C’è come la sensazione che gli economisti si siano persi qualcosa per strada nelle loro superfighissime analisi, che nei loro modelli manchi una variabile importante, forse decisiva.
Magari l’incidenza della famiglia nelle questioni economiche?
Per esempio, il fatto che un bambino nasca fuori da una relazione familiare stabile è davvero irrilevante? Non è che diseguaglianza e rivoluzione valoriale siano in qualche modo connesse? Nick Schulz è convinto che sia così e ce lo spiega nel volume: “Home Economics: The Consequences of Changing Family Structure (Values and Capitalism)”. Negli appunti che seguono alcune riflessioni suscitate dalla lettura.
Tesi: il collasso della famiglia solida ha conseguenze economiche importanti.
La famiglia stabile: più importante che mai per il successo nella società capitalista, una società dove il cervello conta più dei muscoli.
Il dibattito sulla struttura familiare viene considerata di solito una questione culturale, non economica. Ma distinguere è impossibile (oltre che dannoso).
Difficile discutere dei salari bassi dei lavoratori non qualificati senza considerare i nati fuori dal matrimonio. Stimolante parlare di crescita guidata dall’imprenditore senza tener conto del legame tra assunzione del rischio imprenditoriale e crescita in una famiglia stabile… ecc.
Ma “separare” è sempre stato imprescindibile per non tirare in ballo i valori. La morale da una parte, l’economia dall’altra. Evitare di mettere a disagio chi discute era una priorità. Che senso ha elencare le conseguenze negative del divorzio se il divorzio è di default una conquista di civiltà?
Il mischione da evitare: razza, sesso, famiglia…
Il sociologo preoccupato dal declino dei matrimoni o dall’impennata dei divorzi era automaticamente considerato un restauratore del patriarcato.
USA 2011: meno del 50 percento delle famiglie era costituito da coppie sposate.
In crescita ovunque: coppie non sposate, famiglie senza figli, famiglie monogenitoriali…
Indagine di riferimento: Pew Research Center: “The Decline of Marriage and Rise of New Families.”
Trend incontestabile: sempre meno matrimoni e aumento di divorzi e persone che non si sposano affatto. Chi si sposa ancora, lo fa sempre più tardi.
Ryan Streeter: c’è un enorme cambiamento nella concezione morale della “vita giusta”. Ricordate la Cirinnà e la sua “vita di merda”? Pensate che quella una volta era la “vita giusta”.
Sorpresa, il peso dell’istruzione. Per la Pew: il matrimonio rimane la norma solo per gli adulti con un’istruzione universitaria e un buon reddito. Mentre il 64 per cento degli americani con una laurea è sposato, di quelli con un diploma di scuola superiore (o meno), solo il 48 per cento.
Un libro esplicito sul tema? Charles Murray: “Coming Apart”.
Murray: il matrimonio è ancora abbastanza in auge tra i benestanti, ma c’è stata una tremenda erosione quando si scende la scala del reddito e dell’istruzione.
Stesso trend per i figli nati fuori dal matrimonio: mentre solo il 6% sono nati da mamme laureate, la percentuale cresce al 44% per le diplomate.
Una norma sociale saltata in aria: la ragazza che rimaneva incinta nel corso del fidanzamento veniva regolarmente sposata. Sul tema interviene anche George Akerlof: “Men without Children.”
Divorzi, trend e picco: il tasso è aumentato significativamente dalla seconda guerra mondiale, con il più elevato negli anni ’80. Da allora, il tasso di divorzi è gradualmente diminuito, sebbene non sia mai tornato ai livelli precedenti.
La cosa è più grave di quel che si pensi: il picco è ancora più elevato se si considera il tasso non come percentuale della popolazione totale, ma come tasso tra le persone sposate. I matrimoni, infatti, diminuivano parallelamente.
Justin Wolfers e Betsey Stevenson hanno studiato il numero di bambini colpiti da un divorzio. Negli anni ’50 il divorzio medio coinvolgeva 0,78 bambini mentre nel 1968 quel numero era salito a 1,34. Da quel momento, tuttavia, un minor numero di bambini è stato sottoposto agli effetti negativi del divorzio.
Cause del fenomeno descritto da W e S: 1) le famiglie numerose erano meno, 2) il divorzio potrebbe concentrarsi su coppie senza figli, 3) aumento delle nascite fuori dal matrimonio.
Nascite fuori dal matrimonio. Negli anno 60 il 5%. Nel 2010 il 40%.
Bambini con famiglia monogenitoriale: anche qui un’impennata, dal 9% al 25%.
Morale: quello che ieri era un figlio illegittimo, oggi è un figlio normale.
La situazione della coppia per Sara McLanahan (Princeton University-Brookings Institution): più dell’80 per cento dei genitori non sposati ha una relazione al momento della nascita del figlio, e la maggior parte di questi genitori nutre grandi speranze per un futuro insieme. Speranze spesso deluse.
Nonostante questa catastrofe della famiglia la retorica sopravvive, il sogno del matrimonio persiste.
I conviventi crescono ma non ispirano molta fiducia: più della metà di queste coppie si lascia (ricerca della University of Michigan).
Cosa trascina il cambiamento? Possibile causa: la maggiore partecipazione femminile al mondo del lavoro ha significato una maggiore sicurezza economica.
Scott Hankins e Mark Hoekstra: avere un reddito rende le donne meno propense a sposarsi.
Altra causa: i maschi sono meno seducenti. La classe media che lavorava nella manifattura ha subito un declino inarrestabile (University of Virginia’s National Marriage Project).
Ma i cambiamenti economici non esauriscono la storia, c’è anche uno shift valoriale.
Esempio di un valore saltato: l’inaccettabilità dei rapporti prematrimoniali.
Altro cambiamento: crollo della partecipazione religiosa negli ultimi decenni. Le religioni pongono l’accento sull’importanza e la santità del matrimonio e della vita familiare.
Altra causa: gli adolescenti vivono ormai in un loro mondo a parte (Mark Bauerlein). Impiegano molto più tempo a maturare e a superare i valori dell’adolescenza e la fase bambocciona.
Vale sempre la pena ricordarlo: qui si parla in termini statistici, sia chiaro. Ci sono molti esempi di bambini cresciuti da genitori single che hanno avuto successo e sono felici. La famiglia disfunzionale non è un destino.
Ma c’è un dato ineludibile: una famiglia fragile ha molte conseguenze negative.
La ricetta anti-povertà di Ron Haskins e Isabel Sawhill: diplomati, trovati un lavoro, sposati e fai figli. In questo caso hai solo il 2% di probabilità di finire povero e quasi il 75% di probabilità di entrare nella classe media guadagnando $ 50.000 o più all’anno.
Sara McLanahan e Gary Sandefur (“Growing Up with a Single Parent”): “ci sono pochi dubbi, crescere con un solo genitore è uno dei fattori che mettono i bambini a rischio di fallimento”.
David Ellwood e Christopher Jencks: la caratteristica più preoccupante del cambiamento familiare è stata la diffusione dellemadri sole.
Il concetto chiave per capire l’importanza della famiglia è quello che l’economista premio Nobel Gary Becker chiamava “capitale umano” e lo scienziato sociale James Coleman “capitale sociale“.
Definizione di capitale umano: la conoscenza, l’educazione, le abitudini, la forza di volontà e tutte le qualità intangibili di una persona attraverso le quali potrà produrre il suo reddito.
Quando si forma il capitale umano? Si sviluppa quando le persone sono giovani e durante tutta la loro adolescenza.
Il capitale umano è importante anche per l’economia. Può essere tanto importante quanto il capitale finanziario nel promuovere il successo futuro del bambino.
Tesi: la famiglia è tra le istituzioni più importanti per lo sviluppo del capitale umano e sociale.
Cristopher Lasch: la famiglia trasmette i suoi modelli culturalinell’individuo.
La forza della famiglia: l’unione di amore e disciplina nelle stesse persone, madre e padre, crea un ambiente molto “carico” in cui il bambino impara la lezione, e anche quando non la osserva la internalizza. Rinvio a Cristopher Lasch.
Il capitale umano e sociale, incluso il carattere di una persona, che è modellato in buona parte dalla famiglia, costituisce un requisito cruciale delle abilità personali.
Distinguiamo tra abilità cognitive (QI, facoltà innate e apprendimento accumulato dalla scolarizzazione e da altre fonti di conoscenza) e abilità non-cognitive (personalità, carattere).
Un esperto di abilità non cognitive: il premio Nobel James Heckman. Su cosa si ripercuotono? Sulla capacità di giocare lealmente con gli altri, di ritardare la gratificazione, di controllare le emozioni, di sviluppare e mantenere reti di amici e conoscenti…
Oggi, più importanti che mai: molti posti di lavoro fanno sempre più affidamento su abilità sociali non cognitive.
Heckman: le famiglie sono grandi “generatori” di queste competenze. Fanno molto più che trasmettere i loro geni. La disuguaglianza nelle prestazioni scolastiche è fortemente legata alla disuguaglianza negli ambienti familiari.
Esempio: la motivazione. Se un bambino non è motivato a imparare e impegnarsi fin da subito nella vita, quando diventerà adulto sarà sempre a rischio fallimento.
Anche l’autocontrollo, non è interamente innato! Vediamo di non cadere dal determinismo educativo a quello genetico.
Nel loro libro Willpower, lo psicologo cognitivo Roy Baumeister e John Tierney notano: ci sono pochi dubbi sul fatto che i geni svolgano un ruolo nell’autocontrollo di un bambino ma diversi studi ci dicono che sono ben lungi dallo spiegare tutto. I differenziali restano!
Mobilità sociale. Quanto conta la famiglia? Sembra non poco, e a prescindere dal reddito. Un riferimento: Thomas DeLeire e Leonard Lopoo e il loro Economic Mobility Project.
La loro conclusione: non è vero che solo il reddito dei genitori favorisca il successo dei figli, c’è dell’altro.
Cosa conta allora? Robe tipo: lo stile educativo dei genitori, le aspirazioni dei genitori e il quartiere scelto per crescere i propri figli. Ma soprattutto la struttura della famiglia in cui un bambino cresce.
Una strana coincidenza registrata dalla Pew Research: mentre nel paese perdeva peso la famiglia tradizionale, una percentuale sempre minore di adulti registrava guadagni economici. I più colpiti erano i più deboli.
Nicholas Kristof: uno scettico convinto dai danni prodotti dalla disarticolazione familiare. Ma è un pregiudizio da cui si sono risvegliati in molti: favorire la famiglia tradizionale non è segno di mentalità ristretta.
I matrimoni solidi hanno un enorme impatto benefico sulla vita dei poveri. Chiamiamolo pure “marriage premium”. Vale quanto una laurea.
Alla fine della sua ricerca negli anni 60, Moynihan produsse un articolo che analizzava i problemi degli afroamericani in varie città. Una ricerca successivamente nota sotto il nome di “The Moynihan Report”.
La forbice di Moynihan: negli anni 60 i tassi di disoccupazione stavano diminuendo eppure il ricorso al welfare era sempre più frequente. Perché?
L’opinione di Moynhan (senza prove schiaccianti ma con indizi potenti): la famiglia dei neri si stava sgretolando. Esempio: quasi un quarto delle donne nere sposate erano divorziate, separate o vivevano comunque da sole.
Le analisi di Moynahan ebbero un’eco potente, specie dopo le rivolte di Watts nel 1965. Il capo di imputazione riservato al ricercatore era molto duro: “accusare le vittime”.
I nemici di Moynhan. Lo storico Steven F. Hayward sottolinea che il rapporto Moynihan è stato occultato da due potenti correnti politiche che si sono unificate: femministe e sostenitori dei diritti civili.
Le femministe: riluttanti ad accettare l’idea che l’aumento delle famiglie monogenitoriali fosse un problema.
I sostenitori dei diritti civili: percepivano l’enfasi di Moynihan sui problemi nella vita familiare dei neri come sbagliata.
Esito sotto la presidenza Johnson: rifiuto radicale del report insieme al rifiuto di una concezione tradizionale della famiglia.
L’indignazione progressista: cosa c’è che non va nelle famiglie monoparentali? (Andrew Young, il rappresentante di Martin Luther King alla Casa Bianca).
Oggi. Nell’ultimo mezzo secolo il modello della famiglia sfasciata dei neri è diventato universale.
L’idea base di Moynahan resta quindi attuale: il ruolo della famiglia nel plasmare il carattere e le doti di un bambino è così pervasivo da essere facilmente trascurato. La famiglia è l’unità sociale di base, un suo difetto si ripercuote e si amplifica sul tutto.
La realtà americana, comunque, non si riproduce ovunque in modo uniforme: i paesi scandinavi avevano tassi di nascite fuori dal matrimonio ancora più alti rispetto agli Stati Uniti ma una stabilità di coppia ben maggiore.
Christopher Jencks sulla causa principale della disgregazione familiare: l’ accettazione culturale diffusa di due ideali: “tolleranza” e “libertà personale”. Sono due idee che simboleggiano il progresso ma il progresso non è mai un “pasto gratuito”.
La triste fine del report di Moynhan. Molte delle questioni evidenziate da quella relazione – un declino nel matrimonio, l’aumento dei tassi nei figli illegittimità, e così via – si spostarono nella politica più seria alla guerra culturale senza quartiere.
E ora veniamo alla domanda: “che fare?” consci del ruolo delle scienze sociali. George Will: le scienze sociali ci devono istruire principalmente su cosa non funziona.
James Heckman ipotizza grandi investimenti nell’educazione della prima infanzia, dalla nascita ai cinque anni. E’ l’età, secondo lui, dove si puo’ fare la differenza. Un suo studio influente coinvolge il progetto HighScope Perry Preschool.
Bisogna andarci piano. Mentre è dimostrato che i programmi di intervento in fase iniziale producono risultati positivi, non dovremmo esagerare con i benefici. l’istruzione media aggiuntiva dei bambini “trattati” era inferiore a un anno. Mentre l’ effetto sulle gravidanze precoci è robusto, quello sui tassi di natalità fuori dal matrimonio era minimo.
Pericolo nella sperimentazione sulle preschool. Sono soggette a quel fenomeno che gli scienziati sociali chiamano fadeout.
Jim Manzi, per esempio, è scettico: “quei rari programmi che funzionano in genere portano a miglioramenti piuttosto modesti rispetto alle dimensioni dei problemi che intendono affrontare o ai sogni di chi li difende”.
Altro difetto: gli interventi sponsorizzati da Heckman sono molto invasivi.
Una cosa è certa: il migliore “intervento” che un bambino può ricevere nell’ età cruciale (dalla nascita ai cinque anni) puo’ venire da genitori attenti, amorevoli e uniti. Se questo è assente, ci sono gravi limiti a cio’ che la politica puo’ fare, non dobbiamo fingere.
Altra idea: tassare il divorzio (R. Reno).
Sul divorzio molti condividono l’idea del profeta Maometto: “l’atto più detestabile tra quelli da permettere”.
Giustificazione della tassa: le persone fanno molte scelte che impongono costi agli altri, e un approccio politico per affrontare tali costi è tassare queste attività. Per questo tassiamo il fumo e gli alcolici. Alla stessa stregua tasseremo anche il divorzio.
Oltre a tassare il divorzio si potrebbe renderlo più lungo e laborioso.
Leah Ward Sears e William J. Doherty: circa il 40 per cento delle coppie statunitensi già molto avanti nella pratica di divorzio afferma di essere interessato alla riconciliazione.
Il problema di queste proposte sul divorzio: la difficile fattibilità politica.
Possibile soluzione al problema dei figli illegittimi: maggiore accesso alle tecnologie di controllo della gravidanza.
Problema: solo la metà di giovani americani diplomati e sessualmente attivi usa costantemente la contraccezione, nonostante la diffusa istruzione in materia di pianificazione familiare e la disponibilità della tecnologia per controllo delle nascite.
Altra proposta: programmi di formazione e ampliamento delle opportunità che potrebbero aiutare a rafforzare i matrimoni.
Quello da sostenere è soprattutto “lui”. David Ellwood e Christopher Jencks hanno sostenuto che “aumentare le opportunità per uomini a bassa qualifica sembra essere un passo positivo per renderli più appetibili sul mercato dei matrimoni”.
Scetticismo: gran parte soggetti sono essi stessi prodotti di famiglie fragili. In quanto tali, mancano di quel capitale umano e sociale che consente loro di tenersi un lavoro.
Altra proposta. Ellwood e Jencks: “i supporti economici per le attuali famiglie tradizionali sembrano ridurre la loro vulnerabilità”. Si chiede in pratica una tassazione pro-family. È un’ area degna di studio e sperimentazione, anche se la cultura non puo’ essere messa da parte.
Editoriale di David Brooks sul NYT: “The Limits of Policy”: “in questi ambiti l’influenza della politica è solitamente sormontata dall’influenza di cultura, etnia, psicologia e una dozzina di altri fattori”. Non facciamoci illusioni.
E’ un gran casino. Tutto quello che possiamo dire è che diversi fattori psicologici, culturali e sociali si combinano in una miriade di modi per produrre diverse situazioni inestricabili. Non meraviglia che non esistano policy efficaci. I cambiamenti sociali assomigliano tremendamente al dentifricio uscito dal tubetto, dentro non lo rimetti.
Per James Q. Wilson avere un buon carattere significa almeno due cose: empatia e autocontrollo.
Il ruolo della famiglia per JQW: i genitori insegnano ai bambini a regolare i loro impulsi immediati a beneficio di ricompense più lontane. Vediamo questo quando i genitori insistono che un bambino faccia i compiti o impari a suonare il piano invece di guardare la televisione, la famiglia poi inserisce il bambino in un gruppo di pari ben educati evitando i gruppi problematici dove potrebbe perdersi. Magari non riesce del tutto nel portare a termine questi compiti ambiziosi ma il bambino internalizza il desiderio dei suoi genitori, ovvero di gente che – lui è il primo a riconoscerlo – gli vuole bene e vuole il suo bene.
Christopher Lasch: La famiglia “modella profondamente [il carattere di un bambino]… Oggi assistiamo a qualcosa di ciò che può accadere alla formazione del carattere quando un’istituzione formatrice come la famiglia si disgrega quasi completamente…
Le élite pesano sulle questioni culturali. Facciamo un’analogia: le élite erano un tempo silenti riguardo i danni del fumo, quando non lo promuovevano esplicitamente. Oggi l’atteggiamento delle élite è molto diverso; molti di loro si scagliano contro il fumo con grande vigore e le cose sono cambiate. In sostanza, il fumo è stato accettato senza discussioni per un lungo periodo, cio’ non ha impedito affatto che le cose cambiassero a 360 gradi.
Il punto è semplicemente che non è necessario essere fatalisti di fronte a grandi e drammatici cambiamenti nella struttura familiare, e soprattutto non commettiamo l’errore di passare dal determinismo educativo a quello genetico. Su questo punto vale la pena di dare un’occhiata a Ron Haskins e Isabel Sawhill: “Creating an Opportunity Society”.