lunedì 11 dicembre 2017

Il fallimento dell’immaginazione

Il fallimento dell’immaginazione

Perché dobbiamo avere un governo quando già abbiamo dei lottizzatori?
Perché la convivenza comune, anziché inventarsi procedure bizantine, non imita cio’ che funziona, per esempio gli hotel?
Non è necessario un governo per produrre beni come strade, servizi sanitari, assicurazioni sul lavoro, polizia, scuole, eccetera. Ma allora, perché ci ritroviamo con un governo che fa tutte queste cose?
Perché, in sintesi, cio’ che potrebbe fare (bene) il privato viene fatto (male) dal pubblico?
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Un economista risponderebbe dicendo che esistono dei beni pubblici che il settore privato non riuscirebbe mai a produrre.
Magari lo farà appellandosi a James Meade, il maestro delle esternalità.
Magari richiamerà il famoso esempio del maestro: poiché le api impollinano i meli spontaneamente, è necessario sussidiare i proprietari delle arnie tassando i proprietari dei meli.
Magari lo farà appellandosi all’autorità di Paul Samuelson.
Magari richiamerà l’esempio canonico del maestro: poiché tutte le navi di passaggio fruiscono della luce del faro posto sulla costa senza pagare pegno, è necessario che il faro sia di proprietà statale.
Ma gli economisti sono spesso dei teorici/empirici. Ovvero, elaborano a tavolino le loro teorie per poi fornire degli esempi pratici… che quando guardi la realtà non ritrovi.
Steve Cheung è invece un economista empirico/teorico: prima guarda, poi studia.
E cosa ha visto? Per esempio che i proprietari dei meleti già fanno offerte in denaro agli allevatori di api affinché piazzino le loro arnie nei terreni contigui alle loro piantagioni. Non aspettano il governo, non hanno alcuna necessità né di tasse, né di sussidi.
Anche Ronald Coase è un economista empirico/teorico: prima guarda, poi studia.
E cosa ha visto? Per esempio ha visto che i fari inglesi sono da sempre stati costruiti e gestiti dai privati.
Quella di Cheung e Coase si chiama: “confutazione da esistenza”.
La teoria dei beni pubblici si confuta semplicemente grazie all’esistenza. Ma per confutare bisogna guardare, se non esci dal dipartimento di economia non guarderai mai nulla.
Anche Bruce Benson è uno “che guarda”. Ha visto, per esempio, che nel mondo del commercio l’applicazione della legge, specie quella internazionale, è di natura privata.
Stephen Davis, un altro occhiuto osservatore, “ha visto” che fino al 1850 la polizia inglese era privata.
David Beito “ha visto” come possono nascere intere città private, si è concentrato su St. Louise, ma anche sul Chicago Central Manufacturing.
Ma perché quello che funziona bene su (relativamente) piccola scala non puo’ funzionare su larga scala?
Quanto più le dimensioni sono ampie, tanto più le “esternalità” che denunciano gli economisti sono “internalizzabili” (e/i).
Se io sono proprietario della palazzina A – quella in cui vivo – e della palazzina B – quella in cui affitto, qualora invada con i miei fumi gli inquilini di fronte sarò coinvolto in prima persona nella soluzione del problema, poiché i danneggiati sospenderanno il pagamento dell’affitto.
Che fare? Sospendere le emissioni? Abbassare gli affitti? Realizzare un mix delle precedenti soluzioni?
Il fatto di essere coinvolto in prima persona garantisce che la soluzione prescelta sarà ottimale. La creazione di un virtuoso conflitto di interessi è la via che fa scatenare l’immaginazione per risolvere i problemi.
Se poi sono proprietario di tutto il terreno cittadino sarò coinvolto in prima persona in tutti i problemi legati all’urbanistica, che riceveranno quindi una risoluzione efficiente.
Inquinamento, sicurezza, pericolo incendi, estetica… Tutto sarà risolto in modo efficiente. Perché? Perché mi “conviene” che sia così.
Un hotel, un supercondominio, un teatro, un centro commerciale prosperano adottando questo principio: al proprietario conviene che gli ospiti stiano bene (in relazione a cio’ che pagano). Zero sprechi.
La città privata non è altro che un hotel allargato.
Il principio è semplice, riassumiamolo: poiché il proprietario dei terreni tenderà a massimizzare il loro valore, tenderà anche ad essere un buon legislatore per le città che sorgono su di essi.
Problema: costruire o no un marciapiede? Soluzione: dipende se alza il valore al metro quadro del terreno. Il più stimolato a fare i conti come si deve è il proprietario.
Quanto costa il marciapiede? E quanto varrà al metro quadrola casa che lì verrà lì costruita e riuscirò a vendere?
E’ un po’ diverso che far decidere ad un estraneo, come per esempio l’assessore di passaggio.
La vendita della casa puo’ essere poi collegata ad unpacchetto di diritti/doveri.
Esempio: non posso allevarci dentro dei maiali, o fabbricare sapone, o tenerci bordello…
La proprietà è un fascio di diritti che noi siamo abituati a vedere tutti insieme, ma che invece possono essere spacchettati e negoziati separatamente: facciamo lavorare l’immaginazione!
Certo, se potessi trasferire solo l’intera proprietà, poi ci vorrebbe poi un governante che faccia una legge nella quale dica “nelle case fatte e ubicate così e così non si possono allevare i maiali”.
Tuttavia, se regole del genere le studia chi vende una proprietà depotenziata, saranno regole molto migliori poiché massimizzeranno il valore globale delle case. Saranno regole più flessibili, più efficienti e meno “politicizzate”.
Houston, per esempio, è una città senza piano regolatore. Il PRG è stato sostituito dalle convenzioni dei lottizzatori.
La tradizione giuridica anglosassone – common law – va in questo senso, ovvero nel senso di spezzettare il diritto di proprietà esautorando i parlamenti dalla funzione legislativa specifica.
La scelta fra pubblico e privato è meglio compresa se la si vede come scelta tra diritto di proprietà assoluta e diritto di proprietà a fasci, dove le singole componenti del fascio sono negoziabili separatamente.
fari privati di Coase non sarebbero mai esistiti se il fascio di proprietà del faro non avesse ricompreso – come ritenne il tribunale di common law – il diritto di riscuotere una tariffa equa dai capitani dalle navi entrate in porto.
Laddove la proprietà è unica, una soluzione del genere non sarebbe mai stata possibile poiché da che mondo e mondo una semplice proprietà non dà diritto a riscuotere alcuna tariffa del genere, il che avrebbe aperto la via alla statalizzazione dei fari.
Come assegnare la proprietà dell’etere? Come assegnare i diritti relativi allo spettro magnetico?
Anche qui ci sono due soluzioni: assegnare la proprietà unica sotto la supervisione statale o scomporre e specificare il contenuto del diritto di proprietà a cura dei tribunali una volta che gli operatori si sono mossi.
Altro esempio: come risolvere il problema del trasporto pubblico? In genere chi offre questo servizio tende ad anticipare il concorrente per portargli via i clienti alla fermata. In questo senso viene frustrato ogni tentativo di programmare l’attività. Chi programma resta sicuro senza clienti.
O lo stato prende in mano la situazione, o si fissa un’efficiente scomposizione di diritti/doveri per non perdere i benefici di una competizione. Daniel Klein, per esempio, ha proposto una privatizzazione provvisoria dei marciapiedi e quindi delle fermate.
A Disneyland i fuochi d’artificio sono privati. Significa che sono brutti? No, significa che sono forniti da privati che ubbidiscono ad una legge privata (clausole contrattuali). Non sono brutti, anzi, sono i piùbelli al mondo, sono, per esempio, mille volte più belli di quelli di Tampa. Perché? Perché la legge che li governa è più efficiente. Il CEO della Disney è molto più interessato al buon funzionamento della sua città rispetto al sindaco di Tampa.
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Alcuni radicali sostenitori del “bene pubblico” sostengono che anche se fosse possibile “escludere” dal godimento di un bene, la cosa non sarebbe comunque desiderabile.
Perché escludere tizio – che non paga il canone – dalla visione di Sky?
In fondo, includerlo avrebbe un costo pari a zero.
Perché escludere Tizio dalla lettura di un certo e-book?
In fondo, includerlo avrebbe un costo pari a zero.
Perché escludere uno spettatore dalla visione di un film al cinema.
In fondo, includerlo, quando c’è posto libero in platea, avrebbe un costo pari a zero per il proprietario della sala.
E via dicendo.
Il costo si un e-book in più, di uno spettatore in più, di un fruitore di Sky in più è sempre pari a zero per il produttore poiché non c’è “rivalità” nel consumo: un consumo in più non toglie nulla agli altri consumatori.
In questi casi escludere è inefficiente: si diminuisce il godimento reale senza alcun risparmio.
Ma chi ragiona in questi termini non tiene conto di un’ulteriore funzione dei prezzi: scoprire la domanda.
Far pagare è anche un modo per capire quanto un bene sia apprezzato. Un bene che crea margini di profitto cospicui segnala un bisogno e attira l’attenzione di imprenditori creativi.
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I prezzi motivano anche la soddisfazione di una domanda. Di che tipo è, per esempio, la domanda per la protezione degli elefanti in Zimbabwe?
A parole alta, ma nei fatti? Basta privatizzarli e prezzarli per capirlo.
Il proprietario vende l’avorio e i diritti di caccia stando ben attento a non uccidere la gallina dalle uova d’oro. Procedure del genere hanno incrementato il numero di elefanti nella regione, chi temeva l’estinzione si è tranquillizzato. Al contempo hanno fronteggiato la domanda di avorio, di safari e di caccia. Il tutto mantenendo un equilibrio mirabile.
In Scozia e Inghilterra il diritto a pescare nei laghi è posseduto privatamente ed è negoziabile. Se uno inquina nel lago dove possiedo la mia quota – anche se non pesco di fatto ma ho intenzione di vendere – puo’ essere da me denunciato e costretto a risarcirmi.   
La moderna tecnologia consente di “privatizzare” anche le balene inserendo dei chip sottopelle. Oggi un’organizzazione ecologista islandese o  neozelandese puo’ dire: “guai a chi caccia la mia balena!”.
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Oggi le città private sono parecchie: Sea Ranch in California, Reston in Virginia… sono governate dalla democrazia più efficiente e più giusta: quella in cui si vota con i piedi.
Ogni cittadino che “trasloca” svaluta la proprietà nel suo complesso: un segnale che vale mille voti, e che non puo’ essere trascurato dai manager della città.
Nel modello di Charles Tiebout il voto con i piedi è formalizzato una volta per tutte, non è il paradiso in terra, ci sono molte condizioni da soddisfare, ma nemmeno è la democrazia che conosciamo.
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E per quanto riguarda la solidarietà sociale garantita dallo stato, ovvero il cosiddetto welfare state? Potrà mai il settore privato produrre qualcosa del genere?
Gran Bretagna e Australia hanno conosciuto le “Friendly society”, in America erano diffuse le Logge, noi ci ricordiamo ancora le “Società di Mutuo Soccorso” e le “Società operaie”. Tutte forme di autentica solidarietà sociale volontaria spazzate via da un anonimo welfare state.
Grazie a queste associazioni, vedove e orfani avevano un sostegno garantito. Le “FS” provvedevano poi anche alle cure mediche (nel 1911 in GB coprivano 9 milioni di persone). Si forniva anche uno stipendio ai malati, un’assicurazione sulla vita e un pronto ricollocamento per i disoccupati.
La loro gestione era improntata a principi democratici e il loro punto di forza erano le “scuole” e i “rituali”. Nelle prime si inculcavano valori quali il lavoro duro, la libertà, la tolleranza verso gli altri e la fraternità verso i compagni. I secondi erano realmente sentiti.
Tutta roba che si puo’ fare solo se non è imposta. Paragonate quelle scuole alla ridicola ora di educazione civica tenuta controvoglia da un professorino malpagato che pensa solo al trasferimento e ascoltata da una classe col pensiero fisso sul pezzo di carta!
Il moralismo diventa insopportabile se inflitto, ma è spesso necessario e benefico se adottato volontariamente. Nel solidarismo spontaneo gli anziani introducevano i novizi, si elevavano multe agli ubriachi e ai giocatori. Ma tutto faceva parte di quel gioco accettato all’atto di adesione.
L’aiuto, fondamentale, non era garantito a priori, solo gli sfortunati meritevoli” potevano accedervi, ma questo era possibile proprio per il carattere volontario della comunità. Queste associazioni sapevano benissimo che l’aiuto crea dipendenza, e possedevano l’antidoto.
L’aiuto elargito non umiliava poiché era visto come un “mutuo soccorso”: “oggi a te domani a me”. In questo senso creava anche un impegno in chi lo riceveva. La “fraternità” predicata rinforzava l’affidabilità e da questo legame nasceva l’autentica comunità.
Il solidarismo spontaneo era anche il veicolo primo utilizzato da chi puntava a ruoli di leadership sociale.
La volontarietà di queste associazioni è il punto cruciale: i soci supportavano la causa realmente motivati, e i leader eletti da “uomini realmente liberi” si sentivano veramente consacrati.
Si tratta di un mondo completamente spazzato via dall’anonimo e sprecone welfare state moderno che, per quanto appena detto, puo’ fornire risorse ma non certo una formazione morale, considerato anche come quelle risorse se le procura.
In America e in GB il passaggio ha fatto impennare crimine, disgregazione familiare e disoccupazione. Un caso?
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Come abbiamo visto, il lottizzatore ha interesse nel vendere case e terreni in un pacchetto che comprenda anche i beni pubblici.
Questo non significa che possa prevedere tutto quanto succederà in futuro. Per aggirare questa lacuna puo’ però stabilire una procedura per prendere le decisioni quando lui non ci sarà più.
Il lottizzatore vende costituzioni agli abitanti del suo superstatocittàcondominiohotel.  
Nella tradizione contrattualistica la costituzione ottima è quella prescelta dai cittadini dietro “un velo di ignoranza”. Nel nostro caso, invece, è quella che massimizza il valore dei beni immobili.
La costituzione è quindi scritta dalla persona che più ha convenienza a scriverla bene, dalla persona che si avvarrà degli esperti più qualificati.
Anche per questo le città private non adottano quasi mai il metodo democratico: utilizzano soprattutto il metodo delle supermaggioranze, nonché quello millesimale (o proprietaristico).
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Chi ancora non credesse che la legge e altri beni pubblici possano essere prodotti spontaneamente dai privati in concorso tra loro, pensi al bene pubblico per eccellenza: il linguaggio.
C’è forse un governante che lo produce?
E’ praticamente impossibile escludere qualcuno dai benefici del linguaggio, eppure non esiste un’autorità centrale che lo gestisce.
Il linguaggio si produce spontaneamente nell’interazioni tra individui.
Hayek pensava che qualcosa di simile accada con la legge.
La legge è un po’ come il linguaggio. Così come il secondo preesiste all’Accademia della Crusca, la prima preesiste ai codici e ai legislatori.
Hammurabi e Solone hanno codificato una legge preesistente, così come chi compila i dizionari lavora su realtà preesistenti.
La legge si crea spontaneamente, al pari del linguaggio.
Legge e linguaggio sono il frutto della creatività umana, non di un progetto umano.
Il legislatore scopre la legge andando a cercarla, non la crea dal nulla.. Così come il linguista scopre le regole linguistiche osservandone l’uso già in atto.
La common law è un classico esempio di legge “scoperta” e mai deliberata da nessuno in particolare. La lex mercatoriaun altro.
Si tratta di leggi volontariamente prodotte, volontariamente adottate e volontariamente applicate.
La produzione decentrata di tali leggi consente a quelle più efficienti di assorbire quelle meno efficienti e di imporsi.
Non che esista una garanzia di efficienza: a volte si imbocca un sentiero promettente e tornare indietro risulta poi difficile, anche se lo si farebbe volentieri.
Le leggi di Facebook, per esempio, le abbiamo scelte noi, non si puo’ dire che non siano frutto di accordi volontari. Ma non si puo’ nemmeno dire che siano le più efficienti in assoluto poiché adesso la nostra libertà di scelta è diminuita e, qualora comparisse un social migliore, difficilmente opteremmo per lo “shift”. Il motivo è semplice: i nostri amici sono tutti su Facebook.
Tuttavia, il metodo evolutivo resta preferibile al monopolio di un dittatore benevolo.
Il linguaggio si sottopone ai medesimi processi, la scienzapure, l’economia anche. Perché non potrebbe sottoporsi a questi processi anche la produzione legislativa?
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La nostra carenza di immaginazione è stupefacente. Molti sono increduli quando vengono a sapere che Londra non aveva una polizia di stato fino al 1829. Non solo: la prima polizia di stato fu detestata dai cittadini, e considerata “incostituzionale” da molti.
Nei villaggi agricoli è facile immaginare che un consorzio di proprietari possa organizzarsi. D’altronde conosciamo l’efficienza tipica del far west nel difendersi dal crimine.
Ma in seguito all’urbanizzazione le cose si fecero più complicate: i criminali erano anonimi e molto più mobili. D’altro canto c’erano più strumenti a disposizione delle guardie. Cio’ non toglie che spesso il servizio risultava spesso troppo costoso.
Il metodo adottato fu quello di riunirsi in associazioni e operare al modo delle assicurazioni: quando un membro veniva colpito l’associazione si incaricava di stampare i volantini, gli avvisi sui giornali, di fissare le taglie, di ingaggiare i detective e gli avvocati.
Alcune di questi consorzi si trasformano in vere e proprie assicurazioni offrendo agli associati il risarcimento del danno ricevuto acquisendo il diritto perseguire i criminali.
Le associazioni trovavano il modo di pubblicizzare i nomi dei loro membri e di segnalarli in modo tale che fossero ben visibili ai malintenzionati. Un marchio di qualità era garanzia di immunità
Questo ci fa capire come nella lotta al crimine il rischio delle esternalità sia sempre presente: quanto più io mi garantisco “a priori”, tanto più giro i miei rischi su di te. I delinquenti che io evito dirottano inevitabilmente la loro attenzione verso di te.
Esempio, un allarme non visibile sulle auto crea esternalità positive poiché il ladro tentenna anche se il suo obiettivo è di fatto un auto priva di allarme. Un allarme che invece segnala la sua presenza sposta l’attenzione del ladro verso le macchine sprovviste di allarme.
C’è da dire però che se tutti i possibili obiettivi sono protetti, le esternalità negative si elidono o comunque sono minime.
Si può aggiungere che molto spesso le prede su cui si sposta l’attenzione dei criminali non sono sufficientemente appetibili per giustificare un’azione.
L’evidenza disponibile, comunque, ci dice che i consorzi per la lotta al crimine hanno ridotto gli atti criminali sia per i membri che per i non membri.
In generale i cittadini manifestarono la loro soddisfazione per l’azione della polizia privata e non crearono mai una domanda per un sistema statale di polizia. Perché allora è sorto? A breve lo vedremo.
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Il caso della scuola è ancora più singolare, oserei dire che è paradigmatico. Non esistono infatti argomenti economici per creare una “scuola di stato”.
Quando l’istruzione era prodotta privatamente senza obblighi né intervento statale, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti praticamente tutti i bambini, inclusi quelli poveri, ricevevano diversi anni di istruzione.
Con l’ingresso dello stato nel settore, il sistema privato è stato spiazzato e colpito a morte.
Ma se l’obiettivo fosse stato  quello di incrementare la quantità di istruzione fornita, come dichiarato, sarebbe bastato un sussidio.
Perché non è stata allora percorsa la via più semplice è lineare? Perché lo stato ha voluto entrare nella produzione diretta del servizio?
Ma c’è di più: i servizi scolastici forniti dal governo sono una presenza davvero sorprendente poiché i costi per approntarli superano di gran lunga quelli tipici del settore privato.
Questo fatto, oltretutto, non si ripercuote sul profitto degli allievi. Prendiamo ad esempio le scuole cattoliche: mettono una grande enfasi sull’impegno degli studenti e sulle loro conquiste. In media gli allievi di queste scuole ottengono punteggi migliori nei test, e migliori risultati nelle università che frequentano dopo la scuola superiore. E questo a parità del background familiare.
Ma soprattutto, la spesa per allievo nelle scuole private è circa la metà di quella nelle scuole statali.
Cosa significa tutto questo? Significa che le scuole private, anche a parità di profitto, una variabile nelle cui ambiguità è meglio non entrare, sono sostanzialmente più efficienti.
Non solo, i genitori degli allievi delle scuole private manifestano una maggiore soddisfazione. E questo è vero anche quando all’interno della scuola statale i genitori possono scegliere liberamente l’istituto di loro gradimento.
Di fronte a questi dati che nessuno contesta seriamente,perché mai l’istruzione, ancora oggi, non è fornita esclusivamente dal libero mercato?
La risposta non riguarda né l’economia, né la logica. La risposta riguarda la politica, e la vedremo meglio nell’ultima sezione.
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Perché il settore pubblico persiste anche quando si dimostra inefficiente?
Per capirlo guardiamo a come la polizia di stato in Inghilterra sia lentamente ma inesorabilmente subentrata alla polizia privata,  nonostante che quest’ultima fosse apprezzata dal popolo, che di certo non chiedeva cambiamenti.
Il fatto è che la polizia privata non rispondeva bene alla domanda delle élite.
Le élite erano preoccupate di beni generici quali l’ordine pubblico, la stabilità politica e la moralità.
Il sistema privato, per contro, si focalizzava sui crimini violenti e sui crimini contro la proprietà.
Nel sistema di polizia privata sedare una rissa o lanciare una crociata morale contro, per dire, l’ubriachezza e la prostituzione era impensabile.
Zero denunce, zero interventi.
Il sistema privato trascurava i cosiddetti “crimini senza vittime” per il semplice fatto che se non esiste una vittima che crea una domanda, non si creerà mai nemmeno un’offerta adeguata.
Tuttavia, una frazione significativa dei votanti di allora (élite), intendeva controllare ciò che percepiva genericamente come un “ambiente sregolato” e minaccioso.
Per esempio, la Polizia di Stato fu utilizzata per combattere il cosiddetto movimento “cartista”, ovvero coloro che, battendosi per il suffragio universale e contro i privilegi dei parlamentari, venivano percepiti come una minaccia dell’ordine pubblico.
Insomma, la Polizia di Stato fu diretta emanazione del volere delle élite, ma il punto chiave è che quando l’offerta si configura come monopolio dello Stato cambia anche la natura del servizio offerto.
Ciò fa capire perché i servizi di stato cominciarono ad essere proposti nonostante i chiari svantaggi che comportavano per la comunità.
fari di cui abbiamo parlato all’inizio sono un esempio prosaico ma molto esplicito.
Perché mai sono stati statalizzati nonostante abbiano sempre dato prova di buon funzionamento?
Nel suo pungente “Dizionario del Diavolo”, lo scrittore Ambrose Bierce alla voce “Faro” usava questa definizione: “… edificio molto elevato che sorge in prossimità del mare nel quale il governo mantiene una lanterna perpetua e gli amici dei politici”.
Chiaro?
Per l’istruzione di stato la musica non cambia. La statalizzazione garantiva qualcosa che l’istruzione privata non avrebbe mai potuto produrre: l’indottrinamento.
I primi stati ad adottarla furono anche quelli più bisognosi di indottrinare. Per esempio la Germania cinquecentesca fresca di riforma.
Un grande sostenitore dell’Istruzione di Stato fu Martin Lutero. Nella sua alleanza con i Principi, il suo progetto era quello di inculcare in un’intera popolazione la nuova visione religiosa, e di avvalersi a questo fine della scuola statale.
nemici da sbaragliare, allora, erano molti: non solo gli ebrei, i cattolici e gli infedeli ma anche le altre sette protestanti.
La maggioranza luterana usò la scuola pubblica per affermare la sua supremazia culturale e i suoi valori religiosi.
Ma anche nella scuola laica, a prescindere quindi dalla religione, inculcare una particolare visione del mondo era considerato decisivo.
In America, Horace Mann, il patrono della scuola di stato, considerava la protezione della società contro i grandi vizi, come la funzione primaria dell’istruzione pubblica. I grandi vizi che aveva in mente erano l’intemperanza, l’avarizia, la guerra, la schiavitù e la bigottaggine.
Non si percepisce una grande differenza tra Martin Lutero e Horace Mann, entrambi, attraverso la scuola di stato, intendono scendere in campo contro il demonio,  sia nella sua versione religiosa che in quella laica.
È chiaro che paesi come Russia e Cina forniscono esempi clamorosi di indottrinamento, ma non occorre spingersi a tanto, basterebbero le parole di un recente ministro dell’istruzione svedese per capire molte cose, in particolare quando ebbe a dire: “che la scuola pubblica deve diventare lo strumento principe per la diffusione del socialismo”.
Gli stati che controllano i mass media nel modo più capillare, magari attraverso la proprietà diretta di televisioni e radio, sono anche quelli che tendono a investire di più nell’istruzione pubblica. Un caso? Direi che dopo quanto detto possiamo tranquillamente rispondere: “no!”.
Lo stato, nel mettersi in prima persona a produrre istruzione, non intende tanto combattere l’ignoranza quanto non rischiare che la sua autorità sia messa alla pari con altre nella discussione pubblica.
Le scuole private non possono servire questo bisogno, le scuole private sono troppo disperse e decentralizzate per essere usate come arma di propaganda. Le scuole private sono un’offerta che risponde a una domanda e non invece ad un comando dall’alto.
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Concludo dicendo che i modelli degli economisti non possono dirci come i privati innoveranno per superare le sfide che si trovano di fronte ogni volta che il mercato fallisce.
Laddove la concorrenza non è possibile, le alternative allo stato restano comunque molte, e alcune le abbiamo passate in rassegna: dall’internalizzazione dei benefici operando su larga scala, ai contratti e alle innovazioni legalistiche, dalla vendita dei beni in pacchetti opportunamente assemblati alla produzione spontanea e gratuita di beni pubblici attraverso una motivazione altruistica.
Quello che gli economisti chiamano “fallimento di mercato“, molto spesso è un “fallimento dell’immaginazione” presso gli economisti più schematici.
Ma c’è di più: la  scuola economica della “public choice” ci ha detto chiaramente che i “fallimenti di mercato” ad ogni modo da contrapporre alle soluzioni governative bensì ai “fallimenti governativi“. Cosa scegliere?
Lo schema non si presenta nella forma fallimento/soluzione, bensì nella forma fallimento/fallimento. Come fallire?
Spesso la scelta che operiamo in questa fase è una scelta di civiltà.
La civiltà è meglio governata dalla forza della coercizione?
Chi ritiene di sì, di sicuro si orienterà sul governo.
La questione di valore è ineludibile. Esempio: se lo scopo per esempio dell’ istruzione pubblica è l’indottrinamento, allora non c’è dubbio che la scuola di stato diventi l’opzione più pratica.
Insomma: che civiltà desideriamo? Vogliamo essere Sparta o Atene?
Siamo per una civiltà dell’indottrinamento a valori comuni o per una civiltà della diversità e della tolleranza?
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sabato 9 dicembre 2017

Monetarismo di mercato

What's my core message?, by Scott Sumner http://econlog.econlib.org/archives/2017/12/whats_my_core_m.html

giovedì 7 dicembre 2017

Società del dono

Società del dono

Perché non lasciare che le tasse siano un versamento volontario?
Dono a vantaggio della comunità, anziché metodo-Corleone.
Comprendo lo scetticismo tipico di chi ha subito violenze per tutta la vita, ma il mondo non è solo quello in cui ha vissuto.
I vantaggi non mancherebbero. Innanzitutto, se ancora a qualcuno interessa, c’è quello eticonon esiste una giustificazione etica adeguata per un’azione coercitiva qual è di fatto il prelievo tributario.
C’è poi il problema della privacy che stiamo  perdendo ogni giorno di più anche e soprattutto in ambito fiscale: già in passato qualche Ministro ha minacciato di mettere on line le tasse pagate da ciascuno di noi. Considerato che questo prima o poi capiterà, l’introduzione di “tasse volontarie” anticiperebbe la mossa con uno sberleffo.
La tassa volontaria giustifica infatti l’utilizzo della trasparenza come metodo di pressione sociale. Ognuno dice a tutti quanto versa.
La privacy persa in questo modo è già più accettabile. O no?
Probabilmente verrà raccolto meno che ora, ma questo è solo un bene poiché la cosa dà modo di inaugurare finalmente un taglio consistente della spesa  pubblica (la politica delle politiche, a detta degli esperti).
Anche la burocrazia riceverà un duro colpo dal fatto che si rinuncerà alle violenze, mi sembra evidente. E voglio vedere chi non applaude.
Il metodo è inoltre graduabile: una parte della tassazione (per esempio quella sulla casa, meno invasiva in termini di privacy) potrebbe restare coercitiva prima di sparire del tutto.
Alcuni ritengono che il metodo intralci la programmazionedell’azione governativa. Ma questo, da un punto di vista liberale,  puo’ essere un bene: il governo si impegnerebbe solo in programmi meno ambiziosi.
Si puo’ comunque stabilire per ogni contribuente – salvo casi eccezionali – uno (generoso) spettro di oscillazione dei doni da un anno all’altro.
Inoltre, puo’ essere riconosciuta, a fianco della tassazione in denaro, una tassazione in natura. In questo senso i “programmi ambiziosi” sarebbero intrapresi dai privati che intendono dare in quelle forme il loro contributo.
Un sistema di tassazione volontaristico produrrebbe dei cambiamenti psicologici immensi nei cittadini: cesserebbe il loro malumore verso lo stato e la politica, e si ridesterebbe l’impegno sociale e comunitario.
In una società rimodellata sullo spirito del dare, il gesto della beneficenza diventerebbe sempre più comune, apportando alla fiscalità pubblica gran parte di ciò che oggi le serve per consolidarsi. La donazione a vantaggio del bene comune potrebbe dunque trasformarsi, nel tempo, in un’abitudine psicopolitica consolidata, impregnando le popolazioni democratiche di una sorta di seconda natura.
La storia ci dice che in molte occasioni i tipici problemi di free riding (opportunismo) sono stati superati grazie alla pressione sociale, al senso civico e allo spirito pubblico.
Per tutti noi la stima della comunità è estremamente importante.
Il senso di comunità lieviterebbe intorno a certi leaderparticolarmente generosi.
discorsi infiammati, l’esaltazione della magnanimità, e il richiamo alla generosità spingerebbero a donazioni ragguardevoli.
La buona reputazione è sempre stata l’ architrave delle società ben ordinate, perché non potrebbe continuare a svolgere il suo ruolo positivo anche e soprattutto in campo fiscale?
Oggi l’ammirazione va ai “furbetti”, e con parecchie ragioni. Chi non è infastidito dalla nota falsa che contiene la musica mielosa che invita alla correttezza fiscale? Chi non vede il vampiro dietro l’ ipocrita richiamo al senso civico? Chi non vi coglie l’insopportabile lato trombonesco? Chi ha la forze di trattenere la pernacchia? Giusto qualche indottrinato tutto d’un pezzo, ma pochi altri.
Nelle stime di fattibilità non confondiamo la stitica generosità anonima con quella che potrebbe essere la generosità pubblica. La prima è misurabile, per esempio, dai doni alle ONLUS, un flusso di ricchezza tutt’altro che disprezzabile. Ma la seconda sarebbe molto più cospicua. Perché? Ma perché conforme alla nostra natura più profonda.
La storia parla chiaro: se la generosità occulta ci fa aprire il portafoglio, la generosità pubblica ci fa dare la vita.
Noi siamo animali sociali, ma non siamo api. Il biologo evoluzionista ci ripete che la nostra inclinazione a cooperare è comunque spinta dalla prospettiva di un vantaggio individuale: l’uomo è un animale sociale perché è un individualista.
Per questo riconoscere e tributare onori alla generosità è essenziale. Sulla generosità anonima non si costruisce nulla ma su quella trasparente si puo’ costruire molto poiché compatibile con la nostra natura.

Tuttavia, proprio per quanto appena detto, senza necessità impellente non c’è generosità: una volta istituito l’obbligo la generosità si estingue.
Lo scettico è vissuto in un mondo fondato sulla coercizione reiterata, non deve quindi sorprendersi per l’assenza di generosità che nota intorno a sé.
Rimuovi il requisito della volontarietà, e ogni istinto a cooperare si spegne. Introduci la coercizione e tutto quel che resta è puro egoismo.
In Grecia i cittadini più facoltosi di ogni città venivano chiamati a pagare i beni pubblici come l’equipaggiamento militare, le navi da guerra, i giochi atletici, i divertimenti pubblici, e raramente qualcuno si sottraeva a questo dovere, chiamato “liturgia”. Da ogni cittadino ci si aspettava una certa cifra, ma il più delle volte essi davano molto di più, anche il doppio o il triplo, per dimostrare l’attaccamento alla propria comunità (un fatto oggi impensabile!). È probabile, che in questo modo la comunità abbia ricevuto più averi dai ricchi nell’antica Grecia che nelle nostre democrazie a tendenza socialista.
Gran Bretagna e Australia hanno conosciuto le “Friendly society”, in America erano diffuse le Logge, noi ci ricordiamo ancora le “Società di Mutuo Soccorso” e le “Società operaie”. Tutte forme di autentica solidarietà sociale volontaria spazzate via da un anonimo welfare state.
Grazie a queste associazioni, vedove e orfani avevano un sostegno garantito. Le “FS” provvedevano poi anche alle cure mediche (nel 1911 in GB coprivano 9 milioni di persone). Si forniva anche uno stipendio ai malati, un’assicurazione sulla vita e un pronto ricollocamento per i disoccupati.
La loro gestione era improntata a principi democratici e il loro punto di forza erano le “scuole” e i “rituali”. Nelle prime si inculcavano valori quali il lavoro duro, la libertà, la tolleranza verso gli altri e la fraternità verso i compagni. I secondi erano realmente sentiti.
Tutta roba che si puo’ fare solo se non è imposta. Paragonate quelle scuole alla ridicola ora di educazione civica tenuta controvoglia da un professorino malpagato che pensa solo al trasferimento e ascoltata da una classe col pensiero fisso sul pezzo di carta!
Il moralismo diventa insopportabile se inflitto, ma è spesso necessario e benefico se adottato volontariamente. Nel solidarismo spontaneo gli anziani introducevano i novizi, si elevavano multe agli ubriachi e ai giocatori. Ma tutto faceva parte di quel gioco accettato all’atto di adesione.
L’aiuto, fondamentale, non era garantito a priori, solo gli sfortunati meritevoli” potevano accedervi, ma questo era possibile proprio per il carattere volontario della comunità. Queste associazioni sapevano benissimo che l’aiuto crea dipendenza, e possedevano l’antidoto.
L’aiuto elargito non umiliava poiché era visto come un “mutuo soccorso”: “oggi a te domani a me”. In questo senso creava anche un impegno in chi lo riceveva. La “fraternità” predicata rinforzava l’affidabilità e da questo legame nasceva l’autentica comunità.
Il solidarismo spontaneo era anche il veicolo primo utilizzato da chi puntava a ruoli di leadership sociale.
La volontarietà di queste associazioni è il punto cruciale: i soci supportavano la causa realmente motivati, e i leader eletti da “uomini realmente liberi” si sentivano veramente consacrati.
Si tratta di un mondo completamente spazzato via dall’anonimo e sprecone welfare state moderno che, per quanto appena detto, puo’ fornire risorse ma non certo una formazione morale, considerato anche come quelle risorse se le procura.
In America e in GB il passaggio ha fatto impennare crimine, disgregazione familiare e disoccupazione. Un caso?
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