giovedì 26 agosto 2010

Novello stregone

Come riconoscerlo?

Non è così difficile, lo riconosci subito: è quello spirito che pur di liberare le sue pulsioni antiscientifiche arriva ad ignorare quasi per intero il pensiero epistemologico novecentesco.

Definire la scienza è impresa disperata, eppure qualche paletto l' epistemologia novecentesca l' ha pur messo.

Ci ha insegnato che la scienza include, non esclude; che la scienza dà la parola, non silenzia.

Ci ha insegnato che la scienza vive di concorrenza tra le idee, che tutti hanno diritto di sperimentare, che nessuno puo' essere espulso dalla competizione con provvedimento autoritario.

Ci ha insegnato insomma che una teoria puo' essere al limite sospesa ma mai scartata.

Come riassumerlo in due righe?

All'inizio del secolo Carnap credeva che il metodo scientifico potesse verificare la teoria "una volta per tutte".

Popper, avvalendosi di strumenti logici, dimostrò che questa credenza era a dir poco ingenua.

Negli anni cinquanta Popper credette di poter dire che il metodo scientifico potesse confutare la teoria "una volta per tutte". Secondo lui esistevano esperimenti cruciali.

Questa credenza si rivelò, se possibile, ancora più ingenua.

Dal punto di vista logico questa ingenuità fu dimostrata dalla tesi Duhem-Quine.

Dal punto di vista fattuale l' ingenuità fu smascherata presto dalle ricognizioni storiche dei popperiani stessi: Feyarebend, Lakatos, Laudan, Kuhn...

Il novello stregone ama burocratizzare la scienza, l' espressione "una volta per tutte" lo manda in visibilio, il novello stregone desidera ardentemente che la scienza vesta i panni dell' Ufficiale Giudiziario, vorrebbe una scienza armata del timbro dell' ufficialità, una scienza che escluda, che silenzi al più presto le voci discordanti in modo che non si possano sentire mai più.

Il novello stregone, per pacificare i suoi desideri, deve per forza di cose resuscitare vecchie ingenuità, far finta che il pensiero epistemologico novecentesco non sia mai stato pensato, deve poter pensare che il pensiero critico, minoritario, già confutato possa essere bruciato "una volta per tutte" sui roghi ai quali ama scaldarsi digrignando i denti.

martedì 24 agosto 2010

Miseria del proceduralismo

Interessante discussione sul confronto tra proceduralismo e sostanzialismo.

Il proceduralista è vittima dell' impellente necessità di distinguere tra "legittimità" e "giustificazione": la prima riguarda i diritti, la seconda i precetti etici.

Ma perchè?

Per il giusnaturalista in fondo questa distinzione è pedante visto che per lui ciò che è giustificato è anche legittimo, per quanto a volte illegale.

[Attenzione: cio' non significa che tutto cio' che è legittimo sia giustificabile].

Il proceduralista è afflitto da una visione dei diritti particolare, è questa visione che rende necessaria l' apparente pedanteria che sfoggia.

Immaginatevi di dover inventare un diritto al giorno!

[per molti non sembra essere un problema, recentemente qualcuno si è perfino inventato il diritto alle vacanze!]

Ebbene, il "proceduralista" in genere ha proprio questo vizietto: la sua testa è sempre in ebollizione nel tentativo di isolare un nuovo diritto e presentarlo tra squilli di tromba all' Assemblea dell' ONU (diritto ai pasticcini, diritto al lavoro, diritto all' acqua, diritto al massaggio thailandese, diritto ad avere la mamma giovane, diritto alle vacanze, diritto all' esproprio proletario, diritto di occupare le scuole, diritto di abortire...).

Tenuta insieme con lo sputo, questa congerie di "diritti" improvvisati non puo' che produrre un sistema incoerente: tutto è in conflitto con tutto, il diritto alle vacanze non si concilia certo con quello contrattuale, il diritto al salario minimo non si concilia con il diritto al lavoro, il diritto alla mamma giovane fa a pugni con il diritto alla fecondazione assistita... niente si concilia con niente... che fare?

Il liberale è un tipo fortunato, lui vive in un altro mondo, un mondo in cui esiste un unico diritto: fare quello che si vuole nel rispetto dell' altrui libertà. Fine.

Una volta fissati i confini, alè, il gioco puo' iniziare.

Una simile visione è coerente, non produce alcun conflitto tra i diritti. Si tratta di una visione "armonica", una visione in cui manca del tutto l' "elemento tragico", quello in cui affoga il "proceduralista spinto".

Per "elemento tragico" intendo il caso in cui l'esercizio contemporaneo di due diritti sia inconciliabile.

Un caso di scuola tanto per capirsi: la libertà negativa è per esempio inconciliabile con le forme più diffuse di giustizia sociale, ma questo conflitto non tange il liberale poichè ritiene truffaldino il concetto stesso di "giustizia sociale" e puo' dunque ignorarlo.

Non devo aggiungere altro per chiarire il probabile profilo ideologico del "proceduralista" puro: un sincero anti-liberale o, nel migliore dei casi, un liberale "alle vongole", un liberalismostraziato dai "se" e dai "ma".

La sua visione è ricca di "tragedie" imbarazzanti; indulge in forme di giustizia sociale (welfare) che sospendono in continuazione i diritti liberali fino a farne una caricatura.

Ma come si salva dal coacervo di incoerenze che mina la sua visione?

Semplice, è costretto ad introdurre "procedure" in grado di conciliare in qualche modo tutte le storture prodotte dallasua fervida fantasia.

Per esempio, esiste un diritto alla vita e un diritto ad abortire che entrano in conflitto. Che si fa? Si vota adottando la "procedura" democratica (l' embrione non vota, ma pazienza, qualcuno voterà per lui).

Tali procedure sono mere convenzioni e non rivestono alcun contenuto etico. Seguendo la pedanteria "proceduralista" diremo che servono a legittimare, non a giustificare!

Dietro il "proceduralismo" sta dunque il preoccupante fenomeno della "proliferazione dei diritti" - che poi coincide con la compressione dei diritti fondamentali - e l' incoerenza che porta con sè.

Qualcuno potrebbe pensare al "proceduralista" come ad un freddo formalista. Errore! Ironia della sorte il "proceduralista" è spesso un moralista compulsivo: senza la vocazione al moralismo è difficile riuscire nell' impresa di inventare un diritto al giorno.

Il "proceduralismo" ha giocato un ruolo non secondario nel fare dell' Italia un paese carente di cultura liberale. Quando Bobbio oscura Leoni il liberalismo è compromesso, vengono inevitabilmente sdoganate ideologie che sono degli ossimeri già solo nel nome, pensate ai "liberal socialisti" del partito d' azione! Brrrr. Ecco, ircocervi di tal fatta ebbero inevitabilmente vita breve, cio' non toglie che l' equivoco di fondo si sia perpetuato giungendo fino a noi inquinando le acque.

lunedì 23 agosto 2010

Chiuso!

Sono con il naso tra le sbarre del cancello chiuso di Villa Banfi, il parco, bello ma cadente, è chiuso, non si puo' entrare, niente passeggiata cara Marghe!

Non mi meraviglio, il vezzo di consentire l' accesso gratuito nei parchi pubblici fa sì che molti spazi verdi non vengano mai riattati e i pochi rimasti versino in cattive condizioni.

Maledetta mania del gratuito! Le risorse bruciate da questo cattivo costume sono immense in tutti i campi. Viene quasi da chiedersi dove lo spreco sia massimo per indicarlo al pubblico ludibrio.

Si tratta comunque di sprechi invisibili, meglio non contare molto sulla loro denuncia.

In cima alla lista sta comunque il free parking. Eh sì, sembra impossibile ma girando per le città esistono ancora dei parcheggi gratuiti!

Fanno un gran baccano con il riscaldamento globale, la congestione viaria, e poi...

Ancora qualche fonte (link - link).

Ma non spero molto nella resipiscenza dei governanti, come novelli Caligola amano far cadere i fregugli dalla loro tavola e godono al vedere la ridda dei cani baneficiati che accorrono per contendersi e spolpare il maledetto "gratuito".

PAY & SIT: the private bench (HD) from Fabian Brunsing on Vimeo.

Caplan vs. Diana

Reduce dall' ultimo combattimento...

... Caplan si trova ora di fronte un avversario ben più temibile che lo fronteggia portandolo fuori dal suo terreno...

I fatti.

Il giovane professore ha recentemente anticipato uno stralcio del libro in uscita che riguarda il trattamento della disciplina nei ragazzini.

La sua impostazione sembra quella tipica dell' economista: regole, bastone e carota.

In altri termini: gli incentivi contano, sfruttiamoli.

E' il metodo delle tre "C": chiarezza, coerenza, conseguenzialità.

Diana avversa questo metodo e dice che di fronte ad una violazione delle regole da parte del ragazzino:

devi chiederti perché lo fa... e a quale gioco linguistico sta giocando, magari gliel'hai insegnato tu

Mi sembra quindi che Diana punti maggiormente sulla "ricerca delle cause": intervenendo sulla fonte di certi comportamenti spiacevoli potremo sradicarli.

Entrambe le strategie sono lecite, a questo punto andrebbero valutate in termini di efficienza, ma non è questa la sede.

Il punto è che Diana in passato, a più riprese, ha sottolineato l' esigenza di trattare i minori come dei "piccoli adulti" competenti. Il liberale dovrebbe cioè applicare la visione che ha del "mondo adulto" al "mondo dei bambini". Questo per la buona ragione per cui tra i due mondi non c' è affatto l' abisso che molti vogliono metterci.

Io personalmente non so fino a che punto i piccoli debbano essere trattati come dei veri e propri "soggetti", in fondo se fossero davvero tali non avrebbero bisogno di un tutore.

Ma lasciamo perdere questa questione, l' aspetto che desidero ora sottolineare è che gli auspici di Diana vengono paradossalmente realizzati dal metodo delle tre "C"... molto più che dal metodo proposto da lei stessa.

Solo il metodo delle tre "C" considera il ragazzino come RESPONSABILE delle sue azioni.

Detto in altri termini, solo Caplan assume che la motivazione decisiva per un certo comportamento sia interiore. E sull' interiorità di una persona non si puo' intervenire per plasmarla a nostro piacimento, altrimenti non sarebbe tale.

Sono proprio le lenti con cui il liberale guarda al "mondo adulto"!: un mondo popolato da soggetti responsabili che agiscono in forza di una motivazione interiore.

Il metodo proposto da Diana presuppone che i comportamenti siano determinati alla fonte da cause esterne. Sono queste a pesare molto più delle motivazioni interiori.

Presuppone insomma una psicologia causalista: interveniamo sulle cause e plasmeremo i comportamenti.

Ma l' assenza o la drastica riduzione di responsabilità del soggetto che porta con sè la psicologia causalista, è incompatibile con una visione liberale.

***

Forse ho esacerbato le posizione per rendere più chiaro il disaccordo, perchè a me, leggendo i commenti, sembrava che un disaccordo ci fosse. Attendo comunque fiducioso rettifiche e suggerimenti a questa mia prima impostazione dell' interessante match in corso tra due pesi massimi.

domenica 22 agosto 2010

Libertarianism A-Z: previdenza sociale

Poiché si ritiene che gli uomini non risparmino a sufficienza per la vecchiaia si è pensato di istituire la Previdenza Sociale.

Il fatto che lo schema di fondo sia organizzato in guisa di Catena di Sant’ Antonio (Ponzi scheme) - come nella migliore tradizione delle truffe finanziarie - rende l’ istituto piuttosto instabile oltre che iniquo.

Anche istituzionalizzare la figura del “cittadino imprevidente” logora il cruciale rapporto governati-governanti.

La povertà dei vecchi è un problema. Ma è un altro problema! Ad esso hanno sempre adempiuto la famiglia e la carità privata. In era di Previdenza Sociale questi due nobili istituzioni si sono definitivamente atrofizzate, brutta perdita.

A fianco di “famiglia” e “generosità” potremmo metterci anche un reddito minimo. Tutto, ma non la Catena di Sant’ Antonio!

Le pensioni tradiscono spesso la loro stessa missione diventando fonte di distorsioni imbarazzanti: ci si ritira dal lavoro anche in età in cui si potrebbe continuare a lavorare. Motivo? La pensione è maturata e giunta a scadenza, si passa all’ incasso indipendentemente da tutto.

Le pensioni coercitive diminuiscono anche il risparmio volontario di un Paese. Un bel guaio, sia morale che economico.

Riabilitazione

Sfruttando la teoria delle aspettative razionali donald Wittman tenta di riabilitare la democrazia.

Io, elettore, so bene che il controllo democratico che potrò esercitare sarà scarso e tengo conto razionalmente di questo sapere quando voto.

Ottima difesa, Democrazia e Mercato 1 a 1.

Eppure qualcosa - il concetto di irrazionalità razionale - potrebbe ancora far pendere il bilancino in favore del mercato.

Chiedo asilo

Esportare la democrazia è un piano che non mi ha mai convinto.

Il motivo?

Lo stesso per cui non mi convince il diritto di asilo.

Quando una democrazia puo' dirsi autentica?

A volte viene da chiedere agli USA di invadere la Francia o la Germania o qualche altro paese della vecchia europa per ripristinare la democrazia.

Non mi sorprenderei se un francese o un tedesco chiedesse asilo negli USA.

Non mi sorprende che Uwe Romeike abbia recentemente chiesto e ottenuto asilo politico negli USA.

Non scappava dal Sudan, bensì dal Baden Wurtttemberg.

Un triste paese dove si voleva imporre ai figli di Uwe di andare in una certa scuola anzichè in un' altra.

Per il giudice di Memphis che ha concesso l' asilo politico, i coniugi Romeike si sono battuti per il bene dei figli, rifiutando i programmi scolastici ministeriali e l’idea stessa che lo Stato decida in merito ai valori che i giovani devono condividere.

La storia suona al tempo stesso assurda (Germania e USA non sono separati da un abisso) e sensatissima (non esistono motivazioni migliori per chiedere asilo).

Per ripristinare il buon senso forse è meglio levare di mezzo il diritto d'asilo, e con essi dimenticare i progetti per esportare le democrazia. Cho lo Stato si limiti a fare quel che è chiamato a fare.

Segreto scolastico

Ssssst.

Non si puo' dire, eppure la Sudbury School esiste.

The Sudbury Valley model of education is not a variation of standard education. It is not a progressive version of traditional schooling. It is not a Montessori school or a Dewey school or a Piagetian constructivist school. It is something entirely different. To understand the school one has to begin with a completely different mindset from that which dominates current educational thinking. One has to begin with the thought: Adults do not control children's education; children educate themselves.

Forse esiste per la felicità di Diana. Di sicuro conferma la visione di Hanson: School isn't about learning!

sabato 21 agosto 2010

Health Status Insurer

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Metti il casco, si parte!







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Illusionisti per dispetto

L' empirismo è quella teoria per cui tutto cio' che conosciamo lo consciamo attraverso i sensi.

Nel XX secolo l' empirismo ha goduto di buona fama e ancora oggi possiamo dire che è in salute.

Strano perchè forse non esiste nulla di più facile da confutare. Bastano pochi controesempi e il gioco è fatto.

Prendiamo l' affermazione "A":

"A": Non esiste nulla che sia interamente rosso e, allo steso tempo, interamente grigio.

"A" è vera, e ciascuno constata che non sono i "sensi" a renderci edotti di questo fatto.

L' empirismo collassa.

Non serve a molto dire che "A" è vera per la definizione che diamo di "rosso" e per la definizione che diamo di "grigio": un' inferenza per derivare "A" è sempre necessaria, non si scappa.

Le regole dell' inferenza sono dunque vere e non vengono apprese tramite i sensi.

Per l' empirismo è uno scacco.

Le regole dell' inferenza non possono poi nemmeno essere definite come "convenzioni".

Se fossero convenzioni allora potremmo definire per convenzione la falsità di "A". Il che è piuttosto assurdo.

Prendiamo una vera convenzione e chiamiamola "B".

"B": in italia si deve guidare a destra.

Anche "B" è vera. Questa verità sì però chè dipende da convenzioni, infatti basta mutare certe convenzioni per falsificare "B" agli occhi di tutti.

Ciascuno vede la differenze tra "A" (vera nella realtà) e "B" (vera per convenzione). Fine dell' empirismo.

Ma allora perchè l' empirismo è ancora tra noi?

Non so, forse per motivi estetici.

Non c' è dubbio che noi conosciamo moltissime cose attraverso i sensi. Sarebbe bello e semplice poter dire che noi conosciamo TUTTO attraverso i sensi, le altre conoscenze, un po' per dispetto, le dichiaro "illusorie".

A chi non viene in mente un' analoga dispettosa fuga nell' illusionismo?

Chi non ricorda una certa estetica materialista?: poichè la mente non è un' entità materiale, allora dichiaro che l' evidenza della sua esistenza è illusoria.

Un albero flessuoso ed elegante, ma sotto un intrico contorto di radici.

venerdì 20 agosto 2010

Ninna nanne da tutto il mondo



Animate!

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Berlusconi al CEPU

Berlusconi in visita ieri al CEPU:

"... non preoccupatevi il valore legale del titolo di studio non si tocca..."

Riferito da Franco Debenedetti su Radio Radicale.

Gates andrà in paradiso?

Forse.

La sua attività filantropica è massiccia.

Ma i suoi veri meriti riguardano le attività lucrative:

Even if Mr. Gates makes progress in achieving his ambitious philanthropic objectives—eradicating disease, reducing global poverty, and improving educational quality—these accomplishments are unlikely to match what he achieved by giving us the amazing capability we literally have at our fingertips to access and spread information. The very doctors and scientists who may develop cures for diseases like malaria will rely on the tools Microsoft supplies to conduct their research. Had Mr. Gates decided to step down from his company and turn to philanthropy sooner than he did, they might have fewer such tools

Comprare vicino? Ma quando mai!

Una lezione di economia per gli amanti della spesa localistica. Serve eccome.

... e se non bastasse...link

Act Irrationally: Recycling

A parable of the costs of ignoring costs.

Marx Brothers in Africa

JUBA, Sudan – A city shaped like a giraffe? A rhino-shaped town? Even one that looks from above like a pineapple? Southern Sudan has unveiled ambitious plans...

I nuovi ingegneri sociali ci danno dentro...

Tre moltitudini

Molti affermano che "il mercato ha bisogno di regole".

Molti non sanno dissimulare la loro diffidenza verso il mercato.

Molti non capiscono nemmeno cosa sia il mercato.

Ecco, queste tre moltitudini tendono a coincidere.

Vernon Smith è forse la persona più idonea per illustrare questa coincidenza, è forse la persona più idonea ad illustrare la razionalità intrinseca dell' economia.

***

A volte ci si scorda che le "regole" tanto invocate dovrebbero giungere dalla politica.

Ma tutti noi ammettiamo che l' unica "politica" sana sia quella di matrice democratica.

Spingendo oltre la riflessione si deve ammettere che questa preferenza deriva dal fatto che i regimi democratici prevedono una competizione.

Solo la presenza di un elemento competitivo "salva" la Politica.

Ecco, ma se le cose stanno così, è proprio accentuando questo elemento che la politica migliora.

Ma accentuare questo elemento trasforma lentamente la Politica in Economia. Il mercato è infatti il luogo deputato per la competizione.

In ultima analisi è dunque il "mercato" che deve dare regole al mercato.

Un esempio tanto per capirci: il mercato necessita di regole, la politica le fornisce, la globalizzazione spinge la politica verso alcune regole piuttosto che altre.

Ma cio' che chiamiamo "globalizzazione" non è altro che il mercato internazionale.

Cosa è successo? E' successo che il mercato ha regolato il mercato.

Adesso intravvediamo meglio cosa intende vernon Smith quando dice che "l' economia ha una sua razionalità interna".

E magari capiamo anche meglio la coincidenza delle tre moltitudini.

giovedì 19 agosto 2010

Uè uè

Il mondo culturale contemporaneo è ipertrofico ma dispersivo.

C' è molto di tutto: molta cultura, molti libri, molta spazzatura, molta qualità, molto pop e molto elitarismo con la puzza sotto il naso.

Il mondo letterario non fa eccezione.

Da un lato il regno dell' abbondanza ci rassicura e ci esalta, dall' altro ci angoscia facendo uscire il nostro lato reazionario.

E' diventata centrale la capacità di scegliere: passiamo più tempo a scegliere che a consumare.

Fortunatamente il teorema Alchian/Allen ci rassicura: la qualità oggi conviene pù che in passato. Il motivo? lo stesso per cui il vino italiano consumato dagli australiani è di qualità migliore rispetto al vino italiano consumato dagli italiani.

Ma intanto l' ansia di dover scegliere resta.

E' un po' come per il telefono: dopo la privatizzazione una ridda crescente di offerte e di alternative hanno offuscato il nostro orizzonte una volta felicemente sgomberato dalla penuria.

C' è perfino chi ha rimpianto il monopolio con recondite motivazioni molto simili a chi rimpiange l' infanzia: che bello quando altri sceglievano per noi!

La libertà porta con sè la responsabilità e per questo molti la odiano senza poterla odiare direttamente per via della buona stampa di cui gode.

Non è solo il tiranno a limitare le nostre libertà positive, anche la penuria puo' fare la sua parte: niente da mangiare, nessun menù da cui scegliere.

Alzare un peana al dittatore non è elegante, per contro un inno alla carestia è ancora concesso. E' così che l' angosciato dall' abbondanza puo' ancora trovare un idolo a cui rivolgersi.

L' "angosciato" che fa più chiasso in questo periodo è il critico letterario Giulio Ferroni, anche oggi scrive l' elzeviro del Corriere.

Ha le carte in regola per trattare il tema visto che l' ha già fatto oggetto di un famoso libro: "Dopo la fine" (Donzelli).

Ferroni non arriva a dire "che bello quando altri sceglievano per noi", si limita ad un più modesto "che bello quando non c' era granchè da scegliere".

Ferroni si occupa di narrativa, lamenta la "costipazione dei numeri", la "plateale impossibilità di fare il punto della situazione".

Le colpe vengono fatte ricadere sulla prepotente abbondanza, sull' elefantiasi della produzione.

Non ha mica tempo di leggere tutto, Ferroni.

Le rassegne critiche che cercano di isolare il meglio della nostra produzione letteraria, come quella recente curata sul supplemento del 24 ore, appaiono a Ferroni come altamente inaffidabili. Il motivo è esmpre lo stesso e potete leggerlo retrocedendo di qualche capoverso.

A Ferroni viene il capogiro se pensa a tutto quanto viene scritto e detto ogni giorno.

Il titolo dell' articolo suona così: "Critica e qualità uccise dal mercato".

Ma il contenuto dell' articolo non accenna alla qualità, è solo una testimonianza del disorientamento che subisce l' angosciato in preda ai suoi impulsi reazionari.

La gente ha voglia di leggere. E tutto cio' sembra di essere di grave nocumento alla letteratura e alla critica letteraria.

Che bello se uscisse un libro all'anno!

Ferroni potrebbe ritirarsi in campagna, fumare i suoi sigari e nelle volute distillare una pagina al giorno del capolavoro. Lasciarla decantare per un anno, dopodichè far cadere dall' alto la sua ingegnosa chiosa.

Leggere Ferroni non mi fa tanto pensare al panorama letterario italiano, in fondo tutti siamo al corrente della frenetica produzione libraria, mi fa piuttosto pensare a Ferroni. E non sono bei pensieri.

A me Ferroni sembra un po' spudorato.

Senza soffrire di un certo delirio di onniscienza, mi dico, non si puo' soffrire l' abbondanza come la soffre Ferroni.

Ferroni mi appare come quei matti che hanno la mania di avere tutto sotto controllo. Io li rispetto, la sofferenza è sofferenza. Ma anche la pazzia è pazzia.

Non si puo' avere tutto sotto controllo, se oggi lo si puo' ancor meno di ieri la sostanza non cambia.

Ma Ferroni non è matto, cos' è allora?

Forse è un bambino capriccioso. In più spudorato perchè incapace di non esibire il suo capriccio.

Ferroni in fondo rimpiange di non essere onnisciente, di non avere tutto in testa.

Rimpiange che tutti i libri del mondo non riescano a stare sulla sua scrivania. Rimpiange che si scrive troppo e lui non riesce più ad imparare tutto a memoria, si è rotto l' incantesimo.

E' un po' come se mio figlio rimpiangesse di essere nato nel 2010: "se fossi nato nel medioevo a scuola dovrei studiare molta meno Storia!".

Chiunque reagirebbe dicendo: "bambinate!".

E infatti al lamento di Ferroni cade presto il travestimento per assumere alle mie orecchie il tono lamentoso di un puerile uè uè.

Ma caro Ferroni, cosa vuoi che ti dica, in questa abbondanza usa le tue antenne (i tuoi filtri, direbbero Alchian/Allen) per isolare gli autori che ritieni degni e presentaceli.

Abbandona le tue ammorbanti volute di fumo campagnole e datti da fare per costruire dei buoni filtri.

Se qualcun altro ci presenterà autori alternativi che tu non conosci nemmeno, mordi il manicotto e soffri in silenzio.

Devi sapere che non si tratta di una nobile sofferenza, molto più probabilmente è solo invidia cagionata da metodi di cernita che non sono all' altezza.

E' un genere di sofferenza che la gente dotata di un minimo di senso del pudore cerca di nascondere in quanto disonorevole, un segnale della grettezza d' animo.

Inutile esibirla limitandosi ad un camuffamento raffazzonato che vorrebbe vendercela come "critica all' abbondanza" del moderno.

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mercoledì 18 agosto 2010

Relevant techniques for figuring out my ideology--if I'm dead

E' abbastanza noto che un po' in tutto il mondo i giornali presentino una "distorsione a sinistra", è il cosiddetto "liberal bias", difficile da misurare ma facile da constatare.

Recentemente David Henderson ha toccato con mano ancora una volta questa caratteristica dei media americani.

La verità del reale

Se volete capire come passa la giornata in un Gulag per indignarvi con più veemenza, allora non vi aiuterà molto leggere i "Racconti della Kolyma", uno dei migliori libri scritti sui Gulag siberiani.

Qui troverete solo un vero scrittore che narra veri racconti. Qui troverete alta letteratura.

Il gulag è lontano, almeno quanto lo è la Rivoluzione industriale in Dickens.

In un certo senso l' arte sopraffina di Varlam Salamov penalizza il suo ruolo di testimone. La scrittura fabulistica ci avvince alle storie facendoci dimenticare il posto terribile dove siamo capitati.

Quando accenno alla "fabula" non penso tanto all' incanto di un sogno ad occhi aperti, quanto all' esilio claustrofobico in un' altra dimensione.

Il "reale" sembra essere l' unica via per cogliere il "terribile", ma Salamov sceglie una via alternativa.

I prigionieri, dimentichi e quindi esiliati dal loro passato e dal loro triste destino, sono assorbiti unicamente dalla loro irrilevante lotta quotidiana per giungere a fine giornata, domani si vedrà.

Quando non ha senso formulare un progetto che vada al di là di due giorni, come puo' avere senso... la "dimensione storica" della vicenda?

Il gulag, Stalin, la Siberia, l' Unione Sovietica sono concetti che fuggono per svanire nel nulla, dapprima fuggono dalla testa dei prigionieri, subito dopo dalla pagina dell' autore, e presto anche dalla testa del lettore.

Eccoci in esilio da ogni dimensione storica, eccoci in grado di cogliere la minuscola prigione in cui lo spirito umano viene rinchiuso quando il corpo è rinchiuso nell' enorme carcere siberiano.

In un luogo tanto mostruoso la cosa facile sarebbe quella di indugiare su sentimenti mostruosi, ma i sentimenti descritti da Salamov li abbiamo su per giù provati anche noi sui banchi di scuola o nei luoghi di lavoro.

Perchè l' uomo dia il peggio di sè non sembra necessario che pesi 35 kg e attenda alle sue 20 ore di lavoro giornaliere a meno 50 gradi.

Pesare un terzo del proprio peso forma quando fuori ci sono 50 gradi sotto zero significa stare all' inferno. Cos' ha allora di caratteristico l' Inferno?

Una cosa negativa: predomina il sentimento dell' odio. Ma per fortuna l' odio è solo un sentimento, e allora soccorre la seconda caratteristica, forse positiva: il sentimento non puo' essere coltivato, nemmeno provato a lungo, emerge brevemente per poi scomparire. La vendetta è intorpidita fino ad essere abortita. I pallidi colori pastello dell' invidia ne fanno un fantasma incosistente.

Ciascun racconto occupa poche pagine, è un piccolo ed effimero francobollo.

Si conclude sempre in modo compassato consegnando al silenzio l' essenziale.

Il "terribile" è scontato e mai menzionato, solo l' epifenomeno desta interesse, solo la nota a margine ci parla con tono di verità.

Levi e Trouffaut l' hanno insegnato: svelare un trucco è oggi cento volte più appassionante che narreare le gesta eroiche del santo o quelle blasfeme del diavolo.

Salamov esegue e supera i maestri.

Forse ora anche noi suoi fedeli lettori sedotti per sempre saremmo capaci di sbarcare il lunario in un Lager.

Chissà se Salamov voleva essere cio' che è stato per me. In fondo lui andava predicando che la verità del reale è di un genere tutto particolare.

Secondo lui, fino al secolo scorso, lo scrittore non doveva conoscere troppo bene il suo soggetto: in quel caso avrebbe tradito il lettore in favore di quest' ultimo.

Ma i tempi andavano cambiando, diceva, e lo scrittore doveva divenire uno "specialista", doveva conoscere da dentro cio' di cui parlava. E lui, non per niente, aveva una conoscenza di prima mano del gulag.

Tuttavia, nonostante queste intenzioni, la verità di Salamov anzichè avere l' odore della realtà conserva l' odore della letteratura. Dell' alta letteratura.

Zanna rossa

Jack London è conosciuto da tutti come uno scrittore di libri d' avventura per ragazzi. Chi non ha noleggiato i suoi classici alla bibliotechina scolastica alzi la mano.

La moda di portare in serie A chi milita onestamente in serie B, fa parlare molti di lui come di un "grande scrittore".

Cio' mi ha spinto a rileggerlo, il volume dato via con il giornale conteneva una prefazione commossa dell' Oriana Fallaci, una specie di "posto delle fragole".

Veniva ricordato con la lacrimuccia il posto fisico (in alto a destra) dove erano allocati sullo scaffale fiorentino di papa' i volumi di Zanna Bianca.

In lui però ho rinvenuto quel che mi aspettavo: un' onesta militanza in serie B.

Per carità, non è poco, la compagnia è ottima, al suo fianco c' è Andrea Pazienza, le sorelle Bronte, Liala e anche Umberto Eco, tanto per dire. Mica paglia.

Cio' che non tutti sanno però è che London fu un fervente socialista, si schierò in modo inequivoco in favore della rivoluzione e dell' assassinio della classe dirigente del suo paese.

Ancora più nascosto è il fatto che London fu un razzista tutto di un pezzo: "Prima di tutto sono un uomo bianco, solo dopo sono un socialista".

Questo strano coacervo di ideali potrebbe sembrare il frutto confuso della tipica mente confusa che portano a spasso molti artisti, così incapaci di vedere il mondo com'è, forse per l' eccesso di sensibilità.

Ma London non è uno scrittore di serie A e la sua mente non puo' essere tanto confusa.

E infatti...

Il socialismo è un ideale utopico e chi non difetta del tutto di realismo sa bene che deve procurarsi una vittima sacrificale per far girare quell' innaturale macchina.

Il socialismo è una leva potente ma richiede un solido punto di leva per essere azionata.

Gli esempi si sprecano. Il socialismo di Marx richiedeva in modo petulante l' annientamento della classe borghese, il socialismo di Hitler proclamava a gran voce gli ebrei come suo punto di leva, il socialismo scandinavo puntava tutto sull' eugenetica...

Le magnifiche sorti progressive di London, chiedevano solo di sacrificare "negri" ed altra umanità di scarto. La vogliamo far funzionare o no la nostra amata macchina? E allora, non facciamo tanto gli schifiltosi.

Tutto il resto è chiacchiera da artisti, e chi è abituato alla dura vita sotto zero, delle chiacchere non sa che farsene.

**********

Il London impresentabile è ritratto qui.

Ma la tradizione del razzismo progressista è lunga (anche per i motivi spiegati). Qualche link puo' essere utile.

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Cosa si puo' concludere? Mah, forse che solo l' ideologia liberale mette al riparo da ogni razzismo, destra e sinistra possono sempre finire in quella malsana palude immersi fino al collo.

Dopo il divorzio

Dopo la rottura tra Fini e Berlusconi è necessario tornare alle urne o è preferibile ricercare una maggioranza alternativa?

Formalmente s' impone la seconda soluzione, la Carta costituzionale parla chiaro.

Sostanzialmente le cose stanno in modo diverso: ormai, da quando è iniziata la cosiddetta seconda Repubblica, c' è accordo diffuso che la maggioranza destinata a governare sia scelta direttamente dagli italiani il giorno delle votazioni.

Almeno fin qui siamo d' accordo?

Chi si dissocia da questa premessa è autorizzato a non considerare stringente quanto segue. Ma non penso siano in molti a farlo, almeno stando alle opinioni espresse finchè nessun interesse di bottega era comparso all' orizzonte.

Allora proseguiamo.

Quando Forma e Sostanza giuridica collidono, cosa privilegiare?

Dipende, e qui entrano in campo le ideologie.

La prima ideologia la chiamerò AUTORITARIA.

Per gli autoritari prevale sempre la forma. La forma è la lettera della legge e la Legge è la volontà dell' Autorità (inchino, please).

Come si cambia la volontà dell' Autorità?

Semplice, un bel giorno l' Autorità stessa deve alzarsi dal letto con la voglia di cambiare, dopodichè delibera una nuova legislazione che rettifichi la precedente. Et voilà.

La forma mentis degli autoritari non è così complessa da spiegare. Per loro esiste una volontà indiscutibile con la quale l' autorità organizza il reale e lo plasma in conformità al suo progetto intelligente.

Finchè parliamo di società questa Volontà è il valore più alto, nonchè la fonte della Legge destinata a prevalere.

Chi aderisce all' ideologia autoritaria è necessariamente un "creazionista giuridico".

La seconda ideologia in gioco la chiamerò LIBERALE.

Il liberale ha un istinto ben preciso: al "creazionismo" giuridico antepone l' "evoluzionismo" giuridico.

Per il liberale l' Autorità è al servizio del Reale. La legislazione, cioè, "insegue" il reale e lo suggella con i suoi timbri burocratici.

Come si cambia la Legislazione, dunque?

Semplice, il Reale muta evolvendo ed instaurando nuove consuetudini e l' autorità si conforma a questo mutamento rettificando di conseguenza la legislazione di cui è responsabile.

Avete notato che nel descrivere l' ideologia liberale ho usato il termine "Legislazione" e non "Legge"?

L' ho fatto apposta: per il liberale solo il Reale produce Legge attraverso costumi e consuetudini spontaneamente emerse, l' Autorità puo' porre mano solo alla Legislazione, ovvero ai provvedimenti parlamentari.

Per il liberale una Legislazione è legittima solo nella misura in cui si appiattisce sulla Legge.

Bene, detto questo il più è fatto. Inquadrato il problema nella sua cornice teorica non vale neanche la pena di affaticarsi con le conclusioni, ciascuno ormai puo' vedere da sè cosa dovrebbe conseguire dal Divorzio estivo più famoso d' Italia.

domenica 15 agosto 2010

Indovina chi viene a pranzo



Buon ferragosto ai Broncobillis, con questo pranzo scaciato ma prelibato romano, che è un vero gioiello di umorismo e umanità.
(Il trailer americano è migliore - più chiaro e immediato, al solito.)

sabato 14 agosto 2010

La questione di Dio

Ho postato tanto in merito ma alla fine cosa abbiamo concluso? Vediamo di fare il punto.

Innanzitutto vorrei dire che sulla questione di Dio intendo giudicare come su ogni altra questione, impegnando le medesime facoltà mentali che metto in campo per scegliere le pere all' Esselunga.

In altre parole, anche qui possiamo ridurre tutto ad un affare di probabilità, esattamente come tutte le questioni, comprese quelle scientifiche.

E' il reverendo Bayes che ci insegna a maneggiare con rigore questo genere di faccende.

Diffidate degli altri, in particolare dei "frequentisti", è gente che propaganda metodiche semplificate partendo dall' assunto che la probabilità sia una misura oggettiva (casi vincenticasi possibili).

E' una via scorretta ma più semplice, utile ma falsa.

Il bayesiano doc sa bene invece che ogni calcolo probabilistico deve rifarsi ad una probabilità a priori, che nelle questioni complesse è sempre soggettiva. La scommessa è il paradigma di cui si serve per illustrare al meglio il concetto di probabilità.

Far cadere la maschera al "frequentista" non è poi così difficile, mi permetto di riproporre il solito caso, è troppo eloquente per rinunciarvi.

Se un test medico ha un falso positivo del 5% e voi risultate positivi, quale sarà la probabilità di essere malati?

Per un frequentista la risposta è semplice: 95%.

Ma è anche una risposta falsa proprio perchè non tiene conto della probabilità a priori, ovvero della percentuale di malati che conta la popolazione.

L' errore non è da poco: se ritengo che solo l' 1% della popolazione sia malato, il test mi dice in realtà che sono malato con una probabilità del 10%.

Frequentisti: 95% (sbagliato), bayesiani 10% (corretto). Capita la differenza?

Solo il bayesiano "spiega" la scienza, in particolare spiega la presenza di disaccordi, di posizioni alternative, di discussioni, di avvicinamenti. Un frequentista rischia di concepire una scienza robotizzata: si contano le frequenze e fine, nessun disaccordo, nessuna soggettività.

Nella scienza non esistono nè test infallibili, nè esperimenti criciali, ecco allora che diventa decisiva una probabilità soggettiva come quella a priori.

La questione di Dio è simile.

Persino se ammettessimo l' esistenza di test in grado di darci un qualche responso sull' esistenza di Dio, rimarrebbe cruciale l' aspetto soggettivo della faccenda, la probabilità a priori.

Il test potrebbe persino dirci con una probabilità del 95% che Dio non esiste, ma la probabilità su cui l' uomo razionale fa la sua scelta è un' altra e tiene conto della probabilità a priori, ovvero la probabilità soggettiva che il buon senso assegna all' esistenza di Dio.

Se i numeri fossero quelli dell' esempio precedente dovremmo concludere che Dio esiste con una probabilità del 90%!

Insomma, il buon senso ha un ruolo chiave sia nella scienze dove le occasioni di sperimentazioni sono rare e imprecise (le scienze umane, per esempio) sia nella questione di Dio, dove test attendibili probabilmente non esistono nemmeno e non esisteranno mai.

Dicevo per inciso che la probabilità soggettiva si forma con il buon senso, il che è vero. Faccio presente che il buon senso attinge pur sempre alla ragione.

Ora parlo per me.

Il mio buon senso mi dice che Dio esiste, potrei tentare di spiegarlo in modo semplice o in modo più sofisticato ma è proprio così che mi parla.

Forse Davide ha ragione quando contesta il termine "dimostrazione", si tratta comunque di qualcosa a cui la ragione non puo' che essere sensibile.

Pregare previene l' alcolismo

Quando parte il programma pubblico? Lo mettiamo nella prossima finanziaria? Fatemelo sapere.

Scherzo? Per legami molto meno evidenti si spendono miliardi.

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Marilynne Robinson

Una maestrina che scrive fiabe fa la lezione a Richard Dawkins, Daniel Dennett, Steven Pinker, E.O. Wilson.

Ascolteranno?

No, ma deporre l' astio ed affidarsi alla bellezza e alla semplicità puo' sempre aiutare.

Una maestrina che scrive fiabe fa la lezione a Richard Dawkins, Daniel Dennett, Steven Pinker, E.O. Wilson.

Ascolteranno?

No, ma deporre l' astio ed affidarsi alla bellezza e alla semplicità puo' sempre aiutare.

Il video di una sua conferenza a Yale.

i 10 nemici del liberalismo

Secondo Boudon.

1 - Chi crede che la vita sia un gioco a somma zero, si prende a chi ha: il liberalismo punta sulla creazione della ricchezza.

2 - I nostalgici che sognano il mondo della loro infanzia: il liberalismo è perenne trasformazione.

3 - Quelle Chiese sempre pronte ad enfatizzare gli effetti perversi delle società liberali.

4 - I Nazionalisti, che vedono il cittadino umile servitore della Patria: il liberalismo vede lo Stato al servizio dell' individuo.

5 - I romantici disperati dal fatto che la ricchezza attenua la dimensione drammatica della vita: il liberalismo pone l' accento sulla conciliazione.

6 - Gli spirituali che vedono l' uomo libero come un uomo gretto ed egoista: il liberalismo dice che l' uomo libero è semplicemente cio' che è nella realtà.

7 - I comunitaristi che antepongono la comunità all' individuo.

8 - Gli amanti dell' identità: secondo costoro un maghrabino nato in Francia con moglie svedese i cui figli studiano a Londra dovrebbe essere... un signor nessuno. Secondo i liberali invece è un signore punto e basta.

9 - Coloro che sono in cerca di soluzioni per ogni problema: il liberalismo quasi sempre ha solo una pseudo-soluzione: fate come credete.

10 - Gli amanti delle escatologie: il liberalismo prevede una ricerca infinita e senza approdi, mal si concilia con la "fine della storia".

La tesi "Duhem-Quine"

Ci dice che non esiste nulla di più facile che costruirsi una teoria vera.

Questo per un semplice motivo: nessuna ipotesi puo' essere verificata isolatamente.

Una teoria è considerata vera se confermata da alcuni fatti e non subisce confutazioni. Ma è sempre possibile trovare argomentazioni che permettono di opporsi ad una obiezione, è sempre possibile rendere la propria teoria impermeabile alle critiche. Cio' discende appunto dalla tesi Duhem-Quine.

Nessuna ipotesi è verificabile isolatamente, dicevamo, cio' significa che una teoria (T1) puo' essere vera anche se le ipotesi che ne stanno alla base (H1a;H1b) sono false: basta che gli errori indotti dalla falsità delle ipotesi si compensino.

Se una teoria (T2) viene falsificata, nulla di completo sappiamo ancora sulla verità delle sue ipotesi (H2a;H2b), solo che in esse c' è qualcosa che non va. Ma chi ama sia la verità che T2 non deve preoccuparsi, esiste sempre un' ipotesi ausiliaria (H2c) che rende vera T2.

Esiste sempre, anche se magari H2c si limita, grazie al nuovo "errore" che introduce, a compensare i vecchi errori. Ma che H2c sia sbagliata non puo' essere verificato proprio per la tesi Duhem-Quine: nessuna ipotesi è verificabile isolatamente.

Tolomeo fu confutato da Copernico, ma attraverso l' ipotesi degli epicicli la sua teoria continuia ad essere valida anche se s' incasina non poco.

la dottrina comunista sembrò confutata dai collassi di Ungheria e Cecoslovacchia. Bastò introdurre ipotesi ausiliarie per raddrizzare il castello. In quel caso H2c = agenti CIA s' infiltrano e sobillano la popolazione.

Non si puo' nemmeno dire, come fece Popper, che l' introduzione di ipotesi ausiliarie (nel nostro caso H2c) sia una pratica anti-scientifica.

Uno storico della scienza avrà buon gioco a dimostrare che molte teorie vincenti del passato furono difese, specie al loro insorgere, tramite l' introduzione di ipotesi ausiliarie talvolta smaccate.

Galileo è l' esempio preclaro: la testardaggine del Toscano nel difendere cio' che appariva ormai confutato fu provvidenziale.

L' antropologo Durkheim con sbalorditiva lucidità ha mostrato che le procedure cognitive del "pensiero magico" non sono di natura diversa da quelle del "pensiero scientifico".

La testa del Mago della Pioggia si comporta come la testa di Galileo, è solo "ancora più" testardo e agisce privo di una reale concorrenza.

Cosa sia scienza e cosa sia "pensiero magico" è qualcosa da affidare dunque al buon senso, non esiste una formuletta come crede l' ingenuo.

Non esistendo una formula per stabilire cosa sia scienza, capiamo anche perchè la scienza non sarà mai un' attività demandabile ai robot.

Se cio' che non ci mancherà mai sono le teorie vere, e questo sembra dimostrato, significa forse che la scienza non ha accresciuto in niente la nostra conoscenza? Significa che il nostro sapere non è cumulabile?

Questa ipotesi è piuttosto ingenua, almeno quanto quella della scienza "robotizzabile", direi che non supera il giggle test bayesiano.

La tesi "Duhem-Quine" puo' essere conciliata con la tesi del "sapere cumulativo" solo grazie, ripeto, al senso comune: definire la scienza in modo rigoroso è impresa disperata, lasciamo perdere chi crede nella scienza robotizzata, il buon senso ci farà discernere il sapere autentico da quello farlocco, ben consci che tale discernimente è faticoso, mai definitivo e soprattutto richiede di essere realizzato in un ambiente dove non scarseggino "libertà", "tolleranza" e "concorrenza".

Dici poco.

Il maestro di Stalin

L' ex comunista nostrano che non ha fatto i conti con la sua storia lo riconosci subito: anzichè parlare di "comunismo" parla di... "stalinismo".

Come se un fascista parlasse di "mussolinismo".

A Radio Tre l' uso del termine autoassolutorio va per la maggiore. Quando si enumerano con ribrezzo i totalitarismi del novecento, s' intona sempre la solita filastrocca: Fascismo, Nazismo e... (pausa incerta e abbassamento del tono)... Stalinismo.

Ma lo vuoi capire, caro conduttore di Radio Tre, che lo Stalinismo sta al Comunismo come l' Hitlerismo sta al Nazismo?

Io te lo posso spiegare al bar e mentre te lo spiego mi confondo pure e faccio errori, tu hai la lingua sciolta e ridacchi, sei più che autorizzato a non prendermi sul serio.

Fattelo spiegare allora da Sergej Petrovic Mel' gunov, fatti spiegare che nessuno più di Lenin fu maestro a Stalin, fatti spiegare per filo e per segno quando iniziò "il regno delle tenebre".

E dopo le spiegazioni spero che ti deciderai - non dico a fare i conti con il passato, quelli sono affari tuoi - ma perlomeno a cambiare l' oscena filastrocca che reciti ancora oggi - 2010 - dai pubblici microfoni: non Stalinismo ma Comunismo, please!

Le colpe dell' Africa

Ne ha molte, ma forse lo schiavismo è la principale. Nella storia, di questa pratica è stata regina incontrastata.

Ma come? L' Africa è stata vittima dello schiavismo, non colpevole!

Da tempo cercavo un testo sulla storia dell' Africa. Questo sembra essere il più completo in circolazione e spiegherebbe anche il perchè della colpevolezza. I bianchi sfruttarono solo un fenomeno già radicato e fiorente.

Fuori lo Stato dal business dei matrimoni

Ah... quante polemiche sarebbero immediatamente silenziate.

A volte mi chiedo se i nemici della libertà non la combattano perchè, se si imponesse, cesserebbero una lunga serie di appassionanti discussioni.

Se lo stato uscisse dal business della scuola ognuno sceglierebbe programmi e metodi di suo gusto... e non ci sarebbero tante discussioni su quali sono i programmi e i metodi migliori.

Se lo stato uscisse dal business dei matrimoni, ognuno soppeserebbe i pro e i contro del matrimonio che intende contrarre... e non ci sarebbero tutte quelle discussioni sui matrimoni che funzionano e quelli che non funzionano.

Devo proseguire? Risparmiatemelo!

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Senza la verità non resta che il moralismo arrembante

Sembra che ci sia un solido nesso tra relativismo e moralismo. Lo scontro è quello tra teorie vere e teorie utili:

"A partire dagli anni 60 si comincia a pensare, in circoli sempre più ampi di persone, che l' oggettività sarebbe un' illusione. Di qui deriva la convinzione che non ha alcun senso parlare di "sapere" e di "conoscenza", mentre si dovrebbe parlare solo di "punti di vista". Non di fatti ma solo di interpretazioni... E' con queste premesse che il "moralismo" ha cominciato ad espandersi presso gli intellettuali e gli insegnanti fino a diventare l' atteggiamento di gran lunga prevalente in questi ambienti... comiciano a diffondersi gli intellettuali organici, costoro non credono che il sapere possa essere fondato oggettivamente, cio' non toglie che le scienze umane possano giocare un ruolo politico importante... il concetto di "teoria utile" soppianta quello di "teoria vera"... Un episodio estremo ma emblematico di questa mentalità: in Quebec, all' università di Montreal, le femministe hanno proposto di diminuire gli standard di valutazione negli esami di dottorato a vantaggio delle candidate di sesso femminile, sostenendo che il sapere è sempre incerto mentre le esigenze morali sono indiscutibili... una conclusione che suona assurda ma in realtà in linea con le premesse... La svalutazione del sapere si accompagna quasi sempre con una sovravalutazione della morale o, più esattamente, con una esasperazione delle esigenze di uguaglianza... Già Hegel segnalava il meccanismo in questione parlando dell' intellettuale "buon anima". Le "buone anime" sono responsabili della sindrome della "conoscenza inutile" (J.F. Revel) o del "fallimento del pensiero" (A. Finkielkraut)... La proliferazione di "anime buone" spiega l' incredibile intolleranza intellettuale, spesso feroce quanto discreta, che vige in molte università. Un brillante professore italiano mi ha recentemente confidato che si sentiva implicitamente obbligato a sottolineare ai suoi colleghi, mettendolo fra parentesi, con discreti accenni o incisi, che era un "progressista". Da quando aveva smesso di conformarsi a questo obbligo, aveva l' impressione di essere trattato nell' indifferenza più totale, ci si dimenticava di "citarlo", di salutarlo perfino. La "fine delle ideologie" non era certo andata di pari passo con la fine dell' intolleranza..."

Raymond Boudon - Perchè gli intellettuali non amano il liberalismo - Rubettino

Mi tocca confermare: a Radio Tre, l' unico ambiente "colto" e vitale che frequento, aleggia sempre l' intemerata dal pulpito ( i poveri, gli ultimi, il modello imposto, la corruzione, la legalità...) e il sentimento di indignazione arieggia sempre quei corridoi.

Un altro fenomeno singolare è l' acerrimo moralismo che pervade i miei amici materialisti (Boudon li chiamerebbe "positivisti").

Ma come? Loro che, non ammettendo nemmeno l' esistenza di una coscienza e, per conseguenza, non dovrebbero dare alcun senso ad un concetto quale quello di Verità, come possono poi infervorarsi tanto? Coda di paglia?

Anche qui Boudon illumina.

venerdì 13 agosto 2010

Le accuse contro Nori

Qualche mese fa lo scrittore Paolo Nori fu attaccato perchè comincio' una collaborazione con il quotidiano "Libero".

Qui si difende, sembra avere in mano delle buone carte.

Ma dove tracciare una linea? Dove il Diverso si trasforma da semplice "controparte" in "nemico" da osteggiare con tutti i mezzi?

Spinoza vs. Cartesio

Di fronte al bias cognitivo si puo' prendere la strada di Cartesio (liberale) o quella di Spinoza (positivista). Boudon non ha dubbi.

"La psicologia cognitiva ha progettato brillanti situazioni sperimentali che fanno emergere l' esistenza di bias cognitivi. L' esistenza di queste distorsioni è interpretata dai positivisti come l' effetto di "montaggi" della mente di cui non si è esitato a supporre che siano l' esito dell' evoluzione biologica. Se si chiede ad un soggetto di prevedere i risultati di una partita del gioco che consiste nel lanciare una moneta dicendogli che la moneta è truccata in modo da far uscire otto "testa" a fronte di due "croce", costui farà una cattiva previsione optando per puntare otto volte su "testa" e due volte su "croce", così facendo vincerà con una probabilità pari al 68% mentre se avesse puntato sempre testa la probabilità sarebbe stata dell' 80%. Benchè la strategia scelta non sia ottimale è giustificabile con "buone ragioni". Queste distorsioni si spiegano facilmente se le si pensa come il risultato di "considerazioni ragionevoli" anche se poco approfondite, non c' è alcuna necessità di fare appello a effetti altamente speculativi dell' evoluzione biologica. Anche dire che "la terra è piatta" è perfettamente ragionevole quando parla la persona ordinaria che non approfondisce la questione, diverso sarebbe l' errore dello specialista su questo punto, ma questo errore è praticamente inesistente... E' legittimo quindi pensare che "Cartesio ha torto" e "Spinoza ha ragione", per il primo l' uomo pensa, per il secondo l' uomo agisce condizionato dall' ambiente. Più ragionevolmente, si possono attribuire a questi due giganti del pensiero occidentale due "programmi" efficaci, l' uno e l' altro indispensabili, ma la cui efficacia varia a seconda del fenomeno da spiegare. Tocqueville, Weber, Simmel, Pareto, Evans-Pritchard e altri, hanno anbbondantemente dimostrato la forza del programma di Cartesio... Spinoza è certamente fecondo quando è utilizzato dai biologi ma ha introdotto nelle scienze sociali concetti di dubbia veridicità quando non semplicemente banali..."

Raymond Boudon - Perchè gli intellettuali non amano il liberalismo - Rubettino

Salami all' uncinetto





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"Voi"

Relativista = Pacifista? Calma...

Secondo l' antropologia culturalista, non solo le norme variano da società a società ma tutte le norme, regole, credenze sono il prodotto della cultura dalla quale emergono; non vi è nulla di buono, vero e giusto in sè. Clifford Geertz, per esempio, sostiene che ci sono solo "verità culturali". Questa concezione è rinforzata dalla sensibilità "relativista" della cultura contemporanea. Ma non si creda che questo genere di relativismo diffuso ci ponga al riparo dai conflitti. Samuel Huntigton, forse il maggior rappresentante insieme a Levy Strauss di questo stile d' approccio allo studio dell' uomo, identifica nelle differenze culturali il germe di una inevitabile conflittualità. Il relativismo culturale (= i giudizi umani sono plasmati dall' ambiente culturale in cui il singolo cresce) ha ispirato e legittimato molte argomentazioni che hanno poi invaso le scienze umane come ad esempio quella secondo la quale "voi di destra" (o "voi di sinistra"), o "voi che provenite da quel posto", o "voi che avete quell' estrazione sociale", ecc. dunque "voi" non potete che avere in mente idee false e pericolose. Con il relativismo la domanda si sposta dal "che cosa" al "chi", la discussione spesso cessa per lasciare il posto al monologo. La rottura con l' ipotesi della razionalità umana viene definitivamente consumata..."

Raymond Boudon - Perchè gli intellettuali non amano il liberalismo - Rubettino

giovedì 12 agosto 2010

Dopo due anni...

E finalmente, dopo oltre un paio d' anni, approda anche in Italia sulla prima pagina di un giornale importante il racconto della crisi finanziaria come volevamo sentirlo da subito.

L a crisi finanziaria, di cui si compie un triennio, ha avuto una radice comune sia negli Stati Uniti che in Europa: la corruzione della politica. Oltre Atlantico si consentì che Wall Street diventasse il maggior finanziatore delle campagne elettorali americane e così acquisisse il potere di dettare le proprie regole al Congresso. Nel contempo i governi premevano sulle banche perché concedessero mutui a tutti, inclusi molti immigrati recenti. Consentire a queste famiglie di acquistare una casa e realizzare in pochi anni il loro «sogno americano» fu una priorità sia delle amministrazioni di Bill Clinton che di George W. Bush. Poco male se questo incrinava la solidità delle banche: bastava blandire i banchieri consentendo loro di attribuirsi compensi favolosi. In Germania i presidenti dei Länder spingevano le casse di risparmio, di cui sono i maggiori azionisti, a concedere prestiti a condizioni di favore alle aziende della loro regione. Poiché alla fine dell' anno gli stessi politici esigevano anche ricchi dividendi, i banchieri facevano tornare i conti investendo in titoli molto rischiosi: obbligazioni greche e mutui americani. Non è un caso che le poche banche che non hanno superato i test di solidità patrimoniale effettuati dalla Bce sono tutte pubbliche. La proprietà pubblica impedisce l' apertura al mercato e rende difficile rafforzare il patrimonio quando ciò si rende necessario: è la situazione del Monte dei Paschi di Siena, che pur avendo superato il test, rimane pericolosamente vicino alla soglia di capitale minima richiesta. Pensare che la crisi sia stata prodotta da un eccesso di mercato, dalla finanza, o dalla globalizzazione, è una sciocchezza, sostenuta da chi ha interesse a evitare che si sottolineino le responsabilità della politica

Non è che l' unica somiglianza con il 1929 consiste nella mitologia che ha circondato l' evento?

Liberal bias

C' è!

Almeno in USA.

mercoledì 11 agosto 2010

Maestri del sospetto

La difesa del liberalismo va di pari passo con la difesa del buon senso, ce lo ricorda Raymond Boudon quando parla di psicologia:

"Il liberalismo concepisce l' uomo come un essere ragionevole mosso da passioni e interessi comprensibili, chiamerei questa psicologia "ordinaria". Da Aristotele a Smith l' approccio non cambia, anche Weber ha insistito sul fatto che le scienze sociali debbano considerare le credenze e i comportamenti come comprensibili. Secondo la psicologia ordinaria noi siamo in grado di "comprendere" le ragioni dei Romani come quelle degli Ebrei del I secolo, le ragioni dei calvinisti come quelle dei puritani, le ragioni dei santi e quelle degli assassini. Con Freud, qualcosa cambia, la "psicologia ordinaria" viene sostituita dalla "psicologia dell' inconscio": le credenze del soggetto verrebbero costruite dall' astrusa macchina dell' inconscio, la quale nasconde le sue astuzie al soggetto, ma non all' intellettuale. Anche il positivismo rafforzò questo genere di approccio: siccome la scienza si occupa solo del "visibile", non ha senso considerare gli "stati di coscienza". Il principio di fondo è lo stesso e consiste nel dire che le credenze e i comportamenti individuali hanno la loro origine in forze materiali che sfuggono al controllo del soggetto. Gli strutturalisti, in seguito, si uniformarono su questa linea: l' uomo è sovrastato da misteriose strutture sociali che lo guidano come una marionetta. C' è sempre qualcosa "dietro" quello che facciamo, i maestri anti-liberali sono sempre anche "maestri del sospetto e del complotto". L' antropologia non rimase indietro, e infatti la cosiddetta antropologia culturalista si appropria del paradigma anti-liberale postulando che l' essere umano sia il prodotto della cultura del suo ambiente. Per queste ragioni molti considerano oggi le scienze umane come mere discipline destinate a correggere il "senso comune". I "maestri del sospetto" hanno a lungo dominato la scena del Novecento scalzando i "maestri del liberalismo". Trascurando la nozione di "autonomia", tanto cara a Kant e al liberalismo, il positivismo sta dietro alla sua emarginazione. Si tratta di schemi di pensiero che valorizzano molto il ruolo degli intellettuali poichè solo l' intellettuale è in grado di superare gli illusionismi del buon senso e guidare le masse sulla retta via..."

Da quanto detto si capisce bene come mai gli economisti siano rimasti gli unici intellettuali a presidiare le posizioni liberali: l' Homo Economicus è l' uomo razionale per eccellenza.

martedì 10 agosto 2010

Il sorpasso

C' è un momento in cui Bruno Cortona non riesce più a "cambiar discorso", un momento in cui non riesce a "minimizzare"; in quel momento i "fastidi del reale" non sono liquidabili con una battuta o una faccina.

E' quando fissa la scarpata ligure dove è precipitata la spider con a bordo il Mariani.

Lì Bruno Cortona guarda in faccia la realtà, e la realtà gli dice forte e chiaro che doveva morire lui, che sarebbe stato perfetto se fosse morto lui, un cerchio giottesco si sarebbe chiuso tra gli applausi, tutto al posto giusto: la sua storia, la storia del Mariani, la storia dell' Italia rinascente dalla guerra.

Ma non sarebbe stato perfetto il film, che diventa un capolavoro grazie al sigillo di quella faccia, grazie alla fedeltà ad un reale che non ama le simmetrie.

Quando arriva il poliziotto Bruno ha già ripreso il suo controllo, sa di nuovo dire il suo "lasciatemi in pace", sa di nuovo farsi rimbalzare il mondo addosso: "è uno che ho conosciuto ieri". Sa di nuovo stare solo con il suo dolore, recupera da maestro l' unico vero istinto del coatto: non condividere.

Bruno Cortona è in esilio, la vita è dura e lui si è auto-condannato al confino. La superficialità, la fuga, il divertimento sono la prigione che si è scelto. Una prigione mobile: non puo' fermarsi se non vuole assistere al penoso spettacolo di una stima guadagnata artificiosamente grazie ad un gesto istrionico e quindi condannata a scemare sotto la minaccia di un rapporto umano che si approfondisce.

Bruno Cortona è un uomo spacciato, sa di essere spacciato, sa che deve scappare se non vuole perdere definitivamente cio' che lascia (per esempio la figlia), scappare verso luna park sempre più iridiescenti. Bruno Cortona è un uomo braccato, sa di essere braccato, è sapiente nella sua superficialità e si turba per un attimo solo quando si accorge che la sorte, in uno scambio di persona sconcertante, ha preso il Mariani anzichè lui.

Forse aveva capito che il Mariani costituiva la sua ultima missione nel mondo reale; l' occasione di farci una capatina dal suo faticosissimo esilio; e lui, come noi, aveva un gran bisogno di realtà, di mondo. Molto più che di divertimento.

Questa era davvero un' occasione d' oro: alla miscela perfetta del Mariani mancava solo l' ingrediente che lui possedeva in abbondanza. Il Mariani sarebbe stato il suo capolavoro nel mondo, la sua cratura.

Ma questa missione, anzichè annunciarsi all' inizio della storia, si annuncia alla fine, quando tutto è già bruciato. L' umanità di Cortona non possiede più la modalità del progetto ("alla giornata"), ma possiede ancora quella dell' illuminazione.

La faccia sconcertata del Cortona ai bordi dell' Aurelia è la faccia di colui al quale ora non resta altro che il tunnel inquietante del divertimento nella fuga. Un dramma contemporaneo scritto quasi mezzo secolo fa.

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Perchè gli intellettuali non amano il liberalismo?

Alcuni intellettuali sono animati da una sorta di "libido sciendi", ma altri sono "militanti" (combattono per l' affermazione di alcuni valori), altri ancora sono alla ricerca di visibilità... Cosa succede, dunque? All' inizio si determinano nelle società liberali dei fatti che sono percepiti come "importanti" e che richiedono una spiegazione. Se questi fatti danno l' impressione di mettere in evidenza alcuni errori della società, l' intellettuale militante prende la palla al balzo per riproporre schemi esplicativi tratti dalle tradizioni illiberali.. Se la sua denuncia è SEMPLICE, corredata da "BUONE INTENZIONI" e difficilmente CONFUTABILE, circolerà ampiamente tra i media senza incontrare aperta critica: "E' tanto semplice che lo capirebbe anche un bambino" canta un celebre brano a firma BrechtWeill (Lob des Kommunismus)". Dovrei aggiungere che i più comuni schemi illiberali, nel non riconoscere autonomia all' individuo, hanno avuto anche i loro meriti: la psicanalisi ci ha insegnato come certe esperienze infantili si ripercuotano sulla personalità dell' individuo; il marxismo ci ha insegnato un deverso modo di scrivere la storia, lo srutturalismo ha chiarito le ragioni che stanno dietro certi divieti; il positivismo ha diffuso un certo ethos per la scienza...". Cio' che non ha funzionato, rispeto alle soluzioni liberali, è stata l' assolutizzazione dell' approccio..."

Raymond Boudon - Perchè gli intellettuali odiano il liberalismo - Rubettino

lunedì 9 agosto 2010

domenica 8 agosto 2010

Sterilità degli arpedonapti

Quali sono le condizioni sociali che sollecitano lo sviluppo rigoglioso delle Scienze?

E qui ognuno dice la sua, esce di tutto e il contrario di tutto.

Ma alcune voci sono più autorevoli, si tratta di quelle voci comandate da cervelli che perlomeno conoscono a menadito la storia della scienza. Sentiamo allora Alexandre Koyrè:

"vedo tre condizioni: 1) molto tempo libero per gli uomini, 2) culto dell' astrazione e della verità e 3) prestigio sociale per chi si dedica al culto dell' astrazione e della verità. La storia ci insegna, per qualcuno potrebbe essere una sorpresa, che lo sviluppo scientifico è disconnesso dalle attività pratiche. Non sono stati gli arpedonapti egiziani, che dovevano misurare i campi della valle del Nilo, ad inventare la geometria: sono stati i Greci, i quali non avevano proprio nulla di significativo da misurare. I primi si sono fatti bastare rudimentali quanto ingegnose ricette pratiche. Del pari non sono stati i Babilonesi, che credevano fermamente nell' astrologia e nel suo vaticinio, a raffinare le leggi astronomiche, ma altri che avevano solo il gusto della conoscenza. Io so che le tre condizioni di cui sopra sono decisive, ma non so quale ambiente sociale sia più propizio per ricrearle, quindi direi che la risposta al quesito resta inevasa"

Alexandre Koyré - Filosofie e storia delle scienza - Mimesis

Interessante. Mi sembra che la diffusione della religione in tutti gli ambiti della discussione pubblica (culto della verità) e le continue sottili dispute teologiche (culto dell' astrazione), facciano della società medioevale un' incubatrice adeguata per lo sviluppo della scienza.

sabato 7 agosto 2010

Rocco e i suoi fratelli

Chesterton dice che il mondo non è logico, ma non è neppure illogico. Volendolo proprio definire in relazione alla logica, diremo che è una trappola per logici. Per questo, secondo lui, la visione cristiana s' impone.

Prendiamo un caso: non esiste modo di conciliare Giustizia e Perdono. Se perdoni, il colpevole non paga. Al contrario, la Giustizia non puo' che essere spietata.

Eppure, chi nega la grandezza del Perdono? E chi osa disprezzare la civiltà della Giustizia?

Ieri sera ho rivisto Rocco e i suoi fratelli. Non me lo lascio mai sfuggire, resta per me un grande capolavoro della settima arte.

Sapete com' è, mi piacciono quei film dove ad ogni sequenza posso dire: "ecco quel sentimento che sembra tanto strano e mostruoso, l' ho provato anch' io". Mi piacciono quei film in bianco e nero dove, mentre li vedi, ad un certo punto puoi dire: "Ei, ma io abito là in fondo a destra!" "ei ma su quel ponte mi faccio un' ora di coda al giorno"...

In questo film il miracolo della conciliazione si compie: Ciro (Giustizia) e Rocco (Perdono) si amano, si rispettano, si capiscono e convivono miracolosamente nella stessa famiglia contribuendo a rafforzarla.

Simone è la pecora nera della famiglia, Rocco vuole perdonarla, Ciro vuole giustiziarla. Senza mai bisogno di dirlo, ciascuno comprende le ragioni dell' altro.

Rocco, in cui ribolle il sangue arcaico della Basilicata (a Milano meglio nota come "africa"), sa che ogni struttura sociale si fonda su un sacrificio. Simone è il capro e noi dobbiamo rendergli onore.

Forse ha letto Girard, ma più probabilmente ha abitato una terra dove per duemila anni si è letto il Vangelo del figliol prodigo.

Ciro, in cui stagna un sangue milanesizzato, sa che ogni struttura sociale si fonda sulla responsabilità. Simone ha mancato e deve pagare.

Forse ha letto Weber, ma più probabilmente ha abitato una terra dove per duemila anni si è letto il Vangelo dell' Apocalisse.

Dove, se non nel Vangelo e nella famiglia Parondi, si conciliano tanto bene Giustizia e Perdono?

Acthung: questa conciliazione non si realizza tramite pedanti armonie. C' è conflitto vivo e scoppiettante nel rispetto e nell' ammirazione reciproca.

---- un paio di dubbi regalati dal film dopo la dodicesima visione--------

Simone poteva salvarsi?

Io penso di sì: non ingannino i suoi comportamenti estremi, è il tipico istinto a degradarsi che l' immaturo prova non appena le cose non girano per il verso giusto.

Nadia ha delle colpe? Simone si mette con lei quando non è ancora una persona matura (sbuffa come una locomotiva mentre guarda i film d' amore con la fidanzata che sospira). Perchè Nadia non lo "aspetta"?

Sembrerebbe assurdo pretenderlo, eppure noi ammiriamo Rocco proprio perchè è sempre pronto ad attendere la maturazione del fratello. Il dovere dell' amore è forse richiesto più al fratello che alla fidanzata?

Non penso che un simile dubbio possa avere mai risposta; forse non è nemmeno giusto tentarla.

Ma c' è una cosa che colpisce: se Nadia vuole essere protagonista, allora deve accettare la macchia della colpa. In caso contrario diventa solo una circostanza ambientale, un elemento della scenografia. Un portato della Provvidenza al pari della nevicata notturna, tanto per intenderci, quella che mette di buon umore i terroni neo-immigrati: l' indomani in Municipio ci sarà lavoro per tutti come spalatori.

Certo che Nadia è il personaggio più disgraziato del dramma: deve sacrificarsi come e più di San Rocco ma deve farlo controvoglia, e quindi senza aurea di santità. Forse è lei il vero capro espiatorio: la persona che soffre di più e che noi possiamo permetterci ancora di accusare sui titoli di coda, come se il film non ci avesse insegnato nulla.

Nadia è un Cristo (e infatti muore in croce all' Idroscalo) che non puo' mai abbandonarsi nelle braccia del Padre dicendo un: "sia fatta la tua volontà", un Cristo che conosce solo le lacrime di sangue del Getsemani.

Qui sotto il film è visibile per intero.

venerdì 6 agosto 2010

Lo scienziato sociale

Uno scienziato ancora senza laboratorio.

Forse meglio affidarsi a "ragione" e "buone ragioni". Forse meglio limitarsi a spiegare che a prevedere?

I disperati

"Definire la scienza è impresa disperata e forse nemmeno auspicabile, il miglior modo per penetrare i suoi misteri è quello di dedicarsi allo studio meticoloso di singoli casi paradigmatici cercando di illustrarne il funzionamento"

Alexandre Koyrè - Filosofia e storia delle scienze - Mimesis

Interessante.

Ancor più interessante è andare a vedere a chi serve "definire la scienza", chi ha necessità di "imprese disperate" come questa.

Chi sono i "disperati", quelli per cui non esistono emoticons adeguate?

Non certo gli scienziati, a loro "definire la scienza" non serve.

Rintracciare i "disperati" è abbastanza semplice, sono quelli che anzichè "fare scienza" non fanno altro che alzare il ditino ammonendo che "lo dice la scienza". Sono i fanatici dell' ipse dixit moderno. Sono quelli che, per esempio, anzichè studiare l' evoluzionismo applicandolo nei loro campi, perdono tempo ad esaltare la "scientificità" della teoria. Anziche contribuire all' autorevolezza della scienza, la sfruttano. Hanno un disperato bisogno che la scienza sia "ufficiale" al fine di redigere programmi scolastici, programmi ministeriali e altre forme di indottrinamento e controllo. Più che la Scienza a questi "disperati" serve l' "ufficialità" con cui redigere le loro gazzette, serve come il pane per poterti dichiarare "ufficialmente" irrazionale, e successivamente pazzo da internare.

Il vero insegnamento della scienza non consiste nelle sue conclusioni (sempre da rivedere se non da capovolgere) ma nel diritto alla concorrenza, ovvero nel rispetto per l' opinione minoritaria, poichè in questa instabilità della conoscenza sappiamo che domani potrebbe rivelarsi vincente.

Un vero trauma per chi invece anela ad una "Gazzetta ufficiale della Scienza" proprio per affossare e reprimere l' opinione minoritaria conculdandole ogni diritto.

Tra parentesi, Alexandre Koyrè, forse il massimo epistemologo degli ultimi secoli, mostrò come la caratteristica saliente della Scienza moderna del XVII secolo (Galileo, Newton...) non sia affatto il legame con il metodo sperimentale. Sorpresa? La Scienza moderna è innanzitutto teoria, ricerca della Verità. La scienza moderna è matematizzazione del mondo: una vera rivincita di Platone su Aristotele e sui pragmatisti.

Io sono qui, voi dove siete?

Visti da vicino





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giovedì 5 agosto 2010

C' è Ulisse, ma c' è anche Gianburrasca

Ulisse oggi vuole tornare ad Itaca costi quel che costi, ma sa già che domani al ritorno preferirà di gran lunga il canto delle sirene.

Gianburrasca stasera vuole ardentemente partecipare ad una festa, per quanto domani lo aspetti un esame cruciale. Sa anche che in futuro il suo desiderio di spassarsela sarà oscurato da quello di ottenere il diploma.

Ulisse decide di evitare le sirene mettendosi i tappi di cera nelle orecchie ed esentando l' equipaggio dall' obbedienza.

Gianburrasca decide di stare a casa a studiare.

Sono due storie plausibili? A me sembra di sì. Non mi scandalizzerei se qualcuno me le raccontasse.

Eppure qualcuno si scandalizza, parlo di chi crede che noi siamo motivati solo dal desiderio.

Costoro trovano irrazionale la storia di Gianburrasca: se nel momento della decisione si desidera fare X, si farà X.

Infatti Ulisse, nel momento in cui architetta il suo piano, desidera tornare in patria e architetta un piano per conseguire il suo obiettivo.

Gianburrasca desidera invece andare alla festa. E' sconcertante che al termine di un semplice calcolo, decida di rinunciarvi.

Evidentemente, per quanto molti lo neghino, anche la ragione puo' motivare.

Inconvenienti del fanatismo

Letto in un recente dibattito nella blogsfera:

"... Io mi reputo relativista (forse). Son talmente intriso di relativismo, da non reputare neppure sicuro d’essere io a scriverti in questo momento...".

Mi ha fatto venire in mente un passaggio del buon Chesterton che infilza con grazia questa fauna:

"... intorno al Cristianesimo si assiste oggi ad un fenomeno curioso; la volontà dei suoi neminci di combatterlo con tutte le armi possibili, comprese quelle spade che tagliano le loro stesse dita, o quei tizzoni ardenti che bruciano le loro case. Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell' umanità e finiscono per gettare via sia l' umanità che la libertà, pur di combattere la Chiesa. Conosco un uomo così accanito nel dimostrare che non avrà nessuna vita personale dopo la morte da ridursi ad affermare di non averne neppure ora. Al fine di provare che non puo' andare in Cielo finisce per provare che non puo' andare neppure a Rogoredo. Ho conosciuto persone che protestavano contro l' educazione religiosa adducendo argomenti contrari a qualsiasi educazione, dicendo che la mente dei bambini deve crescere libera o che i vecchi non devono insegnare ai giovani. Ho conosciuto persone che dimostravano che non vi puo' essere un giudizio divino dimostrando come corollario che non vi puo' essere nemmeno alcun giudizio umano, nemmeno sulle questioni più pratiche. Pur di mettere a fuoco la Chiesa, costoro hanno dato alle fiamme il loro stesso grano, pur di sfasciarla hanno sfasciato i loro stessi arnesi, Noi non ammiriamo nè scusiamo il fanatico che distrugge questo mondo per amore dell' altro. Ma che dire del fanatico che distrugge questo mondo in odio all' altro?..."

mercoledì 4 agosto 2010

Proibire la corrida?

C' è chi lamenta una grettezza dell' approccio utilitarista in queste faccende.

Ma è davvero così? Vediamo di approfondire, magari cominciando a dire che ci sono vari tipi di utilitarismo.

innanzitutto noto che l’ alternativa proibire/consentire non è mai simmetrica come sembrerebbe: se si proibisce la quantità dei tori ammazzati è ZERO, punto e basta. La soluzione caldeggiata dai proibizionisti è in effetti una soluzione grezza.

La soluzione anti-proibizionista è molto meno grezza: il numero dei tori ammazzati varia a seconda della felicità dei soggetti (umani). Si paga per partecipare alla corrida. E si puo’ pagare anche per boicottarla. Un penny, un voto.

Certo, bisogna accettare che l’ infelicità dei tori si rifletta e venga pesata dall’ infelicità degli animalisti, quelli che pagano per risparmiare i tori. Personalmente accetto questa ipotesi che per molti è invece problematica.

Gli animalisti non vogliono la corrida?: se la comprino. Gli hemigwayani ne vanno matti?: se la comprino.

Per sfuggire alla grettezza l’ esito dovrebbe soppesare le offerte, ma la premessa è l’ anti-proibizionismo

martedì 3 agosto 2010

La scelta

La mia fede è una decisione che prendo applicando certi criteri: guardacaso sono gli stessi criteri che adottiamo per eleggere la miglior teoria scientifica in campo. Tolomeo spiega esattamente cio' che spiega Copernico, ma noi consideriamo la teoria di Copernico vincente in quanto più semplice. La fede in Dio e il materialismo spiegano tutto, ma Dio offre spiegazioni più semplici.

Il materialista crede che la Scienza finirà, o che comunque potrebbe finire: esiste un algoritmo complessissimo ed ignoto che spiegherebbe tutto senza ricorrere ad entità sovraumane. Il credente pensa invece che la Scienza sia una ricerca continua: solo una mente dalle capacità infinite (ovvero sovraumane) conosce tutto e la esaurisce.

Per quanto ne sappiamo entrambi potrebbero avere ragione. E allora, chi privilegiamo?Poniamoci la domanda fatidica: quale tra queste due visioni è la più semplice?

Prendiamo a titolo d' esempio queste due affermazioni.

1) "Conosco (o potrei conoscere) X" (dove X è l' algoritmo complessissimo di cui sopra)

2) "Conosce tutto"

1 è affermazione più complessa di 2. X è già di per sè un concetto estremamente complesso. "Tutto" e "infinito", per contro, sono concetti molto semplici, comprensibili anche dai bambini.

Per le stesse ragioni per cui a Tolomeo preferisco Copernico, faccio prevalere la Fede sul Materialismo.


Richard Swineburne

A me il professore convince.

Sinceri democratici

C' è qualcosa che nella mia giovinezza non sono mai riuscito a capire, ovvero dove mai la gente abbia preso l' idea che la Democrazia sia in qualche modo opposta alla Tradizione. Per me è ovvio che la Tradizione non è altro che la Democrazia estesa attraverso il tempo, è una democrazia in cui il diritto di voto viene esteso ai nostri avi. La Tradizione non è una pratica del passato ma una pratica STABILE del passato: non puo' esserci stabilità senza consenso.

G. K. Chercheston

Libertà e tradizione. La libertà come valore, la tradizione come frutto della libertà passata. Si puo' essere sinceri democratici senza avere il culto della tradizione? A lume di logica sembrerebbe problematico.

Suicidio del pensiero

L' evoluzionismo è un buon esempio di quell' intelligenza moderna che distrugge se stessa. L' evoluzionismo è un' innocente descrizione scientifica di come avvengono certi fenomeni terrestri; oppure, se è qualcosa di più, è un attacco al pensiero stesso. Non alla religione, si badi bene, ma al pensiero. Se l' evoluzionismo vuole dirci che una cosa concreta chiamata scimmia si è mutata lentamente in un' altra cosa concreta chiamata uomo, allora è innocuo anche per il più ortodosso dei cattolici. Dio puo' benissimo fare le cose più lentamente o più velocemente (cosa cambia?), specialmente il Dio cristiano che è fuori dal tempo. Ma semmai significasse qualcosa di più, allora significherebbe che non c' è nemmeno una cosa chiamata scimmia da mutare, nè una cosa chiamata uomo in cui qualcosa d' altro potrebbe mutarsi; non esisterebbero più cose che siano cose pensabili, al limite c' è una cosa sola, un unico fluido in eterna mutazione, qualcosa che comprenderebbe il nostro stesso pensiero. Chiunque si accorge che questo non è un attacco alla fede ma alla mente: non si puo' pensare se non ci sono più cose da pensare, non si puo' pensare se non c' è un distacco minimo dalla cosa a cui pensare. Cartesio disse: "penso dunque sono", l' evoluzionista divenuto filosofo dice: "non sono dunque non posso pensare".

G. K. Chesterton

Le solite cose... ma dette con la classe di un maestro.

Già declina pur nel fiore

Non so a voi ma a me piace Puskin. Se mi sento romantico è alla sua stazione che oriento l' antenna: ha gli slanci funesti di un Byron e le tetraggini peripatetiche di Baudlaire. A volte ce li ha tutti e due in un rigo. Questo benedetto meridiano che era in edicola a 12.50 euro, sarebbe meglio darsi da fare per recuperarlo alla svelta. Ha bazzicato tutti i generi Puskin, perchè lui, essendo un Padre di letterature, non poteva specializzarsi, non poteva concedersi il lusso di amare un figlio più dell' altro. Io, pecorone lettore, condannato da una forsennata gravità a non alzarmi un millimetro da terra, io posso scegliere: e allora dico che il mio Puskin è quello appassionato e focoso dei poemi. L' ispirato puo' suonare la corda "poetica" o quella "poematica". In un poema non c' è niente che rischi di essere eccessivo. Il calibro puo' essere messo da parte. Dalla lunghezza del verso alla bestemmia più oscena, tutto, a certe condizioni, deve flettere un cuore magnanimo. Un poema è il luogo ideale dove formalizzare la perdita dei controlli, nel poema sei autorizzato a farti prendere la mano. E' un recipiente dove gli Omeri, i Puskin, i Peguy, i Pessoa, i Walcott, i Murray...si clonano tra loro e diventando moltitudine eletta. E' il campo di battaglia dove la scrittura combatte per la propria indipendenza da quella pedestre zavorra che è l' autore. Un punto alchemico che io ho visto raggiungere, l' ho visto con questi occhi. Una scintilla che ho visto scoccare di continuo nell' officina puskiniana. L' ho vista con questo rosso cuore. Un' acqua che si inaugura cheta ma piano piano la vedi che gorgoglia, ferve, irrompe. Lo Scienziato dell' amore si ferma, ci viene accanto e ammira stremato con noi la macchina mostruosa che ha messo in piedi e che procede inesorabile ed autonoma a sintetizzare l' universo in una parola. Una parola, un universo... Il linguaggio sfrenato per eccesso di ispirazione, così come certe urgenze del sangue, contrassegnano la grandezza. Puskin possiede questo crisma, e glielo vedi perchè lo porta prprio in mezzo alla fronte mentre ti passa davanti assorto in una mestizia che risplende. Per il resto, il passeggio tra le pagine di Puskin, è come visita in harem stracolmi di molli bellezze dove è fatto obbligo di procedere con atteggiamento prima annoiato, poi sventato e pronto all' amore. Quest' uomo chiuso, ambizioso, dall' immaginazione infuocata. Lo vedi al centro del party, motore immobile della festa, e poi, un attimo dopo, fare tappezzeria arrovellandosi in un corruccio solitario. E' un uomo talmente circondato ed inseguito da vaghe commozioni che lo costringono sempre alla fuga. Selvatico, acerbo, ora in lacrime per una fantasia, ora trascinante ozi meditabondi. Un uomo così non poteva certo badare a se stesso. Sposò la più bella e morì in uno stupido duello, vicenda sviscerata con bisturi acuti da Serena Vitale (Il bottone di P, Adelphi). Ma visto da lassù, dal Limbo dei Poeti, tutto quanto ci accade è piuttosto stupido.