Buon compleanno piccolina.
GiveDirectly intentionally provides unconditional, rather than conditional, cash transfers. We do this for three reasons. First, empowering the poor to make their own decisions advances our core value of respect. Second, it lets recipients purchase the things they need most, enhancing impact. Third, imposing conditions on the use of funds requires that costly monitoring and enforcement structures be put in place. One detailed estimate put the administrative costs of a conditional cash transfer scheme at 63% of the transfers made over the first three years of the program (Caldes & Maluccio 2005)
[W]omen in 1880 had almost no meaningful rights to political participation, ensuring that they were unable to demand recognition and protection of their basic liberty rights through the political system.
Under traditional English common law an adult unmarried woman was considered to have the legal status of feme sole, while a married woman had the status of feme covert...A feme sole had the right to own property and make contracts in her own name. A feme covert was not recognized as having legal rights and obligations distinct from those of her husband in most respects. Instead, through marriage a woman's existence was incorporated into that of her husband, so that she had very few recognized individual rights of her own.As it has been pithily expressed, husband and wife were one person as far as the law was concerned, and that person was the husband. A married woman could not own property, sign legal documents or enter into a contract, obtain an education against her husband's wishes, or keep a salary for herself. If a wife was permitted to work, under the laws of coverture she was required to relinquish her wages to her husband. In certain cases, a woman did not have individual legal liability for her misdeeds, since it was legally assumed that she was acting under the orders of her husband, and generally a husband and wife were not allowed to testify either for or against each other. Judges and lawyers referred to the overall principle as "coverture".
One exception to the feme covert rule was in the instance of a prenuptial contract. All colonies accepted these contracts, but few couples signed them. Sometimes, parents of wealthy daughters insisted on a contract to keep family property in a trust for their daughter and her heirs (daughters had no control over trusted property, however). Widows often drew up prenuptial contracts before marrying again, but they had to obtain their new husband's consent in order to keep the property inherited from their first marriage through a contract.
Ogni produttore è responsabile per il prodotto che fornisce: questo principio universale elimina tonnellate di regolamentazione specifica (politicizzata) premiando le imprese responsabili. Evita l’ assunzione di burocrati e evita anche di mandare falsi segnali di sicurezza: caveat emptor!
Ma c’ è di più: nelle materie complicate i principi sono da preferire alle regole. consegnando la discussione alla giurisprudenza e alle consuetudini emerge una rule of law naturale.
Per proteggere il cliente spesso è necessaria una licenza.
Esempio, per fare il dottore occorre una laurea, una specializzazione e l’ iscrizione presso un albo.
Le licenze aumentano la qualità media ma diminuiscono la quantità. Chi ci dice che abbiamo bisogno di questo?
Immaginatevi se sul mercato dell’ auto venissero vendute solo Ferrari, sarebbe una tragedia.
Spesso meccanismi quali la reputazione e la responsabilità civile sono più che sufficienti per svolgere il ruolo di albi e licenze. Per non contare il ruolo informativo delle associazioni dei consumatori.
Alla lunga gli albi si trasformano in vere e proprie barriere alla competizione perdendo persino il loro ruolo originario. E’ il corporativismo, qualcosa che non necessita spiegazioni se uno è nato e ha vissuto in Italia.
La crisi economica contrassegna i nostri anni, se ne parla sui blog, sui giornali, in treno, al bar. Adesso poi che vengono giù anche gli stati come birilli, l’ affare s’ ingrossa.
Sia chi ama “capire”, sia chi ama stare al centro dell’ attenzione dovrebbe fare un minimo sforzo di approfondimento.
In questi Scott Sumner è il vostro uomo e questo suo post andrebbe recitato nelle università come un’ orazione laica.
Io mi limito a segnalare una quadripletta di passaggi eludendo la parte più tecnica.
Innanzitutto Scott ci ricorda come per le grandi crisi del passato le spiegazioni politicizzate affondarono quelle scientifiche nel tentativo disperato di connettere crisi finanziaria e crisi economica. Questa maledetta mania di dare tutte le colpe alla finanza!
In the history books it says the 1929 stock market crash triggered the Depression. After an nearly identical crash in 1987 had zero effect on GDP, we learned that was false. But it’s hard to blame historians for connecting a high profile financial collapse, with an economic collapse that was barely underway, and suddenly got much worse. Economists should know better.
La confusione maggiore, poi, deriva poi dal fatto che viviamo più crisi contemporaneamente. Ma soprattutto – sorpresa! – che non riusciamo a cogliere l’ indipendenza di queste crisi multiple.
Unfortunately, not everyone is talking about the same crisis. Some are talking about the housing bubble/crash, some are talking about the late 2008 financial crisis, and I believe both groups have the 2011 unemployment crisis in the backs of their minds (otherwise why is the debate seen as being so important?)
But the link between the housing bubble and the severe financial panic is much weaker than people realize. And the link between the severe financial panic and high unemployment in 2011 is almost nonexistent.
Sarebbe stupido negare che i privati abbiano commesso molti errori. Più istruttivo è risalire alle cause.
The errors of the private banking system were due to both misjudgment (they did lose money after all) and bad incentives (moral hazard due to various government backstops.)
E adesso fuori i nomi dei colpevoli e degli eroi:
As far as the high unemployment crisis, the proximate cause is low NGDP, which means the Fed is to blame. Then we can apportion some blame to Obama for not putting more of his people on the Fed, and not doing it sooner. But ultimately we macroeconomists are to blame, as both the Fed and Obama take their lead from us. We were mostly silent on the need for vigorous monetary stimulus in the last half of 2008, and many have remained silent ever since. The hero is the Efficient Market Hipotesys (EMH), as markets warned the Fed that money was way too tight in September 2008.
Adesso ditemi, c’ è in circolazione un resoconto migliore? Una storia più coerente al suo interno e con i fatti? Una storia che, al pari di questa, fosse formulata prima degli eventi?
Certo, la si puo’ affinare (qui e qui i miei ritocchi preferiti), ma per me la narrazione di Sumner resta insuperata, anche per questo gli consegno senza indugio la palma di cicerone ufficiale della crisi economica.
Negli USA il reddito medio stagna dal 1980, così come è sensibilmente rallentato il tasso d’ innovazione tecnologica.
La stessa dinamica si registra un po’ ovunque nei paesi ricchi.
Cosa sta succedendo all’ Occidente?
Ecco l’ idea di Cowen: le grandi innovazioni del XVIII e XIX secolo hanno dato una scrollata all’ albero. I grandi governi del secolo XX hanno raccolto i frutti a terra.
Ora di frutti in terra non ce ne sono più molti e la raccolta sembra esaurirsi, senonché gli uomini del governo esteso non hanno nessuna voglia di cedere nuovamente la pianta nelle mani degli scrollatori.
Per avere un’ idea di “low-hanging-fruit” ci si concentri per un attimo sull’ istruzione: rendere più produttivo un analfabeta è relativamente facile ma legare oggi gli investimenti educativi alla crescita economica è praticamente impossibile. Al di là di ogni retorica, chi potrebbe negarlo?
Qualcuno opina osservando che internet è un’ innovazione di portata almeno pari all’ elettricità. In questo senso il suo scrollone è imponente e manda all’ aria molte cose, tra cui la tesi che stiamo discutendo.
Staremo a vedere, sta di fatto che per ora non sembra proprio, e di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia ormai.
Ad oggi l’ avvento di Internet si riflette poco nelle statistiche legate allo sviluppo: l’ Ipod ha creato 14000 posti di lavoro e Facebook meno di 2000. Quisquilie.
Perché?
Forse internet, più che uno strumento, è un fine. Non serve ad investire, quanto a consumare.
Mi spiego meglio con un esempio banale.
Prima potevi tagliare i ponti e chiuderti in casa massimo per un paio di giorni, dopodiché, pena il soffocamento, era giocoforza uscire per una boccata d’ aria e di contatto umano. Oggi puoi barricarti in cameretta doppiando la settimana, il tempo vola e tu viaggi con la mente senza mai atterrare.
Esagero?
Cio’ non toglie che internet favorisca l’ isolamento e l’ introversione, cosicché l’ “isolato” e l’ “introverso” sono i maggiori beneficiati; sono loro gli "eroi sociali" del nostro tempo. Nel nuovo mondo i timidi vanno a nozze (anche nel vero senso della parola).
Alla fine bisogna concludere con un certo sconcerto che chi utilizza la rete per progettare e costruire concretamente qualcosa gratta solo la superfice dell’ innovazione finendo per trattarla come un telefono superveloce o un’ adunata oceanica. Cose che in fondo c’ erano anche prima.
La profonda natura del nuovo si disvela con ritrosia a chi non sacrifica la propria socialità divenendo un po’ “più autistico”.
Internet resta un fattore liberante, ma un fattore interiore: i Grandi Governi regolano ogni forma di vita ma difficilmente avranno accesso alla nostra vita interiore.
Detto questo, vediamo ora come queste considerazioni si riflettano poi sulle statistiche produttive.
Un patito potrebbe decidere di rinunciare alle vacanze per starsene quindici giorni ipnotizzato dalla realtà virtuale di internet. In un caso del genere il PIL di quel paese diminuirebbe per effetto dell’ innovazione. Un concetto spiazzante che non viene subito afferrato poiché di solito associamo in automatico innovazione-sviluppo-pil.
Questo esempio estremo rende chiaro cosa intende Cowen quando si mostra scettico sulla portata economica della rete. Somiglia troppo ad una droga per essere realmente produttiva.
***
Se questo è il mondo in cui viviamo la domanda diventa: dobbiamo tornare alla stagione degli scrollatori selvaggi?
Possiamo davvero farlo? O è meglio rassegnarci e vivere felici (e autistici) nella stagnazione?
Tyler Cowen - The Great Stagnation
P.S. Piccola storia dell' equilibrio generale dei mercati: Arrow/Debreau garantirono l' esistenza di un equilibrio generale dell' economia, ma un libero mercato converge in quel punto (o in uno di quei punti)? Scarf dimostrò che almeno in alcuni casi di particolare dotazione iniziale cio' non era possibile. Ma Scarf, come del resto fino ad allora, assumeva il tatonnement come metodo per raggiungere l' equilibrio: un banditore d' asta (Stato?) enuncia i prezzi di equilibrio, dopodiché domanda e offerta sono chiamate ad incontrarsi. In realtà esistono metodi alternativi (Hahn process, Fischer process, Edgworth process, Markov process...) che una volta postulati garantiscono l' equilibrio. Il bello è che questi metodi sono molto più realistici del "banditore"; in altri termini: la lacuna è superata non mettendoci una pezza ma indebolendo le ipotesi. Come se non bastasse la teoria, ci saranno poi le sperimentazioni in laboratorio (Vernon Smith) e sul campo (John List) a garantire il raggiungimento concreto di equilibri simil walrasiani. Il mercato non è la democrazia, non esiste per il mercato un equivalente del teorema dell' impossibilità: un mercato stabile e con equilibri efficienti esiste a meno che non si introducano ipotesi forti come quella del banditore, purtroppo la condizione del banditore è quella emersa prima storicamente cosicché è facile far passare il messaggio di una "confutazione" della mano invisibile. In realtà la mano invisibile ci dice che quando un equilibrio ottimo non è raggiunto cio' è da imputare al fatto che manca un mercato; ecco, nel modello tradizionale esiste il monopolio del banditore, unica figura ad enunciare i prezzi, quando questo monopolio verrà intaccato eliminando il monopolista e facendo in modo che gli operatori chiudano contratti convenienti anche a prezzi non d' equilibrio (Smale, Foley, Gintis...), la stabilità dell' equilibrio sarà garantita.Had economic theorists [in the 1960s] rested content with using the microeconomics of the Neoclassical Synthesis strictly as a conceptual device employed in abstract reasoning, it might have done little damage. However, as I have already suggested, this type of theory cried out for application—which, in practice, was nearly always misapplication. The idealized conditions required for theoretical general-equilibrium efficiency could not possibly obtain in the real world; yet the economists readily endorsed government measures aimed at coercively pounding the real world into conformity with these impossible theoretical conditions.Closely examined, such efforts represented a form of madness. As the great economist James Buchanan has observed, the economists’ obsession with general equilibrium gives rise to “the most sophisticated fallacy in [neoclassical] economic theory, the notion that because certain relationships hold in equilibrium the forced interferences designed to implement these relationships will, in fact, be desirable.
PPPS Steven Landsburg in un capitolo di Armchair economist denuncia come la metafora della mano invisibile sia stata malcompresa parafrasandone in modo geniale ilo messaggio sostanziale. se un sistema di mercati non si stabilizza su un equilibrio efficiente è solo a causa del fatto che a quel sistema manca un mercato, bisogna crearlo.La mancanza di un’adeguata teoria delraggiungimento dell'equilibrio di mercato è certamente una evidente lacuna cui, tuttavia,è possibile ovviare. Per esempio, Stephen Smale (1976) ha introdotto un elemento direalismo dei mercati abbandonando il Banditore e permettendo che le transazioni avvengano a prezzi non di equilibrio. Nel suo modello, partendo da una dotazioneiniziale, gli individui partecipano ad una serie di scambi consistenti unicamente nellarichiesta che le transazioni accrescano la soddisfazione delle parti nello scambio e chenessuno di questi scambi rimanga non sfruttato. Così viene raggiunta la convergenza adun vettore dei prezzi di equilibrio e ad un'allocazione Pareto-efficiente. Duncan Foley (1994) ha adattato un modello di meccanica statistica dalla fisica perraffinare i risultati di Smale, identificando alcune sequenze di scambi, sempre vantaggiosirispetto al livello individuale di utilità di partenza, come più probabili di altri. Ladescrizione di Foley di questo modello di economia è un'espressione esemplare di unsistema di mercato astratto non Walrasiano... L'allocazione di equilibrio di Foley è approssimativamente Pareto-ottimale. Da unpunto di vista metodologico la svolta interessante nel lavoro di Foley è che la stabilità delvettore dei prezzi è raggiunta in presenza di scambio continuo... Il lavoro di Foley e Smale sottolinea il concetto che la stabilità quasi-globale puòessere dimostrata da ipotesi plausibili in un modello di scambio competitivo. Il risulato diSonnenschein era più un risultato negativo riguardante l'approccio Walrasiano, che noncirca l'idea di un equilibrio competitivo generale. Esso ebbe l'effetto di una “bomba” solo a causa dell'allora attuale stato egemonico del paradigma Walrasiano. La sensazionediffusa che la teoria economica astratta delle interazioni competitive in più mercati di ungran numero di agenti avesse raggiunto un vicolo cieco è del tutto fuori luogo. In verità,il lavoro di Foley e Smale mostra che un modello, che rappresenti il modo in cui un grannumero di agenti con informazione limitata che interagiscono in maniera decentralizzataper produrre risultati aggregati, possa mantenere molte caratteristiche dei modelliconvenzionali. Tra queste caratteristiche ricordiamo: i prezzi che si aggiustano in modoragionevole alla domanda in eccesso, la convergenza ad un equilibrio e la natura(approssimativamente) Pareto-ottimale dell'allocazione quando gli impedimenti alloscambio e le interazioni non mediate dal mercato siano assenti.
Prendendo spunto dal teorema di Arrow, Sen dimostra che, in uno stato che voglia far rispettare contemporaneamente efficienza paretiana e libertà possono crearsi delle situazioni in cui al più un individuo ha garanzia dei suoi diritti. Egli dunque dimostra matematicamente l'impossibilità di perseguire l'efficienza ottimale, secondo Vilfredo Pareto, e insieme il liberalismo.
L'importanza della negazione dell'ottimo paretiano consiste nel superamento del concetto che il solo mercato basti per sviluppare una società liberista, derivato dalteorema dell'impossibilità di Arrow che fa da base anche per il lavoro di Herbert Scarf[1] sul disequilibrio dei mercati lasciati a sé.[2]
Prendiamo l’esempio di Sen del libro licenzioso. Ci sono due individui (chiamiamoli Andrea e Giorgio) e tre possibilità (1: Andrea legge il libro, 2: Giorgio legge il libro, 3: nessuno legge il libro). Andrea è un puritano e preferisce che nessuno legga il libro (possibilità 3) ma, come seconda possibilità, preferisce leggere lui il libro affinché Giorgio non possa leggerlo. Abbiamo dunque 3 preferito a 1 e 1 preferito a 2. Giorgio trova piacere ad imporre la lettura a Andrea. Preferisce 1 a 2 e 2 a 3. Secondo il principio dell’ottimo paretiano, se si deve scegliere tra 1 e 2, bisogna scegliere 1 poiché per le due persone 1 è preferito a 2.
Una società liberale non vuole imporre la lettura a Andrea e perciò 3 è preferito a 1. Essa lascia inoltre che Giorgio legga il libro (2 è preferito a 3). Abbiamo dunque 2 preferito a 3 e 3 preferito a 1. Questo risultato è contrario al principio dell’ottimo paretiano poiché, come abbiamo visto, 1 è preferito a 2. Sen intitola il suo articolo "sull'impossibilità di un liberale paretiano".
Forse sorprendentemente, il mercato non gioca nessun ruolo in questo modello, né il modello è consistente con un qualsiasi processo di raggiungimento dell'equilibrio. Il motivo di ciò è da ricondursi al fatto che consumatori e venditori non stabiliscono i prezzi (non possono influenzare il prezzo). Arrow e Hahn (1971:325) posero la loro attenzione su questa lacuna:"Se non assumessimo...un Banditore, dovremmo descrivere come può verificarsi che ad ogni momento nel tempo due beni vengano scambiati allo stesso rapporto ogni volta che lo scambio avviene e come questi rapporti cambino sotto la pressione del mercato." Tramite il Banditore ovviamo alla necessità di stabilire una teoria della dinamica del mercatopppps Da non dimenticare poi la prassi. In questo senso la lezione di Vernon Smith puo' essere utile:
Eric-Emmanuel Schmitt – Il posto dell’ altro
“Adolf Hitler: respinto”
Il verdetto piombò su di lui come un righello d’ acciaio sulla mano di un bambino.
“Adolf Hitler: respinto”.
Hitler si guardò intorno, decine di adolescenti con le orecchie congestionate, la mandibola contratta, il corpo allungato sulla punta dei piedi, le ascelle sudate per la tensione, ascoltavano il bidello che salmodiava i loro destini. Nessuno faceva attenzione a lui. Era in corso una tragedia immane e nessuno se ne sarebbe accorto… un annuncio esplosivo che squarciava l’ universo: Adolf Hitler, respinto.
La loro indifferenza era tale che quasi quasi Hitler dubitava di aver sentito bene. Sto male, una lama gelida mi lacera il torace fino alle budella, sto perdendo sangue e nessuno se ne rende conto. Nessuno vede il dramma che mi è rovinato addosso. Sono dunque solo sulla terra a vivere con questa intensità? E’ davvero lo stesso il mondo in cui viviamo noi tutti? Nel frattempo, il bidello - giusto quel tipo di idiota che si terrorizza per un topolino - convinto di aver annunciato la verità si ritirò.
Hitler avrebbe potuto essere diverso da come fu, e, in ogni caso, non fu nemmeno il mostro che molti ritengono.
Per ficcarlo bene in testa ai suoi lettori Eric-Emmanuel Schmitt intercala due storie: quella reale e quella che esordisce con una lieta notizia (l’ ammissione all’ Accademia delle Belle Arti di Berlino) per chiudersi poi con un happy end nientemeno che in California.
Non sfugge a nessuno che il protagonista è il medesimo in entrambe le vicende: stessi pregi e stessi difetti.
Un tale che, sebbene non passi inosservato, non puo’ nemmeno essere definito come un individuo eccezionale, fuori dalla norma, o ancor peggio un bruto senza pari.
E’ invece persona tutto sommato normale. Normale come il male.
Dopo la lettura sapremo che un male normale contenuto in un cuore umano normale puo’ riempire un intero continente.
Di questo cuore possiamo farne la caricatura per sgravarci la coscienza, ma è una tattica perdente in partenza. Ce ne rendiamo conto saggiando la naturalezza con cui si snodano le vicende, entrambe plausibili.
Si tratta dunque di un uomo. E se è un uomo, è il nostro prossimo; il romanzo mira a spingercelo addosso, a farci sentire questa imbarazzante prossimità.
Figlio di un impiegatuccio violento e polemico, il ragazzo magro dal colorito cereo guardava adorante alla mamma e si riteneva un puro, un idealista. il suo orrore per i contatti fisici è noto. Così come è nota la sua delicata psicologia: una mente ipersensibile in grado di dare tanto se sotto l’ influsso dell’ esaltazione ma sempre così pronta a ripiegarsi se spinta a dubitare.
Ad alimentare l’ imbarazzo il suo amore per le arti, per la cultura, per gli animali.
Non fu nemmeno antisemita finché non gli convenne esserlo: la sua gioventù pullula di frequentazioni pacifiche con amici ebrei.
Le turbe abbondano, questo è vero: l’ uomo è sempre intento a sopravvalutarsi e a scavare tra sé e gli altri un fossato che renda difficile ogni confronto e, al tempo stesso, credibile l’ enorme auto considerazione.
Odiava l’ imprevedibilità della competizione ma soprattutto i suoi esiti e le sue graduatorie, per difendersene divenne un esperto razionalizzatore: lui non aveva fallito negli studi, li aveva sabotati perché chiamato ad incarichi più elevati; non aveva passato anni a vagabondare nei ricoveri dei poveri, aveva condotto una vita sua bohème. Questo metodo gli consentiva di ricostruire la sua storia insignificante come se fosse un’ opera wagneriana.
Non saremo certo noi a scandalizzarci per il ricorso a trucchetti del genere, noi che sul blog passiamo tanto tempo a stimare la pervasività della dissonanza cognitiva.
Suvvia, chi non ha creduto di essere un campioncino per il solo fatto che spadroneggiava nel proprio cortile? e chi non ha opposto resistenza a chi ci spingeva fuori da quel cortile?
Sessualmente era un po’ pervertito, d’ accordo. Nulla di grave, viviamo in epoche che hanno ampiamente riabilitato ogni forma di perversione. L’ uso della parola stessa è un azzardo.
Siete pronti ad abbinare mostruosità e delicatezza d’ animo? Siete portati a scovare il serial killer in colui che trepida fino allo svenimento di fronte al corpo nudo dell’ amata? E’ un collegamento che non approntiamo tutti i giorni, ma nel libro è un leitmotiv.
Nella corte del fuhrer in erba per gli spiritosi la vita era dura, le rappresaglie sempre in agguato. Ma in ogni setta, si sa, le cose funzionano così.
Né il narcisismo, né la seriosità, né la perversione saranno mai capaci di rendercelo un marziano.
Anzi, un’ ondata empatica ci sorprende allorché ci imbattiamo, per esempio, nei suoi stentati esordi da oratore. Parlare in pubblico era per lui un dramma, balbettava, ciancicava e s’ incaponiva in patetici tentativi nonostante persistesse in lui una sorta di afonia emotiva: non gli usciva mai niente se non sudore e una sorta di imbarazzo mischiato con la sensazione di essere un intruso.
Finché un giorno non capì che per la sua indole era essenziale rivolgersi ai sentimenti negativi delle persone. Gli fu chiaro nel corso dell’ apprendistato in qualità di “agitatore da birreria”, il suo carisma funzionava se c’ era un rancore da grattare, una crosta da togliere, una cicatrice da riaprire. Nulla di buono poteva produrre in occasione di un brindisi matrimoniale o di una commemorazione funebre.
Ma poi, l’ affascinante contrasto tra l’ oratore vigoroso e l’ uomo timido, goffo, con l’ educazione impostata piena di salamelecchi viennesi, cominciò a sedurre ammiratori di differente estrazione.
E anche qui, che c’ è di strano?
Ogni mago della retorica ha le sue tonalità predilette. Chiedete a Cioran di modulare un auspicio. Il suo sapiente francese cadrebbe miseramente in frantumi.
Dopo la “rivelazione” non furono in pochi a considerarlo solo una chiassosa grancassa. Ebbene, anziché perdere tempo nei risentimenti ebbe la scaltrezza di cogliere tutti i vantaggi che comporta l’ essere sottovalutati.
Gridò talmente forte che lo sentirono e lo votarono da tutta la Germania. Lo avevano trovato convincente. In democrazia un gioco aggressivo e limpido è quasi sempre vincente.
Al pericolo si dimostrarono tutti sordi: le responsabilità di governo lo avrebbe calmato, si pensava. Purtroppo mancava un tassello fondamentale alla consapevolezza degli elettori: avevano eletto un artista emotivo, mica un politico.
Credeva in buona fede ai suoi ragionamenti grossolani. Grossolani ma efficaci. Era il primo ad entrare in estasi sentendosi parlare, a meravigliarsi della facilità con cui passava dal lirismo alla virulenza, a lasciarsi sorprendere dall’ energia che sprigionava.
Nella sua mente, poi, i discorsi non finivano mai costringendolo ad una vita interiore dall’ intensità inusitata. Assomigliava sempre più ad un posseduto costantemente attraversato da idee ingegnose e strane. Una fabbrica della realtà a getto continuo. L’ audacia delle sue pensate lo spossava.
La passione per i libri ed i concerti musicali assumeva livelli parossistici, processo tipico nell’ autodidatta. Se avesse potuto uscire dal bunker sarebbe andato a teatro.
A questo punto è giunto il momento di chiedersi se le sommarie informazioni appena esposte ci impressionano e ci fanno presentire la catastrofe.
Spero di no! Di fronte alle turbe che affliggono altri memorabili personaggi della letteratura quelle riferite sono acqua fresca. Giusto buone per rendere interessante una figura di cui si dovrà parlare per quattrocento pagine.
Ma Eric-Emmanuel Schmitt ci chiede di più, ci chiede di entrare in intimità con Hitler. Io, nonostante l’ indubbia abilità dello scrittore, non ci sono riuscito. Mi sono sempre mantenuto al di qua di un’ invalicabile intercapedine.
E’ un problema che mi porto dietro quando leggo libri di storia romanzata, persino le auto-fiction mi lasciano freddo. In fondo è la medesima difficoltà che m’ impedisce di ascoltare la quinta di Beethoven: l’ eccessivo imballaggio reifica la musica.
Eppure, lo stesso romanzo con al centro una persona di pura invenzione avrebbe funzionato. Perché non è stato scritto?
Forse perché Eric, come ammette nel diario in appendice al romanzo, si è sentito dire troppe volte da amici e parenti di rinunciare al pericoloso progetto; a quel punto, si sa, l’ artista non puo’ più esimersi.
Ottimo esempio che manda nel pallone la cosiddetta etica laica.
Come sbrogliare la matassa?… the following question seems to me to be of both supreme importance and supreme difficulty: Do living people have any moral obligation to the trillions of potential people who will never have the opportunity to live unless we conceive them?
The answer is surely either "yes" or "no," but either answer leads to troubling conclusions. If the answer is "yes," then it seems to follow that we are morally obliged to have more children than we really want. The unconceived are like prisoners being held in a sort of limbo, unable to break through into the world of the living. If they have rights, then surely we are required to help some of them escape.
But if the answer is "no"--if we have no obligations to those imprisoned souls--then it seems there can be no moral objection to our trashing Earth, to the point where there will be no future generations. (That's not to say that we'd necessarily want to trash Earth; we might have selfish reasons for preserving it. I mean to say only that if we ever did want to trash Earth, it would be morally permissible.) If we prevent future generations from being conceived in the first place, and if the unconceived don't count as moral entities, then our crimes have no victims, so they're not true crimes.
So if the unconceived have rights, we should massively subsidize population growth; and if they don't have rights, we should feel free to destroy Earth. Either conclusion is disturbing, but what's most disturbing of all is that if we reject one, it seems we are forced to accept the other. Perhaps there's a third way, and that's just to admit that we're incapable of being logically rigorous about issues involving the unconceived.
1. L’ innovatore non è incentivato a dovere.
Even in societies in which markets were relatively free and developed, there was rarely any proportionality between the contribution of an innovator and the rewards he or she reaped. At least in that sense, the situation was not different from what it is today: Nordhaus (2004) has estimated that in modern America only 2.2 percent of the surplus of an invention is captured by the inventor him/herself. Things surely looked no better in the eighteenth century. … If ever there was a divergence between social and private net benefits, the Industrial Revolution was it. The impact of the technological elite on the rest of the economy was thus vastly larger than proportional to their size.
That is from Joel Mokyr’s The Enlightened Economy: An Economic History of Britain 1700-1850 (p.88)
2. L’ innovazione, anche se c’ è, non si diffonde.
Innovation is terribly important; it is why we are rich. But how exactly does innovation happen? An awful lot of innovation seems to happen via diffusion, i.e., spreading one at a time via a network of who knows who. A recent AER paper considers three possible diffusion processes:
[Consider] situations where the [innovation diffusion] dynamics are driven from within; that is, there are internal feedback effects from prior to future adopters. …
1. Contagion. People adopt when they come in contact with others who have already adopted; that is, innovations spread much like epidemics.
2. Social influence. People adopt when enough other people in the group have adopted; that is, innovations spread by a conformity motive.
3. Social learning. People adopt once they see enough empirical evidence to convince them that the innovation is worth adopting, where the evidence is generated by the outcomes among prior adopters. Individuals may adopt at different times due to differences in their prior beliefs, amount of information gathered, and idiosyncratic costs.Social learning is consistent with the observed pattern of diffusion of hybrid corn, although we cannot say that it was the sole explanatory factor. We can also say with some confidence, however, that inertia and contagion were probably not the sole explanatory factors, and given Griliches’s findings neither was social influence.
I’ve been watching this innovation process up close for several years, as prediction markets slowly spread through the corporate world. One might hope that we had central technology experts, and once they approved a new tech, everyone would adopt it. No way. People don’t believe something works until they’ve seen it work in something pretty close to their situation. A media story about something far away just doesn’t say much.
Tyondai Braxton – Central Market -
In passato la “musica contemporanea” era meritatamente famosa per la sua musoneria; nessuno puo’ negare che si presentasse puntualmente in pubblico esibendo pose corrucciate. Già parlare di “presentarsi in pubblico” è un’ esagerazione visto che al pubblico dava le spalle quasi nemmeno fosse presente in sala. C’ era poi il mito del “work in progress”: tra la prova e la prima diventava difficile distinguere. E poi che avarizia di suoni!: arrivava giusto qualcosa ogni tanto, e sempre appena dopo l’ abbiocco. A fine serata spesso si contavano più starnuti che note.
Chi non ama l’ odore del cloroformio e soffre le atmosfere troppo disinfettate, puo’ rifarsi frequentando l’ estetica anni ottanta del giovane Tyondai Braxton; appena lo vedi capisci subito quanto il giovanotto sia poco incline all’ austerità, la sua musica festaiola è più sgargiante di un frutto tropicale. E se la fai a fette non sporca neanche, resta compatta e rimontabile, quasi fosse costruita con il lego.
Le sue storie preferite sono scintillanti, rozze e sfilacciate quanto quelle inventate dal bimbo in vacanza che gioca da solo sul marciapiede: hanno la rapsodia colorata del cartone animato e la precarietà della fiaba che dura fin che dura la veglia del piccolo.
Predominano due gusti: il primo volgare, per la plastica; e secondo puerile, per il minuscolo.
Ottimo musicista, per carità. Ma chi se la sentirebbe di avallarlo? Innanzitutto ha sempre il singhiozzo, sintomo preoccupante; secondo poi è zoppo, sul suo stendardo sventola il simbolo della papera; quel suo modo sbilenco di procedere lascia molti perplessi, viene voglia di infilare una zeppa da qualche parte; i suoi pezzi sono infarciti di allegre collisioni, i suoni pogano tra loro senza requie (le risse non sono rare), ma non a tutti piace l’ autoscontro, molti amano altri tipi di giostra; la sua musica, infine, è piena di bulloni (spesso avvitati male), nel vorticoso taglia e cuci va sempre perso qualcosa; come se non bastasse, l’ esito finale è tutt’ altro che innocuo: ad un certo punto i colori diventano un po’ troppo colorati, cio’ che prima frizzava ora corrode, l’ allegria vira nell’ orgiastico, il flicorno trasmuta in una trombetta-party e il flicornista in una marionetta con l’ occhio sbarrato e il sorriso stampato. La sensazione di essere caduti dalla padella (la musoneria) alla brace (allegria impasticcata) fa capolino.
Braxton è un fornitore di musica con un magazzino sterminato, c’ è roba buona per sospirare, per strizzarsi le meningi, per fischiettare; spesso c’ è roba buona per fare tutte e tre le cose contemporaneamente; puoi trovarci l’ elettronica di prima generazione come la collezione di suoni autunno inverno della stagione ventura. E’ comunque roba piena di proteine e grassi insaturi: abbondano anche i coloranti; i conservanti un po’ meno, a giudicare dal sottile lezzo di marciume che si nota in sottofondo.
Se ti compri da lui una sinfonia (viene via a poco), puoi succhiarla con la cannuccia, quel che resta lo butti (resta sempre un mucchio di roba); poi ti sbrani un quartetto, l’ imponente imballaggio lo farai sparire in qualche modo. La scorza del trio per oggi la scoperai sotto il tappeto. Quando ti sgranocchi la canzone, occhio alle bucce. La musica da camera è fresca come una spremuta, si sa, ma ogni spremuta ha la sua feccia, che farne? Per questa volta buttiamola in strada; l’ hard bop si fa aspirare voluttuosamente, ma il mozzicone che ci resta tra le dita? Gettalo sull’ asfalto e gira l’ angolo alla svelta.
Ascolta, consuma e crepa. Qualcuno pulirà.
Nel mondo di Braxton fioriscono i commerci, le note sono in vendita giorno e notte e la produzione è a ritmo continuo.
L’ abbondanza è tale che i prezzi collassano come fossero in caduta libera; la gente succhia, aspira, mastica, annusa a più non posso ma non riesce a star dietro al musicista. Orifizi e pori si otturano ad uno ad uno e si dispiega lo spettacolo della voglia pazza in presenza di sensi disattivati. Sembra che circolino solo eunuchi operati in modo maldestro.
Abbondanza! I prezzi calano, si passa ai saldi tutto l’ anno, dopo i saldi scattano gli omaggi, finché non resta che macerare le eccedenze e comprimere i capolavori rimasti in eco-balle da stoccare chissà dove.
Finché ormai, resi totalmente insensibili dal bozzolo che ci serra, un giorno scopriremo con terrore che questo genere di plastiche non è smaltibile neanche col fuoco.
Siamo chiusi dentro un minuscolo pianeta e i moduli musicali di Braxton continuano ad uscire a ritmo “gioiosamente” forsennato. Il livello del blob si alza. Siamo già tutti sui tetti in attesa di elicotteri che non verranno. Aiuto!
Qualcuno si avvicina a passi felpati alla stanza del prolifico compositore sfoderando un coltellaccio, apre la porta e…
- continua -
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Ascendenti: George Gershwin - Rimskij-Korsakov - Igor Stravinsky - Frank Zappa.
Alexander Sokurov – Oriental Elegy
Una foglia qualsiasi cade all’ improvviso in un autunno qualsiasi.
Ma non abbastanza da sorprendere Sokurov, che la filma.
Era lì, appostato da anni ad attendere l’ evento.
Forse questo aneddoto/haiku inventato sui due piedi rende in qualche modo la poetica del siberiano.
Nel mondo del grande schermo sono in molti a diffidare della lentezza. Non Sokurov, che anela all’ immobilità.
La sua immagine cinematografica sospira di nostalgia ricordando i bei tempi in cui era solo una fotografia. Ora puo’ permettersi solo certe sfumature seppia ma per il resto le tocca di malavoglia fluire nel tempo.
L’ immobilità pura infatti non esiste e Sukorov, armato di una pietas infinita e di un occhio scrutatore particolarmente indiscreto, si dedica anima e corpo alle impurità che screziano di continuo un silenzio che non sta mai zitto.
Puo’ essere il maestoso incedere delle nebbie come la strascicata deambulazione dell’ ottuagenario, qualsiasi fenomeno in grado di dilatare i ritmi guadagna presto l’ attenzione meritandosi una delle sue proverbiali cornici.
Entriamo in un mondo senza elettricità tagliato da luci caravaggesche che sembrano rasoiate (il miope in platea continua a mettere e togliere gli occhiali); anzi, direi meglio che sembra di calarsi in una tela di Rothko: non si cerca una storia da raccontare, piuttosto uno spazio da abitare.
L’ unità di tempo è rispettata come un dogma di fede, anche quando si documenta la cottura del riso.
Chi sono i protagonisti?
Innanzitutto un ruolo fondamentale spetta allo scricchiolio del parquet, ma se la deve vedere con una ruga particolarmente espressiva collocata sulla fronte della vegliarda (la geografia mobile della cute invecchiata è valorizzata a dovere). Anche la nodosità delle artritiche nocche merita una menzione speciale. L’ idraulica della deglutizione è sottoposta a peritosa indagine grazie ad enormi microfoni pelosi collocati strategicamente. Il tipico taglio oculare della mandorla giapponese non ha più misteri dopo i lunghi piani-sequenza di cui è fatto oggetto.
Manca solo lo sporco nelle orecchie.
Ma tutto puo’ diventare protagonista da un momento all’ altro e non abbiamo la minima idea di dove ci condurrà l’ ennesima infinita dissolvenza del Maestro.
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… nella valutazione di molti dei nostri talenti la scuola assume un sano atteggiamento realistico… al bambino con chiare lacune cinetico-motorie viene chiesto di frequentare l’ ora di ginnastica ma difficilmente s’ investirà su di lui per farne un atleta a livello agonistico… chi ostenta fin da subito scarse doti musicali è tenuto a conoscere alcuni rudimenti ma non a tentare il conservatorio per divenire musicista… chi è sotto la media quanto ad abilità spaziale seguirà le lezioni d’ arte ma non subirà pressioni per investire le sue energie migliori in quell’ ambito… chi ha scarso controllo nelle relazioni interpersonali riceverà uno sprone se vergognoso e un’ avvertenza se aggressivo, ma tutti sono d’ accordo che è fatica sprecata puntare su questi soggetti per farne degli addetti alle pubbliche relazioni… i bambini incapaci di concentrazione saranno aiutati ad acquisire sane abitudini di studio ma ci vuole poco a constatare che per loro taluni obiettivi sono interdetti… Solo per quanto riguarda le abilità linguistiche e logico-matematiche si pretende invece che tutti facciano bene. La realtà qui viene congedata, anche quando si presenta nelle forme più nitide… Eppure sappiamo che almeno metà dei bambini non è in grado di leggere o calcolare con quella facilità che la scuola pretende da loro… questi bambini vengono tormentati per anni con pretese irrealistiche… è normale che in queste condizioni identifichino la scuola come un luogo di tormento… Parecchi di loro, molto semplicemente, non sono abbastanza intelligenti per seguire con successo un convenzionale percorso accademico… cio’ non significa che dobbiamo ostentare durezza o indifferenza, basterebbe lasciare da parte l’ ampollosa e mal fondata retorica del “leave no child behind”… Ripensate per un attimo alla vostra esperienza scolastica, probabilmente avete un buon ricordo di quando, incoraggiati da un insegnante di razza a fare qualcosa che non riuscivate a fare, avete alla fine sfondato… ma vi farà ancora male pensare a come avete deluso persone che vi sostenevano sospingendovi alla conquista di obiettivi irrealistici… Ricordo ancora di essere stato il cocco del mio allenatore di baseball, e ricordo quel tragico pomeriggio quando mi schierò come ultimo battitore nella sfida decisiva contro i Bruins… di fronte allo scetticismo generale per questa scelta a dir poco stravagante si adoperava per spendere in mio favore parole di ammirazione e fiducia in modo da incoraggiarmi a puntino… ma la realtà fino ad allora aveva parlato chiaro: io ero da sempre il punto debole della squadra… e quando presi posto sulla base la mia performance fu la solita: un mezzo disastro… la delusione che sentivo attorno mi spezzò il cuore e ancora oggi metto piede con terrore in un campo da baseball… eppure mi ero limitato a fare quello che sapevo fare e che tutti sapevano che sapevo fare, non meritavo certo di essere punito in modo tanto efferato… pretendere che uno studente raggiunga livelli che molto semplicemente non puo’ raggiungere è crudele prima ancora che sbagliato… nessuna strategia pedagogica, nessun carico di compiti a casa, nessun miglioramento nella preparazione degli insegnanti puo’ far sue certe mete utopiche… non resta che il trucco di abbassare implicitamente gli standard girandosi dall’ altra parte… A questo punto ci sono tre ordini di obiezioni a cui vanno soggette le osservazioni fin qui svolte: 1. l’ IQ non cattura le capacità di apprendimento, 2: l’ IQ puo’ essere innalzato e 3. la scuola di oggi è talmente in pessimo stato che persino a chi è sotto la media puo’ ricevere di più anche senza che migliori le sue capacità… La risposta alle prime due sembra semplice, la terza è più impegnativa… i prossimi capitoli saranno dedicati a districare questa trama…Charles Murray – Real Education
Forse il filosofo più perspicace nel difendere l’ idea di un Progetto Intelligente:
The philosopher who has occupied himself most extensively with the Anthropic Principle is John Leslie, to whom Swinburne alludes. Though self-confessedly neither a Christian nor even a traditional theist, Leslie has argued repeatedly that the observed delicate balance of conditions requisite for the existence of intelligent life at this point in cosmic history does require an explanation and that the explanation of intelligent design is superior to any alternative. He argues against those who would short-circuit the demand for an explanation by objecting that since the universe is unique, the probability of its present complexity cannot be assessed, or that though the balance of conditions in the universe is improbable, still any improbable condition will obtain once and that "once" could be the first time.20 According to Leslie, without the Many-Worlds cosmology, the claim that no explanation of the universe's order is needed is "ludicrous"; it is like a person emerging unscathed after being machine-gunned from fifty yards for fifty minutes and who shrugs off the need for any explanation of his being alive by saying that all the bullets' missing, though improbable, could happen and that he wouldn't be there to ask about it unless that possibility were realized.21 According to Leslie, the standard objections to the design argument threaten to delay the development of science, for if these objections were correct, there would be no reason for developing Many-Worlds cosmologies, which are important to science. He notes that there is no independent evidence for the existence of many worlds except for the existence of intelligent life itself and that the attraction of the Many-Worlds scenario for many scientists shows that they recognize that the fine-tuning apparently present in the universe does cry out for explanation. But the evidence for a Many- Worlds model is equally evidence for an intelligent designer. Both hypotheses are rendered more probable by the observed features of the universe than they would be in the absence of such features. This conclusion alone, it seems to me, is highly significant, for it confronts us with a dilemma, both horns of which involve heavy metaphysical commitments. Are we going to posit God or a World Ensemble? According to Leslie, this is the choice that we must make if we do not choose simply to ignore the problem. He points out that most of the Many-Worlds theories are obscure and incomplete and that the God- hypothesis is neither unscientific nor more obscure than those theories. Moreover, individual models for generating the World Ensemble can be criticized… Despite such problems, people continue to believe in Many-Worlds scenarios, opines Leslie, because they feel that without them there is no explanation of how intelligent life did originate…
Il quartetto d’ archi dei Brooklyn Rider accompagna la cantautrice Christina Courtin. Vecchi compagni di banco 10 anni prima alla Juilliard School hanno deciso che le strade intraprese non erano poi così differenti.
Tra altalene e fette di prosciutto… everyday is an holly-day…
AAVV - Rave On Buddy Holly
Katja Grace minimizza Lakoff.
George Lakoff has argued that metaphors underlie much of our thought and reasoning:
The science is clear. Metaphorical thought is normal. That should be widely recognized. Every time you think of paying moral debts, or getting bogged down on a project, or losing time, or being at a crossroads in a relationship, you are unconsciously activating a conceptual metaphor circuit in your brain, reasoning using it, and quite possibly making decisions and living your life on the basis of your metaphors. And that’s just normal. There’s no way around it! Metaphorical reason serves us well in everyday life. But it can do harm if you are unaware of it.
A different bike path by Moominmolly
Images also seem to play a big part in most people’s thought. For instance when I think ‘I should go home soon before it gets dark’ there are associated images of my hallway and a curve of the bike path in evening light. I wonder how much the choice of such images influences our behaviour. If the image was of my sofa instead of my hallway, would I be more motivated? If the word ‘dog’ brings to mind an image of a towering beast I saw once, am I less likely to consider purchasing a dog of any kind than if it brings to mind something rabbit sized? If ‘minimum wage’ brings to mind a black triangle of dead weight loss, am I less likely to support a minimum wage than if it brings to mind an image of better paid workers (assuming my understanding of economics and society are the same)? This seems like something people must have studied, but I can’t easily find it.
It seems likely to me that such images would make some difference. If it is so, perhaps I should not let the important ones be chosen so arbitrarily (as far as my conscious mind is concerned).
La gara sostituisce il beuty contest nell’ assegnazione delle licenze TV, lo ha deciso il governo Monti.
Mossa saggia degli esperti? No, solito trucchetto per incassare il “pizzo di Stato”.
Si dirà: ma come! Lo Stato da padrone dell’ etere fa legittimamente pagare il suo uso.
E perché mai lo Stato dovrebbe essere padrone dell’ etere?
Non esistono valide ragioni visto che l’ etere non è certo un bene pubblico.
Caso mai lo è la regolamentazione che ne disciplina l’ uso, ma quella s’ incarna proprio nel “beuty contest”.
Trucchetti del genere per raggranellare quattro soldi sono comprensibili, tutto fa brodo. Ma che vengano ostentati da chi sulla fronte porta stampato: “finalmente giustizia è fatta” indigna anche chi ha smesso di indignarsi da un bel po’ di tempo.
Quando tra vari prodotti in concorrenza esistono solo minime differenze qualitative, la pubblicità diventa decisiva.
Siano dentifrici, detersivi o profumi, la pubblicità fa la differenza: non potendo puntare sulla sostanza si ripiega su altro. In particolare, si abbinano al prodotto degli status che siano appetibili al consumatore.
Sembra proprio che una dinamica simile spieghi la sorte di certi servizi educativi: anche qui le ridotte differenze in termini di qualità richiedono massicci investimenti pubblicitari.
Preciso subito: in questo caso il termine “pubblicità” va virgolettato. Si lavora più che altro sulla “fama”, sul “credito”, sulla “reputazione”.
Potete rendervi conto immediatamente di quanto dico mediante una piccola introspezione personale.
Domandatevi: in che condizioni vorrei trovarmi (o vorrei che si trovasse mio figlio)?
Due ipotesi: 1. preparazione università di Macerata e titolo Bocconi o 2. preparazione Bocconi e titolo università di Macerata?
Io non ho dubbi, scelgo il caso 1 perché ritengo che apra le prospettive più promettenti, e questo a conferma di quanto sopra: in ambito educativo l’ abito conta spesso più del monaco.
Ma la guerra non è solo fra università, anche l’ istruzione superiore in sé investe molto in termini pubblicitari: oggi chi non ha almeno una laurea è malvisto e le stesse aziende esibiscono orgogliose il loro staff di prestigiosi plurilaureati.
Vorrei solo precisare che non depreco quel che in passato è stato chiamato “bisogno indotto”. Punto altrove il mio dito.
Tra il “dentifricio” e l’ “università”, infatti, c’ è una differenza fondamentale: nel primo caso la costruzione dell’ immagine è a carico del produttore. Ma nel secondo caso? Mi sa proprio che è a carico di tutti.
Mi sbaglio?
1. Che importanza rivestono le “regole” nell’ educazione di un bambino? Incideranno in qualche modo sull’ adulto che sarà o si limiteranno a facilitare l’ organizzazione familiare (e il benessere dei genitori)?
2. Partendo dal presupposto che le regole siano necessarie, e dovendo indicarne tre, quali sceglierebbe in ordine di importanza?
3. Come capire la differenza tra un “bisogno” e un “capriccio”?
4. Partendo dal presupposto che esistano comportamenti dei genitori dannosi per i figli, e dovendo indicarne tre, quali indicherebbe in ordine di importanza?
5. Secondo lei, il bambino medio che oggi nasce in un ambiente non patologico, rischia maggiormente di essere trascurato o sovra accudito? In altri termini, in che senso dobbiamo rettificare l’ immaginario che riceviamo dall’ambiente?
6. Qual è lo stile educativo che ci propone? Puo’ indicare, per chiarezza, un’ alternativa sostenuta autorevolmente e in buona fede che ritiene rispettabile pur se opposta alla sua visione?
Sara & Riccardo
Tra le politiche ambientali più popolari rientra quella volta a proteggere specie in via di estinzioni. Di solito lo si fa limitando la proprietà privata attraverso proibizioni.
Niente di più sbagliato: occorre più proprietà, non meno. Se le specie hanno un qualche valore l’ affare è certo. Qualora il mercato non riesca a protegere le specie in questione avremmo una preziosa informazione: per la società quella specie non merita di essere protetta.
L’ Africa fornisce buone conferme sul funzionamento di questa strategia.
Una politica alternativa richiede di risarcire i danneggiati. In questo caso, per lo meno, i costi sono espliciti e la voce dei tartassati potrebbe farsi sentire.
Pensate ad un ospedale che lavora per produrre profitti. La cosa a molti ripugna, e lo stesso dicasi per le scuole.
Ma perché?
A rifletterci bene non esistono motivazioni convincenti per supportare in modo ragionevole questa intuizione.
Le cose stanno un po’ come per il volontariato: perché mai impegnare se stessi in forme di volontariato quando le stesse funzioni potrebbero essere svolte in modo più adeguato – nonché più economico – da un professionista?
Per me, in questi casi, la cosa più naturale è pensare ad una particolare forma di vanità.
In alternativa potrei pensare che per molti la voglia di sacrificare se stessi ha la precedenza sull’ aiuto reale da dare al prossimo.
Altre idee?