lunedì 8 settembre 2014

Nel mondo dei suoni

Avevo iniziato a scrivere questo post ma poi mi sono stufato e l' ho piantato a metà. Forse la materia si è allargata un po' troppo e francamente ora non ho voglia di fare quello sforzo intellettuale necessario per riannnodare i fili. Pazienza, forse domani... per ora posto ugualmente i lavori in corso.

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Sono convinto che un’ autentica esperienza musicale sia qualcosa di raccomandabile: oltre ad arrecare piacere, contribuisce all’ edificazione spirituale della persona e al rafforzamento delle sue convinzioni più profonde. 

Anche per questo sarebbe auspicabile che un giovane sia messo nelle condizioni più propizie per dedicarsi a 

Tuttavia, sono anche convinto di esprimere un’ idea eccentrica, l' introduzione alla musica si compie quasi sempre su altre basi. 

Mi spiego meglio.

Introdurre alla musica significa essenzialmente accompagnare per mano il neofita nel mondo dei suoni, senonché esistono concezioni molto diverse di cosa sia un suono.

Una semplice domanda spesso utilizzata da chi approfondisce queste faccende è già in grado di discriminare tra impostazioni radicalmente diverse: si puo’ introdurre una persona sorda nel mondo dei suoni?

Il buon senso ci dice di no ma secondo alcuni parrebbe invece di sì.

La risposta, evidentemente, dipende dalla concezione che si ha del suono e da questa concezione dipendono poi molte altre cose. 

Chi risponde affermativamente ritiene che per capire cosa sia un suono basta descrivere come viene prodotto. 

A questo punto si cominciano a menzionare oggetti vibranti, onde,  frequenze, meccanismi di trasmissione nell’ etere, orecchi con relativa dotazione di timpani, membrane e quant' altro. 

Per chi predilige questa impostazione il suono è semplicemente la proprietà che hanno alcuni oggetti di produrlo allorché opportunamente trattati.

Le azioni necessarie per produrre un suono possono essere puntigliosamente descritte e anche una persona sorda (ma intelligente) puo’ comprenderle abbastanza bene. Tutto puo’ essere anche visualizzato ed esemplificato, e questo senz’ altro aiuta. Insomma, col sordo si puo' fare di tutto tranne che ascoltare, cosicché divnta difficile dire se una persona del genere possa mai essere realmente "introdotto nel mondo dei suoni". In effetti a questa trafila sembrerebbe mancare qualcosa di fondamentale.

Eppure, considerare il suono come una semplice proprietà degli "oggetti risonanti” sembra entusiasmare molti. Perché?

Fateci caso. Cosa domina in questa visione? 

Oggetti, aria, membrane… La materialità sembra farla da padrona nel resoconto "produttivista", e forse proprio questo piace tanto all’ uomo moderno che si sente come rassicurato e à la page dalla precisione e dalla concretezza "scientifica", per quanto arida possa essere.

L' evoluzionista, per esempio, guarda volentieri ai suoni in questa ottica: l’ uomo primitivo era abile nel risalire dai suoni alle fonti, per lui l' identificazione delle fonti era fondamentale, una questione di vita e di morte: le foglie del bosco schiacciate in una certa maniera producevano un suono che indicava l’ avvicinarsi dell’ orso da fuggire. Questa enfasi sui meccanismi di produzione sonora rende il suono in se stesso un epifenomeno trascurabile, quel che conta è la "fonte" e la sua identificazione.

Peccato che una descrizione del suono in questi termini, oltre che arida, sia anche lacunosa e insoddisfacente nel momento in cui pretende, contro il senso comune, che anche il bambino sordo possa comprendere appieno la musica.

Ma allora qual è l’ alternativa?

Per capirlo bisogna pensare meglio dove l' impostazione "produttivista" forza la mano. 

In poche parole, essa identifica indebitamente il suono con le fonti sonore, il prodotto finito con il processo di produzione. Una volta descritti i processi per produrlo, si pensa di aver dato conto del suono, di aver fornito gli elemeti necessari per comprenderlo. Per questo motivo ho voluto chiamare questa visione "approccio produttivista".

Ma il suono, forse, è qualcosa di diverso, qualcosa di concepibile come a se stante, sebbene, nessuno lo nega, per esistere sia necessario che venga prodotto in qualche modo.

Questa confusione genera il paradosso del bambino sordo perfettamente consapevole della musica che non ascolta.

Fateci caso, in teoria anche un sordo sarebbe in grado di suonare uno strumento, persino di comporre una musica valida. Ma se è solo per questo anche un computer potrebbe in teoria suonare e comporre (cominciano in effetti a comparire prototipi in grado di superare il test di Turing relativo). D'altro canto, un computer non puo' ascoltare musica, proprio come il sordo. E' per questo motivo che chi non aderisce all' ideologia produttivista ritiene estremamente problematico introdurre alla musica sia il computer (per quanto intelligente) che il sordo (per quanto intelligente). 

Ma proviamo allora ad evitare le forzature commesse dall' impostazione produttivista, proviamo ad essere più rigorosi, vediamo dove il rigore ci conduce e forse scopriremo anche perché si è tanto riluttanti a seguirlo.

L' alternativa migliore consiste nel considerare il suono un fenomeno (puro evento), ovvero qualcosa che noi possiamo anche descrivere parlando delle cause che lo hanno generato ma per comprenderlo appieno doppiamo necessariamente sperimentarlo.

Quando siete a tavola, provate a spiegare cosa si prova degustando il "dolce" ad una persona molto arguta che però non puo' sentire i sapori.

Il bambino sordo non puo’ comprendere i suoni perché puo’ comprenderne solo la descrizione. Ma se è vero che i suoni sono innanzitutto dei fenomeni, la loro comprensione implica sperimentazione diretta, attività preclusa al bambino sordo.

Ho quindi distinto il suono/oggetto dal suono/fenomeno, poiché solo quest’ ultima formula è rigorosa.

Non si puo’ dar conto di un fenomeno senza ricomprendere nel resoconto il soggetto che lo percepisce.

Non si puo’ dire cosa sia un suono senza far rientrare nel resoconto l’ orecchio che lo percepisce.

Nell' impostazione alternativa, quindi, l' orecchio in ascolto è più importante sia della mano che batte, pizzica o pigia, sia della bocca che soffia.

In realtà parlare di “orecchio” non basta. Se lo scenario fosse popolato solo di orecchi, mani e bocche avremmo in scena una serie di oggetti che interagiscono tra loro, e saremmo punto e a capo.

Per uscire dal circolo vizioso occorre che all’ altro capo della relazione ci sia una mente in grado di fare esperienze.

Si tratta di esperienze necessariamente solipsiste, ovvero non comunicabili, anche se possiamo supporre che l' esperienza di coloro a cui ragionevolmente attribuiamo una mente simile alla nostra, somigli in qualche modo alla nostra.

Ma forse parlare di mente è ancora poco, molti potrebbero avere una concezione fisicalista della mente, potrebbero pensare che i processi mentali siano descrivibili, io direi allora che occorre una coscienza. E per chi ritiene che anche la coscienza dell' uomo sia riducibile a descrizioni fedeli, è allora necessario parlare di spirito: per introdurre alla musica l' elemento centrale è lo spirito dell' ascoltatore.

Al cosiddetto "approccio produttivista" si contrappone quindi il cosiddetto "approccio spiritualista".

Riepilogo: noi capiamo cosa sia un suono, non attraverso una descrizione rigorosa dello stesso, ma mettendo al centro chi è in grado di capirlo. Solo mettendo al centro CHI capisce la COSA riusciamo a capirla noi stessi. 

In altri termini, il suono è quel fenomeno prodotto da certe reazioni ben descritte dalla scienza acustica che puo’ essere compreso fino in fondo solo da una persona che ne fa un' esperienza diretta e solipsista, ovvero non comunicabile.

E allora diventa chiaro che perché il mondo dei suoni ha un senso necessariamente amputato per i bambini sordi che non potranno mai farne un' esperienza solipsista, pur potendo accedere a tutte le descrizioni più accurate in merito.

Ora diventa chiaro anche perché la via dettata dal senso comune, la via più rigorosa, chiara e priva di paradossi sia minoritaria: perché implica concetti quali quello di “introspezione”, "coscienza", “spirito” che sono come fumo negli occhi per molti uomini del nostro tempo in grado di tollerare a malapena il concetto di "orecchio".  

D’ altro canto, spero, comincia a diventare meno improbabile la mia affermazione iniziale: “… un’ autentica esperienza musicale… contribuisce all’ edificazione spirituale dell’ uomo…”.


Se i suoni, e quindi la musica, sono così intimamente connessi con la mente umana, e quindi con lo spirito dell’ ascoltatore, diventa più plausibile che agendo opportunamente sui suoni si possa agire in modo edificante e consolante anche sullo spirito di chi ascolta.

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Dopo aver chiarito come intendere il "suono" possiamo ora dedicarci alla musica e al suo significato.

Così come il suono è cio' che sente chi ascolta un suono, il significato della musica è cio' che comprende chi capisce una musica. Ma cosa significa capire la musica?

La musica ordina i suoni come il linguaggio naturale ordina le parole e i concetti ma l' analogia non puo' protrarsi molto oltre. 

Una persona dimostra di comprendere una parola del linguaggio naturale utilizzandola correttamente ma per la musica vale qualcosa del genere?

Il "produttivista" risponde affermativamente ma lo "spiritualista" è molto più prudente: suonare correttamente un brano musicale - cosa alla portata di sordi e computer, tanto per dire - non è garanzia di comprensione dello stesso così come, d' altro canto, una musica puo' essere compresa da chi l' ascolta senza essere in grado di riprodurla. Anzi, questo è il caso più comune.

Chi parla in modo goffo, meccanico e autistico puo' tuttavia comprendere benissimo il significato di cio' che dice mentre chi esegue volontariamente l' Adagio di Barber in modo goffo, meccanico e autistico, pur potendo fare altrimenti, non ha capito niente della musica che interpreta.

C' è chi pensa allora che comprendere la musica sia piuttosto assimilabile alla comprensione della mimica facciale dei nostri interlocutori. Non c' è dubbio infatti che è soprattutto attraverso questo espediente che noi diamo una coloritura espressiva alle frasi che pronunciamo. 

In questo caso il parallelo regge senz' altro meglio. In effetti, per comprendere la mimica facciale del nostro interlocutore non è importante saperla riprodurre autonomamente. Perché mai un abile ritrattisti dovrebbe essere particolarmente abile nel dominare la sua mimica facciale?

Tuttavia anche questo parallelo rischia di essere incompleto, tanto è vero che non si vede perché un "produttivista" non possa farlo suo. Cosa impedisce, infatti, che attraverso una descrizione accurata della mimica facciale si possa poi redigere un dizionario analitico delle emozioni? Molta psicologia si dedica proprio a questo compito, e con successo! Ma se la sua descrizione analitica esaurisce la comprensione dell' emozione, allora siamo in pieno approccio "produttivista". 

Noi comprendiamo la mimica facciale del nostro interlocutore solo se riusciamo a metterci nei suoi panni, solo se in noi esiste un' esperienza in qualche modo simile a quella che lui intende comunicarci. Per comprendere la sua mimica facciale dobbiamo necessariamente fare appello alla nostra vita interiore, in particolare isolando in modo non arbitrario quelle esperienze vissute in cui abbiamo potuto vivere a fondo delle emozioni quanto più simili a quelle che ora lui tenta di esprimere. Solo in questo caso c' è autentica comprensione della mimica facciale.

E per la musica è un po' lo stesso, in essa l' artista rappresenta alcune emozioni ed esiste un solo modo per comprenderle:  fare appello alla nostra vita interiore isolando in modo non arbitrario l' esperienza personale che ci ha regalato emozioni in qualche modo assimilabili. E' solo con un riferimento all' esperienza personale, quindi, che si comprende la musica; attenzione però, non dico che l' esperienza concreta debba apparire in modo chiaro alla nostra immaginazione di ascoltatori, la musica non deve necessariamente rinviare a fatti concreti della nostra vita, il centro di tutto è l' emozione e solo quella, ma noi, per quanto detto prima, sappiamo che non possiamo conoscere cosa sia quell' emozione se non l' abbiamo esperita direttamente e in modo solipsistico.

Ora dovrebbe essere ancora più chiaro quanto sostenevo all' inizio: “… un’ autentica esperienza musicale… contribuisce all’ edificazione spirituale dell’ uomo…”: se la musica rinvia alle emozioni personalmente vissute, è chiaro che una grande musica evocherà in modo appropriato i frutti interiori più preziosi della vita vissuta riproponendoli in modo vivido alla nostra meditazione. La bellezza stessa non è tanto un attributo dell' opera quanto qualcosa che emerge da questa esperienza interiore che l' opera suscita. Ma queste sono anche le condizioni ideali per edificare il proprio Spirito e rafforzare le proprie convinzioni morali più autentiche.

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Il "produttivista" si oppone risoluto a conclusioni simili e cerca vie alternative. Quella "formalista", per esempio, gli sembra di gran lunga preferibile. Vediamo di che si tratta.

Per il formalista anche solo l' espressione "comprendere la musica" è quantomeno problematica. La musica ha davvero un senso da comprendere?

Probabilmente no, pensa il formalista. Non siamo affatto autorizzati a trattarla come la metafora di qualcosa, e soprattutto non dobbiamo coinvolgere la vita interiore di chi ha a che fare con i suoni: quando l' interiorità ha il sopravvento tutto si fa oscuro e incomprensibile.

La musica non puo' essere una metafora di qualcos' altro poiché si riferisce solo a se stessa.

Ma cosa significa un' affermazione del genere? Cosa significa affermare che la musica si riferisce solo a se stessa? Cosa significa affermare in modo perentorio l' autonomia della musica?

Eduard Hanslick, il padre nobile del formalismo, sosteneva che la musica è mera forma resa attraverso i suoni. L' architettura musicale e le varie dinamiche strumentali sono le uniche cose che siamo autorizzati a comprendere quando ascoltiamo della musica. 

Coerente con questa impostazione EH ci parla delle musiche utilizzando proprio la metafora architettonica e dinamica. Ma qui cade in contraddizione poiché egli stesso fa un uso insistito di metafore, ovvero di uno strumento appena condannato. Anche per descrivere una mera forma musicale, infatti, si fa uso di metafore! Dire che la musica  sale, scende o accelera, è solo una metafora, in realtà i suoni non fanno niente di tutto cio'.

Il formalista ci chiede di attenerci strettamente al dettato musicale, alla materia dello spartito senza rendersi conto che anche il gergo musicale più stretto è solo una comprensione metaforica di quanto accade. Se proprio vogliamo ridurre la mediazione metaforica non è tanto al musicista che dovremmo rivolgerci quanto al fisico, ma questo è palesemente assurdo.

Nemmeno il formalista, quindi, riesce a fare a meno delle metafore quando comprende la musica. Ma se il formalismo è un utopia, se la metafora è necessariamente sdoganata, tanto vale evitare quelle più sterili, ricorriamo piuttosto a quelle più pregnanti e più in grado di descrivere con pertinenza cio' che vive l' ascoltatore cosciente, anche a costo di rischiare di più in termini di arbitrio.

I formalisti moderni si sono accorti delle contraddizioni dei padri nobili e hanno dovuto giocoforza radicalizzare il loro approccio per poter tenerlo in piedi. 

Per loro, oggi, fare musica equivale a giocare. Del resto in inglese "suonare" e "giocare2 sono la stessa cosa.

Per i formalisti ludici la musica non ci comunica nulla di significativo, la musica è completamente svuotata da ogni metafora, è solo una mera "sintassi sonora" dotata di regole con cui gioca chi ascolta e chi suona. 

Ti annoi? Puoi riempire un cruciverba. Ti annoi ancora? Puoi compilare un sudoko. Il tedio ti assale? Puoi risolvere un rebus... Oppure, in alternativa, puoi pur sempre ascoltare/suonare della musica. In fondo si tratta di attività succedanee le une alle altre, tutte a disposizione del nostro piacere.

Allo "spiritualista" questa visione sembra davvero miserella. 

Come dicevamo, lo "spiritualista" ritiene che la musica possa essere anche compresa. Che la comprensione sia una facoltà autonoma e indipendente. Contro il "produttivista2 ritiene che sia una facoltà scollegata dall' abilità nel riprodurre correttamente i suoni. Contro il formalista ludico ritiene che sia una facoltà scollegata dalla capacità di trarre un mero piacere dai suoni a cui si è esposti.

La visione del formalista ludico però è particolarmente insidiosa poiché il gioco è la specialità dei bambini e l' introduzione alla musica riguarda per lo più proprio loro.

La visione del formalista ludico attrae il formatore poiché grazie al mero gioco riesce ad interagire più facilmente con il discente. 

In un certo senso giocare con la musica costituisce una tappa obbligata per chiunque voglia iniziare il bambino al mondo dei suoni. Il fatto preoccupante è che per la maggioranza dei formatori non esistono tappe ulteriori. 

Per i formatori "ludico/produttivisti" l' evoluzione del discente è molto semplice: costui passa dall' essere un giocatore approssimativo all' essere un giocatore particolarmente abile. Fine. 



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Appunto: parlando di formazione riprendi le 5 fasi del gioco abbinando a ciascuna un aspetto su cui insistere per una corretta formazione all' ascolto musicale...

giochi di ripetizione
giochi di ruolo
giochi di regole
giochi di scoperta (di regole)
giochi di metafora (sulle regole scoperte)
...


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