martedì 3 dicembre 2019

OCCHI BLU

Quello che segue è probabilmente il quiz di logica più sorprendente che io abbia mai incontrato. C'è persino chi l'ha definito il più difficile! Da alcuni commenti in giro per il web sono venuto a sapere che esistono due risposte entrambe corrette. A me non sembra. Comunque, eccolo.
C'è un'isola in cui abita una tribù molto particolare. Adorano il "dio degli occhi". La religione che praticano proibisce loro di conoscere il proprio colore degli occhi, o anche solo di discutere l'argomento; quindi, ogni residente può vedere gli occhi altrui ma non sa niente dei propri (non esistono specchi o superfici riflettenti). Ma c'è di più, se un membro della tribù dovesse scoprire per un caso fortuito il colore dei propri occhi è tenuto dalla crudele religione praticata al suicidio rituale a mezzogiorno in punto del giorno seguente la scoperta nella piazza del villaggio, si tratta di un atto pubblico che deve essere conosciuto da tutti. I membri della tribù sono devoti ma anche molto razionali. Non solo, sanno perfettamente di esserlo.
Un giorno, una esploratrice straniera dagli occhi azzurri visita l'isola e conquista la fiducia completa della tribù. Il giorno della partenza tiene un discorso per ringraziare dell'ospitalità. Tuttavia, non conoscendo le abitudini del posto, fa l'errore di pronunciare di passaggio queste ferali parole: "... è davvero insolito vedere in questa regione persone dagli occhi blu come me...".
Che conseguenza avranno queste parole? Poniamo per semplificare che gli indigeni con gli occhi blu siano 100. In fondo le parole della visitatrice non fanno che confermare quanto tutti sanno. O no?

SOLUZIONE

Pensa se l'indigeno con gli occhi blu fosse uno solo? Si suiciderebbe il giorno successivo.

Pensa se fossero due. Si suiciderebbero due giorni dopo. Perché? Perché ognuno dei due si aspetterebbe il suicidio dell'altro il giorno dopo. Non registrando alcun suicidio saprebbe entrambi di avere gli occhi azzurri e si suiciderebbero due giorni dopo.

Se le persone con gli occhi azzurri fossero 100 si suiciderebbero tutti 100 giorni dopo.

Informazioni su questo sito web
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Directed by Stephen Priest, the video for "Blue Eyes" (from Elton's 1982 album Jump Up) was filmed on Sydney's famed Bondi to Bronte coastal walk. Elton was ...

lunedì 2 dicembre 2019

I DUE GENERALI

Ripropongo un quiz che mi ha sempre incasinato la testa e che a suo tempo mi ha fatto litigare di brutto con il mio amico Davide Curioni.
Io e te siamo due generali che devono coordinare un attacco al nemico. L'attacco avrà successo solo se entrambi lo porteremo insieme nello stesso giorno quando il nemico è vulnerabile. Fortunatamente, una volta che il nemico è tale lo resterà per sempre. Dalla mia posizione (sud) posso osservare direttamente che il nemico è vulnerabile sul versante sud, e questo ho già avuto modo di comunicartelo. Dalla tua parte (nord) devi invece inviare uno scout che non si sa bene quando tornerà. Siamo d'accordo che una volta appreso che il nemico è vulnerabile anche a nord, invierai un piccione che potrò avvistare nel cielo. A quel punto potremo attaccare a colpo sicuro. C'è so un problema, il tuo piccione impiegherà un giorno o due per completare il viaggio.
Oggi vedo il tuo piccione volare, il che mi conferma che il nemico vulnerabile anche a nord e che lo sai anche tu. Posso procedere all'attacco? E se non posso quando devo procedere? In altri termini, il giorno in cui arriva il tuo piccione mi informa che sai tutto anche tu. Dovrei attaccare. Ma lo farò? Da quando hai mandato un piccione so che sai che il nemico è vulnerabile. Ma in che giorno hai mandato il tuo piccione?

SOLUZIONE
Non esiste soluzione senza rischio.
TU: oggi mando il piccione, ma è rischioso per me attaccare il giorno dopo l'invio visto che tu potresti non averlo avvistato.

IO: oggi avvisto il piccione ma è rischioso per me attaccare perché potrebbe essere il giorno successivo all'invio, ovvero un giorno in cui tu non attacheresti per i motivi di cui sopra.

TU: è rischioso attaccare due giorni dopo l'invio - anche se ho la certezza che tu hai avvistato il piccione - perché potrebbe essere il giorno del tuo avvistamento, ovvero un giorno in cui per te è rischioso attaccare visto quanto ho detto sopra.

IO: è rischioso per me attaccare il giorno dopo l'avvistamento poiché so che reputerai rischioso attaccare due giorni dopo l'invio per i motivi detti sopra, e oggi potrebbe essere proprio quel giorno.

TU: non ha senso attaccare tre giorni dopo l'invio perché so che per te è rischioso attaccare il giorno dopo l'avvistamento per i motivi detti sopra.

IO: è rischioso attaccare due giorni dopo l'avvistamento poiché so che per te è rischioso attaccare tre giorni dopo l'invio per i motivi detti sopra, e oggi potrebbe essere proprio quel giorno.

Eccetera, eccetera all'infinito.

La cosa sorprendente è che non esiste un sistema per decidere l'attacco, anche se sappiamo che il nemico è inerme. Anche se sappiamo che l'altro lo sa. Il fatto è che questa conoscenza non è infinita, e quindi poco utile.

Supponiamo di aver deciso su qualche sistema e secondo quel sistema dovrei attaccare alla data k. Cosa deve realizzarsi per procedere? Per prima cosa, devo aspettarmi che anche tu attacchi. E poiché attaccherai solo se sai che il nemico è vulnerabile, attaccherò solo se avrò ricevuto il tuo piccione confermando che lo sai. Ma questo non è abbastanza. Attaccherai solo se sai che attaccherò e abbiamo appena sostenuto che ciò richiede che io sappia che sai che il nemico è vulnerabile. Quindi attaccherai solo se sai che ho ricevuto il tuo piccione. Puoi essere sicuro di questo solo 2 giorni dopo averlo inviato. E dal momento che devo essere sicuro che attaccherai, attaccherò solo se ho ricevuto il piccione ieri o prima, quindi sono sicuro che lo hai inviato almeno 2 giorni fa e sono quindi sicuro di averlo già ricevuto. Ma questo non è ancora abbastanza. Dato che abbiamo appena sostenuto che attaccherò solo se avessi ricevuto il tuo piccione almeno 1 giorno fa, puoi essere certo che attaccherò solo se hai inviato il tuo piccione almeno 3 giorni fa. E questo è quindi necessario per essere pronti ad attaccare. Ma ora poiché attaccherò solo se sono sicuro che attaccherai, devo essere certo che hai inviato il tuo piccione almeno 3 giorni fa e ciò richiede che io abbia ricevuto il tuo piccione almeno 2 giorni fa (e non solo ieri. ) Questo continua. Affinché io possa attaccare, devo sapere che tu sai che io so, ecc. Ecc. Che il nemico è vulnerabile. E ogni iterazione aggiuntiva richiede che il piccione sia inviato un giorno prima dell'iterazione precedente. Alla fine finiamo i giorni precedenti perché oggi è il giorno k. Ciò significa che non attaccherò perché non posso essere sicuro che tu sia sicuro (iterare k volte) che il nemico è vulnerabile.

Mi sembra chiaro che non esiste la possibilità di sfruttare il vantaggio di conoscere la debolezza del nemico, solo che è difficile dire perché. Se si usano le parole ci si incasina. Si cominciano a usare espressioni come "non attacco perché non so se tu sai che io so che tu sai che io so...". Insomma, ci si perde e la testa comincia a girare. D'altro canto ci si rende conto che dire "io so che tu sai che io so..." senza poter andare all'infinito cambia radicalmente le situazioni concrete.

I questi casi, ad ogni modo, è meglio usare i simboli prendendo a riferimento i giorni passati dall'invio del piccione e i giorni passati dall' avvistamento. Diciamo che XI significa X giorni dall'invio e XA X giorni dall'avvistamento. Su ogni rigo che segue metto i "giorni compatibili", per esempio: 2I è compatibile con 1A. Cioè, il secondo giorno dell'invio del piccione potrebbe coincidere con il primo giorno dopo l'avvistamento.

Ammettiamo di voler spiegare perché non ha senso attaccare il settimo giorno dopo l'invio.

1) 0I - non ha senso attaccare visto che chi invia ha la certezza che il suo piccione non è stato avvistato.

2) 1I 0A N - è rischioso attaccare poiché il primo giorno dopo l'invio (1I) il piccione potrebbe non essere nemmeno avvistato (ho indicato con N questa eventualità.

3) 2I 1A 0A - è rischioso attaccare poiché il secondo giorno dopo l'invio (2I) potrebbe coincidere con il giorno dell'avvistamento (0A), un giorno che compare al rigo 2) ovvero in una situazione in cui abbiamo concluso che l'attacco è sconsigliato.

4) 3I 2A 1A - è rischioso attaccare poiché il terzo giorno dopo l'invio (3I) potrebbe coincidere con il primo giorno dopo l'avvistamento (1A), un giorno che compare al rigo 3) ovvero in una situazione in cui abbiamo concluso che l'attacco è sconsigliato.

5) 4I 3A 2A - è rischioso attaccare poiché il quarto giorno dopo l'invio (4I) potrebbe coincidere con il secondo giorno dopo l'avvistamento (2A), un giorno che compare al rigo 4) ovvero in una situazione in cui abbiamo concluso che l'attacco è sconsigliato.

6) 5I 4A 3A - è rischioso attaccare poiché il quinto giorno dopo l'invio (5I) potrebbe coincidere con il terzo giorno dopo l'avvistamento (3A), un giorno che compare al rigo 5) ovvero in una situazione in cui abbiamo concluso che l'attacco è sconsigliato.

7) 6I 5A 4A - è rischioso attaccare poiché il sesto giorno dopo l'invio (6I) potrebbe coincidere con il quarto giorno dopo l'avvistamento (4A), un giorno che compare al rigo 6) ovvero in una situazione in cui abbiamo concluso che l'attacco è sconsigliato.

8) 7I 6A 5A - è rischioso attaccare poiché il settimo giorno dopo l'invio (7I) potrebbe coincidere con il quinto giorno dopo l'avvistamento (5A), un giorno che compare al rigo 7) ovvero in una situazione in cui abbiamo concluso che l'attacco è sconsigliato.

Eccetera.

La cosa sorprendente è che se una voce autorevole si levasse dal cielo per dire "il nemico è vulnerabile", si potrebbe attaccare in tutta sicurezza. E si noti che quella voce dice solo quello che già tutti sanno. Eppure solo quella voce consente di "sapere che tu sai che io so che tu sai..." all'infinito.



nb

La mia sensazione è che stia accadendo una cosa che descrivo di seguito.

Problema: SARA' POSSIBILE PER I GENERALI PORTARE UN ATTACCO SICNCRONIZZATO VISTO CHE NON SANNO IN QUANTO TEMPO IL PICCIONE GIUNGERA' A DESTINAZIONE?

Risposta di Davide Curioni: NO (applausi in sala).

Dimostrazione: POICHE' I GENERALI NON SANNO IN QUANTO TEMPO IL PICCIONE GIUNGERA' A DESTINAZIONE, NON SARA' POSSIBILE PER LORO PORTARE UN ATTACCO SINCRONIZZATO. (mormorio in sala).

Grazie a tutti. E' stato bellissimo. Alla prossimo.


You
Dec 7, 2019
Per concludere questa ennesima battaglia tra Davide Curioni e Resto del Mondo, potremmo dire che io ho la "mia" opinione e tu hai la "tua".

Ma perché quelle vurgolette? Nel secondo caso perché io la "tua" opinione non l'ho mica capita, non saprei nemmeno dire se esista, mi sembra più che altro un modo per aggirare il problema ma, ripeto, sono io che non l'ho capita, ci rifletterò su ancora. Promesso.

D'altronde io nemmeno sono stato in grado di dare la "mia" risposta, per questo metto le virgolette. Molto più semplicemente me la sono fatta suggerire da chi ha ideato il quiz e da altre persone affidabili che lo hanno discusso e concordano sull'essenziale. Dio mio ho solo formalizzato uno schemino che appare in questo thread, una cosa da nulla e probabilmente imprecisa.

recessione sessuale

https://feedly.com/i/entry/Od/Z0OrlTBzSrJtcae1t5qtueOtvOco3UFNx6gD9Pd4=_16eb82a43eb:16cb744:f774fa

colpisce più le coppie che i single

ESSERE RICCHI E' OK

ESSERE RICCHI E' OK
I moralisti scuotono il ditino dicendo che l'amore per il denaro è la radice di tutti i mali. Presumono che fare un sacco di soldi implichi lo sfruttamento degli altri e che il modo migliore per lavarsi la coscienza consista nel dedicarsi alla filantropia. Ma è facile mostrare che i moralizzatori hanno torto, e che è vero l'esatto contrario. In generale, più soldi guadagni, più fai per gli altri. Chi è produttivo restituisce alla società semplicemente facendo il suo lavoro. Inoltre, la ricchezza ci consente di condurre una vita autenticamente nostra, ci rende più coscienti e responsabili. Le società capitaliste che mettono al centro il denaro ospitano cittadini più affidabili, più empatici e più cooperativi. Tutto cio' non è un caso: chi non ha queste caratteristiche affonda. Magari è un'apparenza ma è comunque un'apparenza benefica per molti. Se vengo accolto in un negozio con tutti gli onori subodoro l'ipocrisia ma intanto mi sento bene. La storia poi mostra che le nazioni ricche sono diventate tali a causa delle loro cultura e delle loro istituzioni sane, NONOSTANTE le vicende legate alla schiavitù e al colonialismo. I popoli africani e medio-orientali hanno praticato lo schiavismo su larga scala ma non si sono arricchiti. Noi non siamo nati con un debito perpetuo verso la società, non ha senso postulare che "il ricco è tenuto a dare", il ricco - essendo ricco - è quello che già oggi dà di più. Essere ricchi è ok, diventare ricchi è ancora più ok.

ROUTLEDGE.COM
Finger-wagging moralizers say the love of money is the root of all evil. They assume that making a lot of money requires exploiting others, and that the best way to wash off the resulting stain is to give a lot of it away. In Why It’s OK to Want to…

https://feedly.com/i/entry/P/D2sW+G6HI3TtS+1E4tQwAjOdn54cnXIUUgTNGR5YA=_16ec6f6f0d8:2247c67:97b0c8f7

si critica considerandolo utopico

COSA C'E' ALLE RADICI DEL RAZZISMO?

A quanto pare non c'è il pregiudizio.
Il collegamento tra razzismo e pregiudizio è alquanto dubbio, anche se il nesso figura nella maggior parte delle spiegazioni ingenue del fenomeno. La presenza di stereotipi a fondamento dei sentimenti razzisti è puntualmente ripresa da tutti i manuali di psicologia elementare e psicologia sociale. Tuttavia, anche una lettura veloce della letteratura disponibile sull'argomento ci spinge verso l'idea che gli stereotipi non spieghino alcunché.
L'equivoco si genera perché abbiamo una versione distorta del concetto di pregiudizio. Lo si considera come una sorta di mito rigido e altamente resistente al cambiamento. In particolare, siamo condizionati da vecchie teorie etnocentriche che stabilivano un collegamento robusto tra concezione ortodossa del pregiudizio e razzismo. Questa impostazione prevedeva, per esempio, che chi valorizza molto il proprio gruppo d'appartenenza tendeva a disprezzare gli altri gruppi. Ma esiste davvero una correlazione, per esempio, tra odio per lo straniero e sopravvalutazione del proprio gruppo di appartenenza? Diversi studi sono giunti alla conclusione che è alquanto debole se non inesistente. Pensare bene del proprio gruppo, in altre parole, non ha praticamente nulla a che fare con il pensare male degli altri gruppi. Non solo il favoritismo della propria "squadra" non è legato alla bassa considerazione delle altre "squadre" ma non esiste nemmeno la relazione inversa. E' più probabile la teoria contraria: l’autostima - ovvero un atteggiamento positivo per il proprio gruppo - ci spinge ad instaurare relazioni più sane con lo straniero. Vi è un corpus sostanziale di lavori che vede il sentimento "patriottico" come qualcosa di simile all'autostima, cioè una base sana per allacciare relazioni con il diverso. Secondo questa visione è difficile pensare bene degli estranei se non si pensa bene innanzitutto dei propri "vicini".
C'è poi la faccenda dell'accuratezza degli stereotipi. Già il fatto che siano differenziati per gruppo etnico è un indice di attenzione. Non esiste "lo straniero": ciò che si crede di un gruppo etnico non lo si crede di altri. Gli ebrei, ad esempio, sono visti come diversi dai neri. Gli asiatici potrebbero essere visti come "industriosi" e i neri come "sporchi" e così via. Altro indice che depone a favore dell'accuratezza: c’è accordo tra gruppi nel sostenere uno stereotipo, spesso l'accordo s estende al gruppo interessato dallo stereotipo. Ad esempio, in una situazione di laboratorio Callan e Gallois hanno scoperto che anglo-australiani, greco-australiani e italo-australiani mostravano tutti un alto livello di accordo sul fatto che gli anglo-australiani fossero "sportivi, felici, fortunati e di aspetto piacevole". Chi discrimina lo fa in modo molto differenziato, la persona che discrimina dal punto di vista razziale ha un pensiero complesso piuttosto che semplice.
Altra questione: gli stereotipi positivi fanno bene? Non sempre. Esempio, Viljoen scoprì che alcuni gruppi di neri sudafricani avevano una considerazione particolarmente elevata dei bianchi di lingua inglese, tuttavia erano i meno propensi ad integrarsi con loro. Più la considerazione dell'altro è elevata, più si mantengono le distanze. Lo stereotipo positivo allarga la distanza sociale e ostacola l’integrazione tra gruppi. Gli studenti bianchi con un' alta considerazione dei neri sono anche quelli che hanno più probabilità di opporsi ad una politica delle quote. La politica delle quote è invece spesso sostenuta da chi nutre, magari nascondendoli, pregiudizi negativi sulla minoranza. La semplice idea che gli stereotipi positivi siano buoni e gli stereotipi negativi cattivi si rivela una semplificazione fuorviante.
Gli stereotipi hanno anche una funzione positiva: se riesci a classificare le persone, devi fare meno sforzi per interagire in modo costruttivo con loro. Lo stereotipo è uno strumento conoscitivo, come la generalizzazione e l’astrazione. La guerra agli stereotipi in fondo è una piccola guerra portata al metodo scientifico. Gli stereotipi possono davvero avere un ruolo utile, sono un aiuto nel conoscere accuratamente i tratti chiave del "diverso" e consentono di gestire molte ambiguità. Lo stereotipo non fa che mettere a frutto l’informazione minima e ridurre l’incertezza. È una grande leva a nostra disposizione per esaltare le più minute informazioni in nostro possesso. La sua utilità lo rende talmente radicato nella natura umana che tendiamo a generalizzare anche quando ci viene detto che una certa info è specifica.
Tuttavia, ciò non significa che chi o impiega possieda una struttura mentale rigida. Al contrario, gli stereotipi sono approssimazioni continuamente aggiornate man mano che l'informazione affluisce. Lo stereotipo è un’approssimazione in itinere. Gli stereotipi si affievoliscono quando le informazioni sulla persona specifica ci raggiungono e vengono messi da parte laddove l'informazione è completa. Quando si rendono disponibili informazioni migliori di quelle contenute nello stereotipo, lo stereotipo viene abbandonato come guida all'azione. Gli stereotipi sono resistenti in quelle situazioni in cui le informazioni specifiche sono rare o poco adeguate, e comunque non saranno disponibili con sollecitudine. Ad esempio, di fronte a un nero sconosciuto incrociato in un vicolo buio, un bianco usa gli stereotipi, non sospende i suoi giudizi. Lo stereotipo persiste nelle situazioni anonime per aggiornarsi poi con la presa di contatto. Se lo sconosciuto di colore dice semplicemente "buongiorno" quando passa, lo stereotipo non avrà più alcun ruolo nell'interazione e svanirà nel nulla. In laboratorio il "nero" anonimo viene descritto dalle "cavie" secondo lo stereotipo: "sporco, pigro...". Quando i gestori dell'esperimento precisano la descrizione del soggetto presentandolo come un "nero istruito", le cavie immediatamente mutano i loro sentimenti e le loro reazioni. Il nero istruito è infatti descritto in termini molto simili a un bianco istruito.
Cos'è allora uno stereotipo? Lo definirei un processo di approssimazione successive verso giudizi accurati. Direi che fa parte a pieno titolo della razionalità bayesiana. Puo' iniziare contenendo pochissime informazioni accurate ma, man mano che si accumulano conoscenze ed esperienze, le informazioni diventeranno progressivamente più definite e vicine alla realtà che si vuole conoscere.
Eppure ci sono autori che hanno sostenuto la rigidità degli stereotipi. Costoro trascurano che non è affatto razionale abbandonare uno stereotipo in seguito ad un’eccezione: “una rondine non fa primavera“. Noi non abbandoniamo o rivediamo immediatamente una regola, aspettiamo piuttosto che si accumulino diverse eccezioni. Se i neri sono generalmente visti dai bianchi come pigri, un nero diligente non perturberà lo stereotipo. Se, tuttavia, si incontreranno molti neri diligenti, si verificherà un cambiamento radicale. Gli autori che sostengono la rigidità non colgono quanto sia razionale tollerare delle eccezioni, sono vittime di un’ idealizzazione popperiana della conoscenza.
Conclusione: lo stereotipo non è il primo passo verso il razzismo ma verso la conoscenza in generale, tanto è vero che anche il "tollerante" ha i suoi bravi stereotipi, solo che li nasconde.
Ma se i pregiudizi non spiegano il razzismo, quali sono le teorie alternative più promettenti? Forse la linea di ricerca da seguire è quella che punta sull'esaltazione del sentimento comunitario. In casi del genere lo "straniero", al di là del suo valore specifico, è visto come una fonte di perturbazione della coesione sociale. Un forte sentimento comunitario può facilmente evolvere in razzismo. In questo senso sono i pilastri della comunità i soggetti più a rischio. Un caso di studio interessante è quello svedese, lì una società omogenea e coesa ha nel tempo messo a punto istituzioni comunitarie solidali robuste che con l'arrivo dello "straniero" sono andate sotto pressione sollevando un'ondata di rigetto negli "indigeni". Si è dovuto ripiegare su livelli di politicamente corretto che a noi suonano parossistici. Ecco, il brodo di cultura dei paesi nordici è particolarmente favorevole alla nascita del razzismo, e la cosa non ha nulla a che vedere con ignoranza e pregiudizi.
Tanto per essere chiari, questo lavoro mostra che gli stessi metodi con i quali si è preteso di quantificare la creazione di valore da parte degli insegnanti, spiegano anche l' effetto degli insegnanti medesimi sull'altezza dei loro studenti. Poiché tale effetto nella realtà è presumibilmente pari a zero, è lecito dubitare anche del primo calcolo.primo calcolo. https://www.nber.org/papers/w26480.pdf

https://feedly.com/i/entry/Nkn6RK6HwBgWrvMj84SxHg63I5Wn8O87ZvoPCQT30Mw=_16ec66c169a:2179ba0:97b0c8f7

PICCOLO RIMPIANTO PER I VECCHI RADICALISMI

Leggo la notizia e già sento il chiasso assordante di chi non accetta le sfide e/o fa appello all'istinto di chi non accetta le sfide. Mi spiego meglio.
E' giusto ed opportuno ridurre il ruolo dello stato nell'assistenza sanitaria? Ho la mia opinione e la ritengo abbastanza radicale, ma accetto di buon grado che possa essere sfidata. Vedo il problema come aperto. Ecco, oggi c'è carenza di credenze "sfidabili".
Preferisco di gran lunga l'espressione "credenza sociale" all'espressione "scienza sociale", il termine "scienza" suggerisce un protocollo per arrivare a certezze su questioni che sospetto rimarranno irrisolte, come la questione del ruolo del governo nella sanità. Si tratta di certezze che inducono atteggiamenti nocivi e sempre più diffusi. Diffido sempre di che sbandiera parole come "scienza".
L'opinione stessa per cui la maggior parte delle credenze dovrebbe restare aperta è essa stessa una questione aperta. Anche qui io ho semplicemente la mia opinione.
La credenza "non sfidabile" sfocia nel sacro. Ad esempio, supponi di credere che tutti i fallimenti sociali delle donne debbano essere attribuiti alla discriminazione e al sessismo. Inoltre, vedi qualsiasi indagine nel merito come una minaccia, una forma di sessismo latente. Ritieni che la tua convinzione non possa e non debba essere sfidata. Ecco, la tua è una convinzione religiosa. Una convinzione sacra.
Se tu credessi che l'Olocausto non abbia avuto luogo, sarei in veemente disaccordo con te, fino al punto di dubitare della tua ragionevolezza, nonostante questo considererei la mia una posizione contestabile.
Trasformare le proprie credenze da contestabili a sacre è pericoloso. Innanzitutto, poiché la tue convinzioni ora è sacra, il tuo discorso non ha più la funzione di persuadere chicchessia ma entra in modalità "demonizzazione". In altre parole, diventi intollerante. Vedrai il disaccordo come un'eresia e vorrai punire gli eretici.
I radicalismo del passato spesso non implicavano lo spostamento dalla sfida alla religiosità. In effetti, la tendenza era quella contraria. C'era la sacra convinzione che la tradizione andasse contestata. Era la possibilità di "contestare" ad essere sacralizzata. La guerra andava contestata, la sessualità andava contestata, l'università andava contestata. In questo senso meglio il radicalismo di ieri che quello di oggi. Ieri il senso della sfida era molto più sviluppato.

CORRIERE.IT
Polemica per i messaggi del docente e per la reazione del rettore dell'ateneo senese, che si è limitato a un: «Scrive a titolo personale»

FALLIRE CON ONORE

Nella "società bambocciona" il progresso va a passo di lumaca, si preferisce fallire stando sulla via maestra che ottenere risultati attraverso vie non convenzionali. Questo non vale in tutti i campi: se dobbiamo organizzare una vacanza, per esempio, puo' capitare, e capita molto frequentemente ormai, che si abbandoni la via maestra del tour operator e, magari, smanettando sull' app giusta facciamo tutto da soli. Qui il progresso non soffre come altrove, le app proliferano. In altri ambiti, infatti, il timore di soluzioni creative personalizzate è paralizzante. Nessun genitore della classe media vuole dire ai suoi colleghi che il proprio figlio non sta andando in una delle università "benedette" ma magari - considerate certe esigenze - ha optato per un'istruzione telematica, oppure che non si cura negli ospedali "consacrati" ma con cure a pagamento spesso realizzate a distanza, oppure che la sua casa non ha certe caratteristiche canoniche (villetta a schiera di metratura minima con giardino e box). Anche per questo il costo di certi beni/servizi esplode: sulle alternative pesa una condanna di natura culturale: tollerare gruppi di persone che, sperimentando, si ritrovino poi troppo avanti o troppo indietro rispetto al gruppone sembra essere impossibile.
I nemici del progresso sono la paura delle novità e l'invidia. Quando questi nemici dominano, il progresso soffre. Quando quei nemici sono deboli, i progressi sono rapidi. Istruzione, sanità e costruzione sono tre settori in cui l'invidia domina e le lo scetticismo sulle novità la regola: troviamo sempre più inammissibile che ci si possa fare concorrenza sulle cure sanitarie, oppure che possano esistere ospedali profit. Quando nelle costruzioni si sviluppano idee alternative è sempre pronta la paura del "ghetto" (magari esclusivo). Se l'istruzione sperimenta soluzioni c'è subito l'incubo che le élite vogliano isolarsi dalla massa. Stando all'edilizia urbana basterebbe constatare quanto sia stato difficile per Google trovare una città che le consentisse di sperimentare la città del futuro. Le città, infatti, sono disposte ad approvare chilometri di piste ciclabili, ma neanche un metro per le auto senza conducente.
L'idea del lusso ha sempre trainato la società. Quello che i ricconi hanno oggi, la massa l'avrebbe dieci anni dopo. Ma nella società bambocciona lusso e pop non hanno più diritto di cittadinanza, almeno in certi ambiti.
Fondare un'università di successo è quasi impossibile. Non che restrizioni legali insuperabili ti vietano di farlo. E' proprio una questione sociologica, istituzionale, legata alle dinamiche di accreditamento. Perché l'università telematica non decolla? Le barriere sono innanzitutto culturali.
Ci sono ragazzi palesemente impreparati per l'università ma che ci andranno lo stesso, non cercheranno alternative. Perché? Il motivo è sempre quello: preferiamo il fallimento convenzionale al successo anti-convenzionale. Nessuno vuole essere un genitore il cui figlio riesce adottando un approccio non tradizionale all'istruzione superiore.
Anche la filantropia si concentra sulla tradizione, e così le università tradizionali incamerano enormi beneficienze quando queste risorse sarebbero meglio investite nelle start-up dell'istruzione superiore. Ma se dai alla tua alma mater o crei un istituto di ricerca in un'università consolidata, il massimo rischio che corri è quello fallire in modo convenzionale, quindi accettabile.
La quantità di denaro che la "società bambocciona" spreca in inutili cure negli ultimi sei mesi di vita è enorme. Riceviamo una montagna di cure in più per avere benefici minuscoli. Se togliessimo euro al margine di queste cure e li mettessimo nella sanità sperimentale l'effetto netto sarebbe positivo. Ma, ancora una volta, sprecare soldi in procedure mediche con costi elevati e bassi benefici è comunque un modo convenzionale di fallire, quindi la cosa non presenta problemi.
In breve, quando si tratta di edilizia urbana / ingegneria civile, istruzione e assistenza sanitaria, abbiamo una cultura conformista, con l'imprenditorialità perennemente scoraggiata. La forte presenza governativa in questi settori non fa che rafforzare questo vizietto, ma non si accusi la politica, lei non fa che darci quel che le chiediamo.
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