E’ uno slogan ricorrente quando si parla di tasse con l’ ansia di mettere nel mirino quel bandito dell’ evasore: se solo lui pagasse, io pagherei meno.
Ma chi lo sostiene dovrebbe rendere conto di almeno due cose.
1. Poiché l’ evasione/elusione riguarda più da vicino i redditi di capitale rispetto a quelli di lavoro, ci si aspetterebbe che le aliquote gravanti sui primi siano maggiori. E’ vero l’ opposto: dove per questioni tecniche è maggiore l’ elusione/evasione, il fisco sembra adeguarsi presentando un conto meno salato.
2. La storia fiscale italiana (link omesso perché tanto nessuno leggerebbe) parla chiaro: la compliance è cresciuta parallelamente all’ aumento delle aliquote. Ovvero, quanto più cresceva la propensione a battere scontrini, quanto più cresceva la "coscienza fiscale" degli italiani, tanto più lievitava l' aliquota a cui erano sottoposti i loro redditi.
Correlazione e causalità sono cose diverse e il punto 2 puo’ avere molte spiegazioni, tuttavia una spicca per linearità e merita di essere citata: se una cosa funziona la si usa di più.
Ovvero, se il contribuente paga, perché mai non dovrei “spremerlo” ulteriormente?
Si puo’ sfuggire al primo punto ma è difficile farlo senza ricadere nel secondo.
I due punti non si limitano a revocare in dubbio lo slogan ma addirittura lo ribaltano: “se più gente evadesse, pagheremmo tutti meno”, ovvero: se il mestolo fosse un colabrodo non verrebbe usato tanto alacremente.
Il politico che annuncia nuove tasse non è ben visto: perché rovinarsi l’ immagine se poi si raccoglie tanto poco da distribuire alla propria constituency?
Una specie di parassitismo alla rovescia: l’ evasore come scudo per il tartassato. Guarda caso in tutto il mondo i livelli di tassazione e le pretese del fisco aumentano all’ aumentare della tecnologia in possesso degli accertatori (link omesso perché tanto nessuno leggerebbe). Si puo' con fondamento ritenere che se grazia ad una bacchetta magica l’ evasione sparisse, probabilmente le tasse s’ impennerebbero (link omesso perché tanto nessuno lo leggerebbe).
Strano ma logico. E soprattutto in linea con i fatti osservati in passato.
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Altra recriminazione: “l’ evasore fa concorrenza sleale” compromettendo l’ efficienza del sistema.
E’ vero, l’ evasore sopporta meno costi (tributari) rispetto al suo concorrente. Ma, fateci caso, anche l’ impresa olandese e quella svedese sopportano meno costi tributari rispetto a quella italiana, eppure nessuno parlerebbe di “concorrenza sleale” in quel caso. E non si puo’ nemmeno addurre che l’ impresa olandese sia costretta a operare con meno servizi. Al contrario!
Perché allora in quei casi – eccezion fatta per qualche folkloristico protezionista – non si parla di “concorrenza sleale”? Qualora l’ impresa, grazie all’ evasione, si auto-riducesse le imposte a livello “americano”, chi oserebbe accusarla di parassitismo?
Mmmmm. Mi rendo conto che questo argomento va integrato, da solo non è poi così convincenti per rintuzzare la recriminazione di partenza. In effetti il piatto forte deve ancora arrivare e ve lo servo subito.
Fate bene attenzione: lo slogan recriminatorio che ho messo in grassetto qua sopra, per essere attendibile, necessita che la spesa pubblica sia efficiente. Ma la spesa pubblica che ci ritroviamo presenta queste caratteristiche?
Ovviamente no, dopo gli anni 50/60 del secolo scorso la spesa pubblica è in efficiente un po’ ovunque in Europa (link omesso perché tanto nessuno lo leggerebbe).
Troverete chi sostiene che lo stato spende in modo più equo ma non chi sostiene che spende in modo più efficiente. Di sicuro l’ evasore ha una struttura d’ incentivi a spendere in modo efficiente più coerente rispetto a quella che possiede il burocrate.
I fondi sequestrati all’ evasore intercettato sarebbero dunque spesi dalla politica in modo inefficiente. Al contrario, l’ evasore, trattenendo presso di sé quelle somme, le spenderebbe in modo efficiente: se deve farsi una piscina, per esempio, sceglierà la ditta più efficiente per costruirla, e questo per il semplice fatto che premiare il migliore sulla piazza conviene innanzitutto a lui.
L’ inefficienza della concorrenza sleale (oltretutto al netto di quanto si diceva all' inizio di questa sezione) è più che compensata dall’ efficienza di come vengono successivamente spese le risorse trattenute grazie all’ evasione stessa.
Naturalmente, efficienza ed equità possono divergere: spendere per lavare i fazzoletti-dei-poveretti-della-città sembra più equo che spendere per costruire una piscina olimpionica nella villa dell’ evasore. Ma se spostiamo l’ attenzione sull’ equità allora dovremmo innanzitutto dimostrare l’ equità di una pratica quale l’ esosa tassazione europea. E l’ impresa, credetemi ancora per poco sulla parola, è a dir poco ardua. Specie se ci si affida al buon senso.
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L’ evasione è eticamente condannabile?
Io sostengo di no per il semplice fatto che ad essere condannabile moralmente è la tassazione. Almeno una certa tassazione. Ironia della sorte in Europa esiste proprio “quel” tipo di tassazione.
Per capirci meglio bisognerebbe tornare alla struttura fondante della tassazione. Ogni tassa è una proposta di Corleone: “tu mi dai la somma X e io ti fornisco il servizio Y. O ci stai con le buone o ci stai con le cattive. O mangi sta minestra o salti dalla finestra. Allora?”.
Non mi sembra un modo di agire molto “etico”. D’ altronde nella storia gli stati emergono come cosche vincenti in una lotta tra “protettori”.
E ha poco senso evocare il metodo (magari democratico) con cui viene scelto chi è poi chiamato a formulare una “proposta di Corleone”. Se Tizio, Caio e Sempronio voglio suonare un quartetto d’ archi non possono coartarmi alla stregua di uno schiavo costringendomi con la minaccia della galera a studiare musica perché “… manca il secondo un violino e devi quindi suonarlo tu”. Nemmeno se si giustificassero dicendo di aver deciso la cosa a maggioranza tre contro uno.
Oltretutto, Corleone offriva servizi di protezione in genere efficienti: il ladruncolo del quartiere che violava la zona del boss disturbando i “protetti” veniva rinvenuto appeso al lampione la notte stessa.
In altri termini, la tassazione per essere giustificata richiede un doppiopesismo morale: ci sono uomini (i rappresentanti del governo) che hanno uno status morale superiore rispetto ai cosiddetti “rappresentati” e quindi possono fare cose che a questi ultimi non sono concesse.
Chi accetterebbe una differenziazione nello status morale dei soggetti? Ormai la si accetta a fatica anche tra uomini e animali!
Ma abbandoniamo pure le buone ragioni del radicalismo e concediamo che tassare il prossimo sia moralmente accettabile quando costituisce uno strumento per fornire beni pubblici alla comunità e per compensare le esternalità che si producono nell’ azione degli individui. Raggiungeremmo un livello di tassazione complessiva eticamente consentita tra il 5 e il 20%, un mondo sideralmente distante da quello in cui opera l’ evasore di cui ci occupiamo qui.
Per alcuni l’ evasore è moralmente riprovevole in quanto “parassita sociale”. L’ evasore usufruirebbe di beni alla cui produzione non contribuisce. Ma l’ accusa ha i piedi d’ argilla, qualora non si provi contestualmente la piena legittimità della tassazione sovrastante. Con un’ analogia azzardata ma illuminante, sarebbe come dire che in occasione di un sequestro il “rapito”, per quanto abbia le sue buone ragioni per lamentarsi, resta comunque un parassita poiché non respinge il rancio passatogli dai sequestratori. Assurdo, vero?
Mi spingo ancora oltre: anche qualora ammettessimo che la tassazione sia legittima, cio’ non ci consentirebbe ancora di dire che l’ evasore è un “ladro”. Prendendo seriamente le parole, mi tocca far osservare che “ladro” è chi si impossessa della proprietà altrui e l’ evasore, almeno in un’ ottica giusnaturalista, è comunque proprietario a tutti gli effetti della ricchezza che ha prodotto. Semplicemente, sarebbe in torto in quanto inadempiente rispetto ad una certa obbligazione tributaria (link omesso perché tanto nessuno lo leggerebbe)
E che dire, in conclusione, della lotta tra categorie? “Dipendenti” vs. “Autonomi”. Spesso la contrapposizione è presentata in termini etici.
Francamente trovo che sia una ricostruzione distorta. Come sappiamo l’ occasione fa l’ uomo ladro e non avere occasioni non è certo un merito (a volte è un demerito!).
Ma, come se non bastasse, c’ è di più. Le evidenze empiriche (link omesso perché tanto nessuno lo leggerebbe) ci dicono che chi non evade perché non puo’ (esempio il lavoratore dipendente) è anche mediamente più incline ad evadere appena puo’ (il sommerso è più diffuso tra chi ha un “secondo lavoro” che tra le “partite iva”). Non penso proprio che ci si possa proclamare santi per il solo fatto di non essere mai stati “tentati”. Un’ etica del genere non esiste, bisognerebbe inventarla ad hoc.
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Siamo sicuri poi che l’ evasore faccia mancare risorse essenziali allo stato?
Sembrerebbe di no. Oggi il condominio Italia langue e il condominio Germania prospera. Si tratta di due condomini in tutto uguali e un confronto è lecito.
Qualcuno è tentato di osservare che i condomini del primo condominio non pagano con solerzia le spese condominiali.
Vero, ma se andiamo a vedere poi ci accorgeremmo che, a parità di condomini, l’ amministratore del condominio Italia ha in cassa e spende esattamente le stesse somme dell’ amministratore del condominio Germania (link omesso perché tanto nessuno leggerebbe), nonostante il confronto sui risultati sia imbarazzante.
E allora? Allora i condomini dovranno pure pagare le spese ma se le cose vanno come vanno nel loro condominio la causa non sta certo nell’ insolvenza quanto negli amministratori.
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L’ evasore però, con le sue gesta, viola la legislazione di stato svalutando di fatto tutte le leggi, anche quelle giuste.
Qui l’ evasore è indifendibile: come si puo’ governare uno stato se il valore delle leggi emanate è vicino a zero? Non rispettare una legge rischia di ridurre a carta straccia l' intero corpo legislativo.
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Qui sta la vera colpa dell’ evasore ma anche la ricetta della lotta all’ evasione: basta eliminare, sfoltire, attenuare le leggi violate e applicare con più rigore le poche che restano.
Meno tasse e aliquote più basse.
Una volta che le leggi comunemente violate scompaiono (o si attenuano) non saranno più violate (o lo saranno meno) e l’ effetto svalutazione non si riverserà sulle leggi buone.
Che inconvenienti comporta l’ abrogazione (o attenuazione)? Inconvenienti in termini di efficienza? Al contrario, l’ efficienza del pase aumenta, lo abbiamo appena visto (si eliminano costi burocratici, costi del sommerso, costi di pseudo-concorrenza sleale…).
Inconvenienti in termini di equità? Al contrario, l’ equità aumenta, lo abbiamo appena visto (si attenua l’ applicazione di un doppio standard tra i soggetti in campo).
Ma per lo scettico l’ evasore continuerà ad evadere imperterrito. L’ evasore è fatto così, penserà. Non ha una testa, è una macchina. Una macchina per evadere. L’ imposta puo’ essere alta, media, bassa... Il suo mestiere è evadere e lui la evaderà.
Per lo scettico ho due risposte.
Prima: se diminuiscono le aliquote, a parità del resto, evadere diventa molto più costoso e l’ evasore, se agisce razionalmente, rallenta. Se il prezzo sale, si compra meno. Di solito.
Seconda: con meno leggi da far rispettare l’ applicazione delle poche rimaste migliora. Gli accertatori fiscali potranno concentrarsi su pochi e più mirati compiti. Se le cose da fare diminuiscono, si fanno meglio. Di solito.