lunedì 30 dicembre 2019

I LUSSI DELLA SOCIETA' ATOMIZZATA


Le circostanze che promuovono il benessere materiale, disgregano la coesione sociale? Un tempo avrei risposto di no, oggi ho molti più dubbi e sto cambiando idea. Forse modernità e coesione sociale sono davvero incompatibili.

Per coesione sociale intendo un forte senso di appartenenza, una solidarietà verace, una grande fiducia nella reciprocità e nel trovare un "senso" nello stare insieme sacrificandosi l'uno per l'altro. L'esempio canonico è quello di una piccola unità militare che combatte la sua battaglia. La coesione sociale monta al crescere delle difficoltà affrontate dal gruppo.

Purtroppo, la società moderna ha perfezionato l'arte di non far sentire le persone necessarie. Ci sei o non ci sei, fa lo stesso, non cambia molto. Una base alquanto fragile per "fare gruppo". Chi cerca il benessere materiale, cerca di fatto grandi società, anonimia, specializzazione nei ruoli e riduzione al minimo delle difficoltà materiali, tutti fattori che depotenziano la socilaità e spingono l'individualismo.

In passato vivevamo in piccoli gruppi precari, sempre sotto la minaccia di qualcosa, ci conscevamo tutti e tutti erano indispensabili o quasi. Abbiamo così sviluppato un bisogno di coesione. In un libro ho letto esempi originali di questo nostro istinto, eccone alcuni davvero curiosi: 1) molti coloni occidentali in esplorazione del nuovo mondo lasciarono volentieri la "civiltà" per unirsi alle tribù native, ma raramente accadeva il contrario. 2) Ci siamo evoluti per dormire in gruppo, solo ultimamente abbiamo messo i bambini nelle loro camerette (da leggere). 3) Ci piacciono i film (e spettacoli in genere) in cui le comunità sono perennemente in crisi (di solito c'è un maschione che affronta una minaccia esterna; una femmina che lo aiuta con le dinamiche di gruppo; un uomo che non riesce a stare nel branco e se ne va in cerca di se stesso facendo una brutta fine e un uomo che, essendo stato mandato via dalla comunità per il suo comportamento problematico, ritorna e si riscatta. 4) Durante le guerre, solidarietà e reciprocità conoscono i loro picchi. Quando sei nelle canne impari ad andare d'accordo con le persone, anche con gli antipatici. 5) L'ultimo esempio che ricordo riguardava le stragi nelle scuole americane: non succede mai nelle aree più povere e ad alta criminalità. I giovani protagonisti hanno una vita materiale confortevole.

L'atomizzazione della sociatà, prima di essere un guaio è un lusso che ci concediamo: si genera in mancanza di situazioni davvero difficili da affrontare. Non essendoci pericoli reali vicini cerchiamo di inventarcene qualcuno lontano. L'esempio del riscaldamento globale è perfetto: mai gruppo umano sulla terra si è mai minimamente preoccupato di fenomeni che forse si potrebbero realizzare ad un secolo di distanza! Solo il pensiero religioso dell'apocalisse è stato tanto lungimirante. Probabilmente, dietro c'è il bisogno di lanciare allarmi che ci consentano di ricostruire un tessuto sociale che va sfaldandosi.

Mi chiedo se esista un modo per conciliare il benessere con il senso di comunità. Sono scettico: a parole vogliamo più unità ma di fatto respingiamo alcune delle condizioni essenziali per formarla. Preferiamo vivere comodamente che affrontare guerre o altre privazioni. Preferiamo scegliere con cura le persone con cui stare anziché farci piacere gli arroganti, e preferiremmo associarci a squadre, partiti politici o stili di vita anzichè con le persone del nostro quartiere. Con la prosperità abbiamo acquisito il diritto a queste scelte e non intendiamo rinunciarci anche se l'inevitabile conseguenza è l'atomizzazione della società.

Se, poi, la religione è uno strumento di coesione sociale, la secolarizzazione crescente si spiega: quando il collante del gruppo cessa di essere prodotto, la religione viene accantonata, o diventa al più un partito politico o una squadra di calcio. Abbassare i livelli di welfare state potrebbe essere l'uovo di Colombo per rinvigorire religione e coesione sociale: a parità di ricchezza, avremo più rischio e più pericoli; quindi, maggiori reti sociali. Ma siamo pronti? La rimpiangiamo veramente la coesione sociale?

domenica 29 dicembre 2019

MEDJUGORJE: PERCEPIRE DIO.

MEDJUGORJE: PERCEPIRE DIO.

Ci sono persone che hanno esperienze spirituali insolite, si tratta di qualcosa che valutano come molto significativo. Tuttavia, per me è difficile interpretarle e collocarle nella vita ordinaria. Personalmente, non ho mai "incontrato Dio", non mi sono mai trovato faccia a faccia con lui. Come giudicare chi invece riferisce di averlo fatto? Stando alle polemiche infuocate sull'argomento, non sono l'unico a pormi problemi del genere. E' in gioco la natura stessa della realtà. Le esperienze spirituali sono spesso viste attraverso una lente culturale e mi chiedo come normalizzare il racconto di cio' che è stato percepito. So anche che non c'è niente di più facile che alterare i ricordi soggettivi. Sia come sia, possiamo imparare collettivamente qualcosa da questi fatti straordinari?
Ma cos'è un'esperienza spirituale? In genere per noi l'esperienza conoscitiva origina dai sensi, la scienza, un sapere su cui facciamo grande affidamento, dice di seguire quella via. Secondo i più fu nell'Inghilterra del 1660, negli incontri della Royal Society di Londra, che la scienza acquisì la forma di indagine empirica che riconosciamo come nostra: una pratica sperimentale aperta e collaborativa, mediata da strumenti appositamente progettati e supportato da un discorso civile e critico che insiste sull'accuratezza e la replicabilità. Tuttavia, l'empirismo è stato reso popolare come concetto filosofico solo nella prima metà del 20esimo secolo da personaggi come AJ Ayer, Rudolf Carnap, Kurt Gödel, Karl Popper e Ludwig Wittgenstein. Da allora, prese varie forme e ci furono molti disaccordi sul suo reale significato. Emerse presto il fatto che l'empirismo è in un rapporto ambiguo con la pura razionalità. È facile riconoscere i limiti e i mille modi in cui l'esperienza umana ci inganna. Tuttavia, per chi ritiene che tutti gli input attendibili della cognizione umana siano di natura sensoriale, la cosa pone un problema. Il razionalismo puo' allora aiutare postulando che alcune proposizioni possano essere conosciute anche per intuizione e per deduzione. Ma l' intuizione ha una natura ambigua e non si puo' certo negare che in essa l'esperienza possa giocare un ruolo, il che riproporrebbe l'instabilità del fondamento. Tuttavia, affiancare l'intuizione ai sensi tradizionali riconcilia il buon senso con la scienza e offre un quadro filosofico promettente. Ecco allora che anche una buona parte dell'empirismo ha cominciato a sganciarsi dai puri sensi naturali.
Quando si tratta di questioni di spiritualità, un materialista respingerebbe tutti gli appelli all'esperienza soggettiva e al metafisico, l'unica causa plausibile sarebbe per lui di natura neurologica / biochimica. D'altro canto, non è quello che farebbe un empirista "intuizionista". E' difficile fare un discorso sulla spiritualità eludendo l'esperienza. In questi casi uno parla essenzialmente di sé, delle sue intuizioni, e alla fine resta il tribunale ultimo di tutta la vicenda. Anche se, sia chiaro, parliamo comunque di esperienze universali: la spiritualità può essere teistica, oppure no. Esempi di spiritualità teistica sono facili da trovare. Un esempio di approccio non teistico alla spiritualità si trova in Waking Up di Sam Harris, che sostiene l'uso della meditazione derivata dalle pratiche buddiste per raggiungere stati di coscienza alterati. Oppure ricordo gli incontri su Radio Tre con la spiritualità laica di Luigi Lombardi Vallauri. Forse con questi approcci alternativi si favorisce la conversazione sulla natura empirica dell'esperienza spirituale. I termini religione e spiritualità sono molto simili nel significato, ma quello del primo è più ristretto poiché confinato ad un contesto tradizionale o istituzionale. La spiritualità è qualcosa di più ampio, include anche chi cerca il sacro al di fuori di sistemi socialmente o culturalmente definiti. Ad esempio, la spiritualità di un individuo può includere sentimenti di devozione, ricordi di un'esperienza mistica, ribellione contro certe costrizioni, un senso di unità con tutta la vita senziente. Ci si volge al sacro in tutte le sue forme. Tuttavia, la religiosità, di solito, non è vista come incoerente o un ostacolo alla spiritualità. In effetti, la spiritualità è forse la funzione principale della religione: l' energia religiosa aiuta molte persone a integrare il sacro in modo più completo nei loro percorsi spirituali.
Ci sono ormai numerosi studi psicologici sull'esperienza spirituale. In genere si riconosce un valore probatorio alle esperienze religiose/spirituali, qualcosa che suggerisce l'esistenza di una realtà trascendente variamente vissuta. I sondaggi disponibili dicono che tra 1/3 e 1/2 della popolazione ha avuto una sorta di esperienza religiosa significativa. Tali esperienze sono correlate al genere, all'istruzione e alla classe sociale, essendo più comuni per le donne, per le persone con un'istruzione superiore e per quelli di classe superiore. In genere sono associate con la buona salute e con il benessere psicologico. Spesso non sono condivise con gli altri, forse è per questo che sono a torto ritenute non comuni. A causa della natura personale delle esperienze spirituali, la raccolta di dati sull'argomento viene spesso realizzata attraverso sondaggi, questionari e interviste. Si ritiene che l'accuratezza sia buona poiché i falsi positivi si bilanciano (i religiosi sbagliano affermando a cuor leggero di avere avuto esperienze spirituali, gli anti-religiosi sbagliano negando a cuor leggero di averne avute). L'innesco dell'esperienza include la preghiera e la meditazione, ma sempre di più anche l'uso di sostanze psicoattive. Visto che l'approccio per auto-segnalazione resta problematico si discute di altri tipi di misurazione, come quelle fisiologiche e comportamentali. Uno studio ha indicato che l'esperienza spirituale (leggendo il Salmo 23) sollecita i lobi frontale e parietale, mentre l'esperienza non religiosa della lettura del Salmo 23 sollecita l'amigdala. Sulla base di questi risultati c'è chi ha proposto che l'esperienza religiosa sia probabilmente un processo cognitivo che utilizza connessioni neurali stabilite tra i lobi frontale e parietale. Sia gli individui normali che quelli psicotici possono avere esperienze mistiche: i mistici psicotici presentano "resistenza e rigidità", al contrario del mistici normali esibiscono "apertura e fluidità". Quindi non è semplicemente l'esperienza mistica, ma le reazioni a tale esperienza a distinguere i mistici psicotici dai normali.
Alcuni psicologi evoluzionisti sostengono che l'esperienza religiosa è nata in quanto vantaggio adattivo: si spazia da una difesa contro la paura della morte a altre forme di conforto e riduzione dell'ansia. Ma anche, a livello di gruppo, la promozione della coesione e della solidarietà o la riduzione dei conflitti. Tuttavia, qui manca il consenso necessario, sono ancora molti a vedere queste manifestazioni come sotto-prodotti (sprandel) di altre funzioni. Ad esempio, un meccanismo utile per distinguere gli oggetti animati e inanimati nel mondo, può essere distorto per produrre animismo psicologico e antropomorfismo nei culti, come quando ci troviamo a maledire il nostro computer quando si blocca. Le teorie dello sprandel sono popolari tra gli scettici religiosi; alcuni hanno notato che in un mondo pericoloso sbagliarsi nel percepire una presenza intelligente ha conseguenze meno dannose rispetto a sbagliarsi nel non percepirle.
I neuropsicologi, tuttavia, indicano la presenza di una combinazione di "operatori cognitivi" nel cervello che darebbero origine alla religiosità umana. "Il termine" operatore cognitivo "si riferisce semplicemente ai meccanismi neurofisiologici che sono alla base di alcune grandi categorie di funzioni cognitive. Pertanto, questi operatori non esistono nel senso letterale, ma possono essere utili quando si considera la funzione cerebrale complessiva. Cio' che mi fa risalire dall'impronta al predatore, mi fa risalire dal mondo a Dio. L'operatore olistico permette alla realtà di essere vista come un tutto.
Ma l'esperienza religiosa è di una tale ricchezza che chi la studia seriamente mette in guardia da ogni riduzionismo: è pericoloso ridurre la ricchezza e la complessità dell'esperienza religiosa al proprio costrutto psicologico preferito. Occorre fare di tutto per evitare che l'esperienza religiosa venga ridotta a specifici processi psicologici. In un certo senso il processo è inevitabile nello studio scientifico. Tuttavia, il riduzionismo è spesso accompagnato da una perdita di informazioni, ad esempio culturali, sociali, familiari, affettive... Sebbene gli scienziati non possano confermare nessuna affermazione ontologica basata sull'esperienza mistica, possono costruire teorie compatibili con l'esistenza di tali realtà. C' è chi ha sostenuto che il tabù scientifico contro il soprannaturale può essere infranto, purché si possa dimostrare che le ipotesi sul soprannaturale abbiano conseguenze empiriche. Del resto persino la fisica postula l'esistenza di realtà inosservabili (bosone, positrone, elettrone...) ma che sono apprezzabili in virtù delle conseguenze empiriche che discendono dall'averle postulate. La fonte delle previsioni può infatti fare riferimento anche all'inosservabile e all'intangibile. D'altro canto i mistici basano la loro esperienza sullo stesso tipo di processi che utilizzano gli empiristi: l'esperienza diretta. Una persona autorevole è anche un mistico autorevole. Di conseguenza, l'esperienza mistica puo' essere autorevole anche per chi non l'ha vissuta. Certi scienziati sono spesso troppo frettolosi nel vantarsi di aver minato certe affermazioni mistiche. Se una persona credibile ci parla di una sua esperienza noi siamo tenuti a credergli fino a prova contraria, e questa prova contraria di solito non si trova mai nei dati a cui accede la scienza la quale, anzi, spesso conferma l'esistenza di una tale esperienza interiore.
I dibattiti sull'esistenza di Dio hanno spesso incluso l' "argomento dell'esperienza religiosa"; i sostenitori dell'esistenza citano le proprie esperienze e ne sottolineano l'universalità. Ma qui non mi interessa la natura teistica di queste esperienze, mi interessa solo sapere come si "percepisce Dio". Di certo la "percezione di Dio" offre un importante contributo alla credenza. Sono venuto a sapere che molte fedi si fondano sull'esperienza diretta e arrivano a Dio senza presupporlo. E' incredibile perché personalmente sento questa via molto lontano da me: mai e poi mai ho sentito Dio parlarmi.
In molti sostengono che gli individui dovrebbero scartare razionalmente la propria esperienza personale di natura mistica. Ma non vedo cosa ci sia di razionale in una simile mossa. La razionalità è individuale, non interessa il lato pubblico e persuasivo della faccenda. L'esperienza del divino è una prova che dovrebbe indurre lo sperimentatore razionale ad aggiornare le proprie convinzioni a favore di una maggiore probabilità che il divino esista. Perché no? Non esiste alcuna ragione filosofica per cui dobbiamo pensare che queste percezioni non abbiano un valore probatorio simile da altri tipi di percezioni. Spesso è dato per scontato che "l'esperienza religiosa" sia un fenomeno puramente soggettivo. Ma una simile posizione si puo' tranquillamente sfidare. Le esperienze religiose, infatti, condividono tutte una dimensione comune all'esperienza ordinaria; la percezione spirituale puo' essere paragonata alla percezione naturale. C'è anche chi sostiene che non non sorgano internamente e non sino soggettive nel loro inizio. La "consapevolezza diretta" di qualcosa - fisica o mistica - è indipendente dalle credenze, dal giudizio o dai concetti dell'oggetto della consapevolezza. Ciò è in generale in accordo con l'idea di "conoscenza" dei razionalisti come Russell o degli empiristi come Moore. Certo che se invece la percezione è mediata dalla credenza, allora coloro che credono in Dio potrebbero facilmente interpretare un evento non spirituale attraverso i loro presupposti spirituali. Ma anche se il resoconto di un individuo sulla fenomenologia della propria esperienza non è infallibile, deve certamente essere preso sul serio. Chi è in una posizione migliore per determinare se Marija sta vivendo una certa esperienza? Occorrono validi motivi per scavalcare la sua opinione! Di solito chi lo fa ha al più motivi filosofici.
La difesa filosofica del veggente sarebbe di questo tipo: 1) Una convinzione percettiva deriva dal fatto che si sta percependo un oggetto. 2) Questa convinzione deve formarsi principalmente da un'esperienza sensoriale/intuitiva. 3) Una convinzione percettiva non deve mai fondarsi su credenze a priori. 4) Se una credenza ha una base percettiva adeguata, allora è giustificata. Nel veggente 1, 2 e 3 sono soddisfatte? Allora ne discende 4).
E' inevitabile che ci siano delle credenza precedenti ma tali credenze non devono essere necessarie nella formazione della credenza percettiva. Se Dio mi appare come amore, allora ciò contribuirà a giustificare la convinzione che Dio è amore; se questa percezione è l'unica causa della mia credenza, allora la mia credenza è prima facie giustificata.
Per alcune persone, le esperienze avute in coma sono una forma avvincente di esperienza spirituale che può alterare la vita di chi le prova. C'è chi in quello stato crede di aver incontrato Dio, gli angeli o altri esseri spirituali. In alcuni casi estremi, alcuni hanno affermato di aver ricevuto informazioni che sarebbero obiettivamente confermabili da altri. Alcuni di coloro che hanno avuto esperienze simili hanno scritto libri popolari raccontandole e discutendole. Sebbene i contenuti e le interpretazioni siano diverse, le esperienze pre-morte sono comuni nel mondo moderno. Tra coloro che si avvicinano alla morte, la percentuale di chi ha esperienze va dal 35 al 45%. E ci sono molti punti in comune, le somiglianze sono più sorprendenti delle differenze. Tali esperienze non sono sempre conformi ai desideri o alle aspettative preesistenti dell'individuo, non sono cioè confortanti fantasie. Un altro argomento a supporto dell'autenticità sono i loro effetti duraturi e trasformativi. Età, sesso, razza, residenza, istruzione, occupazione, educazione religiosa, presenza in chiesa, conoscenza scientifica di questi processi, sono tutte variabili con effetti trascurabili sulla probabilità della visione. Le vittime di suicidio in cerca di annientamento, i fondamentalisti che si aspettano di vedere Dio sul tavolo operatorio, gli atei, gli agnostici e i sostenitori del carpe diem trovano un'equa rappresentazione nei ranghi di chi ha avuto esperienze di pre-morte. E le loro risposte alle domande del sondaggio mostrano che, nonostante tutte le implicazioni religiose dell'esperienza di pre-morte, le credenze di una persona su Dio non determina il contenuto delle visioni. Tuttavia, vi sono forti obiezioni nel vedere le esperienze pre-morte come spirituali, si tratta di esperienze che per definizione si verificano in momenti di grande danno e stress, in un momento di funzionamento anomalo del corpo, questo induce a considerarle come effetti collaterali del danno subito, mere allucinazioni del sistema nervoso. Un'altra obiezione suggerisce che la privazione sensoriale porta all'esperienza pre-morte, ciò spiegherebbe i punti in comune di queste esperienze. Un'altra critica al carattere spirituale è il concetto secondo cui la psicologia umana tenterà sempre di negare la morte; la mente ricorrerà a qualsiasi stratagemma per fuggire la prospettiva del proprio annientamento.
Tuttavia, per ogni singola obiezione si possono portare casi non ricompresi, i ricercatori citano statistiche che mostrano una relazione inversa tra esperienza pre-morte e condizioni patologiche che alterano la mente. Ad esempio, l'esperienza pre-morte sembra inibita dagli effetti di droghe e anestetici. Per questo motivo, sembra improbabile che i farmaci siano responsabili dell'insorgenza di alcunché. Sostenuti dalla testimonianza collettiva di centinaia di soggetti, i ricercatori mettono a confronto la felicità e la lucida qualità dell'esperienza di pre-morte con la confusione, l'ansia e le distorsioni percettive che accompagnano i disturbi più vari, ma senza rintracciare correlazioni importanti. Chi insiste su cause indotte non si arrende e ne cita diverse tutte plausibili, tuttavia, se ci fossero diverse cause alla base delle visioni, perché la loro natura è così coerente? In altre parole, diversi processi biochimici non produrrebbero diversi tipi di esperienze? Se la coerenza è una componente sorprendente delle esperienze per-morte, sembra improbabile che ci sia una mancanza di coerenza nelle loro origini. E poi è giusto stare in guardia contro una visione troppo riduzionista quando un simile trattamento non viene riservato all'esperienza comune: dopo tutto, non solo le visioni straordinarie ma anche i normali stati di coscienza sono collegati ad eventi elettrici e chimici nel cervello. Rendere la testimonianza di pre-morte un'arena per mettere in scena vecchie battaglie filosofiche o teologiche non giova, è più fruttuoso considerare le visioni pre-morte come minimo come il frutto di un'immaginazione religiosa. Anche chi non crede a una realtà spirituale oggettiva è meglio che pensi questi fatti come se avessero comunque un significato personale e culturale.
L'uso di sostanze psicoattive è fonte di marcate esperienze spirituali e mistiche. Studiare questi casi aiuta poiché sappiamo tutto di cio' che sta all'origine. Le tradizioni religiose hanno posizioni ambivalenti sui danni e i benefici del loro impiego, ad ogni modo è sorprendente il fatto che sembrino offrire in modo tanto affidabile la garanzia di "viaggi" spirituali che la maggior parte dei soggetti considera significativi, sebbene il contenuto di queste esperienze vari enormemente. C'è chi testimonia un dissolvimento del "senso di sé", un'unione a forze soprannaturali, una consapevolezza "vasta, benevola, eterna, pacifica..." che sembra più reale della realtà di tutti i giorni. L'esperienza mistica farmacologica, a quanto pare, ha molte più somiglianze che differenze rispetto all'esperienza mistica non farmacologica; inoltre, un numero incredibile di atei che l'hanno provata si sono successivamente convertiti. Sembra che la sostanze psichedeliche siano la più efficace fonte di conversione! In genere si ha la sensazione di comunicare con qualcosa che possiede gli attributi di un essere cosciente, benevolo, intelligente, sacro, eterno e onnisciente. Chi la prova ne parla come di un'esperienza mistica completa, nonché come una delle cose più importanti della propria vita
Il Venerdì Santo del 1962, un ricercatore (Walter Pahnke) somministrò la psilocibina ad alcuni volontari tra gli studenti di teologia poco prima della Messa, non ricordo più dove ma su Wiki c'è tutto. I risultati furono eclatanti: quasi tutti i soggetti hanno riferito di esperienze profonde che hanno continuato a considerare significative per il resto della loro vita (come confermato dal follow-up decenni dopo). Alcuni hanno descritto l'esperienza come la più potente esperienza spirituale della loro vita, il che è degno di nota perché erano generalmente già credenti che si apprestavano ad intraprendere carriere religiose legate alla loro fede cristiana. I volontari hanno chiaramente capito che gli veniva somministrato un farmaco, ma la cosa non sembrava ridurre l'importanza spirituale attribuita successivamente alla loro esperienza. Un partecipante disse che la sua attenzione si fissò su particolari caratteristiche melodiche e liriche di un inno cantato durante il servizio, sia la sua formazione musicale che l'educazione cristiana sono confluite in quella concentrazione così particolare indotta dalla psilocibina: una progressione musicale di routine veniva trasformata nel più potente ritorno a casa cosmico mai sperimentato. L'esperimento, sempre secondo questo soggetto, "... ha ampliato la mia comprensione di Dio offrendomi l'unica potente esperienza che abbia mai avuto... da sempre credevo che Dio è amore e che nessuna sfumatura dell'amore poteva essere assente dalla sua infinita natura; ma che Dio mi amasse così direttamente non lo avevo mai provato in vita mia... è una modalità di fede che non mi era mai venuta naturale..."
Sam Harris avverte che se esperienze spirituali potenti e importanti possono essere indotte da psicofarmaci dovremmo essere cauti nel prenderle come prove per specifiche affermazioni metafisiche e dottrinali. Cosa significa un'esperienza spirituale? Se sei un cristiano potrebbe significare che Gesù Cristo è sopravvissuto alla sua morte sacrificandosi per te. Se sei un indù ti racconterai una storia completamente diversa. Per Harris questa diversità mina ogni pretesa metafisica specifica, mentre per altri è un incoraggiamento a rintracciare elementi comuni nelle diverse tradizioni di ricerca della verità.
I Misteri Eleusini erano un'antica tradizione greca praticata per migliaia di anni in relazione al culto della dea Demetra e alla storia della discesa agli inferi di sua figlia Persefone. Le cerimonie associate potevano essere praticate solo in un sito specifico vicino alla città di Eleusi. I partecipanti dovevano ricevere una formazione specifica per essere ammessi, occorreva giurare anche di mantenere taluni segreti legati ai riti. Sebbene tornassero poi alla loro vita normale, praticamente tutti prendevano il voto estremamente sul serio, quindi oggi sappiamo ben poco di quello che succedeva esattamente a Eleusi. Molti alludevano a qualche tipo di contatto con la divinità durante l'iniziazione, e alcuni hanno affermato di non aver più paura della morte. I Misteri hanno smesso di essere celebrati con l'ascesa del cristianesimo e nessuno li ha più sperimentati per più di un millennio e mezzo. Ma cosa succedeva durante quel culto? Un fatto interessante è che a tutti gli iniziati veniva data una bevanda chiamata kykeon, la ricetta è andata perduta a causa proprio del voto al silenzio, ma ci si è spesso chiesti come le persone potessero esserne così influenzate. Negli anni '60, due eminenti studiosi pubblicarono un libro sostenendo che il Kykeon conteneva sostanze derivate dal fungo ergot. Pubblicarono successivamente numerosi altri libri sostenendo che le religioni di tutto il mondo usavano tradizionalmente sostanze psicoattive per facilitare l'esperienza del divino e che le dottrine religiose, le narrazioni e i rituali sono spesso, almeno inizialmente, basati sulla droga. Ma è interessante notare che gli studiosi che sostengono l'impiego di droghe degli iniziati eleusini non intendono sfatare l'autenticità del misticismo sottostante. Questa è una stranezza per molti scettici.
C'è infine il problema del sogno. Il sogno è un'esperienza umana universale che ci rende scettici sull' esperienza, questo perché i sogni di solito ci sembrano così reali e così importanti. Tuttavia, la cultura occidentale moderna dà per scontato che i sogni non siano veritieri, e che al massimo potrebbero rivelare o rafforzare qualche ricordo. La nostra rappresentazione neuropsicologica del sogno li interpreta come uno sforzi istintivo del cervello per dare un senso al "rumore" casuale, ma si tratta di un'interpretazione molto originale rispetto alla tradizione, in passato veniva regolarmente associato a eventi esterni. Ma tutte le culture hanno dovuto fare i conti con l'effimero dei sogni e il modo in cui il loro contenuto è nella migliore delle ipotesi inaffidabile. Molte esperienze spirituali potrebbero essere sospettate di avere origine in sogni. Oppure, i sogni forniscono semplicemente un'analogia che mostra che le nostre menti sono talvolta in grado di produrre esperienze che sembrano autentiche e importanti. Un contro-argomento è che non dovremmo dubitare delle nostre esperienze semplicemente perché a volte ci sbagliamo nel valutarle, come nel caso dei sogni. Altrimenti, cadremmo nello scetticismo radicale su tutta la nostra conoscenza ed esperienza. Ad esempio, Descartes usa l'esperienza del risveglio da un sogno in cui aveva creduto mentre è durato come una pietra miliare della sua motivazione per impegnarsi a dubitare di tutto. Il filosofo cinese Zhuang Zhou afferma di non sapere se era un uomo che sognava di essere una farfalla o una farfalla che sognava di essere un uomo. Nel film Inception ci sono persone che, abituate all'esperienza del "risveglio" all'interno di un sogno, non sono sicure di quante volte devono ancora svegliarsi per tornare alla realtà del risveglio.
Alla fine di questo viaggio non ci resta che adottare un atteggiamento di grande umiltà verso questi fenomeni: lo scettico dovrebbe andarci con i piedi di piombo prima di "negare", ma anche il credente deve essere prudente: supponiamo che Dio parli agli uomini, la sua comunicazione potrebbe non essere sempre compresa. In questo senso potrebbe essere utile riflettere sulla storiella dei ciechi e dell'elefante: un certo numero di ciechi si imbatté in un elefante e tutti cominciarono a toccarlo nel tentativo di descriverlo. Il disaccordo imperava perché chi palpava il fianco diceva che era come un muro, mentre un altro palpava la proboscide e lo descriveva come un serpente, un terzo alle prese con le zampe lo vedeva come una colonna. Eccetera, eccetera, eccetera. Che morale trarne? Qui ci si divide perché c'è chi vede ogni cieco credere erroneamente nella verità esclusiva della propria dottrina professata a priori. Tuttavia, altri concludono che le differenze radicali nella percezione non provano affatto l'inesistenza dell'elefante. Le persone soggette ad esperienze spirituali potrebbero vedere qualcosa di reale, ma la loro descrizione potrebbe non essere completa. Anche se siamo tentati di accantonare i resoconti spirituali a causa delle loro incoerenze, non dovremmo scartarli completamente perché potrebbero mantenere comunque un valore probatorio, sebbene in un modo più limitato o complicato di quanto gli autori di chi li fornisce credano.

sabato 28 dicembre 2019

LA FILOSOFIA DEL RAGIONIERE

Poiché sono un ragioniere non ho mai studiato filosofia, e questo è stato sempre un mio cruccio. Qualcuno potrebbe parlare di frustrazione. Poi però ho scoperto che nemmeno al liceo si studiava filosofia, piuttosto "storia della filosofia", qualcosa di cui francamente faccio volentieri a meno. Per me una scoperta del genere è stata un vero sollievo.
La confusione tra filosofia e storia della filosofia è molto diffusa e si riflette indirettamente in una distinzione comune nella filosofia contemporanea tra stile "analitico" e stile "continentale".
La cosiddetta filosofia analitica si pratica principalmente nei paesi di lingua inglese (Inghilterra, USA, ecc.). I filosofi “analitici” pensano che il compito principale della filosofia sia quello di risolvere i problemi, di spiegare i significati delle parole e analizzare i concetti. Il loro obbiettivo è sostanzialmente quello di esprimere chiaramente le loro tesi, di fornire argomentazioni logiche a supporto e di rispondere poi alle obiezioni formulate da chi non è d'accordo con loro. Facile, puo' capirlo anche un ragioniere. Se un filosofo analitico sta discutendo di giustizia, per esempio, di solito comincia specificando cosa intende con la parole "giusto" e come collega il concetto di giustizia a quello di equità o correttezza.
I "filosofi continentali" sono generalmente molto meno chiari su ciò che stanno dicendo. Ad esempio, non definiranno esplicitamente i termini prima di procedere. Usano molti riferimenti indiretti senza alcuna spiegazione letterale. E' come se dessero molte cose per scontate, come se preoccupazioni del genere siano risolte dalla conoscenza della "storia della filosofia". Oppure si aspettano che le cose assumano una loro forma più definita nel corso della discussione che loro stanno iniziando. Quando avanzano un'idea, in qualche modo danno pure degli argomenti per sostenerla, ma è difficile isolare le premesse e le fasi successive di quel ragionamento che li ha condotti ad affermare cio' che sostengono. Un autore continentale non ti direbbe mai che il suo ragionamento si fonda su tre premesse, per poi elencarle come (1), (2), (3) (un passaggio obbligato per gli "analitici"). Nemmeno affrontano direttamente le obiezioni. In genere scrivono libri lunghissimi e molto discorsivi. Hanno un loro gergo ma non sembra giovi molto alla sintesi o alla comprensione. Autori del genere fanno crescere la frustrazione del ragioniere pagina dopo pagina. Quando non capisci un autore analitico sai che devi studiare di più, ma se non capisci un autore continentale sei in mezzo alla palude, non sai bene cosa devi fare, il dubbio è che tu debba realmente conoscere tutta la storia della filosofia, ovvero fare il liceo. Le opere della filosofia continentale, inoltre, spesso flirtano con il soggettivismo o l'irrazionalismo.
I filosofi generalmente tendono politicamente a sinistra, come un po' tutti gli intellettuali. Ma i filosofi continentali hanno inclinazioni ancora più pronunciate. Heidegger, il padre della filosofia continentale moderna, era letteralmente un nazista. Diciamo che i "continentali" hanno maggiori probabilità di avere opinioni politiche estreme, folli, orribili. Tra loro i comunisti e i fascisti spuntano come funghi. Non si può menzionare la distinzione analitico/continentale senza menzionare il disaccordo tra Martin Heidegger/Rudolf Carnap. Il secondo considerava i capolavori del primo un misto di banalità e nonsense.
La differenza tra le due scuole è innanzitutto di stile. Gli analitici sono più naive, offrono tesi chiare, argomenti logici e rispondono alle obiezioni. Il loro scopo ideale è quello di migliorare la conoscenza e la comprensione del mondo. Il filosofo non deve, ad esempio, confondere le persone, impressionarle con una prosa rutilante o per come padroneggia la storia della filosofia, non deve esporlo alla contemplazione di frasi ben tornite inducendolo a tacere e smettere di interrogarti. Per aumentare la conoscenza e la comprensione filosofica di un lettore, si deve generalmente dargli buone ragioni per credere a ciò che si sta dicendo. Se, invece, il lettore adotterà il tuo punto di vista a causa della tua abilità retorica, magari perché colpito dalla squisita raffinatezza di una prosa in grado di sopire ogni dubbio, allora non avrà acquisito conoscenza e comprensione della materia trattata.
Mi sembra chiaro che un ragioniere intimorito di fronte al colossale corpo di conoscenze filosofiche prodotto dall'umanità nel corso dei secoli, si rivolga agli analitici, ovvero a coloro che considerano la "storia della filosofia" qualcosa di completamente diverso dalla filosofia, un po' come uno scienziato considera la storia della fisica qualcosa di completamente diverso dalla fisica. Se si puo' infatti essere ottimi fisici senza conoscere la storia della fisica, se si puo' addirittura vincere il premio Nobel senza sapere nulla della fisica di Aristotele; allora, forse, si puo' comprendere un filosofo anche senza aver fatto il liceo o conoscere autori superati come Platone e Aristotele.
L'altra cosa da sottolineare è che le tesi più comunemente associate ai filosofi continentali sono sbagliate, a volte persino sconcertanti. Questo non li rende molto attraenti per un semplice ragioniere assetato di verità.
Per esempio, la filosofia continentale nega spesso l'esistenza di una realtà oggettiva. A volte sembra dire, ad esempio, che quando chiudo gli occhi, il resto del mondo esca in qualche modo dall'esistenza. Come se il mondo esistesse solo se percepito dagli uomini o comunque da un osservatore. Per la persona comune e per i filosofi analitici un mondo che esiste indipendentemente dagli osservatori è invece facilmente immaginabile e ipotizzabile. Negarlo sembra assurdo. L'errore dei continentali sta nel confondere l'affermazione che un determinato oggetto della conoscenza è rappresentato da una mente particolare con l'idea che il suo essere rappresentato da quella mente fa parte del contenuto stesso della rappresentazione. In altre parole: dal fatto che posso immaginare la Terra solo usando la mia mente, non consegue che posso immaginare la Terra solo come immaginata da me.
Uno si chiede il perché di simili gaffe che perpetuano gli stereotipi verso il filosofo con la testa nelle nuvole. Lo strano soggettivismo dei continentali serve forse per alimentare un poetico scetticismo che troppo spesso li seduce ispirando loro pagine su pagine dotate di un certo afflato più che di un contenuto reale. Come nel loro stile, l'idea centrale non è mai espressa in modo rigoroso, ci si limita ad evocarla all'incirca così: "è impossibile per noi sapere qualcosa senza usare le nostre menti, i nostri schemi concettuali, i nostri occhi... pertanto, non ha senso parlare delle cose come sono in se stesse, e nemmeno ha senso l'idea di "realtà oggettiva"..."
Insomma: "poiché abbiamo occhi con cui vedere, siamo ciechi". L'argomento degli "occhi" percorre la filosofia continentale in lungo e in largo, viene riproposto ossessivamente trattando dei temi più disparati. Un continentale non ti dirà mai che ritiene una certa sua affermazione vera al 40%. Farà invece la sua affermazione corredandola con il pleonastico argomento degli occhi. Il filosofo australiano David Stove ha battezzato questo argomento "The Gem" bollandolo come "il peggior argomento mai concepito nella storia della filosofia".
I filosofi continentali non amano molto la razionalità. Inutile dilungarsi sul perché invece un filosofo dovrebbe costituire l'epitome della razionalità, penso che sia fondamentalmente una tautologia: il pensiero razionale non è altro che il pensiero senza errori. Per essere onesti, poche persone diranno apertamente: "ehi, sono irrazionale, e dovresti esserlo anche tu!". Ma puoi leggere molti autori continentali che rifiutano i principi centrali della razionalità, come quello dell'obbiettività e della coerenza.
Ma perché una simile sconcertante idiosincrasia? Il fatto è che se eludi la razionalità puoi continuare a sostenere le tue convinzioni sbagliate, in qualche modo, in questi casi, percepisci implicitamente che razionalità e obbiettività sono i tuoi nemici. Devi anche evitare di essere chiaro nella tua esposizione. La nebbia, la parzialità e la confusione sono elementi chiave per coltivare false credenze. L'esistenzialismo, una tipica filosofia continentale, ti lascia libero di credere e fare quel che vuoi, purché sia "autentico", ma per poter elargire un simile dono ai suoi adepti deve presentarsi come particolarmente confusa, disarticolata e zeppa di tesi ingiustificate. Direi che ci riesce benissimo, e non a caso nei licei europei è sempre andato fortissimo.
Ma anche la filosofia analitica nasconde una sua "miseria". Il suo problema principale è che è troppo... analitica.
Le affermazioni analitiche sono vere in virtù del significato delle parole che usano. Tipo: "tutti i rombi hanno quattro lati" e "il presente viene prima del futuro". Sarà per questo che i filosofi analitici passano gran parte del loro tempo a parlare del significato delle parole. Bello! Ma dopo un po' ti rompi i coglioni... e vorresti affrontare qualche problema sostanziale. Non so quante persone pensano ancora che il compito della filosofia sia di analizzare il linguaggio e roba del genere. Spero che non siano molti. Ma il passato pesa e ancora oggi ne circolano parecchi con questa sindrome: neuroni rubati all'agricoltura.
Il primo problema specifico della filosofia analitica è dato dal fatto che la gran parte delle sue analisi sono "infruttuose". La chiarezza non riesce a creare consenso: su quasi tutti i problemi maggiori si resta divisi, e quando le divisioni persistono per decenni è segno che non si saneranno mai. La conoscenza non si cumula, altro che scienza. Per contro, molte analisi semantiche sono così contorte che risultano di fatto inutili. Esempio, le analisi di cui ora discutono gli epistemologi sono così complicate e confuse che nessuno usa il termine "conoscenza" avendo in mente il loro lavoro. ma a che servono? Alla comprensione teorica dei filosofi accademici? È questo ciò di cui abbiamo bisogno? Un chiarimento dei termini che impegna decenni di riflessione per arrivare a conclusioni lontane dall'uso effettivo che viene fatto di quelle parole sembra uno spreco colossale.
Ad ogni modo, una buona dose di dibattito nella filosofia analitica, anche quando non si tratta direttamente dell'analisi semantica, degenera comunque in una noiosissima analisi semantica. niente di più palloso e inconcludente.
Esempio: quando un'affermazione è "giustificata"? Ci si divide tra internalisti ed esternalisti. I secondi ritengono che una credenza sia vera quando è verificata da una certa procedura descrivibile esteriormente. Gli internalisti invece pensano che il cuore della giustificazione sia il buon senso e l'intuizione, ovvero qualcosa che non si puo' descrivere se non come stato mentale dell'osservatore. "La neve è bianca" è vera solo se la neve è bianca. Ecco, questo scontro mi sembra uno scontro senza molta sostanza, uno scontro più sulle parole che sulle cose: l'internalista accetta buona parte di cio' che dice l'esternalista e viceversa, ma i due hanno modi diversi per esprimersi. E intanto la gente - scienziati compresi - continua tranquillamente a utilizzare il termine "giustificazione" senza aspettare di certo che i filosofi analitici decidano cosa significhi.
Altro esempio, ci sono dibattiti in metafisica sull'esistenza degli "oggetti compositi". Esistono veramente? C'è chi lo nega e pensa che se prendi alcune particelle elementari, non c'è nulla che tu possa farle per assemblarle e realizzare un oggetto autonomo. Quindi, per esempio, le tabelle non esistono, le persone non esistono, ecc. Altri filosofi affermano invece che gli oggetti possono comporre altri oggetti. Se hai un oggetto A e un oggetto B, allora c'è sempre un terzo oggetto che ha sia A che B come parti. Immaginatevi l'interesse delle persone per una questione del genere, immaginatevi l'ansia con cui si attende il verdetto, immaginatevi l'attesa con cui si attende che la filosofia analitica dirima la questione.
Ma c'è qualcosa di ancora più grave: i filosofi analitici, ahimé, decidono quali domande porsi in base alla possibilità di applicare o meno il loro metodo (definizione/deduzione). Risultato: parlano solo di cazzate. Pardon, affrontano temi che non interessano nessuno eludendo le domande che contano realmente. Nel solco di Wittgenstein ("di cio' di cui non si puo' parlare si deve tacere") finiscono per produrre solo noia e virtuosismo intellettuale fine a se stesso. Ci si chiede perché non si dedichino alla settimana enigmistica.
Esempio: qual è il motivo per cui dovremmo obbedire al governo? Il filosofo analitico trasforma la domanda in modo da renderla più "trattabile". Tipo: come dovrebbe essere in astratto un ordine politico ideale? Qui comincia ad elencare le condizioni, tutte rigorosamente astratte. Tutti i paroloni con accezione positiva (libertà, uguaglianza, bene, giustizia) vengono tirati in ballo senza specificazione significativa. A questo punto si potrebbe osservare che, poiché nella realtà non esistono governi del genere, non esiste un obbligo di obbedienza. Ma a questa conclusione il filosofo analitico non arriverà mai poiché si tratta di un'affermazione con un contenuto empirico, non gli riguarda. Purtroppo per il lettore, è anche l'unica affermazione interessante. In breve: il filosofo analitico è uno specialista nel sostituire la domanda che conta con una domanda di cui non frega niente a nessuno (se non forse ai suoi colleghi), perché quest'ultima non gli chiede di alzare il culo dalla sua poltrona.
Altro esempio, in passato ho cercato di affrontare in modo analitico il problema teologico del male. Ecco un modo semplice per comprenderlo: Dio, se esiste, dovrebbe essere onnisciente, onnipotente e buono. Ora, se Dio non è a conoscenza di tutti i mali del mondo, allora non è onnisciente. Se è consapevole del male ma non è in grado di fare nulla al riguardo, non è onnipotente. Se è consapevole del male ed è in grado di eliminarlo, non è buono, visto che quel male esiste. Un bel problema per i credenti. Un modo per risolverlo consiste nel mettere in evidenza come Dio, avendo concesso all'uomo una libertà radicale, ha in qualche modo limitato la propria onnipotenza. Osservando la reazione di un filosofo analitico impegnato nel difendere la posizione atea, ho notato che considerava questa risposta "inammissibile". Motivo? "Rettificava le premesse": non si puo' difendere una tesi ridefinendola. Avete capito bene, a un filosofo del genere non interessa nulla di come stiano le cose, lui è solo preso nei suoi giochetti di parole, e se uno fa un passo indietro, rimette a posto certi concetti in modo che quadrino le cose, tutto quello che ha da dire è che "non vale", come se si stesse facendo un gioco in cortile. Ho trovato questo caso sorprendente. Quindi, se si scopre che esiste un essere estremamente potente, intelligente e buono che ha creato l'universo, ma l'essere non è in grado di fare tutte le azioni logicamente possibili, allora questo essere non desta alcun interesse per il filosofo analitico? Un tipo del genere è più preso dai giochi di parole che dalla comprensione della realtà. Capisco che ci siano casi in cui difendere una tesi ridefinendola la rende poco interessante. Ad esempio, se difendessi il "teismo" definendo "Dio" come definisco la "Natura", ciò snaturerebbe la mia difesa. Ma il caso del dio onnipotente è molto diverso!
Conclusione. la filosofia migliore su piazza è quella che utilizza il rigore degli analitici ma affronta i temi dei continentali.

venerdì 27 dicembre 2019

PARLAMENTO FLASH

PARLAMENTO FLASH

Propongo di sostituire il parlamento con un "parlamento flash". Funzionerebbe così.
Allora, chi vuole proporre una legge puo' farlo pagando X euro. Ok?
Poi si sorteggiano N cittadini e si fa votare loro la legge proposta. Se si raggiunge la maggioranza M la legge è approvata e chi l'ha proposta riceve in cambio la somma Y. In caso contrario si torna come prima e lo stato incamera X euro.
Fine.
Mi rendo conto che sarà necessario qualche aggiustamento, l'assemblea dei sorteggiati potrebbe essere presieduta da un giudice costituzionale che dia delle dritte meramente formali. Ci dovranno essere norme anti-corruzione. I parlamentari potrebbero avvalersi di consulenti. Si dovrebbe rendere il processo il più celere possibile avvalendosi della tecnologia. Eccetera, eccetera, eccetera.
Ma perché appesantire qualcosa di così semplice ed elegante?

COME SI DIVENTA ATEI

COME SI DIVENTA ATEI
Da adolescente, pensavo che la religione si trovasse nei libri sacri. Ci credevo perché mi era stato insegnato così. Inoltre, da persona che amava i libri trovavo tutto questo molto plausibile, ne ero addirittura lusingato. Tuttavia, ho riscontrato immediatamente che molti "adoratori del Libro" non amavano affatto i libri in generale. In tutto questo c'era quindi qualcosa che non andava.
Successivamente, ho rettificato il tiro e, leggendo Tommaso, ho pensato che la religiosità fosse essenzialmente una scelta razionale. Devo ammettere che per me è ancora così, ma se questa è una buona teoria per me, non riesco più a sostenere che sia una buona teoria generale della religione. Se giudico i miei correligionari vedo più che altro persone emotive, che danno poco spazio alla riflessione, all'analisi razionale della fede, a volte ne sono persino offesi. E così mi sono ritrovato in età avanzata senza una buona teoria della religione. Come rimediare?
Mi sono messo in ricerca e ho incontrato (sui libri) alcuni studiosi - sia atei che credenti - i quali sostenevano che l'atteggiamento religioso ha una profonda radice cognitiva, è cioè un fenomeno del tutto naturale e sempre lo sarà. L'essere religiosi si attaglia al nostro cervello. Il contorno dell'identità religiosa è modellato dalla storia, dalle liturgie e dalle teologie, ma le radici della sensibilità religiosa, sono antiche e primordiali. In questo senso mi sono ritrovato nello strano connubio tra Nuovi Atei e don Giussani: la scelta religiosa "ci corrisponde". Diversamente dai primi, però, non proseguivo pensando che la religione fosse una deviazione dalla retta via, un inciampo nella maturazione individuale. Al contrario: sfidare la nostra natura era per me, oltre che temerario, segno di immaturità.
Successivamente, mi sono avvicinato anche a chi sosteneva una comprensione funzionalista della religione, chi la vedeva come un adattamento culturale. Ci sono molti autori, infatti, che spiegano bene come la religione svolga particolari funzioni nella società o nella psicologia sociale. Spiegano come la religione, ad esempio, abbia reso possibile la cooperazione umana, e come sia stata fondamentale per consentire l'emersione della complessità sociale negli ultimi 10.000 anni. C'è un dibattito aperto sulla questione, e comunque sembra chiaro che la religione non sia stata affatto la "radice di tutti i mali", piuttosto qualcosa di indispensabile per governare la complessità sociale.
Una prospettiva culturale è importante per colmare la lacuna principale dell'antropologia cognitiva: come spiegare le variazioni nell'espressione della religiosità? Gli antropologi cognitivi avevano buone argomentazioni sul perché i fenomeni religiosi tendevano a incanalarsi in determinate direzioni (ad esempio, perché gli dei sono antropomorfi), ma non spiegavano, ad esempio, perché certe persone fossero atee o perché la religiosità oscillava nel tempo.
Le origini dell'incredulità rappresentano un banco di prova fondamentale per una buona teoria della religione. Quando si diventa atei? Ora bene o male lo sappiamo, e c'è un modo semplice per rispondere: la maggior parte delle persone si comporta come le pecore. In ambienti atei la persona comune trova le affermazioni religiose inverosimili. Al contrario, in ambienti religiosi le proposizioni atee sembrano ai più ridicole oltreché blasfeme. Proprio come per i credenti, molti atei non derivano affatto la loro "fede" da una riflessione. La religione, in questo senso, condivide molte caratteristiche con la politica e la cultura. In Italia amiamo l'opera ma non certo sulla base di profondi giudizi estetici!
L'ateo e il credente hanno una struttura mentale loro propria, nessuno lo nega, ma si tratta di pre-condizioni che conducono all'esito previsto (ateismo o fede) solo se immerse nel giusto contesto. Per esempio, la credenza in Dio o in altri poteri soprannaturali può essere collegata in modo cruciale alla capacità cognitiva umana di inferire gli stati mentali di altre persone ("mentalizzazione"). I credenti religiosi pensano intuitivamente alle loro divinità come esseri con stati mentali che anticipano e rispondono ai loro bisogni. Pertanto, l'incapacità di "mentalizzare" rende la credenza meno intuitiva. Questa capacità manca più spesso agli uomini, e cio' spiega il faith-gap. Tuttavia, la probabilità di diventare ateo è indotta dalla scarsa esposizione a stimoli culturali credibili dell'impegno religioso, in questo senso lo stile cognitivo del singolo ha un peso molto più ridotto.
Faccio solo un esempio, prendiamo una società avanzata del XXI secolo, sarà un posto dove è molto importante saper scrivere un programma per i computer. Ma per svolgere al meglio questo compito la capacità di "mentalizzare" è alquanto relativa. Si tratta di qualcosa destinato a perdere valore. Da cio' deriva il fatto che sempre più persone prive di questa abilità potranno comunque avere successo e creare un contesto di successo dove l'ateismo puo' trovare il giusto reagente e diffondersi a macchia d'olio.


mercoledì 25 dicembre 2019

ABOLIRE IL NATALE?

ABOLIRE IL NATALE?
Ci sono ottimi motivi per farlo. I credenti pensano che sia il giorno della nascita di Gesù, ma gli studiosi ne dubitano fortemente per almeno due motivi. Innanzitutto, i pastori; nella tradizione si cantava invadendo i campi con le proprie pecore, ma cio' accadeva in primavera. La Stella dei Magi fornisce ulteriori dubbi. Le simulazioni ci dicono che molto probabilmente quella luce era prodotta dalla brillantezza di Giove particolarmente vicino a Saturno, ma è comunque in autunno che si sarebbe realizzato questo fenomeno. Insomma, il Natale non è il momento giusto per fissare la nascita di Gesù.
La tradizione natalizia è poi caratterizzata dai regali ad amici e parenti. I genitori vendono ai bambini la storia di Babbo Natale, un vecchio buontempone con la barba, in origine probabilmente un santo storico il cui racconto è stato pesantemente abbellito: volerebbe in aria con una slitta trainata da renne e visiterebbe tutte le famiglie sulla Terra in un solo giorno, quello di Natale appunto. Questa tradizione in realtà sembra pagana, più di uno studioso nota che i dettagli sono tratti da una leggenda di Odino. Sebbene fonti non banali sembrino supportare la presenza di Babbo Natale, nessuno ha fornito dati sufficienti. Concludere che Babbo Natale non è reale è doveroso.
E quali sono gli effetti economici di tutti questi doni? Dato che i regali hanno un valore, si potrebbe presumere che la tradizione natalizia porti un beneficio a negozi e dei mercati. Ma gli economisti dicono che tutto il casino natalizio nasconde una perdita secca: spenderesti gli stessi soldi ma in modo più oculato. Spendere per se stessi ottimizza il valore molto meglio che spendere in favore di altri. I regali vengono scelti da incompetenti e/o disinteressati.
Quando acquistiamo per gli altri, i reali bisogni del beneficiario ci sono sconosciuti. I regali non aumentano il benessere e non aumentano la crescita economica, al contrario, tutti concordano che sono più o meno uno spreco economico.
Cosa resta di buono nel Natale? Dipende. Le vacanze sono un momento per vedere la famiglia e gli amici in una stagione di oscurità e tempo inclemente. Il Natale offre una scusa per riunire le persone. Le persone pregano per Gesù e la pace nel mondo e si sentono più buone; i parenti sono più uniti; i lavoratori ottengono del tempo libero; i bambini piccoli sono felici! Il Natale ci fornisce un pretesto per ballare e cantare, per esporre le decorazioni e far suonare le campane. Nonostante lo spreco economico, nonostante i giorni sballati, è molto probabile che questi valori non quantificabili superino di molto quelli quantificabili. In questo senso sia lo Scrooge che il Grinch che è in me deve arrendersi. Fare i calcolini è come cercare le chiavi sotto il lampione: non sta lì, ma è l'unico posto illuminato; la bellezza del Natale, quando c'è, non è quantificabile. Puo' essere utile ragionare come il Grinch, purché non si raggiungano le sue conclusioni: la parte buona del Natale non puo' essere misurata.
Buon Natale.