteo: se è bello, pioverà. In altri termini: se piove, verrà il bello.
Una legge che qualsiasi fattucchiera conosce a menadito.
Basta tirare avanti il processo fino a che “il tempo cambia”. Quando sta per cambiare, si impartisce la maledizione che lo farà cambiare.
Allungando i tempi aumentavano per la chiesa le probabilità di successo. E i mezzi per allungare la broda non mancavano.
La qualità della difesa serviva anche a questo: doveva essere in grado di produrre argomenti che necessitassero “un attento (e prolungato) esame”.
Si tirava avanti mesi e mesi a piacimento. Poi arrivava l’inverno, si pronunciavano gli anatemi, e le cavallette sparivano d’incanto.
Problema: i contadini non sono scemi. Anche loro conoscono la “legge del meteo”. Anche loro sanno che le cavallette congelano d’inverno.
E la chiesa non è una fattucchiera qualsiasi: sa benissimo che i contadini sanno.
Morale: più un processo si trascina, meno convincente sarà. Più un processo è breve, più convincente sarà.
La chiesa è posta di fronte ad un dilemma: fare processi convincenti ma rischiosi o poco convincenti ma sicuri? Su questa scala si era tenuti a scegliere.
Ma c’è un’altra variabile: la fede contingente dei credenti(che è poi la compliance dei contribuenti).
Questa dipendeva da tempo e luogo.
Se la fede è alta, come nel medioevo, il processo puo’ essere lungo quanto si vuole. Anzi, non c’è nemmeno bisogno di farlo: il richiedente puo’ essere liquidato invitandolo a fare penitenza recitando un numero extra di preghiere.
Se la fede è nulla, come tra gli eretici, il processo non si tiene in quanto mai verrà richiesto da nessuno.
Ma tra questi due estremi c’è un’area grigia di fede minacciata dall’eresia. E’ la fede di chi sta nella tenaglia tra eresia e ortodossia.
Qui per la chiesa, molto spesso, il rischio vale la candela: fare processi credibili (di durata limitata) rischiando anche un finale poco onorevole può essere conveniente. La fede è in pericolo e questo tentativo di recupero diventa l’unico modo per salvarla.
Un modello matematico sarebbe in grado di isolare sulla carta un’area geometrica in cui fare processi ai maggiolini diventa la scelta più razionale a disposizione dell’agente.
Quando e dove si verifica concretamente questa situazione?
Per esempio in Lombardia tra XV e XVII secolo.
Tra questi boschi la minaccia eretica è sempre stata forte e dopo, dalla Svizzera, è arrivata quella luterana.
La teoria è confermata dai fatti? Bisognerebbe capire quei territori in cui l’evasione della decima era più alta e confrontarli con quelli in cui si tenevano i processi.
Ma i dati diretti mancano, l’evasione è stimata ma non a livello comunitario.
L’unica proxy disponibile dell’evasione è l’eresia: più eretici => meno fede => più evasione.
E con questa proxy i conti quadrano, almeno stando ai dati attinti dal volume di Edward Payson Evans: “The Criminal Prosecution and Capital Punishment of Animals”.
I processi ad animali si concentrano a Berna, Costanza, Borgogna, Alpi del Rodano, Lombardia, Canton Vaud, Lucerna, Neuchatel, regione del Jura…
Tutti posti dove cattolici e valdesi si fronteggiano apertamente.
Poi i valdesi confluirono nei calvinisti eccezion fatta per alcune piccole comunità piemontesi. E, da quel momento, i processi alle cavallette si registrano solo in Piemonte.
Sui tempi – confrontando processi alle streghe (5725 casi) e agli animali (62 casi) – troviamo un nesso molto simile.
Il campione è necessariamente piccolo ma la correlazione solida. Forse abbiamo davvero scoperto davvero il segretodella “danza della pioggia”.
Si noti, lo ricordo ancora, che il “primitivismo” delle credenze non spiega nulla: parliamo delle regioni più avanzate del continente. E i preti di quelle parti, non erano certo più pazzi di quelli che stavano altrove.
Nelle precedenti puntate (ordalia e oracolo) abbiamo visto come i pregiudizi costruiscano un ordine sociale desiderabile, ora, andiamo oltre e scopriamo come istituzioni senza senso possano essere utilizzate per promuovere un salutare pregiudizio decisivo nella caccia agli evasori.
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mercoledì 8 novembre 2017

C’era una volta il web

C’era una volta il web

Il web sta morendo.
Anzi, è già morto (nel 2014).
Voi che a cavallo del millennio avete avuto la fortuna di conoscerlo lo racconterete ai vostri figli come fosse una fiaba.
Era un posto anche brutto, certo: pieno di angoli oscuri, di sorprese indesiderate, di anonimato ambiguo, di tarocchi, di scambi di identità, di virus, di pornografia, di violenza…
Ma era anche un luogo eccitante.
Era anche metafora del mercato e di come il mercato muore (e risorge dalle sue ceneri).
***
Il mercato è una sfida, ma una sfida che avviene contemporaneamente su più livelli.
Mentre c’è chi gioca in campo per guadagnarsi la coppa, c’è chi gioca altrove per guadagnarsi lo stadio dove gli altri si sfidano per la coppa. E così via.
Il concorrente “nidifica” ovunque, e spesso non la vedi nemmeno (sta sopra e sotto anziché di fianco).
Il ciclo tecnologica di solito ha tre fasi: 1) concorrenza su beni2) concorrenza su piattaforme 3) cannibalismo. Per i particolari rivolgersi a Tim O’Reilly.
  1. Una piattaforma apre e  gli imprenditori di beni e servizi cominciano a giocarci su per vedere cosa accade. È toccato negli anni 70 ai personal computer, negli anni 90 a internet e nel nuovo secolo agli smartphone
  2. Comincia una competizione per appropriarsi della piattaforma stessa: il sistema operativo nel caso dei pc, i portali nel caso della rete e i social (o altri attrattori di attenzione) nel caso degli smartphone
  3. I vincitori della fase 2 realizzano che giocando in modo neutrale i loro ricavi non sono più destinati a salire, così che inaugurano un’azione di cannibalismo, ovvero cominciano ad inclinare il piano dove si gioca la partita in senso favorevole a loro. Così facendo, quando esagerano, pongono anche le premesse per la creazione di una piattaforma alternativa.
A quanto pare viviamo oggi in questa terza fase, motivo per cui possiamo dire che ormai il web è morto. È morto da almeno tre anni.
Tre anni fa erano in molti ad usare Google (G), Amazon (A) e Facebook (F). Oggi sono ancora in molti a usare il GAF ma soprattutto sono moltissimi ad usare servizi connessi al GAF.
Andare sulla rete significa essenzialmente passare per il GAF.
Prendi il sito del Corriere. Da dove pensate che arrivi il suo traffico? Dal GAF.
E se il GAF s’incazza… addio Corriere.
Già oggi le relazioni tra GAF e media tradizionali non sono rose e fiori. F ha già saggiato un’offensiva con FPaper e FInstant Arrticles. G ha fatto lo stesso ma i tempi e la giurisprudenza non sembrano ancora maturi. Il Corriere e gli altri si sono messi a frignare alzando un retorico grido di dolore (”e la democrazia di qua e la democrazia di là”). Ma hanno capito che è iniziato il conto alla rovescia.
Se tutto passa dal GAF prima o poi scatta il pedaggio.
Due parole sul GAF.
F è focalizzata sulle relazioni (una notizia che arriva in mano a F, se F lo vuole, schizza all’istante in tutto il pianeta). G è focalizzata sull’intelligenza artificiale (quando parlerai con qualcuno – che ti influenza – molto probabilmente starai parlando con G senza neanche saperlo). “A” se ne infischia del reddito per concentrarsi su ricavi alfine di espandersi il più possibile (presto sarà l’unico negozio sul pianeta… tutto sarà una sua succursale).
Sono esagerazioni, ma serve a capire.
Una volta c’era il WEB, oggi c’è il GAF.
Il GAF ha un’influenza tale sul web da averlo fagocitato.
I creatori del web – per esempio Tim Berners-Lee – lo immaginavano come un luogo anarchico, dove l’anonimo partisse alla pari della multinazionale. Un idillio peer-to-peerdove uno vale uno. Anche per questo sono i primi a dichiararlo morto.
Questa roba c’è stata. Dagli anni 90 agli anni 10 c’è effettivamente stata. La sua diversità e sregolatezza ha permesso a molti di cominciare da zero e di prosperare.
Dal 2014 abbiamo cominciato a perdere questi benefici, oltre ai molti inconvenienti.
Il GAF, intendiamoci, ha anche bonificato il web. Ieri non ci avrei mandato su mia figlia, oggi è diverso, ci sono ampi stimolanti corridoi a sicurezza garantita.
Presto, però, qualcuno comincerà a stabilire quale trafficoarriverà sui vostri device.
Vi proporranno tariffe più elevate per accedere a fette di rete più ampia (in Portogallo è già così).
Per le imprese non ci sarà più nessuna convenienza ad avere un sito (basterà un account… sul GAF).
Non farete neanche più ricerche, G – che vi conoscerà meglio di vostra madre – cercherà per voi e vi offrirà già l’esito preconfezionato all’apertura del device.
Al massimo premerete il tasto generico “dammi informazioni utili”.
Il GAF sa chi siete, sa dove siete, sa che ore sono, saprà anche cosa vi interessa! E ve lo dirà (in modo opportunamente orientato), visto che a voi sfugge.
Chi vorrà continuare a spendere risorse inutili cercando in prima persona sarà in ogni caso indirizzato.
Si potranno redigere dei “piani culturali quinquennali”.
Esempio banale: se si deciderà che la molestia sessuale è da bandire senza “se” e senza “ma” o che la famiglia tradizionale non esiste, per cercare un’opinione eccentrica dovrete sudare sette camice, sarà più facile tornare in biblioteca.
Siamo in piena terza fase. Siamo in fase “cannibalismo”, G sa bene che come arbitro neutrale ha già massimizzato i suoi profitti, ora deve inclinare il campo per andare oltre.
Un tempo “navigavate sulla rete”, oggi la rete non esiste più, esistono le App che vi fanno navigare, ma con il pilota automatico incorporato. Su “A” ormai è tutto una App.
Già oggi sono in molti a comunicare tra loro via Appaggirando il web e consegnandosi al vento soffiato dal GAF.
All’interno del web si crea un web virtuale da cui non si esce. E intanto il web autentico avvizzisce.
Non muore di botto, intendiamoci. Come tutte le tecnologie muore perché viene gradualmente messo da parte, non offre più granché, diventa sempre meno attraente.
In sintesi potremmo dire che il GAF ha “melificato” il web.
Il precursore del GAF è infatti Apple: con il suo mondo chiuso fatto solo di brand loyality ha dettato la linea, e ben presto non ci sarà più alcun mondo aperto.
Internet sopravvive al web, ovvio: il GAF funziona ancora con quei cavi sottomarini! Ma su quei cavi ora viaggia il GAF (o Trinet, come lo chiama qualcuno), non più il web.
Non siamo ancora abituati al GAF, abbiamo ancora unamentalità da internauti, ci pensiamo come liberi, non adottiamo le dovute correzioni mentali, diamo per assodata l’anonimia e il controllo assoluto su cio’ che condividiamo, diamo per scontata la facilità con cui far partire una start up con tanto di server indipendenti.
Dimentichiamo che il web non c’è più, che, per esempio, essere permanentemente bannati da F avrà sempre più gli effetti di una scomunica della chiesa cattolica medievale. E nessun tribunale potrà mai reintegrarci perché noi non abbiamo nessun diritto ad un account su F.
Che fare? Tornare indietro? Stare fermi a colpi di sentenze “democratiche”?
Per molti – quelli della difesa delle piccole librerie, tanto per capirsi – la soluzione è quella: museificare il passato e congelarlo così.
Tuttavia, la parte finale del punto 3 offre una soluzione diversa, in particolare quando dice che: “il cannibalismo esagerato incentiva l’emergere di nuove piattaforme”.
E allora ecco: che la politica non si spenda per la difesa del vecchio ma casomai per l’emergere del nuovo. 
Meno regole, più piattaforme.
E se le nuove piattaforme non emergeranno, vorrà dire che il GAF avrà saputo autolimitarsi. Bene!
Bene! Sì, bene. bene perché non ho certo l’intenzione di suonare catastrofista: sia chiaro che, così come mi fido più delle lobby che del parlamentimi fido più del GAF che delle istituzioni democratiche.
Si puo’ vivere bene anche sotto il regno del GAF. Non mi sembra che Apple abbia rovinato chi si è rintanato nella sua bolla.
Saranno contenti poi i “piangina” della “società liquida”, quelli per cui l’ “atomizzazione”, l’ “isolamento” e l’ “individualismo cieco” e bla bla bla.
Ora che saremo tutti irregimentati nel GAF la smetteranno di frignare. [Non penso proprio: 1) è nella loro natura e 2) la società del piagnisteo continuerà a premiarli]
***
Tanti anni fa (più di dieci), quando eravamo ancora in piena epoca web, sul forum della trasmissione radiofonica Fahrenheit si discuteva ogni 2 giugno di repubblica e monarchia. Ero l’unico a perorare la seconda ipotesi stando ben attento a precisare che i monarchi che avevo in mente non erano quelli tradizionali, che non si trattava quindi di tornare indietro, che non ero certo un reazionario. Tutti allora mi chiedevano con insistenza: “ma a chi pensi dunque?” Allora non sapevo esprimermi con chiarezza. Oggi è più facile: avevo in mente qualcosa tipo il GAF.
Con questa precisazione, chi più di me è titolato a dire “si puo’ vivere bene anche sotto il GAF”? Chi più di me non è imputabile di catastrofismo’
morte del web