lunedì 8 settembre 2014

L' asimmetria tra etica ed estetica

1) Ascoltata l' episodio biblico che narra il fratricidio di Caino concludiamo che Caino ha torto.

2) Ascoltato l' Adagio di Samuel Barber concludiamo che è bello.

3) Richiesti di giustificare il primo giudizio diciamo: "penso che esista un principio etico per cui non è consentito uccidere un innocente, quindi Caino ha torto".

4) Richiesti di giustificare il secondo giudizio diciamo: "penso che esista un principio estetico per cui disporre i suoni in quel modo è corretto, quindi l' Adagio di Barber è bello".

5) Se le giustificazioni 3) e 4) fossero entrambe conformi al senso comune, allora tra etica ed estetica esisterebbe una simmetria conforme al senso comune e sarebbe giustificata una meta-etica e una meta-estetica omogenee dal punto di vista filosofico.

6) Penso però che la giustificazione espressa in 4) non sia conforme al senso comune. Sarebbe più plausibile dire: "l' Adagio di Barber riesce ad evocare in chi lo ascolta emozioni nobili e autentiche, per questo è bello".

7) Se davvero il giudizio estetico espresso in 6) fosse conforme al senso comune quanto il giudizio etico espresso in 3), allora tra etica ed estetica si produrrebbe un' asimmetria: il giudizio etico è giustificato dalla ragione facendo appello ad un principio intuito grazie alle nostre facoltà intellettuali. Il giudizio estetico è giudicato grazie ad un' esperienza nella quale sperimentiamo emozioni (o la memoria di emozioni) autentiche.

8) Se le cose stanno come detto in 7), allora occorre una meta-etica cognitiva (realista) e una meta-estetica non-cognitiva (anti-realista).

9) Prima possibile obiezione: anche il giudizio etico puo' essere in realtà giustificato da un sentimento di ripugnanza: la figura di Caino ci ripugna e noi lo condanniamo.

10) Risposta alla prima possibile obiezione: avremmo condannato fermamente Caino anche se l' avessimo chiamato "A" e inserito in una storia asettica che non suscita ripugnanza, in cui magari si uccide premendo un bottone. In questo caso il sentimento di ripugnanza difficilmente avrebbe influenzato il nostro giudizio.

11) Concessione alla prima possibile obiezione: non si puo' negare che il sentimento di ripugnanza abbia un ruolo in taluni giudizi etici. In questo senso l' etica puo' essere vista come divisa in due: principi di base (cognitivi) e limiti ai principi + precetti secondari (non cognitiva). Deontologia e virtuismo possono convivere e forse questa distinzione è la base della laicità.

12) Seconda possibile obiezione: il giudizio espresso in 4) non è poi così difforme rispetto al senso comune. Il formalismo in fondo esprime giudizi di questo tenore.

13) Risposta alla possibile seconda obiezione: se accettassimo 4) per giudicare l' opera basterebbe descriverla anziché sperimentarla. Esempio, se leggessi i primi undici suoni di una serie dodecafonica potrei anche concludere che manca il do diesis per completare la serie, allo stesso modo se ascoltassi quella serie suonata potrei dire che un do diesis finale completerebbe bene la frase. Ma il primo giudizio (grammaticale) non equivale al secondo (estetico). Il primo puo' essere fatto sulla carta, il secondo deve nascere da un' esperienza di ascolto.

13) Conclusione: l' etica predilige una filosofia realista, l' estetica predilige una filosofia anti-realista.

sabato 6 settembre 2014

Per una teoria estetica anti-realista

Realismo o anti-realismo?

Premessa: entrambe le posizioni si sposano con l' oggettivismo.

E' anche vero che oggettivismo e realismo è l' accoppiata vincente: se un' opera mi appare bella allora la sua bellezza è qualcosa di reale che posso descrivere. Se un' azione mi pare buona, allora la sua bontà è qualcosa di reale che possono descrivere.

In realtà, però, il parallelo tra arte ed etica è problematico: l' oggetto dell' etica sono i valori umani. Assumendo il principio della "fallacia naturalistica", non ci sono altre discipline con il medesimo oggetto. L' arte si occupa delle emozioni umane. Anche la psicologia si occupa delle emozioni umane descrivendole puntualmente.

L' arte deve quindi differenziarsi da approcci concorrenti al medesimo oggetto, esigenza che l' etica non ha. Lo fa rinunciando alla "descrizione" in favore dell' "espressione". L' espressione ci parla di cio' che sfugge alla psicologia e a qualsiasi approccio descrittivo. L' espressione fa appello a un' esperienza interiore di emozioni da condividere con l' artista: il sentimento della bellezza emerge quindi dentro di noi (anti-realismo) da questa condivisione sincera. Essendo un' esperienza cessa di essere un attributo dell' opera d' arte.


venerdì 5 settembre 2014

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Musica e solipsismo

Nel linguaggio la vaghezza ha anche una doppia funzione positiva 1) sviluppare conoscenza comune (gli esempi non mancano) e 2) far cooperare più soggetti alla ricerca di verità.

La musica è un linguaggio vago che 1) ci unisce e 2) ci dice chi siamo realmente. Comunità e Verità.

Ma come possono essere legati verità e vaghezza? Attraverso la comunione per simpatia tra autore e ascoltatore.

Un esempio banale per farsi un' idea: se due soggetti guardano un oggetto blu diranno di vedere entrambi un oggetto blu, ma come possono essere sicuri di intendere per "blu" la stessa cosa? In altri termini, come possono essere sicuri di provare la stessa sensazione di fronte ad un oggetto blu? Non esiste questa garanzia, puo' darsi che di fronte a quell' oggetto il primo soggetto provi le stesse sensazioni che il secondo soggetto prova rispetto ad un oggetto giallo. L' equivoco di fondo è sempre possibile poiché le convenzioni linguistiche sono impotenti nell' affrontarlo, non esistono parole precise per esprimere l' esperienza del guardare un oggetto blu, e se questo vale per i colori, gusti e suoni, vale ancora di più per le emozioni e i valori. La nostra conoscenza più importante è di tipo "solipsistico". L' intuizione è al centro di tutto e la musica lavora proprio sull' intuizione interiore di chi è chiamato a comprenderla.

La musica (e l' arte in generale) cerca in ultima analisi di colmare il nostro solipsismo, di diminuire le probabilità di equivoco con l' altro. L' arte crea una simpatia tra noi e l' autore riducendo gli equivoci a cui è sempre esposto il resoconto dell' esperienza interiore. Comunità e verità, quindi.

lunedì 1 settembre 2014

Come uscirne

La crisi di bilancio stronca l' economia dell' Occidente, e con l' invecchiamento della popolazione andrà sempre peggio. Siccome sembra che al welfare non s' intenda rinunciare e siccome "tagliare gli sprechi", "vendere il patriomonio e "tassare i ricchi" sono manovre del tutto insufficienti, ecco un' alternativa, o meglio, un aggiunta:

1) far pagare i servizi a chi puo' permetterselo (ISEE a tutto campo), a cominciare da scuola e sanità.

E' vero, cio' crea un impoverimento generalizzato ma che è comunque compensabile grazie a globalizzazione e nuove tecnologie. In altri termini, alla stagnazione dei salari reali (w\p) rispondere agendo su p. Il low cost è una realtà in espansione: viaggi, mobili, case e consumi vari si possono realizzare anche grazie a low cost sempre più aggressivi.

Funzioni del rito


  1. fissa dei punti focali alla Shelling (convenzioni neutre ma utili); producono conoscenza comune, un bene indispensabile al coordinamento sociale;
  2. raccoglie la sapienza di una moltitudine di menti, essenziale in un mondo complesso (tradizione hayekiana)
  3. esercita alla ripetizione rafforzando il classico vantaggio evolutivo dell' uomo sugli altri animali (trasmissione culturale) vedi il lavoro di Joseph Heinrich
  4. crea un mondo apparente e spesso l' apparenza basta alla nostra felicità, o comunque costituisce una buona premessa.
  5. è un modo per produrre sincerità nell' adesione al gruppo. Una specie di macchina della verità in assenza di meglio.
  6. rafforza l' adesione al gruppo.
  7. promuove la vicinanza stornando l' imbarazzo: pensa ai funerali o alle preghiere dette insieme dopo un litigio.
  8. crea una passività attiva laddove l' inazione è la soluzione migliore.
  9. fissa i canoni della bellezza e consente ad ogni membro di esperirla di persona.
  10. Coetzee in "vergogna": "Non c’è niente di male nei rituali, sono stati inventati per facilitare i passaggi imbarazzanti"--
  11. Il rito coordina e crea conoscenza profonda nell'affermazione dei valori. Inoltre, l'energia emozionale si amplifica quando facciamo tutti e tutti assieme la stessa cosa. robin hanson the age of em

mercoledì 13 agosto 2014

Haidt and the Moral Foundations of the Welfare State, by Bryan Caplan http://econlog.econlib.org/archives/2014/08/haidt_and_the_m.html

giovedì 7 agosto 2014

Il lettore nel nuovo millennio

Mi riallaccio a un commento molto pregnante postato da F. Pecoraro sulla discussione che è avvenuta sul tuo profilo FB. Anch’io - che comunque sono sempre stata lettrice forte di narrativa e saggistica, e quindi se ho capito bene non faccio testo - leggo forse anche più di prima, ma ho sempre il tablet accesso, sono sempre sui social, zompo dall’ebook alla rete con una velocità che fa impressione anche a me, ho almeno tre libri di carta iniziati e li leggo a spizzichi fra una chiaccherata su FB e tre post sui vari, moltissimi blog che seguo, un paio di condivisioni, un video su youtube. È un tipo di lettura diversa, e non me la sento di affermare che sia meno concentrata o di valore inferiore rispetto a quella “novecentesca” a cui mi dedicavo fino a dieci anni fa. I tomi di sette, ottocento pagine non riesco più a leggerli, non importa quanto li trovi interessanti, intriganti, importanti, addirittura imprescindibili. Quelli che non ho letto nell’era precedente a questa so che ormai non li leggeró più - a meno che non mi servano per lavoro - e mi sono già messa il cuore in pace. Quello che mi stupisce è che ci siano ancora scrittori che ne partoriscono di volumi così e in tutta franchezza temo che siano delle ciofeche oppure dei cliff hanger, libri strutturati apposta per tenerti col fiato sospeso e farti arrivare alla fine. Ecco, di libri così non ho mai sentito il bisogno: ho letto con molta soddisfazione Finnegan’s Wake ormai due decenni orsono, che è tutt’altro che un cliff hanger - si vede che all’epoca ce la facevo. Ora mi sarebbe impossibile, e non perché sono invecchiata o cecata io, ma perché questa nuova pratica di lettura, interconnessa, frammentaria, transmediale, personalmente mi piace, mi diverte, mi soddisfa molto di più.


Mi ritrovo nel post di claudia (22.7 10.36). Il mio percorso di lettore è ben descritto nel suo resoconto, del quale sottoscrivo ogni parola. Con un’ aggiunta, ovvero un mutamento nelle preferenze personali. Noto infatti una decisa transizione dalla letteratura alla saggistica. Chissà che anche questa variante non sia imputabile a quella strumentazione tecnologica che tanto ha contribuito a frammentare la lettura. In fondo è la stessa strumentazione che agevola il contatto e la discussione con terzi, magari terzi sconosciuti: ed è molto più facile dilungarsi a discutere la tesi contenuta in un saggio che non l’ evocazione esalata da un verso.

Speriamo solo che questo mutamento nella mia “domanda” di lettore non sia condiviso dalla maggioranza, così da riorientare l’ offerta. Non sia mai. Molti scrittori, già oggi, non vedono l’ ora di riconvertirsi degradando le loro qualità per farsi “decifratori del reale”. Scrivono romanzi sognando di scrivere saggi. Li vedo ansiosi di rimpiazzare le affidabili quanto noiose metodologie quantitative con qualcosa che sia alla loro portata, qualcosa di “romanzesco”. Magari qualche bolsa allegoria con cui appesantire i loro testi. Temo il rischio si affievolisca quell’ intimità di relazione con le cose descritte che, se da un lato rappresenta un’ epistemologia decisamente scadente, dall’ altro è essenziale per avere un prodotto artistico. Già oggi, troppo spesso, l’ artista intervistato intona il suo “resistere, resistere, resistere!” fuori luogo. Questo uomo di mondo, una volta sul proscenio, resiste a tutto, anche a parlare del suo libro. A tutto, tranne che ad esecrare un qualche disegno di legge in itinere.

Amazon vs Hachette

Certo che se Amazon fa propaganda la fa bene, l’ altro giorno ho comprato un e-book del 1998 a 15 euro e ancora fremo di rabbia, guardacaso proprio per i motivi elencati nel link! Ecco, uno è già un po’ incazzato per certi prezzi, e poi si sente anche dire che a pretenderli così alti sono gli editori, i quali attaccano Amazon perché non vorrebbe mai superare una certa soglia…. beh, come minimo non sono nelle condizioni psicologiche adatte per “lottare contro il monopolio”, ho piuttosto la netta sensazione che un salsicciotto caldo (non vagamente promesso ma già servito in tavola) mi sia stato sfilato dal piatto.
“Ma se poi il libro l’ hai comprato allora gli editori in fondo avevano ragione…”. Nel mio caso sì ma in generale sembrerebbe di no. Questa ricerca ( http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=450220) per esempio conclude che “… a 1 percent drop in price — a mere 25 cents on a $25 book — increased the number of units sold by 7 percent to 10 percent…”.
Che poi Amazon - con self-publishing, bundling e quant’ altro si inventerà - faccia bene anche agli autori non è affatto certo: la torta sarà più grande ma non è detta che lo sia anche la loro fetta. L’ importante è che faccia bene al consumatore, di cui il lavoratore (creativo e non creativo) è al servizio. Ma forse questa è ideologia.
Certo che capisco gli editori, si preoccupano per la distribuzione al dettaglio che si assottiglia e ora devono anche preoccuparsi della fuga degli autori. E nemmeno la “fuga” di argomenti che possano far presa su persone neutrali non gioca certo a loro favore.
Gridano: “monopolio”. Ma il concetto di “monopolio” produttivo è piuttosto vago se preso in sé, non sappiamo bene nemmeno quali prodotti siano in concorrenza tra loro: ieri sono andato al negozietto per comprare il Corriere ma poi ho visto la Nutella in occasione e ho investito tutto nel barattolone famiglia. Non mi sarei mai aspettato che Corriere della Sera e Nutella fossero in concorrenza ma ieri ne ho avuto la riprova. E allora non basta lanciare allarmi su concetti vaghi (monopolio, bibliodiversità…), per smuovere l’ antitrust bisogna indicare i danni reali ricevuti dal consumatore.

venerdì 1 agosto 2014

Metafisica

La metafisica studia l' essere in quanto tale e non nelle sue specificazioni, come fa invece la scienza. Atto, potenza, forma, materia, essenza, esistenza, sostanza, accidente... sono tutti aspetti dell' essere. L' essere è il concetto più ampio della metafisica, di conseguenza non puo' appartenere a qualcosa di più generale.

L' essere è una realtà trascendentale, che viene prima di tutte e che comprende tutte le altre. Le realtà trascendentali non possono essere ripartite poiché non vi è nulla di più generale di cui possono essere parte. Lo studio dell' essere è l' ontologia.

Parmenide nega il divenire: poiché nel cambiamento una cosa ne causa un' altra, in generale dovremmo poter dire che il non-essere causa l' essere. Ma questo è impossibile.

Aristotele rende conto del cambiamento distinguendo tra atto e potenza (l' essere in atto deriva dall' essere in potenza e non dal non-essere).

La causa del passaggio dalla potenza all' atto è sempre un ente attuale.

La catena di cause contingenti possono regredire all' infinito nel tempo ma la catena di cause necessarie hanno una causa prima, altrimenti non potremmo definire come necessari i suoi effetti. La catena necessaria è simultanea (fuori dal tempo) e la "necessità" di cui parliamo riguarda la logica più che la fisica.

La causa efficiente e proporzionata già contiene i suoi effetti (in potenza). Causa ed effetti esistono quindi contemporaneamente, l' asincronia riguarda solo le modalità (atto/potenza) degli enti coinvolti. Cio' spesso non è compreso da chi interpreta la causa aristotelica nel senso moderno.

La causa prima già contiene i suoi effetti (in potenza) ed è sempre attuale. Se una causa prima non esistesse non esisterebbero neanche gli effetti che invece possiamo constatare, questo perché causa ed effetto sono contemporanei e la diacronia riguarda solo le modalità potenza/atto.

Forma e materia caratterizzano l' ente anche se, contrariamente ad atto e potenza, non li caratterizzano tutti. Gli angeli, per esempio, hanno una forma ma sono immateriali.

Altra distinzione importante è quella tra oggetto e fenomeno. L' oggetto ha una sua fisicità e le sue proprietà possono essere ben rese attraverso descrizioni fisiche. Il fenomeno è inestricabilmente legato alla coscienza umana e non puo' essere compreso in assenza di coscienza. Per esempio, il suono è da molti ritenuto un fenomeno poiché il sordo non puo' comprenderlo appieno, per quanto comprenda perfettamente il resoconto oggettivo che lo descrive.

Un cambiamento puo' essere sostanziale o accidentale. Nel secondo l' ente non perde la sua natura. La parte accidentale dell' ente dipende dalle circostanze mentre la parte sostanziale è indipendente.

Capire significa dar conto delle 4 cause: materiale (da dove deriva la materia dell' ente), formale (da dove deriva la forma dell' ente), efficiente (da dove deriva l' ente) e ultima (dove è destinato l' ente). la causa efficiente (necessaria) sembra vicina al senso comune ma spesso viene equivocata poiché non puo' essere compresa disgiuntamente dalla causa finale, che invece è ripudiata dalla modernità. La causa efficiente incarna la legge predisposta per realizzare la causa finale.

L' essenza è cio' che rende un ente tale. Si distingue dall' esistenza perché noi possiamo capire l' essenza di un ente anche senza sapere se esiste. L' unico ente in cui esistenza ed essenza coincidono è Dio.

Cosa distingue sostanza ed essenza? Se si prescinde dall' aspetto materiale sono sinonimi. Noi non possiamo conoscere la sostanza di un ente a prescindere dalla sua esistenza mentre possiamo conoscere la sua essenza.

Realista è colui che crede nell' esistenza delle essenze, per esempio Platone. Tommaso credeva che le essenze esistessero realmente, ma mai disgiunte dall' ente. Tuttavia riteneva che le essenze fossero concepibili anche in modo disgiunto dall' ente (avevano cioè un' esistenza mentale come concetti). Era dunque un realista moderato o "realista immanentista".

Il significato di un termine è la realtà esterna a cui si riferisce, indipendentemente da cio' che conosciamo o consideriamo della realtà designata da quel termine. Il senso di una parola è invece la realtà designata per come la conosciamo o per quel che la consideriamo nel discorso che stiamo facendo. Esempio: Edipo vuole sposare Giocasta. Giocasta significa una persona che è la madre di Edipo ma la parola, nel discorso di Edipo, non ha certo qual senso. Senso e riferimento di un termine non sono la stessa cosa.

Analitico è un giudizio vero in virtù del suo senso. Sintetico è invece un giudizio da verificare a prescindere da cio' che significa. Molti dubitano che una distinzione del genere abbia senso ma siccome tutti sappiamo dividere i giudizi secondo questo criterio non si vede perché mai dovremmo rinunciarvi.

Una conoscenza a priori è giustificata a prescindere dall' esperienza, una conoscenza a posteriori non puo' prescindere dall' esperienza. Cio' non toglie che la prima possa dipendere da una esperienza, magari pregressa. Si dice solo che non è giustificata da alcuna esperienza ma è valida per l' appunto a priori.

Due pezzi di carta bianchi hanno in comune la bianchezza mentre hanno di specifico il fatto di essere due pezzi di carta. Cio' che hanno in comune è detto Universale. Cio' che hanno di specifico è detto di particolare.

Gli Universali esistono? Se credi di no allora sei un nominalista se credi di sì sei un realista. Francamente non si capisce bene perché mai non dovrebbero esistere visto che di loro chiunque di noi ne parla come se esistessero.

Gli universali esistono a prescindere dai particolari? Se credi di sì allora credi in una conoscenza trascendente (o platonica) se credi di no allora credi in una conoscenza immanentista. Forse l' immanentismo è la posizione più legata al senso comune, d'altronde noi facciamo esperienza degli universali sono venendo a contatto con i particolari.

La posizione immanentista sugli universali non rinnega necessariamente la trascendenza: si puo' essere realisti immanentisti e dualisti sostanzialisti. Si puo' credere cioè nell' anima: una realtà trascendentale concepibile anche separatamente dai corpi. (Per una difesa del dualismo sostanzialista vedi The evolution of the soul]

Fondamento. Una credenza è fondata quando è dedotta da credenze fondate. Ma esistono anche credenze fondate sull' auto-evidenza: quelle logiche fondamentali, quelle matematiche fondamentali... e secondo gli epistemologi riformate anche altre: quelle circa la realtà esterna, la mente, le cause... e anche la credenza in Dio. Anche realtà trascendentali possono quindi essere auto-evidenti.




mercoledì 30 luglio 2014

Cechov e l' anti-borghese

L' Ottocento è un profluvio di letteratura anti borghese. Da Tolstoj a Flaubert, il borghese è solo un rozzo benpensante privo di idealità.

Ma comincia a farsi largo anche un altro tipo: l' anti-borghese inetto. Di solito è un borghese che ripudia in qualche modo le sue origini per tentare delle vie alternative. La sua goffaggine scatena in noi sentimenti contrastanti: ilarità mista a patetismo e disprezzo.

Ho incontrato questo tipo nei racconti di Cechov. Mann, nel Novecento, saà un maestro nel dipingere questa forma di velleitarismo tipico dell' artista dilettante e negato. Anche lo Zeno Cosini di Svevo rientra nel mucchio.

Beard e Leeson

Lette ampie parti dal volume donatomi e proveniente dalla biblioteca di tuo papà: C. A. Beard, Interpretazione economica della Costituzione degli Stati Uniti d' America.

La critica alla Costituzione USA è senza appello: sarebbe stata il frutto di una convergenza degli interessi meramente materiali di cui erano portatori i Padri Fondatori. Reazioni generalizzate di scandalo dei lettori di allora: un attentato alle più sane istituzioni del vivere civile.

Mi ha ricordato un lavoro curioso di Pete Leeson sui pirati, anche lui descrive, adottando il medesimo approccio di Beard, nel frattempo diventato più comune, la nascita di una costituzione ben più modesta, quella dei corsari caraibici.

Nonostante i "pirati", la loro organizzazione non era male. La Tortuga era retta da una democrazia costituzionale, l’ equipaggio tipico delle navi d’ assalto era un’ impresa cogestita dai lavoratori, ogni razzismo era bandito dalla comunità, vedove e orfani dei caduti venivano assistiti vita natural durante, non esisteva coscrizione obbligatoria...

Ricordo solo che il core business settecentesco dei Pirati era l’ abbordaggio e la depredazione delle navi battenti bandiera Inglese e Spagnola. Spagna e Inghilterra, ovvero organizzazioni assolutiste, razziste, con leve obbligatorie schiavizzanti e senza lo straccio di un welfare.

Perché le istituzioni piratesche erano tanto diverse? Leeson: perchè erano guidate dalla mera avidità, una ciurma di pirati è la quintessenza dell’ avidità. Democrazia, anti-razzismo, welfare, cogestione, volontarietà del servizio… unite ad un ottimo branding come la bandiera teschio con tibie incrociate su fondo nero (“nessuna pietà per chi resiste, incolumità per chi desiste”) consentivano di ottimizzare l’ entità dei bottini, e quindi erano soluzioni da adottare.

Insomma, l’ approccio istituzionale di Leeson è lo stesso di Beard ma il primo non vede il bicchiere mezzo vuoto come il secondo, bensì quello mezzo pieno: sebbene la presenza dei pirati sia un male in sé, la loro “avidità istituzionalizzata”  lo attenua anziché esacerbarlo.

Ebbene, considerata a fianco di quella americana - dalle origini tanto turpi - la Costituzione italiana e la sua origine idealistica che ancora infiamma tanto i cuori (purché rossi), vale la pena di considerare i paradossi di Leeson.

Non posso non citare il titolo strepitoso del lavoro di Leeson: “The invisible hook”.
p.s. Leeson potrebbe far pensare anche Saviano, altro autore che si occupa di organizzazioni criminose denunciando in modo allarmato il connubio tra avidità e razionalità.

lunedì 28 luglio 2014

Teologia classica e teologia personalistica

Sono due teologie fondamentali. La prima deriva direttamente dal razionalismo di San Tommaso D' Aquino, la seconda è più legata alla contemporaneità. Di seguito elenco le 4 differenze fondamentali.


  • 1 TC sostiene la semplicità assoluta di Dio. Come la semplicità è premessa per la composizione, così Dio è la premessa per l' esistenza del mondo. La semplicità di Dio ha diverse conseguenze. Per esempio, poichè Dio è semplice è anche immutabile e impassibile. TP deriva invece l' idea di Dio da quella dell' uomo grazie ad analogie: Dio è un "uomo" senza limiti (eterno, onnipotente, onnisciente, perfetto...) ed è causa dell' universo nel senso che ne è l' architetto (ID). In questo senso Dio non è "semplicità assoluta".
  • 2) TC crede nel principio di "conservazione": il cosmo cesserebbe all' istante di essere qualora Dio non lo sostenesse. TP vede Dio come creatore che osserva, interviene e giudica la sua libera creatura. I miracoli, per esempio, sono una forma d' intervento divino. Per TC il rapporto di Dio con la sua creatura è molto più "intimo".
  • 3) Il Dio perfetto della TP assomiglia ad un uomo perfettamente virtuoso che non commette mai il male. Ma questo è un concetto assurdo per TC poiché attribuire a Dio un comportamento morale non ha senso. Il Dio perfetto di TC è una realtà piena, e quindi perfettamente buona poiché il male è definibile come una diminuzione della realtà. TC enfatizza cio' che Dio è, PT è più interessato a  cio' che dio fa da cui inferire una definizione.
  • 4) TC e TP utilizzano il linguaggio in modo differente. Poiché TC descrive un agente collocandolo fuori dal tempo, cadrebbe continuamente in contraddizione se non precisasse che utilizza il linguaggio secondo "analogia tomistica". TP è più libero di arguire utilizzando le analogie semplici del discorso quotidiano.


Classical theism e personal theism
  • The classical theist tends to start from the idea that whatever else God is, he is essentially that reality which is absolutely ultimate or fundamental, and the source of all other reality.   Different classical theists might spell this basic idea out in different ways.  The Aristotelian will emphasize the thesis that unlike everything else that exists, God is not a mixture of actuality and potentiality but is instead pure actuality or actus purus.  Neoplatonism emphasizes that unlike everything else in reality, God is in no way composed of parts, either physical or metaphysical, but is absolutely One, simple, or non-composite.  Thomists will emphasize that God is not “a being” alongside other beings, and does not merely “have” existence; rather his essence just is existence.
  • Theistic personalists, by contrast, tend to begin with the idea that God is “a person” just as we are persons, only without our corporeal and other limitations.  Like us, he has attributes like power, knowledge, and moral goodness; unlike us, he has these features to the maximum possible degree.  The theistic personalist thus arrives at an essentially anthropomorphic conception of God.
  • Classical theists insist that God is absolutely simple or without parts; 
  • theistic personalists tend to reject the doctrine of divine simplicity. 
  • Classical theists also insist that God is immutable, impassible, and eternal in the sense of outside time altogether, while theistic personalists tend to reject these claims as well.  
  • These differences also affect how the two views interpret claims about God’s omniscience, will, goodness, and sovereignty, with theistic personalists tending to interpret these in a more anthropomorphic Paley-style “design arguments” have at least a tendency in the theistic personalist direction.
continua




http://edwardfeser.blogspot.it/2010/09/classical-theism.html

http://edwardfeser.blogspot.it/2012/07/classical-theism-roundup.html