Occorre al più presto una teoria dell'arte che spieghi le brutture della contemporaneità ma anche la condizione paradisiaca degli amanti dell'arte.
La premessa, naturalmente, è che la china presa sia decadente, non tutti infatti sono pronti ad accettarlo. L'eventuale teoria sarà allora tanto più credibile quanto più sia in grado di spiegare entrambi i fenomeni: scadimento oggettivo e diniego piccato dei fatti da parte di molti addetti ai lavori.
La mia ipotesi preferita è quella della playlist, si parte dal presupposto che la modernità abbia comportato un'esplosione della ricchezza, del tempo libero e della domanda di arte. Gente che fino a ieri avrebbe dedicato il week-end a compilare la schedina del totocalcio oggi si aggira famelica nei corridoi dei molti musei gratuiti. In queste condizioni, come per tutti i servizi alla persona, anche l'offerta si moltiplica e ogni artista si specializza in cerca della sua nicchia. Aggiungo che con la rivoluzione telematica le barriere all'ingresso nelle professioni creative si sono drammaticamente abbassate, il che significa che in giro c'è molta immondizia. Ma anche trascurando l'arte prodotta da chi non ha talento artistico, quella degli "specialisti" risulta necessariamente sempre più piatta, monotona, intellettuale, idiosincratica, ossessiva ed inevitabilmente noiosa; poiché la bellezza richiede invece varietà e completezza l'arte contemporanea ci appare ed è brutta; in molte dichiarazioni programmatiche si fa esplicitamente riferimento all'intenzione di espellere la bellezza dall'arte. Ce n'è abbastanza anche senza aggiungere che l'abbondanza generalizzata desacralizza l'opera e la perdita d'aura difficilmente giova.
Tuttavia, e qui scatta il paradosso, l'esperienza estetica dello spettatore puo' essere più soddisfacente che in passato poiché saltabeccando da un artista all'altro (ce ne sono milioni di buon livello) puo' ricostruire autonomamente quella varietà e completezza così imprescindibili per la bellezza. L'assenza di capolavori è compensata dalla possibilità di comporre una playlist "capolavoro". E' un po' come farsi il poke o comporsi il gelato in modo autonomo, la soddisfazione finale è notevole. Ogni opera contemporanea si presenta come un orribile moncherino amputato ma facente parte di uno splendido corpo che siamo chiamati a ricostruire, l'esito puo' essere molto soddisfacente.
p.s. C'è già stato un periodo storico in cui la bellezza fu chiamata ad emergere da un assemblaggio in cui la molteplicità di intelligenze all'opera fu chiamata provvidenzialmente a correggere l'inevitabile squallore prodotto dal "progettista unico", fu il gotico con le sue magnificamente imperfette cattedrali. L'opera era talmente grandiosa che, per povertà di strumenti e a malincuore da parte delle archistar dell'epoca, molte sue parti venivano date in appalto ad artigiani locali, da qui le asimmetrie, le imperfezioni, le incoerenze e i maldestri gargoyle che adornavano questi sublimi oggetti architettonici. L'etica cristiana contribuì allo sdoganamento dell'umile lavoro semi-dilettantesco: dài il massimo e, a prescindere dal risultato, ti guadagnerai il paradiso al pari dei Santi. Idea inconcepibile per i greci, condannati ad un' arte noiosamente levigata e con la perfezione sempre nel mirino. Parlo da reduce dalla valle dei Templi e dai suoi proto-casermoni. Bè, le molte contigue verdissimi valli senza templi non sono da meno. Insomma, di archi a tutto sesto ce n'è uno, di archi a sesto acuto centomila, e questo dice tutto.