Canadian success, Scott Sumner | EconLog | Library of Economics and Liberty:
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mercoledì 24 settembre 2014
martedì 23 settembre 2014
Medicalizzazione della scuola
The Puzzling Ubiquity of Disability, Bryan Caplan | EconLog | Library of Economics and Liberty:
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lunedì 22 settembre 2014
Teologie del senso comune
Un saluto e un ringraziamento a Tom e a Simon de Cyrène che hanno reagito al mio commento precedente.
Fortunatamente, la dura vita del pendolare mi regala qualche momento libero cosicché da questo treno vorrei fare qualche precisazione.
Cominciamo da Popper, che in fondo è il minore dei problemi.
Popper puo' essere visto come il propugnatore di uno schema epistemologico originale, oppure come l' ennesimo critico dell’ induttivismo.
Nel primo caso, parliamo di colui che ha proposto la “grande asimmetria” tra verificazione e falsificazione. Il suo schemino è originale quanto logicamente impeccabile, senonché non descrive affatto il processo scientifico come realmente si realizza: non spiega, per esempio, come paradigmi "falsificati" da tempo, in mancanza di meglio, siano rimasti centrali ancora a lungo.
Per non dire della complessità che caratterizza sia le procedure di verifica che quelle di falsificazione, pratiche che dipendono a loro volta volta da teorie; la cosiddetta "falsificazione" si limita a constatare una mancata corrispondenza tra due o più teorie e non si pone quindi mai nei termini di esperimento cruciale, come vorrebbe lo schemino del filosofo austriaco.
Nel secondo caso, Popper è solo l' ennesimo cantore dei limiti dell' induttivismo .
Ma forse lo sminuiamo se lo inseriamo in una schiera tanto folta: da Bertrand Russell ai neopositivisti, sono in tanti ad aver messo i puntini sulle "i" in materia. Oserei anzi dire che forse i maggiori critici dell’ induttivisto sono da ricercare tra coloro che hanno deciso di adottarlo come minore dei mali.
Con questo una ripassa non fa mai male, una rinfrescatina è sempre commendevole purché si tenga presente che è come ricordare al chirurgo di lavarsi le mani prima di operare.
Porrei piuttosto l' attenzione sul fatto che queste lacune dell' induttivismo non implicano necessariamente il "relativismo", anche se, non lo nego, fanno la gioia di molti "relativisti".
Riflettiamo: un sapere puo’ dirsi assoluto se 1) implica una conoscenza certa della cosa oppure se 2) implica un progresso certo nella conoscenza della cosa. Ora, l' induttivismo, con tutti i suoi limiti, non può certo ambire a 1) ma la via per ambire a 2) e lasciarsi alle spalle il pericolo relativista non è sbarrata a priori.
Vedere come si puo' sfondare ci consente di passare al probabilismo.
Senz'altro la probabilità è un costrutto intellettuale, come dice Simon de Cyrène, ma questo implica forse che ci sia necessariamente interdetta la conoscenza del reale?
Bisogna andarci cauti poiché tra "epistemologie internaliste" - fondate su facoltà del soggetto - e realismo c' è comunque compatibilità logica.
Partiamo dall’ esperienza quotidiana, un luogo dove è difficile avere dubbi in merito.
Consideriamo la realtà ingenua del senso comune: gli scommettitori razionali puntano sulla base del calcolo probabilistico, i detective si basano sugli stessi criteri, così come pure i giudici che comminano anni di galera ai nostri concittadini. Ma anche metereologhi, economisti e ingegneri e bla bla bla fanno lo stesso. Tutti costoro ci parlano della realtà in termini probabilistici. E tutti noi ascoltiamo e prendiamo nota, preoccupandoci se le quote di una nostra riuscita sono alte, rimettendoci al giudizio della corte, consultando il meteo, affidandoci alle banche, abitando le nostre case ecc...
Il matrimonio tra probabilismo e realismo del senso comune si celebra tutti i giorni, fino a qui ci sono pochi dubbi.
Ma si tratta pur sempre di un... "volgare realismo del senso comune". Niente a che fare con la cosa in sé, dice il metafisico doc.
Personalmente non sono così liquidatorio.
Vogliamo nobilitare una cosa tanto volgare al fine di renderla più sofisticata? Allora bisogna affiancare al probabilismo una filosofia del senso comune di un certo peso.
Ci sono problemi a farlo? Io penso proprio di no: da un classico della modernità come Thomas Reid a un ateo come Mike Huemer passando per il teismo di Richard Swinburne, le proposte di una filosofia che faccia accedere il senso comune alla conoscenza dell' ente in sé fioccano e la loro qualità è di tutto rispetto.
Purtroppo queste filosofie sono rimaste a lungo frustrate e sappiamo bene a chi attribuire la "colpa".
A David Hume, innanzitutto (non a caso l' arci nemico del Reid menzionato sopra). In particolare alla sua critica della teologia naturale, poi ripresa e messa a punto niente meno che da Kant.
Quando si schierano compatti due colossi del genere, difficile che un' idea faccia molta strada. Come se non bastasse, visto il raggio d' influenza dei due, il "blocco" ha agito sia nella tradizione anglosassone che in quella continentale.
Eppure, se andiamo a rileggere gli argomenti originali, sembrano tutt' altro che impermeabili. Forse c' è stata un po' troppa frettolosità nello seguire i maestri su questo punto.
In merito, solo un rammarico. I due erano grandi ammiratori delle scienza naturali, peccato per le loro date di nascita (anzi di morte) perché se solo avessero conosciuto certi sviluppi, se solo avessero potuto constatare che ormai è consuetudine per tali scienze formulare ipotesi su eventi inosservabili (perchè troppo grandi o troppo piccoli o troppo vecchi…), probabilmente avrebbero addolcito la loro cr
Fortunatamente, la dura vita del pendolare mi regala qualche momento libero cosicché da questo treno vorrei fare qualche precisazione.
Cominciamo da Popper, che in fondo è il minore dei problemi.
Popper puo' essere visto come il propugnatore di uno schema epistemologico originale, oppure come l' ennesimo critico dell’ induttivismo.
Nel primo caso, parliamo di colui che ha proposto la “grande asimmetria” tra verificazione e falsificazione. Il suo schemino è originale quanto logicamente impeccabile, senonché non descrive affatto il processo scientifico come realmente si realizza: non spiega, per esempio, come paradigmi "falsificati" da tempo, in mancanza di meglio, siano rimasti centrali ancora a lungo.
Per non dire della complessità che caratterizza sia le procedure di verifica che quelle di falsificazione, pratiche che dipendono a loro volta volta da teorie; la cosiddetta "falsificazione" si limita a constatare una mancata corrispondenza tra due o più teorie e non si pone quindi mai nei termini di esperimento cruciale, come vorrebbe lo schemino del filosofo austriaco.
Nel secondo caso, Popper è solo l' ennesimo cantore dei limiti dell' induttivismo .
Ma forse lo sminuiamo se lo inseriamo in una schiera tanto folta: da Bertrand Russell ai neopositivisti, sono in tanti ad aver messo i puntini sulle "i" in materia. Oserei anzi dire che forse i maggiori critici dell’ induttivisto sono da ricercare tra coloro che hanno deciso di adottarlo come minore dei mali.
Con questo una ripassa non fa mai male, una rinfrescatina è sempre commendevole purché si tenga presente che è come ricordare al chirurgo di lavarsi le mani prima di operare.
Porrei piuttosto l' attenzione sul fatto che queste lacune dell' induttivismo non implicano necessariamente il "relativismo", anche se, non lo nego, fanno la gioia di molti "relativisti".
Riflettiamo: un sapere puo’ dirsi assoluto se 1) implica una conoscenza certa della cosa oppure se 2) implica un progresso certo nella conoscenza della cosa. Ora, l' induttivismo, con tutti i suoi limiti, non può certo ambire a 1) ma la via per ambire a 2) e lasciarsi alle spalle il pericolo relativista non è sbarrata a priori.
Vedere come si puo' sfondare ci consente di passare al probabilismo.
Senz'altro la probabilità è un costrutto intellettuale, come dice Simon de Cyrène, ma questo implica forse che ci sia necessariamente interdetta la conoscenza del reale?
Bisogna andarci cauti poiché tra "epistemologie internaliste" - fondate su facoltà del soggetto - e realismo c' è comunque compatibilità logica.
Partiamo dall’ esperienza quotidiana, un luogo dove è difficile avere dubbi in merito.
Consideriamo la realtà ingenua del senso comune: gli scommettitori razionali puntano sulla base del calcolo probabilistico, i detective si basano sugli stessi criteri, così come pure i giudici che comminano anni di galera ai nostri concittadini. Ma anche metereologhi, economisti e ingegneri e bla bla bla fanno lo stesso. Tutti costoro ci parlano della realtà in termini probabilistici. E tutti noi ascoltiamo e prendiamo nota, preoccupandoci se le quote di una nostra riuscita sono alte, rimettendoci al giudizio della corte, consultando il meteo, affidandoci alle banche, abitando le nostre case ecc...
Il matrimonio tra probabilismo e realismo del senso comune si celebra tutti i giorni, fino a qui ci sono pochi dubbi.
Ma si tratta pur sempre di un... "volgare realismo del senso comune". Niente a che fare con la cosa in sé, dice il metafisico doc.
Personalmente non sono così liquidatorio.
Vogliamo nobilitare una cosa tanto volgare al fine di renderla più sofisticata? Allora bisogna affiancare al probabilismo una filosofia del senso comune di un certo peso.
Ci sono problemi a farlo? Io penso proprio di no: da un classico della modernità come Thomas Reid a un ateo come Mike Huemer passando per il teismo di Richard Swinburne, le proposte di una filosofia che faccia accedere il senso comune alla conoscenza dell' ente in sé fioccano e la loro qualità è di tutto rispetto.
Purtroppo queste filosofie sono rimaste a lungo frustrate e sappiamo bene a chi attribuire la "colpa".
A David Hume, innanzitutto (non a caso l' arci nemico del Reid menzionato sopra). In particolare alla sua critica della teologia naturale, poi ripresa e messa a punto niente meno che da Kant.
Quando si schierano compatti due colossi del genere, difficile che un' idea faccia molta strada. Come se non bastasse, visto il raggio d' influenza dei due, il "blocco" ha agito sia nella tradizione anglosassone che in quella continentale.
Eppure, se andiamo a rileggere gli argomenti originali, sembrano tutt' altro che impermeabili. Forse c' è stata un po' troppa frettolosità nello seguire i maestri su questo punto.
In merito, solo un rammarico. I due erano grandi ammiratori delle scienza naturali, peccato per le loro date di nascita (anzi di morte) perché se solo avessero conosciuto certi sviluppi, se solo avessero potuto constatare che ormai è consuetudine per tali scienze formulare ipotesi su eventi inosservabili (perchè troppo grandi o troppo piccoli o troppo vecchi…), probabilmente avrebbero addolcito la loro cr
sabato 20 settembre 2014
Gender gap
http://www.econlib.org/library/Enc/GenderGap.html
Wage gap
http://freakonomics.com/2010/01/28/superfreakonomics-book-club-goldin-and-katz-on-the-male-female-wage-gap/
venerdì 19 settembre 2014
Secessione e libertà
Secession: A Brief Comment http://feedproxy.google.com/~r/BleedingHeartLibertarians/~3/T8DLnJ5xQ_c/
L' allenatore degli insegnanti
Afterthoughts on Elizabeth Green EconTalk episode, by Russ Roberts http://econlog.econlib.org/archives/2014/09/afterthoughts_o.html
Drug war
Ep. 8 - Guilty Til Proven Rich | Drug War Stories with Alex Kreit http://www.youtube.com/watch?v=Vxj2PMCHlos&feature=youtube_gdata
Dio dimostrato con certezza
Q.E.D.? http://edwardfeser.blogspot.com/2014/09/qed.html
Mortimer, hai fatto una domanda imbarazzante che io stesso mi pongo di frequente: cosa deve intendersi per tradizione autentica.
Finché si istituisce il criterio "in dubio pro traditio”, aderisco entusiasta ma poi, quando ci si china su certi problemi, capire come rispettare la tradizione autentica è un' impresa improba.
In genere viene consigliato di porsi due domande:
1) dove si presenta la maggior continuità istituzionale?
2) dove risiede la maggiore continuità dottrinaria?
La duplice questione consente di liquidare alcune pratiche, altre restano pendenti.
Eppure, per mille anni la Chiesa è riuscita a restare unita. Oggi, a volte, la Chiesa e la cristianità mi appaiono come spaccate in modo estremamente problematico.
Finché si istituisce il criterio "in dubio pro traditio”, aderisco entusiasta ma poi, quando ci si china su certi problemi, capire come rispettare la tradizione autentica è un' impresa improba.
In genere viene consigliato di porsi due domande:
1) dove si presenta la maggior continuità istituzionale?
2) dove risiede la maggiore continuità dottrinaria?
La duplice questione consente di liquidare alcune pratiche, altre restano pendenti.
Eppure, per mille anni la Chiesa è riuscita a restare unita. Oggi, a volte, la Chiesa e la cristianità mi appaiono come spaccate in modo estremamente problematico.
Gettier e la metafisica
E' vero che la critica della conoscenza operata da Gettier riabilita l' infallibilismo della metafisica tradizionale?
Per molti versi sì.
In fondo la critica di Gettier riprende per altre vie la critica all' induttivismo.
Bisogna inventarsi qualcosa di nuovo o cedere alle metafisiche della tradizione.
Forse aiuta pensare alla conoscenza come processo: è (essenzialmente) vero cio' che appare fino a prova contraria.
Il nucleo della conoscenza non sta nell' "è vero cio' che appare", bensì nel "fino a prova contraria" che testimonia una disponibilità ad accogliere e a soppesare ulteriori argomenti.
Grazie al principio di credulità (un principio che la filosofia importa dal diritto), la conoscenza diventa un processo anziché uno stato.
Per molti versi sì.
In fondo la critica di Gettier riprende per altre vie la critica all' induttivismo.
Bisogna inventarsi qualcosa di nuovo o cedere alle metafisiche della tradizione.
Forse aiuta pensare alla conoscenza come processo: è (essenzialmente) vero cio' che appare fino a prova contraria.
Il nucleo della conoscenza non sta nell' "è vero cio' che appare", bensì nel "fino a prova contraria" che testimonia una disponibilità ad accogliere e a soppesare ulteriori argomenti.
Grazie al principio di credulità (un principio che la filosofia importa dal diritto), la conoscenza diventa un processo anziché uno stato.
giovedì 18 settembre 2014
Statistiche, il punto
Quando leggi una statistica sul giornale, ricorda:
- Ricorda che con le statistiche non si formano le opinioni ma, al limine, si aggiornano le opinioni che uno ha già a priori.
- Quando la materia è particolarmente complessa, inutile e dannoso per il profano perder tempo a leggere il singolo studio, meglio considerare solo gli articoli che fanno una rivista della letteratura esistente in materia (meta-studi).
- Specificazioni. Considera le variabili rilevanti dello studio e verifica se le proxy utilizzate sono adeguate.
- Replicabilità. Pensa sempre a bayes, solo lui ci dice realmente cos' è una probabilità. Spesso gli studi vengono presentati in termini di probabilità ma ci si dimentica che vanno pesati anche dalla probabilità di poter essere replicati (il che diminuisce di molto la forza della cosiddetta "significatività statistica").
- Non fidarsi mai di studi fatti su singole relazioni; molto meglio gli studiosi che presentano un modello affidabile e testano più relazioni contemporaneamente.
- Tipico trucco: provarci con una marea di proxy del fenomeno che si studia e riportare solo quelle con significatività statistica.
- Tipico trucco: scegliere artificiosamente quando terminare l' esperimento.
- Molti studi, per esempio quelli sui bambini, richiedono impegnativi follow up, non fidarti se mancano.
- Tipico trucco: scegliere bene i denominatori. Esempio tipico è la % di successo nella cura delle dipendenze: la gran parte dei fallimenti si registrano prestissimo con una rinuncia già ai primi stadi ma molti studi cominciano le misurazioni molto dopo.
- Tipico trucco: dividere la popolazione in tanti piccoli gruppi, almeno su uno si riscontreranno, per puro caso, effetti significativi del trattamento (il cosiddetto "effetto della donna ispanica alta grassa e bassa").
- ricordati che la significatività di uno studio indica in termini probabilistici che esiste una relazione tra le variabili considerate e non che esiste la relazione individuata dallo studio.
- Dove le variabili in campo sono troppe non fidarti di studi che non fanno uso del random trial o di altri sistemi affidabili di controllo per ricampionare i dati.
- i titoli sono quasi sempre svianti
- spesso ci sono conflitti d' interesse (quelli ideologici pesano anche di più di quelli materiali)
- chiediti: il campione è adeguato?
- chiediti: i gruppi confrontati sono "ciechi" (effetto placebo)
- esiste un pubblication bias (si pubblicano solo risultati "interessanti"). Esistono funzioni per normalizzare questo errore.
- spesso alle ricerche si allegano speculazioni molto opinabili che lo studio non giustifica.
- ricorda sempre di ragionare in termini di curva di Bell: se una statistica dice che gli uomini sono migliori delle donne a fare X cio' non toglie che molte donne sanno fare X molto meglio di molti uomini.
- dopo tutti questi allarmi molti saranno tentati dal pessimismo: lasciamo perdere i numeri e rivolgiamoci ad altro. Errore! La statistica resta importante:2) in difesa delle piccole probabilità: basta una differenza infinitesimale per incidere sulle scelte razionali
- nell' ambito delle scienze umane i saggi più convincenti che ho letto mescolavano abilmente introspezione, senso comune, esperienza personale, statistiche e storia. La statistica non veniva mai schifata; anzi, aveva un posto d' onore. Un esempio?: A Monetary History of the United States, 1867–1960
- ' R = relazioni vere / relazioni possibili. Ogni oggetto di studio ha un suo R, quanto più questo valore è elevato tanto più probabile che le conclusioni raggiunte negli studi saranno false. Si chiama "indice di comparabilità" e rappresenta un modo di far entrare in scena Bayes, infatti l' indice di comparabilità di un settore di ricerca rappresenta la probabilità a priori che la relazione da testare sia vera (sul punto vedi il lavoro di John P. Ioannidis).
Contro Kant
Il principale responsabile dello scetticismo moderno è Kant, il filosofo che con le sue "critiche" dimostrò i limiti della nostra ragione.
Secondo lui la nostra ragione puo' conoscere ben poco.
Senonché, nel frattempo, qualcosa è successo anche in campo filosofico.
Innanzitutto cio' che Kant dava per assodato non è più tale: la differenza tra conoscenza e credenza.
Per dire che "la ragione non puo' conoscere questo e quello" bisogna avere un' idea precisa di quel che intendiamo per "conoscere".
Dopo Edmund Gettier le cose si sono un po' confuse e nemmeno una credenza vera e giustificata puo' chiamarsi "conoscenza".
In secondo luogo Kant intendeva dimostrare che noi non possiamo conoscere le cose inosservabili (per esempio le cose di estensione infinita).
Kant aveva un grande rispetto delle scienze fisiche, e forse traeva proprio da questo rispetto il principio di cui sopra.
Sarebbe rimasto sorpreso se solo avesse vissuto abbastanza per scoprire che le scienze naturali oggi formulano molte teorie intorno a eventi e cose non osservabili perché troppo piccole o troppo grandi o troppo vecchie.
D' altronde non fanno che uniformarsi al senso comune: noi tutti cerchiamo di "conoscere" cio' che non possiamo osservare basandoci sugli effetti che possiamo osservare. L' apparenza, in assenza di prova contraria, domina sull' ipotesi dell' illusione, e quando si presentano le prove contrarie si affrontano e si valutano. Insomma ci si inserisce in un processo facendo della conoscenza qualcosa di coerente con la critica di Gettier.
Se poi si vuole dire che Kant parlando di "osservabile" si riferisse a cose "logicamente osservabili", allora possiamo tirare un sospiro di sollievo, lo scetticismo non risulterebbe poi così giustificato. Ogni immaginazione è logicamente osservabile, basta che non violi i principi della logica, appunto.
E' tempo di superare le critiche di Kant alla metafisica, ce lo dice il senso comune, ce lo dice lo sviluppo delle scienze naturali, ce lo dice la filosofia contemporanea.
Secondo lui la nostra ragione puo' conoscere ben poco.
Senonché, nel frattempo, qualcosa è successo anche in campo filosofico.
Innanzitutto cio' che Kant dava per assodato non è più tale: la differenza tra conoscenza e credenza.
Per dire che "la ragione non puo' conoscere questo e quello" bisogna avere un' idea precisa di quel che intendiamo per "conoscere".
Dopo Edmund Gettier le cose si sono un po' confuse e nemmeno una credenza vera e giustificata puo' chiamarsi "conoscenza".
In secondo luogo Kant intendeva dimostrare che noi non possiamo conoscere le cose inosservabili (per esempio le cose di estensione infinita).
Kant aveva un grande rispetto delle scienze fisiche, e forse traeva proprio da questo rispetto il principio di cui sopra.
Sarebbe rimasto sorpreso se solo avesse vissuto abbastanza per scoprire che le scienze naturali oggi formulano molte teorie intorno a eventi e cose non osservabili perché troppo piccole o troppo grandi o troppo vecchie.
D' altronde non fanno che uniformarsi al senso comune: noi tutti cerchiamo di "conoscere" cio' che non possiamo osservare basandoci sugli effetti che possiamo osservare. L' apparenza, in assenza di prova contraria, domina sull' ipotesi dell' illusione, e quando si presentano le prove contrarie si affrontano e si valutano. Insomma ci si inserisce in un processo facendo della conoscenza qualcosa di coerente con la critica di Gettier.
Se poi si vuole dire che Kant parlando di "osservabile" si riferisse a cose "logicamente osservabili", allora possiamo tirare un sospiro di sollievo, lo scetticismo non risulterebbe poi così giustificato. Ogni immaginazione è logicamente osservabile, basta che non violi i principi della logica, appunto.
E' tempo di superare le critiche di Kant alla metafisica, ce lo dice il senso comune, ce lo dice lo sviluppo delle scienze naturali, ce lo dice la filosofia contemporanea.
mercoledì 17 settembre 2014
Un po' complicato (per me) ma molto interessante.
Vorrei solo aggiungere una considerazione: non saprei francamente se Popper sia ancora significativo una volta che ci collochiamo sulla frontiera dell' epistemologia contemporanea. I primi a demolirlo sono stati proprio i suoi allievi popperiani (da Lakatos a Feyerabend: 1) la falsificazione - esperimento cruciale - è un mito 2) l' irrealismo delle ipotesi è un mito.
Da allora non si è più riavuto.
Se devo allora individuare oggi un patrono riconosciuto della metodologia scientifica farei il nome di un Reverendo: Thomas Bayes.
La conoscenza scientifica (in senso moderno) del mondo è probabilistica.
Chi "cerca" è in fondo come uno scommettitore (bayesiano) che punta su un' ipotesi più sensata.
Per il bayesiano l' induzione conta, altroché: ogni evento aggiorna le sue probabilità.
Il bayesiano rivaluta l' introspezione: la probabilità a priori (concetto per lui fondamentale) in fondo è sempre soggettiva.
Il bayesiano sa spiegare i disaccordi frequenti: i punti di partenza possono essere diversi.
Il bayesiano ha una prospettiva di concordia: gli eventi aggiornano le probabilità di ciascuno in senso convergente se si agisce in modo onesto.
Il bayesiano cerca di distinguersi dal relativista/nichilista: sebbene il suo metodo non gli regali verità definitive, gli promette un "viaggio verso...". Un viaggio contorto, pieno di dietrofront e di accelerazioni, ma pur sempre un "viaggio verso...". La direzione è cruciale.
Il bayesiano è interessato ai fatti e alle essenze?
Qui casca l' asino, forse non arriva a tanto.
Ma il bayesiano è anche un uomo e in quanto uomo puo' completare il suo metodo. Del resto, la sua impostazione è facilmente integrabile; si coniuga bene, per esempio, col principio di credulità: le cose stanno (realmente) come appaiono (fino a prova contraria).
Conclusione: la dicotomia certezza/nichilismo forse non esaurisce il campo. Forse esiste il ponte delle probabilità bayesiane, un ponte che in ambito di ricerca religiosa va poi colmato con la fede pura, una barca che ci fa compiere l' ultimo tratto della attraversata.
Un po' come lo scommettitore: calcola, scommette nel modo più sensato possibile ma poi ci crede anche col cuore e spera.
A me basta, lo ammetto. Nessuna consolazione da certezze dedotte da verità atemporali ma anche il vantaggio di poter sentirsi immersi nel proprio tempo.
Vorrei solo aggiungere una considerazione: non saprei francamente se Popper sia ancora significativo una volta che ci collochiamo sulla frontiera dell' epistemologia contemporanea. I primi a demolirlo sono stati proprio i suoi allievi popperiani (da Lakatos a Feyerabend: 1) la falsificazione - esperimento cruciale - è un mito 2) l' irrealismo delle ipotesi è un mito.
Da allora non si è più riavuto.
Se devo allora individuare oggi un patrono riconosciuto della metodologia scientifica farei il nome di un Reverendo: Thomas Bayes.
La conoscenza scientifica (in senso moderno) del mondo è probabilistica.
Chi "cerca" è in fondo come uno scommettitore (bayesiano) che punta su un' ipotesi più sensata.
Per il bayesiano l' induzione conta, altroché: ogni evento aggiorna le sue probabilità.
Il bayesiano rivaluta l' introspezione: la probabilità a priori (concetto per lui fondamentale) in fondo è sempre soggettiva.
Il bayesiano sa spiegare i disaccordi frequenti: i punti di partenza possono essere diversi.
Il bayesiano ha una prospettiva di concordia: gli eventi aggiornano le probabilità di ciascuno in senso convergente se si agisce in modo onesto.
Il bayesiano cerca di distinguersi dal relativista/nichilista: sebbene il suo metodo non gli regali verità definitive, gli promette un "viaggio verso...". Un viaggio contorto, pieno di dietrofront e di accelerazioni, ma pur sempre un "viaggio verso...". La direzione è cruciale.
Il bayesiano è interessato ai fatti e alle essenze?
Qui casca l' asino, forse non arriva a tanto.
Ma il bayesiano è anche un uomo e in quanto uomo puo' completare il suo metodo. Del resto, la sua impostazione è facilmente integrabile; si coniuga bene, per esempio, col principio di credulità: le cose stanno (realmente) come appaiono (fino a prova contraria).
Conclusione: la dicotomia certezza/nichilismo forse non esaurisce il campo. Forse esiste il ponte delle probabilità bayesiane, un ponte che in ambito di ricerca religiosa va poi colmato con la fede pura, una barca che ci fa compiere l' ultimo tratto della attraversata.
Un po' come lo scommettitore: calcola, scommette nel modo più sensato possibile ma poi ci crede anche col cuore e spera.
A me basta, lo ammetto. Nessuna consolazione da certezze dedotte da verità atemporali ma anche il vantaggio di poter sentirsi immersi nel proprio tempo.
Quel vizietto di correggere i comportamenti razionali
Perché in alcune professioni le donne sono meno rappresentate?
Ci sono molte ipotesi ma qui me ne interessa una una che vedo trattata: assumendo una donna l' imprenditore incorre nel rischio maternità.
Non stereotipi, non pregiudizi ma uno svantaggio oggettivo che penalizzerebbe le donne sul mercato del lavoro.
E chi puo' negare che non sia così?
Faccio solo notare che in un caso del genere tutti gli attori coinvolti si comportano razionalmente, e a farne le spese sono le donne.
Personalmente sono restio a correggere dei comportamenti razionali, eppure, sempre qui sopra, sono state avanzate delle proposte degne di considerazione.
Una spicca tra tutte: rendiamo la paternità obbligatoria, oppure paghiamola di più della maternità in modo che sia più conveniente. I piatti della bilancia si riequilibreranno.
Detta così è un po' contorta. Cerco di ridurla senza intaccare in alcun modo la sostanza: sussidiamo l' assunzione di donne.
In altri termini: le donne sul mercato del lavoro hanno uno svantaggio oggettivo (rischiano di stare a casa in maternità), facciamo gravare questo svantaggio su terzi (il sussidiante) e il problema si attenua.
Certo, l' allocazione lavorativa si sposta in favore delle donne, ma produce anche delle inefficienze non trascurabili. La logica di fondo infatti è piuttosto opinabile: se un soggetto è svantaggiato per compiere un verto lavoro, allora sussidiamone l' assunzione.
La soluzione forse ha una sua correttezza politica ma non è priva di costi. Lo illustro meglio avvalendomi di due analogie.
Immaginiamo che in un lontano futuro il pianeta terra ospiti, oltre ai terrestri, anche una certa popolazione marziana con abilità in tutto simili a quelle dell' uomo, se non che il nostro marziano deve dedicare tre giorni a settimana ad un irrinunciabile riposo. Sul mercato del lavoro i nostri amici marziani riscontrano qualche problema, cosicché si viene loro incontro sussidiando pesantemente le assunzioni. Siccome "ogni umo ha il suo prezzo" si trova una cifra per far lavorare i "dormiglioni".
Bene, e se i giorni di assoluto riposo diventassero 4? Che si fa, si adegua il sussidio o si discrimina?
No! Una volta accettata una certa logica, coerenza vuole che si prosegua su quella strada.
E se diventassero 5? Idem come sopra. E se diventassero 6?
Vabbé, non vado avanti.
Il fatto è che fingere di essere tutti degli svantaggiati per non discriminare lo svantaggiato presenta qualche problema, in effetti.
Ma si potrebbe andare oltre e sfiorare il paradosso.
Ammettiamo che Giovanni, per quanto ce l' abbia messa tutta, abbia conseguito una laurea con voti scadenti mentre Giuseppe, un autentico talento, si sia laureato nella stessa facoltà a pieni voti e a mani basse.
Se un datore di lavoro si mostrasse più interessato ad assumere Giuseppe, Giovanni potrebbe opinare: non è giusto, io sono meno dotato di Giuseppe e quindi parto da una condizione di oggettivo svantaggio.
Qualcuno potrebbe dire: ma qui si tratta di condizioni inerenti alle mere capacità.
Ma c' è davvero differenza tra gli "svantaggi" considerati?
Una cosa è certa: non c' è differenza in termini di produttività, e questi sono gli unici termini che interessano un datore di lavoro razionale.
Con la stessa logica applicata precedentemente noi, per aiutare chi all' università si è sempre impegnato pur conseguendo scarsi risultati, dovremmo procedere a sussidiare la loro assunzione.
Perché discriminare chi nella lotteria dei talenti è stato sfortunato?
Le analogie che ho proposto sono paradossali ma servono forse a capire che la logica di correggere dei comportamenti razionali ha derive perverse.
Ci sono molte ipotesi ma qui me ne interessa una una che vedo trattata: assumendo una donna l' imprenditore incorre nel rischio maternità.
Non stereotipi, non pregiudizi ma uno svantaggio oggettivo che penalizzerebbe le donne sul mercato del lavoro.
E chi puo' negare che non sia così?
Faccio solo notare che in un caso del genere tutti gli attori coinvolti si comportano razionalmente, e a farne le spese sono le donne.
Personalmente sono restio a correggere dei comportamenti razionali, eppure, sempre qui sopra, sono state avanzate delle proposte degne di considerazione.
Una spicca tra tutte: rendiamo la paternità obbligatoria, oppure paghiamola di più della maternità in modo che sia più conveniente. I piatti della bilancia si riequilibreranno.
Detta così è un po' contorta. Cerco di ridurla senza intaccare in alcun modo la sostanza: sussidiamo l' assunzione di donne.
In altri termini: le donne sul mercato del lavoro hanno uno svantaggio oggettivo (rischiano di stare a casa in maternità), facciamo gravare questo svantaggio su terzi (il sussidiante) e il problema si attenua.
Certo, l' allocazione lavorativa si sposta in favore delle donne, ma produce anche delle inefficienze non trascurabili. La logica di fondo infatti è piuttosto opinabile: se un soggetto è svantaggiato per compiere un verto lavoro, allora sussidiamone l' assunzione.
La soluzione forse ha una sua correttezza politica ma non è priva di costi. Lo illustro meglio avvalendomi di due analogie.
Immaginiamo che in un lontano futuro il pianeta terra ospiti, oltre ai terrestri, anche una certa popolazione marziana con abilità in tutto simili a quelle dell' uomo, se non che il nostro marziano deve dedicare tre giorni a settimana ad un irrinunciabile riposo. Sul mercato del lavoro i nostri amici marziani riscontrano qualche problema, cosicché si viene loro incontro sussidiando pesantemente le assunzioni. Siccome "ogni umo ha il suo prezzo" si trova una cifra per far lavorare i "dormiglioni".
Bene, e se i giorni di assoluto riposo diventassero 4? Che si fa, si adegua il sussidio o si discrimina?
No! Una volta accettata una certa logica, coerenza vuole che si prosegua su quella strada.
E se diventassero 5? Idem come sopra. E se diventassero 6?
Vabbé, non vado avanti.
Il fatto è che fingere di essere tutti degli svantaggiati per non discriminare lo svantaggiato presenta qualche problema, in effetti.
Ma si potrebbe andare oltre e sfiorare il paradosso.
Ammettiamo che Giovanni, per quanto ce l' abbia messa tutta, abbia conseguito una laurea con voti scadenti mentre Giuseppe, un autentico talento, si sia laureato nella stessa facoltà a pieni voti e a mani basse.
Se un datore di lavoro si mostrasse più interessato ad assumere Giuseppe, Giovanni potrebbe opinare: non è giusto, io sono meno dotato di Giuseppe e quindi parto da una condizione di oggettivo svantaggio.
Qualcuno potrebbe dire: ma qui si tratta di condizioni inerenti alle mere capacità.
Ma c' è davvero differenza tra gli "svantaggi" considerati?
Una cosa è certa: non c' è differenza in termini di produttività, e questi sono gli unici termini che interessano un datore di lavoro razionale.
Con la stessa logica applicata precedentemente noi, per aiutare chi all' università si è sempre impegnato pur conseguendo scarsi risultati, dovremmo procedere a sussidiare la loro assunzione.
Perché discriminare chi nella lotteria dei talenti è stato sfortunato?
Le analogie che ho proposto sono paradossali ma servono forse a capire che la logica di correggere dei comportamenti razionali ha derive perverse.
Why Philosophers Should Stay Out of Politics
Why Philosophers Should Stay Out of Politics | Bleeding Heart Libertarians:
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Chi studia la politica non dovrebbe parteggiare. Motivo?: distorsioni cognitive.
Referenze: Kahneman’s book Thinking Fast and Slow and Jonathan Haidt’s The Righteous Mind.
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Chi studia la politica non dovrebbe parteggiare. Motivo?: distorsioni cognitive.
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