lunedì 26 settembre 2011

L’ eresia dell’ informe

A cosa dobbiamo il degrado della musica liturgica?

Martin Mosebach va molto indietro accusando l’ idealismo tedesco!:

… La filosofia, un vizio tedesco, ha introdotto nei cervelli, anche più modesti, l’idea di una differenza tra forma e contenuto. Secondo questa dottrina i contenuti e le forme possono essere separati gli uni dagli altri…

… Chi coglie e prende sul serio la forma, si espone al pericolo di perdersi ugualmente nella menzogna. Egli è l’esteta. Egli cerca la verità nei luoghi sbagliati, e cioè nella sfera dell’evidenza sensibile, e la cerca con strumenti proibiti, e cioè con i suoi sensi, con il suo gusto, la sua esperienza e la sua ragione. Da questa rivolta intellettuale contro l’evidenza delle cose, è nata la disposizione fondamentale del nostro tempo: una sfiducia di cui è ricolma l’intera opinione pubblica contro ogni tipo di bellezza e di perfezione…

arte delle ombre

Ma Aurelio Porfiri non ci sta e su Zenit fa notare:

… è proprio vero che qui la forma non viene riguardata come importante? Nella moda si guarda alla perfezione estetica talvolta a scapito della praticità dell’abito. In effetti c’è un eccesso di forma, piuttosto che il suo abbandono. E nei computer? La Apple ha fatto la sua fortuna proprio per l’eleganza del design e ha imposto uno stile che ha rilevanza mondiale…

E allora?

Allora ci sono almeno due problemi. Primo:

… talvolta la Chiesa cattolica rincorra mode che sono oramai passate, come già descritto da importanti intellettuali cattolici. L’idea che lo spontaneismo sia più efficace della professionalità, poteva avere un appeal in un periodo in cui si esaltava la liberazione dai legami con l’autorità. Ma oggi?…

… alla gran parte del clero non importa della qualità della musica liturgica nelle celebrazioni. Questo non perché sono cattivi, ma perché non sono più formati ad apprezzare la qualità. In passato c’era una intensa vita anche musicale nei seminari, oggi è quasi il deserto…

Secondo:

… poi c’è un fenomeno apparentemente contrario: quello del clericalismo che anche blocca un effettivo cambiamento. Se tutto viene sempre gestito dal clero e il clero in generale non ha più la formazione musicale…. le conseguenze sono facili da capire…

sabato 24 settembre 2011

Omozigoti

Un’ intesa che sembrano usciti tutti e cinque dallo stesso uovo.

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Il meglio poi lo danno quando possono sgranchirsi.

Molli, flessuosi, disarticolati ma senza perdersi mai di vista. In quelle paludi l’ unico a smarrirsi è il metronomo, loro le abitano invece con naturalezza: un occhio sonnecchiante e l’ altro vigile. Le narici appena sopra il pelo dell’ acqua.

Nel terzo millennio la capacità di rallentarsi è merce rara; apprezzabile l’ autocontrollo del leader, riesce ad aleggiare come introversa presenza paterna sullo sfondo, se potesse non suonerebbe neanche più.

Pigri e calibrati, come felini a pancia piena, piluccano i rimasugli del banchetto tra un pisolino e l’ altro.

Se proprio bisogna fare la rivoluzione, che sia felpata e si tenga la notte.

Ottimi anche per veglie funebri col morto di morte naturale. Eccellenti per funerali col camposanto in campagna fuori le mura. Se prenotate i loro servigi fatemelo sapere che vengo, ormai si tira il fiato solo in quelle occasioni, sarebbe un peccato perdersele.

Genealogia: Bill Evans, Morphine.

Giovanni Guidi Quintet – We don’t live here anymore

Baci a occhi aperti

La carezza degli arpeggi fender è sempre dalla parte del pelo e alla fine non la senti nemmeno più. Il timbro secco del violino elettrificato imita quei pacchiani sintetizzatori che tanti anni fa imitavano i violini banalizzandoli.

Forse succede qualcosa d’ imprevisto, un piccolo incendio, ma in lontananza, al di là dei muri del giardino, e a noi poveri ascoltatori che in punta dei piedi allunghiamo il collo ci fanno subito “circolare” per condurci alla bacheca dove dove giace un freddo pensiero, quasi fosse il cadaverino di una farfalla sotto vetro.

Julia Feld come riempiremo le librerie al tempo dell' e-book

 

L’ acquarello in coopertina è una promessa non mantenuta, il bacio al passato, caro Caleb, stavolta l’ hai dato a occhi aperti.

Genealogia: Brian Eno.

Itsnotyouitsme (Caleb Burhans, Grey McMurray) – Walled Gardens

venerdì 23 settembre 2011

8 principi per pensare il mondo “da destra”

Ormai mi sembra chiaro, gli unici intellettuali “di destra” sulla piazza sono gli economisti (e “chi pensa come loro”).

Ma come pensano? Ecco gli 8 capisaldi:

1. People Face Tradeoffs

2. The Cost of Something is What You Give Up to Get It

3. Rational People Think at the Margin

4. People Respond to Incentives

5. Trade Can Make Everyone Better Off

6. Markets Are Usually a Good Way to Organize Economic Activity

7. Governments Can Sometimes Improve Market Outcomes

8. A Country's Standard of Living Depends on Its Ability to Produce Goods and Services

All’ apparenza ci vorrebbe poco a convincere i “colleghi”, si tratta solo d’ invitarli a pensare razionalmente l’ interazione tra individui.

A quanto pare la resistenza maggiore si produce una volta arrivati al punto 4. Una volta che sentono la parola “egoismo” cominciano a fantasticare sull’ avidità vampiresca del genere umano e li abbiamo persi per sempre.

Per la conversione dell’ infedele dire che “gli incentivi contano” è una cattiva mossa, lo spiegano bene Jeffrey e Shterna Friedman nel loro recente saggio su “Critical Review”: "Capitalism and the Jewish Intellectuals". Fortunatamente esistono alternative:

Q: Why are so many Jews hostile to capitalism when, as Milton Friedman argued, it is the one system that breaks down discrimination against Jews and allows them to thrive?

A: Because many Jews, particularly the ones we hear from, are intellectuals, and intellectuals are hostile to capitalism.

Q: Why are so many intellectuals hostile to capitalism?

A: Because many intellectuals do not have first-hand knowledge of economics. They have heard that "incentives matter," and this confirms their impression that capitalism is based on greed. Even intellectuals with training in economics take away from "incentives matter" the message that "we" (meaning intellectuals making policy) should manage, or at least tweak, everyone else's incentives.

Q: How would you break down that hostility to capitalism?

A: By de-emphasizing "Incentives matter" and instead emphasizing that "unintended consequences matter." That is the message of Adam Smith. It is the message of Hayek. Once we embed people in complex economic and political systems, selfish intentions can turn out well (because of competition), and good intentions can turn out badly (because of imperfect knowledge).

e anche oggi la polvere è fatta

giovedì 22 settembre 2011

Contrabbasso besciamella

Il mondo visto come un coro in cui tutti, senza saperlo e guidati da una mano invisibile, intonano la stessa canzone. In questo caso a far da collante, anzi da besciamella, è il filamentoso contrabbasso di Florent.

Tape Generations

link

A proposito di coretti messi su dall’ ascoltatore all’ insaputa dei coristi, Glenn Gould ebbe a dire che durante le sue solitarie colazioni mattutine al bar riusciva e sentire come il chiacchiericcio degli astanti facesse emergere qualcosa di molto simile alle sue amate fughe bachiane.

Genealogia: Marcello Panni, Steve Reich, Ermeto Pascoal

Florent Ghys – Baroque tardif: soli

mercoledì 21 settembre 2011

Le brutte prediche di Barbara Spinelli

Alla ricerca di riferimenti esistenziali, anelo a una figura da poter seguire, da pedinare; spero d' imbattermi in una musa in grado d’ instradare la mia riflessione.

In questi casi, parla l’ esperienza, puo’ essere persino più utile confrontarsi col pensiero che sentiamo più distante, più antitetico al nostro; detto in altri termini, viene buono anche un contro-maestro.

In passato avevo scelto Michele Serra, ma un odioso sentimento di leggera simpatia mi legava pur sempre a costui. Come negare certe sapide uscite, come non apprezzare la sua facilità di linguaggio. Era quello un sentimento imbarazzante che neutralizzava l’ ispirazione.

Riprovo allora con Barbara Spinelli, all’ epoca messa da parte per la sua verbosità confusa che sottraeva energie all’ analista. Di certo la sua natura mi si confà: ogni volta che apre bocca sento chiara la sensazione che ha perso l’ occasione per tacere, e siccome questo accade da anni, penso ormai che lei sia il mio uomo.

Inoltre, in questo caso, non c’ è certo il rischio di venir fregati dalla simpatia: un moralismo in continua spola tra il saccente e il pedante ci mette in salvo su quel versante. Nemmeno lo stile potrà mai reclamare indulgenze; quel procedere sciatto, da verbale dell’ arma, che di tanto in tanto s’ interrompe per inzupparsi in un lirismo mellifluo o imbrattarsi con un’ apostrofe ottocentesca, un afflato di seconda mano che si gonfia col mantice dell’ odio covato dietro le quinte.

Due gli aspetti sgradevoli della scelta, il primo: sento che ci toccherà spesso incrociare il Berlusca visto che la Nostra si sente come un cristo inchiodato alla croce dal centurione brianzolo.

In secondo luogo devo mestamente notare l’ ineluttabile espressione prolissa, la chiara preferenza a esternare in forma “sbrodolata”; non riesce proprio a fare altrimenti. Cosicché tocca estrapolare, il che, non lo nego, puo’ essere una faticaccia.

Ok, adesso partiamo.

IL SOSTEGNO che i vertici della Chiesa continuano a dare a Berlusconi è non solo uno scandalo, ma sta sfiorando l’incomprensibile. Che altro deve fare il capo di governo, perché i custodi del cattolicesimo dicano la nuda parola: “Ora basta”?… Ha a suo fianco la lettera di Paolo ai Corinzi: “Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello, ed è immorale o avaro… leggi tutto

Immaginatevi la Spinelli che chiede al Papa di intervenire contro i disordini sessuali di Vendola, noto pederasta. Magari sottoponendo citazioni evangeliche (che non mancano di certo).

Bene, il primo intervento è già finito, alla prossima.

L’ astenuto

Molti si meravigliano di una mia paziente serenità di fronte alle difficoltà comuni della vita, e quasi me la rimproverano. C’ è pure chi me ne chiede la ricetta.

Non so darla. Alcune esperienze dei tempi andati mi hanno chiaramente dimostrato come, tra le difficoltà variissime che ognuno incontra sul proprio cammino, sia assai arduo scegliere quelle contro cui è più ragionevole abbattersi. Forse per questa difficoltà il mio animo a preso l’ abitudine di astenersi.

Il nostro scrittore più fascistone fu anche il più “parigino”, non ambiva certo all’ arditezza quanto a una vita facile e molle in cui declamare i suoi mots d’ esprit, in cui seguire indisturbato la catena divagante dei suoi pensieri, in cui togliersi lo sfizio di proferire osservazioni dalla precisione magistraturale.

La sua prosa a zig zag è una passeggiata distratta in cui, sopra pensiero, si finisce per mancare regolarmente la fermata del tramvai. Altre volta invece si gonfia trasformandosi in una rotonda orazione pronunciata in assenza di pubblico, solo nella propria testa. Strano fascista sempre in fuga abituato a salvarsi solo a forza d’ imprevisti; strano fascista che odia la civiltà dell’ appuntamento, che anela alla disgregazione e al frammento (da sempre più congeniale all’ estemporaneo), che dilaziona ripiegando su soluzioni a interim, che non sa mai uscire dal provvisorio, che monta e rimonta le sue frasi sotto i vostri occhi quando ormai la storia doveva essere già bella e confezionata da un pezzo.

Sempre elegante, azzimato, zeppo di scrupoli spagnoleschi, ostenta quel falso sussiego che rende simpatico il dandy. Come si fa a essere così poco seri senza ridere mai? Alla sua età, poi! Dal quell’ aplomb emanano scherzi insospettabili che procurano secche risatine da un minuto secondo. Le sue verità sono piccolissimi scogli in un mare di sogni e chimere che presto prenderanno il sopravvento. Eppure quelle presenze sono ineludibili e fanno sì che il Nostro si sia sempre considerato  un “realista”. La pretesa puo’ essere anche accolta, purché si integri il tutto con l’ aggettivo corretto: molti scelsero “magico”, io opterei per “beffardo”. Un micro-realista beffardo. Di quella schiatta ho già piacevolmente incontrato Landolfi, tanto che non l’ ho più lasciato.

Quanta poca vita in così tanta arte; se ne infiltra giusto l’ essenziale, ci entra di riflesso grazie a un gioco di specchi e giace mummificata, svuotata dei visceri e riempita di balsami.

Narratore di avventure invisibili non scriveva per uomini troppo semplici, quelli che son capaci di andare da casa alla trattoria senza incontrare nulla; ma nemmeno per quelli troppo complicati, che, sotto l’ influenza deleteria d Dumas, pretendono nello stesso tragitto d’ imbattersi in almeno tre o quattro duelli.

Alcuni lampi.

Con tono di rimpianto:

… vorrei avere vent’ anni… li ho anche avuti se è per questo, ma all’ epoca non lo sapevo…

Schernendo la donnina infagottata:

… non avevo mai visto arrossire un cappotto grigio…

Un nome sentito per caso in tram: “Zolfanelli”:

… un caso improvviso e imprevisto, mi portava d’ un tratto la conoscenza di una realtà: “la Zolfanelli”…

Perchè evitare il Savini in Galleria:

… troppe persone intelligenti…

Necessità di “avere un proprio momento”:

… era mia abitudine fare un cenno al tramvai nonostante fossi proprio accanto a una “fermata obbligatoria”…

Sul tram, seduto, occhi bassi…

… ogni due piedi un’ anima…

Ineffabile monumento di sciocchezza, abisso d’ imbecillità, immenso disastro. Penso alle prime parole rivolte alla ragazza incontrata sul tram preso a rotta di collo avendo persino scordato di acquistare le sigarette:

… scusi, le do noia se fumo?… No.

Umiliato, dopo la discesa della bella, fissando le carruggiule (manici per gli astanti)…

… in quel momento disoccupate, dondolavano beffardamente ridendo di me…

Nell’ atto di citare Aristotele:

… Aristotele, che dovrò talvolta pur citare, diceva…

Nell’ atto di citare un tale:"

… “Ah”… Luigi LuzzatiOpere complete”…

Graphic novel:

… le mie labbra le dissero: “ho molto piacere di vederla, si accomodi”. Il mio pensiero diceva: “che diavolo vorrà”…

Dentro la testa del pigro:

… il mio pensiero, che è abituato ad accudire tranquillamente gli affari propri in perfetta indipendenza da quello che dico e che faccio…

Capello lungo tinto con l’ henné rinvenuto sul risvolto della giacca del marito:

… luogo davvero critico… dove le donne amano appoggiare la testa negli abbracci più teneri…

Di certo il sognatore non è tagliato per la lotta e il conflitto:

… non so mai dire di no, per fortuna il destino mi ha fatto maschio…

Dopo aver cercato Garbagnarini per giorni:

… dopo mezzanotte incontrai G. e lo attaccai con un originalissimo… “come mai da queste parti”…

Dopo aver impostato il lavoro nelle prime ore della mattina:

… mi concessi il resto della giornata per riposare…

Nell’ atto di allungare all’ amata un oggetto ottenuto con sforzi eroici e che fino a ieri sembrava preziosissimo:

… glielo porsi… ella riuscì (inverosimile raffinatezza delle donne) a prenderlo in modo che io non m’ accorsi se sapeva di prenderlo, se operava in stato di coscienza o di estasi… con poche fredde sillabe annullo le acute fatiche di una settimana… il ghiaccio si era incrinato e io sprofondavo nella fessura…

Inattendibile avvertenza:

… questo romanzo non è una commedia ma una tragedia, ci tengo ad avvertirne i lettori fin d’ ora perchè non risentano l’ urto troppo violento dall’ incontro inaspettato con il drammatico… abbandoneremo il tono troppo sorridente delle precedenti avventure per gettarci a capofitto nella crudele serietà della vita…

Trucchi allo spaccio per ottenere doppia razione:

… vi si ripassa dopo un po’ una seconda volta, con faccia imperturbata e animo trepidante…

Dodicesimo motivo per rollarsi personalmente le sigarette:

… le falangi superiori delle dita acquistano e mantengono più durevole color tannico che è l’ ambizione di ogni fumatore cosciente, e costituisce fortissima seduzione presso le fanciulle appena uscite dal collegio…

Ventiseiesima:

… offrirete a signore intelligenti sigarette inumidite con il vostro umore… le conseguenze mediate e immediate di un tale fatto possono avere sviluppi incalcolabili…

Perché farsi una sigaretta è il miglior modo per scroccarne una:

… i fumatori comuni sono tipi nervosi… non solo non tollerano di non trovarsi pronta in tasca la solida rotondità di una sigaretta preconfezionata da palpare un attimo e subito brutalmente accendere… ma nemmeno sopportano di vedere in altri quei calmi indugi e quella placidità spirituale che sono la marca dell’ autosigarettista. Soffre nevrastenicamente, colui, nel vedere gli elementi della bisogna sparsi e tremolanti sulle vostre malsicure ginocchia… finché il cumulo di sofferenze vince su qualsiasi avarizia: “ma lasci stare, prenda una di queste!”…

orango che fuma

Il metodo più eroico per dimezzare il fumo:

… fumare sei mesi e astenersi gli altri sei… (copyright Nitti)…

Come insultare una donna (nel caso di specie la tabaccaia che rifiuta freddamente il pacchetto supplementare):

… stupida catechetica custode della lettera di uno stupido e catechetico diritto… ostacolo insormontabile alla facilità della vita… acida, magra, repellente e olivastra zitella con gengive giallastre perennemente mostrate in un ghigno d’ odio verso l’ umanità in generale e la mascolinità fumante in particolare… con quelle occhiate che sono come uno sputo… con quale soddisfazione questa testa nera dai pochi capelli tirati e mal pettinati investe il ritardatario con il suo “finite!”…

Giovane, ingenuo, in trasferta a Napoli… appena dopo aver scoperto che lo stipendio concordato non è poi così scontato:

… la mia ansia si accrebbe a dismisura dopo alcune allocuzioni partenopee della signora decaduta che mi affittava la stanza…

Flemmatici alla ricerca disperata di un lavoro:

… “Cercasi professore di albanese parlato per ore serali. Rivolgersi scc. ecc.” Ore serali… era il posto fatto per me. C’ era anche la condizione dell’ albanese: ma io sono sempre stato dell’ avviso che per insegnare i principi di una lingua a chi non la sa affatto basti impararli di mano in mano che si insegnano…

Passa una donna cicciona:

… con tutta la grazia di sui era capace la sua pinguedine…

Prima della fuga:

… tutte le mie disgrazie non mi turbavano… vi assistevo come si assiste ad uno spettacolo non troppo interessante, pronti ad andarcene alla prima pausa…

  Massimo Bontempelli – La vita intensa

martedì 20 settembre 2011

Il liberismo promuove il benessere della donna?

Mi sa proprio di sì 

musa

Bè, però… guarda che correlazione non è causazione… guarda che senza democrazia… guarda che mischi le cose…

A sì?

This empirical analysis seeks to determine which institutional arrangement, capitalism or democracy, tends to be more effective at improving women's well-being and promoting gender equality in society. Country-specific indexes measuring the degree of economic freedoms that exist within the market and the degree of political rights that exist within a democracy are used in a panel data analysis to explain the observed levels of various quality of life measures reflecting issues that are relevant to women. These empirical results indicate that capitalism often has a stronger beneficial impact on many aspects of women's well-being and gender equality in society

“Piccolo è brutto”?

Da Regole:

In Italia per cinquant'anni «piccolo è bello» è stata la parola d'ordine della competitività. E continua a esserlo anche oggi, durante questa crisi, dove le preoccupazioni di tutti sono concentrate sul futuro delle nostre «leggendarie» PMI. Questa simpatia e l'indulgenza regolatoria che ne deriva hanno delle (giuste) ragioni storiche, ma oggi sono una delle cause del blocco dello sviluppo dei servizi in Italia. Nulla è risultato più fatale all'economia italiana del «piccolo è bello», che forse ha avuto un senso cinquant'anni fa, quando era cruciale l'agilità di tante piccole imprese nel settore industriale, ma che negli ultimi vent'anni è diventato un alibi

Che l’ Italia sia il paese della piccola impresa è un mito: in tutti i paesi prosperano i “piccoli” solo che dopo un po’ o crescono o falliscono lasciando l posto ad altri. L’ Italia, insomma, è il paese dove le imprese sono piccole e restano tali in eterno.

Nel podcast Abravanel spiega bene il nesso tra dimensioni d’ impresa e regole.

Il capitalismo si basa su alcune (poche) regole forti: proprietà privata, brevetti, rispetto dei contratti… Secondo Abravanel il problema del capitalismo nostrano risiede nel particolare rapporto che abbiamo instaurato con le regole: ne abbiamo troppe e diventa così estremamente faticoso rispettarle. La dimensione media delle nostre aziende pesa se teniamo conto che a volte il rispetto di una regola ha lo stesso costo per la multinazionale e per la micro impresa. Il mancato rispetto, sentito come inevitabile anche se raramente ammesso, viene tollerato. Si produce così una svalutazione della “regola” e questo è un danno di sistema perché a farne le spese sono anche le “regole buone”. Anche gli altri paesi hanno regole “sbagliate” ma, rispettandole ugualmente, i danni emergono con chiarezza e gli errori legislativi vengono corretti più velocemente. Da noi una correzione del genere, se va bene, procede molto a rilento: si preferisce tollerare l’ inadempienza affinché non emerga mai in modo conclamato l’ effetto pernicioso di una legislazione stupida e anti-economica.

Sembra convincente.

bestoverall-s

C’ è poi anche il recente saggio di Erik Hurst e Benjamin Wild Pugsley:…, eccone uno stralcio:

… most small businesses have little desire to grow big or to innovate in any observable way. We show that such behavior is consistent with the industry characteristics of the majority of small businesses, which are concentrated among skilled craftsmen, lawyers, real estate agents, doctors, small shopkeepers, and restaurateurs. Lastly, we show non pecuniary benefits (being one's own boss, having flexibility of hours, etc.) play a first-order role in the business formation decision…

lunedì 19 settembre 2011

Evasione: 7 non-problemi e 1 problema

Le “tasse sono belle”. Anzi, sono buone. Ancora ieri sera la TV di stato (finanziata dalle tasse) era alle prese con il panegirico delle medesime. Ricordare che le tasse mordono sembra passato di moda (è da populisti). Eppure esistono anche le cose buone che mordono!:

sculptor Scott Hove,

Ho trovato particolarmente sviante la parte dedicata alla “piaga” dell’ evasione, cosicché, di seguito, cerco di dire la mia sul tema.

1. Il problema dell’ evasione non è un problema di efficienza sostanziale: l’ evasore probabilmente spende le risorse “evase” in modo più produttivo che lo Stato. Ci vuole poco.

2. Non è nemmeno un problema di giustizia. Chi non evade perché non puo’ (dipendenti) è mediamente più propenso all’ evasione appena vi accede (ricordate lo studio della CGIA?).

3. Non è nemmeno un problema morale: è immorale evadere la tassa giusta ma, francamente, chi oserebbe affermare che certi livelli di tassazione siano da considerare giusti?

4. Non è nemmeno un problema… “paghiamo tutti per pagare meno”. Non scherziamo, se lo stato incassa di più spenderà di più e chi prima non evadeva continuerà a sobbarcarsi il medesimo carico fiscale indipendentemente dall’ evasione recuperata. E’ sempre stato così in passato e sempre lo sarà. Anzi, storicamente, da noi, recupero di evasione e incremento delle aliquote sono andati di pari passo.

5. Non è nemmeno un problema di cassa; la propensione del politico a spendere non non è intaccata dai livelli di spesa pubblica: se ha in mano delle risorse le spenderà indipendentemente dal resto; e il recupero di evasione fa proprio questo: gli consegna delle risorse aggiuntive. In altri termini, la propensione a fallire resta invariata al variare delle risorse disponibili.

6. Qualcuno dice che l’ evasione alimenta una “concorrenza sleale”. Ma l’ evasore è solo un tale che paga meno tasse. Allora qualsiasi impresa estera che, a parità di servizi pubblici ricevuti (ci vuole poco), paga meno tasse che da noi (ci vuole ancora meno) esercita una concorrenza sleale?

7. Non è nemmeno un problema culturale nel suo complesso: la Lombardia è una delle regioni più virtuose al mondo dal punto di vista della compliance fiscale. Il “centro Italia” evade un po’ più della media OCSE; è il sud a costituire un caso mostruoso, al punto che l’ evasione tollerata dovrebbe essere intesa ormai come una forma perversa di welfare.

8. Il problema dell’ evasione è che “svaluta” la “legalità”. Che paese è il paese dove la legge si riduce a barzelletta? Come fa a stare in piedi?

venerdì 16 settembre 2011

Il bacchettone del terzo millennio

L’ inamidato moralista vittoriano non mi è certo simpatico, i suoi pressanti inviti a reprimere desideri e soddisfazioni sessuali danno un senso di claustrofobia. Ma anche l’ occhiuto bacchettone del terzo millennio ci fa mancare l’ aria quando vigila affinché le donne non esprimano i desideri e le soddisfazioni della maternità.

Da sempre i bacchettoni non si preoccupano tanto del “fare” quanto del “dire”.

Concediti pure qualche scappatella ma non vantartene al bar, resterai pur sempre un gentiluomo. Tuo figlio puoi anche amarlo e considerarlo centrale nelle tua vita, purché tu tenga la cosa sotto silenzio.

Il bacchettone del terzo millennio è un tipo moderno e perfino modaiolo, quando parla o scrive non manca mai di dire “cazzo”, “culo” e “figa”, sa bene che una parolaccia dà colore alla sua concione distinguendolo dai bacchettoni dei millenni precedenti (che odia), sa bene che un olio scurrile mette i righi in discesa trasportando senza sforzo l’ occhio di chi legge.

il bacchettone ama pavesare con decorazioni fulgide la frigidità che cova dentro, conosce a menadito la cosmesi dello scheletro.

Cedric Laquieze

… altre morti decorate da Cedric Laquieze…

Il bacchettone del terzo millennio è intriso di esotismo provinciale, vive di rimpianti spaziali, specie se non ha votato il governo in carica. Il rincoglionito dall’ età continua dire “ai miei tempi tutto era meglio…”, il rincoglionito da “bacchettoneria” continua a dire “nei paesi che ho visitato io, tutto è meglio, tutto è più avanti…”

Naturalmente è ateo e dall’ evoluzionismo si fa spiegare tutto, anche perché preferisce lo spaghetto alla pasta corta o la neo-hippy-psico-indie al death metal. Senonché, quando la psicologia evoluzionista entra nel suo “core business” e comincia a parlare della riproduzione con enfasi teleologica, si sintonizza immediatamente su altri improbabili canali.

Il bacchettone del terzo millennio, come tutti i bacchettoni, ha sempre voglia di menar le mani. Aderire alla crociata o, ancora meglio, organizzarne in proprio, lo manda in visibilio.

La sua rissa preferita è con chi sostiene che “per le donne l’ unica realizzazione sta nel procreare”. Ha sempre sognato che in un dibattito il suo dirimpettaio dica qualcosa del genere. Solo che, malauguratamente per lui, non lo sostiene quasi più nessuno e per sfogarsi non gli resta che prendersela con chi si limita ad osservare “mio figlio è la cosa più importante che ho”.

In fondo cambia poco. Perché?

Semplice. I bacchettoni, di qualsiasi millennio essi siano, vivono nell’ ansia costante che la società sfugga loro di mano, sono sempre lì che le sistemano un po’ meglio la museruola.

Se la fissa per il sesso si diffonde e si sdogana, la buona società inglese si trasforma in una gigantesca orgia perdendo in un sol colpo self control e impero. Se dici che tuo figlio è importante, alimenti uno stereotipo che ci rispedisce all’ età della pietra.

E allora? Allora… avanti con l’ ipocrisia di un frigido ordine politically correct, con le quote disegnate sulla carta millimetrata, con geometriche par condicio.

Con il suo compasso e il mozzicone di matita dietro l’ orecchio, il bacchettone del terzo millennio aspira grazie a una compulsione censoria a progettare l’ uomo perfetto… Perfetto nella cartapecora della sua etichetta. I comportamenti reali, ovvio, sono secondari (è un bacchettone sì o no?).

L’ importante è che, quando torna da un viaggio di lavoro, costui risponda alla balia che ventila l’ ipotesi di quanto i figli siano mancati, un socialmente edificante, sonoro e (speriamo) ipocrita: “niente affatto” (sic).

Un esempio di bacchettone? Matteo Bordone.

Un altro? Ancora lui.

giovedì 15 settembre 2011

Violino con l’ aiutino

Povero Todd, lo credevamo ormai un super eroe in pensione…

Andreas Englundd

… altri oli di super eroi invecchiati…

… ma poi, con un piccolo “aiutino”, è tornato in pista…

Violino con l’ “aiutino”… dell’ elettronica.

Condannate?

Di principio sono propenso a liberare le folgori, ma nel caso di Todd non me la sento.

Anche gli stradivari hanno un cuore e per auscultarlo bisogna maneggiare freddi stetoscopi per nulla simpatici. L’ importante in questi casi è mettersi nelle mani di un professionista, l’ attrezzatura lasciamo sceglierla a lui.

Ricordate i “suoni" sintetizzati”? Un tempo si tentava di riprodurre il “naturale” grazie all’ esotico artificio.

Oggi, viceversa, si mimetizza il “naturale” in un mondo di artifici, nel frattempo divenuto quello con cui abbiamo più dimestichezza. Ricordo negli anni ottanta la Hallett quando torturava il suo violino nel tentativo di riprodurre le “scratchate” dei dj londinesi.

Ascendenti: Iva Bittova, Sylvia Hallett

… che claustrofobia per i suoni essere condannati a vivere solo nel tempo…

… ma ora per evadere dal carcere di quell’ unica dimensione possono contare su Todd, uno con la mania degli scavi. Il suo violino è una trivella e i suoi buchi escono sempre dall’ altra parte.

Per lavoracci del genere l’ uso della risonanza è decisivo e se con i trucchetti dell’ elettronica la si trasforma in eco, tutto di guadagnato.

Avete mai suonato in duo con il vostro avatar? Todd lo fa tutti i giorni.

Todd Reynolds - Transamerica

mercoledì 14 settembre 2011

Primo giorno di scuola…

… E il problema è sempre lo stesso: come traslare la massa di studenti dal sempre più costoso sistema statale al privato?

Ci sono le vie più tradizionali, su quale puntare? Vouchers o tagli? Io ho un debole per la seconda: taglia e la gente si arrangerà altrimenti. La crisi è un ottimo alleato, bisogna comunque riconoscere l’ impopolarità di queste soluzioni.

Alternative?

A sorpresa scopriamo di poter far leva su alcuni cliché progressisti. Di seguito presento due varianti di un qualche interesse.

Il primo è un caso di serendipity: forse abbiamo scovato (per puro caso) una strategia politicamente corretta che favorisce la cruciale migrazione.

L' ha scoperta la città di Boston (senza volerlo).

Città progressista ossessionata dalle “pari opportunità”, come metodo per assegnare l' istituto di riferimento a ciascun remigino che esordisce nel sistema scolastico ha introdotto la lotteria ( previa preferenze).

Non vuoi sottoporti alla lotteria? Hai due alternative: 1. passi al privato, 2. traslochi fuori città.

Esito: 1. fugone nel privato e 2. traslochi in gran quantità delle famiglie con figli.

Eppure, in termini di "giustizia sociale", chi potrebbe mai opinare su un metodo come quello della lotteria?

Anche l' impavido difensore del "pubblico" (così lui si ostina a chiamare la scuola statalizzata), messo di fronte alla dea bendata, decide di battere in ritirata tradendo l' ostentata fiducia e facendo così cadere quel velo d' ipocrisia con il quale impacchetta di solito i suoi sermoni.

Ma come spiegare l' accaduto?

Forse qualcuno illude se stesso chiamando “pubblico” lo stimato liceo del quartiere bene dove risiede. Ho comunque l' impressione che rispondere a questa domanda getterebbe luce su un problema – la popolarità della scuola statalizzata - altrimenti inspiegabile.

P.S.: fonte

carved boook

Veniamo al secondo caso.

Già oggi che vengono ridotti gli incrementi annuali dei sussidi, la nostra scuola annaspa e persino il progressismo fideista di Ilvo Diamanti invita ironicamente ad abbandonare una nave che affonda (ht Giovanna Cosenza):

«CARI RAGAZZI, cari giovani: non studiate! Soprattutto, non nella scuola pubblica. Ve lo dice uno che ha sempre studiato e studia da sempre. Che senza studiare non saprebbe che fare. Che a scuola si sente a casa propria.

Ascoltatemi: non studiate. Non nella scuola pubblica, comunque. Non vi garantisce un lavoro, né un reddito. Allunga la vostra precarietà. La vostra dipendenza dalla famiglia. Non vi garantisce prestigio sociale. Vi pare che i vostri maestri e i vostri professori ne abbiano? Meritano il vostro rispetto, la vostra deferenza? I vostri genitori li considerano “classe dirigente”? Difficile.» (QUI tutto l’articolo.)

Un auspicabile sviluppo della situazione potrebbe essere questo: mentre nella scuola di stato ci si batte per avvicinare il discente alla Costituzione, alla Cittadinanza, ai diritti dell’ uomo, alle pratiche linguistiche anti-discriminatorie… [tutta roba politicamente molto corretta], i privati potrebbero offrire in alternativa a questi catechismi esoterici semplici corsi a pagamento su Dante e Petrarca. La cosa sembra andare a ruba.

"Great Courses, Great Profits: A teaching company gives the public what the academy no longer supplies: a curriculum in the monuments of human thought." City Journal, Summer 2011, Vol. 21, No. 3:

And the company offers a treasure trove of traditional academic content that undergraduates paying $50,000 a year may find nowhere on their Club Med-like campuses. This past academic year, for example, a Bowdoin College student interested in American history courses could have taken "Black Women in Atlantic New Orleans," "Women in American History, 1600-1900," or "Lawn Boy Meets Valley Girl: Gender and the Suburbs," but if he wanted a course in American political history, the colonial and revolutionary periods, or the Civil War, he would have been out of luck. A Great Courses customer, by contrast, can choose from a cornucopia of American history not yet divvied up into the fiefdoms of race, gender, and sexual orientation, with multiple offerings in the American Revolution, the constitutional period, the Civil War, the Bill of Rights, and the intellectual influences on the country's founding. There are lessons here for the academy, if it will only pay them heed.

. . .
So totalitarian is the contemporary university that professors have written to Rollins complaining that his courses are too canonical in content and do not include enough of the requisite "silenced" voices. It is not enough, apparently, that identity politics dominate college humanities departments; they must also rule outside the academy. Of course, outside the academy, theory encounters a little something called the marketplace, where it turns out that courses like "Queering the Alamo," say, can't compete with "Great Authors of the Western Literary Tradition."

. . .
The very fact that the Great Courses has found professors who teach without self-indulgence may suggest that academia is in better shape than is sometimes supposed. But the firm's 200-plus faculty make up a minute percentage of the country's college teaching corps. And some Great Courses lecturers feel so marginalized on their own campuses, claims Guelzo, that "if the company granted tenure, they would scramble to abandon their current ships and sleep on couches to work for the firm." Further, it isn't clear that the Great Courses professors teach the same way back on their home campuses. A professor who teaches the Civil War as the "greatest slave uprising in history" to his undergraduates because that is what is expected of him, says University of Pennsylvania history professor Alan Kors, will know perfectly well how to teach a more intellectually honest course for paying adults.

martedì 13 settembre 2011

Peter Smith sull’ aborto

… Consider the following “gradualist” view: As the human zygote/embryo/foetus slowly develops, its death slowly becomes a more serious matter. At the very beginning, its death is of little consequence; as time goes on, its death is a matter it becomes appropriate to be gradually more concerned about.

Now, this view seems to be the one that almost all of us in fact do take about the natural death of human zygotes/embryos/foetuses. After all, very few of us are worried by the fact that a very high proportion of conceptions quite spontaneously abort. We don’t campaign for medical research to reduce that rate (nor do opponents of abortion campaign for all women to take drugs to suppress natural early abortion). Compare: we do think it is a matter for moral concern that there are high levels of infant mortality in some countries, and campaign and give money to help reduce that rate. Continua…

L’ argomento impegna il cattolico; molto meno un libertario anti-abortista (che tra l’ uccidere e il lasciar morire mette un bel muro).  E i cattolici libertari?

cedric

Libertarianism A-Z: assicurazioni sanitarie

Jeffrey Myron sulle assicurazioni sanitarie
  • Ci sono almeno due motivi per socializzare l’ assistenza sanitaria: 1. il mercato è vittima di adverse selection e 2. le assicurazioni private costano troppo.
  • La selezione avversa si supera costringendo tutti ad avere un’ assicurazione e non “socializzando” la sanità. In ogni caso nemmeno il postulato della selezione avversa sta in piedi basandosi su una asimmetria informativa che in realtà non esiste. Se solo le assicurazioni potessero esaminare a fondo lo stato di salute dell’ assicurato finirebbero per saperne anche più di lui!
  • Ed eccoci allora al secondo problema: gli esami condurrebbero a polizze molto care per chi ha problemi di salute o rischi seriamente di averne in futuro. Ma questo non è un problema che riguarda la gestione della sanita, bensì quella della povertà, una questione ben diversa.
  • La socializzazione della salute implica problemi di azzardo morale risolvibili solo con sistemi di co-pagamento (ticket).
  • Ci fossero solo quelli… il fatto è che l’ assicurazione unica non è certo l’ assicurazione ottimale per tutti! E qui le inefficienze abbondano: i burocrati eludono le decisioni cruciali fornendo schemi assicurativi rozzissimi.
  • C’ è poi il problema dei prezzi: quanto far pagare le medicine? Quanto costano i dottori? Domande ardue se al posto del mercato ci mettiamo un burocrate. Fissare costi sotto il livello di mercato stronca l’ innovazione e incentiva la corruzione. Due mali tipici della sanità europea.
continua

lunedì 12 settembre 2011

Il guaio delle lotte anti-discriminazione

… E’ che non esiste una teoria coerente per cose del genere.

La conseguenza è che si procede alla cieca senza poter rispondere in modo convincente alle critiche.

Robert Wiblin lo dice meglio:

…Discrimination’ against certain groups supposedly remains a big problem in the modern world. But I have never found a theory that can sensibly explain what this bad ‘discrimination’ is precisely and sensibly distinguishes the sorts of discrimination which are OK from those which are not OK and justifies the difference…

… The hard question is figuring out when, if ever, using information accurately is a bad thing…

La confusione concettuale è tale… che sarebbe stupido non dirsi “sessisti”.

aaa

Ragionamenti lasciati a metà: l’ effetto serra

Il prototipo è quello sul global warming:

The argument for large and expensive efforts to prevent or reduce global warming has three parts, in principle separable: Global temperature is trending up, the reason is human activity, and the consequences of the trend continuing are very bad. Almost all arguments, pro and con, focus on the first two. The third, although necessary to support the conclusion, is for the most part ignored by both sides…

The answer, I think, is that nobody knows if the net effects would be good or bad, and probably nobody can know. We are talking, after all, about effects across the world over a century. How accurately could somebody in 1900 have predicted what would matter to human life in 2000? What reason do we have to think we can do better?…

If we have no good reason to believe that humans will be substantially worse off after global warming than before, we have no good reason to believe that it is worth bearing sizable costs to prevent global warming. (leggi tutto)

Miina Äkkijyrkkä

domenica 11 settembre 2011

Libertarianism A-Z: tassa sui consumi

Tassare il consumo promuove il risparmio e l’ accumulazione di capitale. Alti risparmi significa alti investimenti, ogni economia sana non puo’ prescindere dal volume di investimenti.

Qualcuno si oppone dicendo che la tassa sui consumi è regressiva: si potrebbe conciliare le istanze tassando i consumi con aliquote che variano in base al reddito.

venerdì 9 settembre 2011

Sfogo post crisi

Agosto di passione per il risparmiatore. Le Borse crollano e, dopo temporanei puntelli, tornano a crollare come niente fosse. La situazione è talmente grave che anche la ricerca del colpevole appare come tempo perso che alimenta la frustrazione. Viene il dubbio che chi “agisce male” non possa che agire così, che chi sbaglia, se operasse correttamente, otterrebbe solo un rinvio insignificante del redde rationem. La rabbia si placa nell’ impotenza che a sua volta cede a una sorta di malinconica lucidità.

Lasciatemi sfogare! Lasciatemi buttare giù di getto alcune riflessioni così come vengono, senza link, senza note, senza nomi, senza dati. Vi racconto la crisi come la vedo io, vi fornisco la mia “narrazione”. Si tratta forse solo di sensazioni, le declasso così per non apparire intento a decifrare la forma delle nuvole.

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Non è facile districarsi nel dedalo della finanza, siamo sommersi da dati, indici dal segno mutevole che ci franano addosso da ogni dove, siamo assediati da cangianti interpretazioni autorevoli revocate in dubbio da quanto accade il giorno dopo, da cronisti che urlano la notizia mischiandola con gossip&omicidi, spuntano a ogni angolo esperti che commentano nel dettaglio nuove poi smentite. In casi come questi bisogna avere la forza di arretrare di un passo prendendo le distanze in modo da osservare le cose da lontano.

Sorvolo poi sulle distorsioni ideologiche che viziano buona parte dei resoconti, chi puo’ dirsene al riparo quando ci si impegna su un soggetto del genere? Quando gira e rigira, con infinite precauzioni, alla fin fine sei pur sempre chiamato a puntare i fari sull’ untore e a stabilire chi paga?

Eppure di roba ormai ne ho vagliata, alcune convinzioni le ho maturate e il barlume di una visione ha preso forma. Non rivendico la paternità di idee originali, molto più semplicemente alcuni commentatori mi hanno convinto più di altri e qui vorrei assemblare il meglio con coerenza, nel modo più semplice a rischio di banalizzare. Vorrei dire – prima di tutto a me stesso – qualcosa che rasenti l’ approssimativo pur di fissarsi nella mente anche quando sotto il bombardamento mediatico e piazzaiolo sarà facile smarrire qualsiasi bussola.

A quanto pare la confusione sotto il cielo è accresciuta dal fatto che molti nodi sembrano venuti al pettine tutti insieme. Non è semplicemente un temporale a strapazzarci ma un tornado che al suo interno ne contiene molteplici. Se il malato di morbillo soffre anche di calcoli e la nefrite non lo risparmia, il dottore, statene certi, non ci capisce più niente.

Comincio col dire che i cicli economici, croce e delizia degli economisti, hanno sempre tormentato il capitalismo senza mai trovare una spiegazione convincente. Sono dei vecchi amici che alimentano il dibattito accademico in tutte le salse; sono delle presenze misteriose che non gettano la maschera neanche dopo che decine di Nobel sono stati distribuiti per consacrare l’ opera di presunti smascheratori. Un serio consenso in materia latita dando l’ inquietante sensazione che non si farà mai vivo.

A questo punto la cosa migliore è rassegnarsi al fatto che l’ uomo (economico) agisce in modo bizzarro allorché incappa nell’ “innovazione”. Quando ha per le mani un “oggetto nuovo” regredisce all’ infanzia, comincia a giocarci, si esalta e diventa imprevedibile. Il fatto è che in un economia di mercato l’ innovazione ricorre spesso, e guai se non fosse così.

Di fronte alle novità prorompenti il sistema economico capitalistico tende a generare quei fenomeni particolari che chiamiamo “bolle”.

Se a irrompere è la “novità-internet”, per esempio, ecco che tutti si buttano a capofitto su internet. Fuffa e promettenti progetti si avvinghiano in un abbraccio inestricabile.

Opera altresì una sorta di mimetismo ingannevole: anche chi è lontano mille miglia dalla sostanza delle pratiche innovative sente di doversi dare una “verniciatina internettiana” per ricevere attenzione e finanziamenti.

Ma, oltre alla subdola mimesi che fa scendere una penombra in cui tutte le vacche si fanno grigie, quando il fattore “novità” entra in scena, nel fondo di molti cuori lavora sempre anche una “grande speranza”; un sentimento forse irrazionale ma più che comprensibile; la speranza ci serve per procedere nell’ ignoto. Se per lei non c’ è spazio nella teoria delle scelte razionali, se la razionalità cartesiana non ci illumina circa il ruolo di questa inclinazione, lo farà la logica evolutiva. Sta di fatto che “novità” e “speranza” procedono appaiate, inutile voler separare queste due amiche che si danno appuntamento nell’ animo umano quando scruta il futuro e salpa alla conquista di nuovi pianeti.

Senonché, la verità viene presto a galla, le “bolle” scoppiano e la crisi riporta i valori alle giuste proporzioni. Le speranze eccessive si sgonfiano e restiamo con in mano quelle “novità” che un tempo credevamo miracolose e che ora, per quanto ridimensionate, sono comunque utili.

Esempio (facile). Le “novità” più recenti hanno riguardato la contrattualistica finanziaria. Ricordate la vicenda dei subprime e dei CDS? Se ne sono inventati di tutti i tipi, molti in buona fede hanno sperato che in questo modo fosse possibile dare una casa anche a chi prima non poteva permettersela, sta di fatto che le “bolle” relative si sono gonfiate per bene e hanno fatto un bel botto quando sono esplose, come da manuale. Ora, chissà mai che quella sofisticata strumentazione non torni utile all’ umanità grazie a un uso più oculato.

Tutto qui? No, questa di cui ho parlato è la “crisi da manuale”, la “crisi da bolla”, la “crisi da ciclo”, la “crisi da novità”. La solita crisi. Stavolta, forse, c’ è di più.

Per descrivere questo “di più” non saprei da dove partire. Forse l’ unica è partire da un dato: è dagli anni settanta che i paesi sviluppati non conoscono una vera crescita economica.

Sorpresi?

E adesso non precipitatevi sulle serie storiche dei vari pil OCSE. Sebbene anch’ esse segnalino un certo rallentamento, restano comunque ingannevoli. I motivi sono tecnici e per non appesantire li tralascio. Delusi? Fidatevi, sono motivi solidi, dimenticate i sofismi sulle misurazioni alternative al PIL, anche se mi rendo conto che amputare qui un discorso sostanziale ne sacrifica l’ eleganza.

Per impressionare meglio lasciatemi ancora ripetere che l’ economia Occidentale è praticamente ferma da quarant’ anni. Persino i “dinamici USA” non si sono mossi poi granché. Il nostro benessere sostanziale non cresce. Lo ripeto perché secondo me molti non l’ hanno ancora ben realizzato.

E’ un’ affermazione un po’ forte, nemmeno del tutto vera se presa alla lettera (diciamo che la crescita economica è rallentata parecchio rispetto a prima) ma mi sembra che colga un punto sostanziale.

Un sintomo dell’ imprevisto stop è il ruolo assunto dalla finanza: la finanza ha lentamente guadagnato il centro della scena; ma stressare la finanza è un modo per non perdere velocità anche quando l’ auto ormai viaggia a tre cilindri. Aumentando il ritmo delle frustate anche il ronzino viaggia alla pari con il purosangue. Solo che prima si spella e poi collassa. La pratica di operare a debito si è molto diffusa sia presso i privati che presso gli Stati. Notare che in sé la cosa non sarebbe deprecabile; se avete un buon lavoro e guadagnate bene è perfettamente logico indebitarsi anche parecchio per comprare una casa all’ altezza del vostro status. Non è sintomo di “avidità” agire in questo modo! Ebbene, cio’ che ho chiamato “stipendio” a livello globale chiamatelo pure “crescita”: sapendo che si crescerà ai sostenuti ritmi del passato è perfettamente logico indebitarsi.

Ma se il “mondo sviluppato”, chi più chi meno, non cresce praticamente più dagli anni ‘70, la logica dell’ indebitamento è destinata a incartarsi prima o poi. E’ come se vi avessero licenziato e voi continuate a caricarvi mutui sul groppone.

A quanto pare ci siamo.

Ecco allora che una normale crisi da bolla come quella dei subprime viene a coincidere con il fatto che il mondo comincia a subodorare una crisi epocale da eccesso di fiducia. L’ errata valutazione che ho descritto si chiama status quo bias: prendevamo decisioni pensando che le cose continuassero ad andare come prima. Per “prima” intendo il periodo che va dalla rivoluzione industriale a oggi, un lasso di tempo in grado di giustificare l’ abbaglio.

I metodi di misurazione del PIL non hanno certo favorito il disincanto, ma qui torniamo alla pedante parte tecnica, che non si addice certo alla retorica dello sfogo, il genere che ho scelto e che qui mi voglio concedere. Quindi… transeat.

Se questo è vero, alcune osservazioni s’ impongono. Io mi limito a tre, proprio perché anche i lunghi elenchi sono pedanti.

Innanzitutto considero illusorio cercare di capire la madre di tutte le crisi focalizzandosi sul “caso Grecia” o sul “caso Italia”. Certo, alcuni sono messi peggio di altri e per loro il countdown è più vicino, i secondi sono nelle condizioni di salvare temporaneamente i primi (magari con gli eurobond) ma la dinamica di fondo riguarda tutti perché più o meno tutti si sono incamminati su quel sentiero.

Secondo, non possiamo definire la crisi in corso semplicemente come una “crisi da debito” ma piuttosto come una “crisi di crescita”. I guai non derivano tanto dai mutui stipulati, quanto dal fatto che ci hanno licenziato. Ci hanno licenziato e nemmeno ce ne siamo accorti! Ma il bello (o il brutto) è che anche il nostro creditore è sembrato all’ oscuro del particolare continuando a farci credito.

Terzo, cio’ che ci minaccia non è qualche perverso meccanismo della Finanza o qualche oscuro gnomo della Speculazione, quanto il pervasivo status quo bias che ci induce a non vedere che siamo più poveri di quanto crediamo, che ci induce all’ indebitamento perché ci fa credere che possiamo permettercelo, che ci fa credere che torneremo a crescere quando di fatto siamo fermi da quarant’ anni.

Adesso sarebbe il momento delle “soluzioni”, e capite bene il mio imbarazzo.

Ricorrendo all’ espansione monetaria, bene o male abbiamo imparato a fronteggiare le “crisi da bolla”, tanto è vero che la Grande Depressione rimane negli annali della storia mentre le crisi di fine anni ottanta, di entità analoga, non ce le ricordiamo neanche. Ma “la madre di tutte le crisi”, quella generata da “illusione di ricchezza”, come diavolo si affronta?

Boh.

O ci si rassegna alla stagnazione ridimensionando il nostro tenore di vita o ci si cerca di capire quali sono le cause della prolungata stagnazione.

Quando si parla troppo di economia è sempre meglio ricordare un concetto fondamentale: la ricchezza, quella vera, arriva con l’ innovazione. Quando un tale scopre un seme che, a parità di cure richieste, dà una spiga con venti chicchi di grano anziché dieci, la ricchezza raddoppia.

Ma bisogna scoprirlo.

La Rivoluzione Industriale ci ha regalato una raffica di innovazioni che ci ha lasciato senza fiato per secoli. Le abbiamo sfruttate a dovere e ora stiamo raschiando il barile. Come mantenere quel ritmo?

A voi la risposta, io mi limito ad alcune suggestioni.

Forse internet cesserà di essere solo un ansiolitico e inciderà realmente fugando le delusioni che per ora sta dando, almeno sul piano del potenziale sviluppo economico che avrebbe dovuto supportare.

Forse è un fatto culturale, forse dobbiamo dare maggiore dignità sociale alla figura dell’ innovatore. D’ altronde la rivoluzione industriale si produsse anche perché l’ imprenditore borghese era un individuo dal prestigio sociale notevole.

Forse, molto più prosaicamente, dobbiamo trovare un sistema per pagarli un po’ meglio, questi “innovatori”. Il sistema dei brevetti non funziona, d’ accordo, ma chiunque faccia quattro conti vede che un vero innovatore non riceve che una minima frazione della ricchezza che contribuisce a produrre.

Forse l’ innovazione che rompe sul serio è un evento casuale nella storia e dobbiamo solo sperare prendendo tempo, in questo caso tornerebbero utili euro bond (e anche mondial bond) che dilazionino la resa dei conti spostando in là la frontiera.

Fin qui mi sembra di aver parlato libero da ogni condizionamento ideologico, concedete infine a un fazioso liberista di accennare al ruolo dello Stato nelle economie moderne. Sento già il monito di chi ci ricorda che viviamo nell’ era del “turbocapitalismo”. Faccio solo notare che il timone della barca italiana è affidato a un tale che ha scritto “La paura e la speranza”. Ma lo avete letto? E a chi si ritiene immerso nella centrifuga del “turbocapitalismo” chiedo se, secondo lui, il ruolo fattivo dello Stato, al netto della retorica, è aumentato o diminuito nell’ ultimo mezzo secolo. I saldi del suo bilancio, che misurano la ricchezza intermediata nel paese, sono saliti o sono scesi? Magari questo sempre più ingombrante protagonista non è del tutto innocente. Magari facendo quattro conti scopriamo a sorpresa che Interferenza Statale e Grande Rallentamento sono vecchi amici e si sentono regolarmente al telefono. E chissà che prima o poi non saltino fuori imbarazzanti intercettazioni.

E adesso, in uno scrupolo di coscienza finale elenco alcuni dei nomi più evidenti da cui mi sono lasciato influenzare nel corso di questa riflessione.

Scott Sumner

Tyler Cowen

Michele Boldrin

Robin Hanson

Oscar Giannino

Eric Falkenstein

giovedì 8 settembre 2011

La petroliera di Baricco

Alessandro Baricco – I barbari -

Finalmente ho letto il libro che altri avevano a suo tempo menzionato come pertinente ad alcune nostre discussioni.

Confesso che certi accorgimenti stilistici dello scrittore-piacione sono per me difficili da digerire: ho in mente le mossette sexy da “scuola di scrittura”, un pervasivo tono “for dummies”, quasi scrivesse proprio per quei barbari le cui invasioni in ogni campo culturale vengono segnalate; ma soprattutto il vezzo di non enunciare mai chiaramente la propria tesi; parlo della perniciosa tentazione, contraria al primo comandamento (*) del buon saggista, di trasformare il proprio scritto in una caccia tesoro per lettori volenterosi.

[ (*) ricordo di passaggio il primo comandamento: se hai in testa una cosa, dilla direttamente senza tanto girarci intorno]

Purtroppo non mancano debolezze di sostanza. Parto da una lacuna generale: Baricco elude il problema. O meglio, non lo formula in termini “interessanti”.

Per capirsi sul punto bisognerebbe prima richiamare i termini della questione: nella società contemporanea il mondo della cultura sembra preda dei “barbari”, ovvero un’ orda senza scrupoli né adeguata preparazione che “consuma” tutto con la foga delle locuste ma limitandosi a brucare in “superficie” senza darsi la pena di “ruminare” mai alcunché.

Il “barbaro” è un “uomo orizzontale” che si limita a “surfare” sull’ oggetto del suo momentaneo interesse senza mostrare alcun interesse per “l’ anima delle cose”. In lui manca il culto della fatica e della preparazione: prende, strappa alla sua preda un godimento effimero e passa ad altro.

In un mondo del genere il “riferimento culturale” si fa ipertrofico, si moltiplica ma rimane a livello meramente epidermico: scivola addosso senza lasciare nulla. Inutile aggiungere che ogni forma di approfondimento latita.

Il “barbaro” lascia la sua impronta digitale ovunque visto che la sua velocità gli consente di stare ovunque, smantella la sacralità della cultura, svelle i significati totemici divenendo il nemico giurato di ogni spirito romantico.

Ebbene, il problema sostanziale consiste nel chiedersi se le cose stanno veramente così, se possiamo prendere sul serio questa descrizione della contemporaneità all’ apparenza verosimile.

A me, lo dico subito, non pare proprio.

Certo, oggi i contatti che ciascuno di noi intrattiene con la “cultura” sono cresciuti in modo esponenziale. Abbiamo “più cose” tra le mani. Abbiamo “più di tutto”. E di sicuro passiamo molto più tempo di prima in superficie.

Ma questo non significa ancora nulla.

Mi spiego con un esempio.

Le petro-trivellatrici che indagano sui giacimenti petroliferi sono navi dedite allo scavo di sonda. Ieri scavavano molto più di oggi – erano costantemente “in profondità” - ma gran parte di quegli scavi erano inani tentativi che finivano in un nulla di fatto. Oggi possiedono una strumentazione più sofisticata che le rende quasi infallibili. Passano molto più tempo in superfice perlustrando il fondo marino e le poche volte che affondano le loro trivelle intraprendono uno scavo lo fanno a colpo sicuro.

Baricco sembra snobbare i quantitativi di petrolio estratto, si limita a constatare che “si passa più tempo in superficie”, e una volta concluso che mai come ora la superficie è il nostro habitat, trae conclusioni indebite circa le quantità di petrolio portato alla luce.

Chi non coglie che qui c’ è qualcosa che mina l’ analisi?

Dicevamo prima che oggi abbiamo “più di tutto”; ebbene, dovremmo aggiungere che abbiamo anche più “petrolio”. Mutilo di questa considerazione il problema affrontato da Baricco resta irrimediabilmente privo d’ interesse.

Peccato perché ci sono sprazzi di lucidità in cui Baricco si avvicina al punto:

… oggi uno scrittore di qualità come Tabucchi vende più di quanto potesse fare, oggettivamente, un Fenoglio ai suoi tempi… quello che ci induce a pensare il contrario è la prospettiva e il gioco delle proporzioni…

A parte il parallelo Tabucchi\Fenoglio che mi disturba anche solo come esempio, a livello concettuale ci siamo: oggi circola molta più qualità, occorrono antenne idonee all’ individuazione, una dotazione fino a ieri superflua.

Ma una volta afferrato il punto Baricco se lo fa sfuggire e l’ osservazione, anziché imbastire il ragionamento viene bellamente lasciata cadere nel vuoto.

Altre lacune sono più specifiche. Penso al passo falso costituito dall’ analisi proposta intorno all’ attacco che i “barbari” hanno portato al pianeta calcio.

L’ analisi è incongrua su un punto nevralgico: dopo aver affermato che il “barbaro” procede a spettacolarizzare tutto cio’ che tocca, si aggiunge che “Baggio in panchina” costituisce il marchio di fabbrica del saccheggio barbarico.

Ma come? Baggio, il numero 10, la fonte di ogni spettacolo, escluso proprio da chi esalta i fuochi d’ artificio?

Baricco si accorge del vicolo cieco in cui si è cacciato e dedica un capitolo intero (Calcio 2) al tentativo di uscirne salvando capra e cavoli. Ma l’ unica uscita possibile è una poco onorevole retromarcia a centottanta gradi, e l’ autore non puo’ permettersela.

Art & Cartoons

Art & Cartoon

Baricco resta comunque uno scrittore più che un sociologo, a lui non chiediamo analisi certosine e il nostro perdono su alcuni passaggi a vuoto è garantito quanto pronto. Chiediamo a lui invece una sequela di “espressioni felici”, un’ immaginazione sgargiante, una bellezza diffusa in grado di allietarci ad ogni pagina. Chiediamo uno stile. Spesso l’ autore, devo dirlo, è all’ altezza del compito. Di seguito riporto alla rinfusa alcuni passaggi degni di menzione. Mi scuserete se cito a memoria personalizzando nel tentativo di migliorare l’ originale.

Parlando di Walter Benjamin:

… ci dava un’ immagine del mondo, fotografava il divenire, anche per questo le sue foto vennero un po’ mosse quindi inutilizzabili da quelle istituzioni che danno uno stipendio…

Facendo una petizione di principio:

… sarà questo un libro a cui non farà schifo niente…

Citando Glenn Gould sulla musica rock

… “non riesco a capire le cose troppo semplici”…”

Sul vino californiano:

… al primo sorso c’ è già tutto… senza tanti tannini fastidiosi o acidità difficili da domare…

Sulla storia della musica:

… da Bach a Beethoven si puo’ dire che lavorassero indefessamente per una furba semplificazione del mondo ricevuto in eredità… contrassero i suoni, le armonie e le forme… accelerando una spettacolarità che nessuno si era mai sognato…

Sulla domenica sera del calciofilo anni settanta:

… la domenica sera… come mesto rituale c’ era la partita registrata (si noti il singolare)… il risultato era noto ma sottaciuto, le riprese notarili… quasi “sovietiche”… il commento impersonale, di tipo medico… il telecronista faceva finta di non sapere… poi, all’ improvviso, un attimo prima del telegiornale, prima di passare la linea… sapeva tutto come per incanto e ci aggiornava frettolosamente sugli eventi congedandosi… era assurdo, mortificante… tentavamo di sintonizzarci su Capodistria o sulla Svizzera per un naturale bisogno d’ aria… come si tentava di valicare il muro di Berlino…

Sul ruolo tradizionale del terzino (giova alla comprensione l’ aver giocato superando il trauma del passaggio dal cortile al campo regolamentare):

… io per anni ho visto la mia squadra far gol in zone del campo lontane e vagamente misteriose… buttarla in fallo laterale andava benissimo… ti applaudivano… la sagoma lenta e paterna del libero… la marcatura a uomo… con tutti i suoi falletti intimidatori… gli scatti a vuoto…

Sui numeri 10 in panca:

… il genio è lento… le tv digitali non hanno il tempo di aspettarlo…

Musica e letteratura nel passato:

… c’ era la “musica classica” prima che inventassero l’ idea di musica classica?… di certo a corte il musicista non contava più del giardiniere… oggi ascoltiamo Bach, Haydn e Mozart alla luce deilla lezione romantica… attribuendo loro, a volte, una spiritualità che forse non si sognarono mai di avere… fu con Beethoven che nacque l’ idea di musica classica come oggi la conosciamo… nel settecento chi leggeva libri erano essenzialmente coloro che li scrivevano…

Sull’ avvento del romanzo ottocentesco:

… il genere del romanzo era da molti concepito come una minaccia sociale, come un oggetto sostanzialmente nocivo…

Nel commentare il ritratto di M. Bertin, ovvero il prototipo della borghesia affaristica francese ottocentesca:

… lo sguardo è quello di chi ascolta attentamente e ha già in mente cosa obiettare… sembra un bolso riccone ed è invece un lottatore destinato a vincere… nel suo mondo ha un ruolo primario la fatica… il piacere delle arti prevede fatica, la profondità della riflessione prevede fatica… la fatica è lavoro e il lavoro è la garanzia della sua affermazione sul vecchio mondo e sull’ aristocrazia…

Sul mutato rapporto con le arti:

… se davvero intendo dedicare tutto il tempo necessario a scendere fino al cuore della Nona è difficile mi resti del tempo per qualsiasi altra cosa… e, per quanto la Nona sia un giacimento immenso di senso, da sola non ne produce a sufficienza alla sopravvivenza dell’ individuo… che te ne fai di aver capito la Nona se poi non vai al cinema o non sai neanche cosa siano i videogame?… è il paradosso che denunciano gli occhi smarriti dei nostri ragazzi a scuola…

I tre argomenti

Craig contro Dawkins.

Cosa cerchi in un libro?

Stile!

C’ è altro?

Peeps Dioramas

altre miniature stilizzatee altre ancora…

Per me era scontato, parlo dei libri con velleità artistiche (romanzi, racconti, poesia…). Da profano non riesco davvero a capire le alternative a questa risposta.

L’ autore di un’ opera non “la possiede” proprio perché l’ opera consiste nello stile e chi possiede uno stile non è detto che ne possieda anche un’ interpretazione soddisfacente. A volte manca persino di una coscienza adeguata in merito.

Cosa c’ è oltre allo stile?

Chi ha stile puo’ dire qualsiasi cosa e il giudizio sulla sua opera sarà sempre: bello! Persino di un libello antisemita si puo’ dire “bello!”.

Certo, anche l’ originalità e la genealogia conta: se X ha lo stesso stile di Y ma lo precede nel tempo, la cosa non è del tutto irrilevante. 

Sinceramente non riesco a capire cosa possa esistere oltre allo stile.

Ecco, visto che è sempre meglio leggere un saggio con lo spirito di chi ricerca delle risposte a domande già chiare, quando leggo libri di critica letteraria lo faccio con in testa questo assillo: cosa c’ è oltre allo stile?

Non crediate infatti che la questione non sia dibattuta.

Gabriele Pedullà:

Scrittori, bisogna avere stile!

In un amore felice (Adelphi), l'ultimo libro di Guido Ceronetti, esibisce un sottotitolo apparentemente bislacco: «Romanzo in lingua italiana». La replica si offre spontanea già tra gli scaffali della libreria: e in quale altra lingua dovrebbe mai esprimersi un narratore cresciuto a sud delle Alpi? Ma ovviamente si tratta di una provocazione. Ceronetti ci sta dicendo che lui, a differenza di tanti connazionali, continua a scrivere nell'idioma del suo Paese e non in una simil-lingua, senza stile e senza musica, che ricorda piuttosto le cattive traduzioni dall'inglese.
Beninteso, la battaglia in difesa di una prosa sontuosa, in cui si serbi memoria della tradizione letteraria e ci si diverta a giocare con le parole per scovare nuovi significati, non ha nulla di particolarmente originale. Il Novecento, per esempio, ha sperimentato in tutte le sue asprezze la lotta tra quelli che Tomasi di Lampedusa chiamava gli «scrittori grassi» e gli «scrittori magri». Si tifava per gli uni o per gli altri, con la medesima passione con cui si sosteneva un partito politico. Eppure – gaddiani o hemingwayani, rondisti o espressivisti, asiani o atticisti – tutti, ma proprio tutti, sapevano che di opzioni stilistiche sempre e comunque si trattava. Inutile scappare. Lo stile poteva farsi invisibile, promettere una presunta oggettività come sinonimo di visione diafana e assenza di pregiudizi: ma lo faceva, appunto, in quanto stile. Se c'è anzi un'idea che il Ventesimo secolo ha combattuto con speciale veemenza, questa è stata proprio la convinzione che lo stile fosse un abito con cui di volta in volta rivestire un corpo già formato. Niente più forma & contenuto, insomma: se non come coppia di fratelli siamesi, inoperabili perché provvisti di un solo cuore e di un unico apparato respiratorio.
Come ci sono i sostenitori dello «stato minimo», così sono esistiti sempre i fautori dello «stile minimo». Ma nelle loro dichiarazioni di poetica «lo stile non mi interessa» non voleva dire altro che «non ho bisogno di fuochi d'artificio, il vero stilista lavora nel profondo, proprio dove lo si vede meno». Il contesto nel quale si colloca la battuta polemica di Ceronetti appare invece, per la prima volta, mutato. Da qualche tempo, infatti, l'affermazione che lo stile non ha alcuna importanza per giudicare del valore di un romanzo ricorre sempre più spesso nelle recensioni di critici autorevoli. Lo afferma la celebre anglista a proposito dell'ultimo bestseller su commissione e lo ripete il giovane intellettuale impegnato per parlare del gothic novel di un coetaneo. Ma si tratta, a ben vedere, di un atteggiamento più generale, quasi una vox populi (che, come le promette il proverbio, aspira a tramutarsi in una vox Dei): l'impressione che, nella ricezione di un libro, lo stile stia diventando semplicemente irrilevante.
Il tratto più vistoso di questa tendenza è che, mentre nel Novecento i narratori anti-stilisti si riconoscevano per lo stile minimo, i loro eredi esibiscono piuttosto un espressionismo forzato e volontaristico. Metafore azzardate, similitudini sgradevoli pensate per catturare al volo l'attenzione di chi legge, continue ridondanze al limite del pleonasma… Lo si nota particolarmente con i romanzieri di genere (gli anti-stilisti per eccellenza, se badiamo alle loro dichiarazioni di poetica), i quali nel Novecento si attenevano a una prosa quanto più semplice possibile, per non stancare il lettore, mentre oggi non fanno che sovraccaricare la pagina di fuochi d'artificio. Con l'obiettivo, è chiaro, di inseguire un pubblico distratto e un poco frettoloso, forse nella speranza di tenere testa alla iperstimolazione dello spettatore che da trent'anni caratterizza il cinema contemporaneo.
Qualcuno potrà persino rallegrarsi di tale mutamento, che è anche un ritorno al passato. Prima del culto romantico del genio e dell'eccesso, per secoli lo stile è stato innanzitutto sinonimo di controllo, e i grandi teorici della retorica hanno sempre temperato la vecchia massima secondo cui "lo stile è l'uomo" con la constatazione che ogni scrittore provetto deve anzitutto saper dominare i propri strumenti e adattare il tono alla situazione. Una pratica che, appunto, richiede per prima cosa quella autodisciplina di cui proprio gli anti-stilisti di oggi sembrano difettare.
Questo vale per gli scrittori. Nei critici l'inconsueta disponibilità a disfarsi della nozione di stile ha invece una diversa origine. Qui si direbbe che l'estetica letteraria stia semplicemente entrando nell'orbita delle arti visive. Il pregiudizio antistilistico sembra nascere infatti dalla tendenza a interpretare la pubblicazione di un'opera letteraria con le stesse categorie con cui giudicheremmo una performance, vale a dire un puro gesto estetico, senza produzione (se non, al limite, nella forma surrettizia del video o delle fotografie che la documentano): un gesto che si esaurisce in se stesso e che punta tutt'al più a suscitare scandalo nel circuito della comunicazione. Ma che per questo, a condizione che qualcuno reagisca, può prescindere completamente dallo stile.
Consapevolmente o inconsapevolmente, la ridefinizione del campo artistico messa in atto negli anni Sessanta è giunta oggi a influenzare anche la letteratura. Se un romanzo e un poema sono solo un gesto, è inutile interrogarsi troppo sul loro stile: il loro significato sarà tutto nel progetto che li sorregge, o al massimo nella loro sintomaticità sociale, secondo la formula ben nota per cui a tanto maggiore scandalo (o, nel caso della letteratura, a tante più copie vendute) deve corrispondere necessariamente tanto maggior valore - link

mercoledì 7 settembre 2011

Perché ragioniamo

The answer, according to Mercier and Sperber, is that reasoning was not designed to pursue the truth. Reasoning was designed by evolution to help us win arguments. That's why they call it The Argumentative Theory of Reasoning. So, as they put it, and it's here on your handout, "The evidence reviewed here shows not only that reasoning falls quite short of reliably delivering rational beliefs and rational decisions. It may even be, in a variety of cases, detrimental to rationality. Reasoning can lead to poor outcomes, not because humans are bad at it, but because they systematically strive for arguments that justify their beliefs or their actions. This explains the confirmation bias, motivated reasoning, and reason-based choice, among other things."

http://econlog.econlib.org/archives/2010/08/not_robin_hanso.html

Forza di volontà

Chiedete a vostro figlio se preferisce un biscotto ora o due biscotti tra un quarto d’ ora, la risposta che vi dà potrebbe illuminarvi sul suo futuro. Nulla più del self-control predice il successo dell’ individuo. Non solo, è anche un elemento della nostra personalità che possiamo almeno in parte “allenare”.

Larry Moss 

 Steven Pinker commenta l’ ultima fatica di Roy F. Baumeister and John Tierney:

Ever since Adam and Eve ate the apple, Ulysses had himself tied to the mast, the grasshopper sang while the ant stored food and St. Augustine prayed “Lord make me chaste — but not yet,” individuals have struggled with self-control. In today’s world this virtue is all the more vital, because now that we have largely tamed the scourges of nature, most of our troubles are self-inflicted. We eat, drink, smoke and gamble too much, max out our credit cards, fall into dangerous liaisons and become addicted to heroin, cocaine and e-mail.

Enlarge This Image291 pp. The Penguin Press. $27.95.Nonetheless, the very idea of self-­control has acquired a musty Victorian odor. The Google Books Ngram Viewer shows that the phrase rose in popularity through the 19th century but began to free fall around 1920 and cratered in the 1960s, the era of doing your own thing, letting it all hang out and taking a walk on the wild side. Your problem was no longer that you were profligate or dissolute, but that you were uptight, repressed, neurotic, obsessive-compulsive or fixated at the anal stage of psychosexual development.

Then a remarkable finding came to light. In experiments beginning in the late 1960s, the psychologist Walter Mischel tormented preschoolers with the agonizing choice of one marshmallow now or two marshmallows 15 minutes from now. When he followed up decades later, he found that the 4-year-olds who waited for two marshmallows turned into adults who were better adjusted, were less likely to abuse drugs, had higher self-esteem, had better relationships, were better at handling stress, obtained higher degrees and earned more money.

What is this mysterious thing called self-control? When we fight an urge, it feels like a strenuous effort, as if there were a homunculus in the head that physically impinged on a persistent antagonist. We speak of exerting will power, of forcing ourselves to go to work, of restraining ourselves and of controlling our temper, as if it were an unruly dog. In recent years the psychologist Roy F. Baumeister has shown that the force metaphor has a kernel of neurobiological reality. In “Willpower,” he has teamed up with the irreverent New York Times science columnist John Tierney to explain this ingenious research and show how it can enhance our lives.

In experiments first reported in 1998, Baumeister and his collaborators discovered that the will, like a muscle, can be fatigued. Immediately after students engage in a task that requires them to control their impulses — resisting cookies while hungry, tracking a boring display while ignoring a comedy video, writing down their thoughts without thinking about a polar bear or suppressing their emotions while watching the scene in"Terms of Endearment" in which a dying Debra Winger says goodbye to her children — they show lapses in a subsequent task that also requires an exercise of willpower, like solving difficult puzzles, squeezing a handgrip, stifling sexual or violent thoughts and keeping their payment for participating in the study rather than immediately blowing it on Doritos. Baumeister tagged the effect “ego depletion,” using Freud’s sense of “ego” as the mental entity that controls the passions.