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martedì 3 febbraio 2009

La differenza a scuola

di Broncobilly, 16/10/2008

Orecchiando il ronzio di qualche TG, sento che tra le misure di riforma scolastica qualcuno avanza l' ipotesi di classi differenziali. In testa si hanno i bambini extra-comunitari, ma io qui vorrei allargare il discorso riferendomi ai trattamenti differenziati in base alla preparazione a cui è possibile sottoporre i monelli. Il criterio non deve essere necessariamente quello della "provenienza".

Dunque, dicevo della proposta di "classi differenziali". Ecco un ventaglio delle possibili reazioni:




  1. Se funzionano mi va bene.




  2. Mi oppongo per principio: alimentano forme di razzismo.




  3. Poichè il "funzionamento" di un simile provvedimento non è misurabile, per ragioni prudenziali lo casserei.




  4. Mi oppongo perchè mi oppongo a tutto cio' che introduce diversità tra gli allievi.




Io, che in queste materie sono agnostico, abbraccio la posizione 1. Avvertenza: una misura "funziona" se fa conseguire a ciascun allievo una preparazione migliore. Detto così è facile.



Inoltre, probabilmente, la cosa "funziona". Se il mio archivio fosse in ordine metterei volentieri qualche link. Non mi fido completamente ma sembra che introdurre discrimini che travalichino quello dell' età per concentrarsi sulla preparazione, sia auspicabile poichè consente di applicare al meglio quelli che oggi sembrano i metodi più efficaci.

Non temo molto la deriva "razzista": alzare la qualità nell' istruzione (se davvero in questo modo fosse possibile) forse è la migliore garanzia contro il razzismo, sia quello passivo che quello attivo. Non si dice forse che sia l' ignoranza a fomentarlo? Bene, miniamola alla base.

Contro 3 sono anche moderatamente fiducioso sul fatto che gli effetti di una pedagogia siano "misurabili".

Purtroppo spesso chi sostiene 3 lo fa perchè in fondo sostiene 4 e un po' se ne vergogna. Questa maschera mi dà molto fastidio, soprattutto perchè 3, diversamente da 4, ha al suo arco frecce accuminate, lo confesso, ed è un vero piacere parlare con un sincero sostenitore di quell' opzione, s' impara molto.

Non nego che prendere partito su una questione del genere implichi anche scelte ideologiche. Io per esempio tollero bene le diseguaglianze se vanno a vantaggio di tutti. Ma mi rendo conto che l' italiano medio è stato imboccato con ben altri omogeneizzati. Qui sì che mi piacerebbe una bella "rivoluzione culturale".

lunedì 12 gennaio 2009

Il mito delle materie difficili

Quali sono a scuola le materie più difficili?

Sento già dire: matematica, fisica...

E perchè mai? Forse perchè i voti in quelle materie sono mediamente più bassi? Ma i voti sono una convenzione.

Un' indagine più approfondita considera le materie con un taglio socio-umanistico che combinano fra loro storia, filosofia e scienze sociali (general studies), come le materie dal coefficiente di difficoltà più elevato.

E' la rivincita degli umanisti!

Ma perchè proprio i voti in queste materie tanto difficili sono più alti della media?

Perchè le risposte sono molto più sfumate. In un certo senso non esistono mai risposte sbagliate al 100% e molti prof indulgono per evitare rogne.

Tutto cio' fa salire i voti e scendere l' ansia. Dal che si nota come a "terrorizzare" lo studente sia la trasparenza della disciplina, spesso scambiata per "difficoltà intrinseca".


add: lo studio - l' articolo

venerdì 21 novembre 2008

Il SAT funziona

"So, here is the question: do SATs predict graduation rates more accurately than high school grade-point averages? The short answer is: yes"

sabato 8 novembre 2008

sabato 18 ottobre 2008

A scuola la differenza è bella?

Come rispondere alla proposta di "classi differenziate" nelle nostre scuole. Su Fahreunblog svolgo alcune considerazioni. Chi fosse interessato clicchi qui.

In difesa della media (inferiore)

Alcuni dati recenti stimolano su Fahreunblog un confronto tra scuola media e scuola elementare.

giovedì 11 settembre 2008

L' anti-romanticismo nell' istruzione

Istruzione: Kling commenta Murray. Problema numero uno: studia troppa gente.

La logica sottesa: l' Università di massa, livellando verso il basso, è un' arma che spara contro i migliori e, indirettamente, contro la società intera che non puo' spremere i suoi limoni più succosi. D' altronde i differenziali nelle abilità cognitive sono rilevanti e difficilmente eliminabili (come dimostrano gli esiti ancora deludenti delle pre-school)
. Sarebbe il caso di trarne delle conseguenze.

venerdì 11 luglio 2008

Avvisi preventivi per diventare ricchi (o poveri) studiando

Cosa studiare per avere un buon salario?

Qualche idea:


  1. Computer Engineering

  2. Economics

  3. Electrical Engineering

  4. Computer Science

  5. Mechanical Engineering

  6. Finance

  7. Mathematics

  8. Civil Engineering

  9. Political Science

  10. Marketing

  11. Accounting

  12. ...


Ecco, adesso, in preda alle vostre passioni insopprimibili, correte a iscrivervi a psicologia, sociologia o lettere antiche. Poi, quando avrete problemi alla quarta settimana del mese, non andate in piazza a strillare e a dire che non vi avevo avvisato.

mercoledì 9 luglio 2008

Nuove aristocrazie

La meritocrazia sembra sia un' invezione del socialismo europeo, in particolare fu partorita all' interno del labour party dall' eminenza grigia Michael Young.

L' intento era quello rendere tollerabili anche forti diseguaglianze in presenza di una forte mobilità sociale. Una vera rivoluzione che oggi potremmo chiamare anti-sessantottina.

I risultati non furono molto soddisfacenti poichè i ragazzi migliori selezionati nei test provenivano tutti da famiglie ad alto reddito.

I nostalgici del buon vecchio egalitarismo alzarono subito la voce.

Ma altre minacce incombevano sul progetto.

Dopo un periodo di riflessione Young prese le distanze dalla sua creatura: era partito con l' intento di abbattere i provilegi ma si accorgeva che stava creando una nuova aristocrazia fondata sul talento e probabilmente sulla genetica (aristocrazia dello sperma fortunato). Era infatti molto probabile che i "migliori" conducendo vita simile si sposassero tra loro.

Forse la meritocrazia non era concetto molto idoneo a conciliarsi con l' ideale socialista.

Il libro di Young è piuttosto visionario, si conclude con la rivoluzione dei QI bassi, il proletariato del futuro.

In una società come quella USA, poco "socialista" e poco amante delle paturnie filosofiche - alle visioni di Young avrebbe potuto interessarsi giusto Hollywood - ci si preoccupo' poco di questi sviluppi inquietanti.

In fondo la selezione meritocratica sarebbe andata a vantaggio di tutti. Anche perchè l' élite avrebbe pur sempre agito in un quadro liberale, vera garanzia di tutta l' operazione.

Gli eredi di Young non abbandonano il progetto e si dimostrano più fiduciosi del maestro. Cercano d' insistere sulle pari opportunità a partire dall' inizio, dall' ambiente famigliare di partenza e dalla possibilità di uniformarlo.

Forse, in termini di efficientismo, una simile variante è saggia. Ma non mi sembra certo in grado di tranquillizzare granchè chi nutra preoccupazioni vicine a quelle di Young.





***




Cosa ostacola l' introduzione di meritocrazia:



  1. L' invidia. L' egalitarismo meritocratico non allevia le pene dell' invidioso.

  2. La funzionalità. I test sono un valido strumento di selezione? Ovviamente non sempre, spesso ci sono dei dubbi, spesso richiedono un' integrazione sostanziosa. Con queste premesse è facile sostenere che non siano MAI validi. Chiediamoci: meglio una diseguaglianza ingiusta o una eguaglianza ingiusta? Coloro i quali reputano che un' ingiustizia valga l' altra (pochi), sono più disponibili a lavorare con i test e a migliorarli.

  3. L' effetto valanga. Una valutazione ne trascina con sè altre. Se posso stimare quantitativamente la preparazione di un allievo, posso stimare anche il contributo dell' insegnante e strutturare meritocraticamente anche quel settore. Cio' rende sospetta tanta opposizione ai test: anche chi si dimostrerebbe disponibile, consapevole delle conseguenze, alza un muro.

  4. Avversione al rischio. Una società stagnante (magari egalitaria e assistenziale) favorisce, seleziona e sviluppa l' avversione al rischio. Cio' spiega perchè spesso al merito si oppone anche il soggetto che, in termini di neutralità del rischio, migliorerebbe la sua condizione con le riforme.


  5. ...

mercoledì 2 luglio 2008

Test e Rolling Stones

Pur caldeggiando l' introduzione di test e classifiche nelle nostre scuole, sono consapevole dei limiti di questo strumento. La lettura di Koretz in questo senso è illuminante.

Il test high stake è una roba seria. E' una roba sulla base della quale si distribuiscono i finanziamenti e si scaglionano le carriere. Dobbiamo quindi essere consapevoli sia della loro necessità, sia dei loro limiti.

Ne sintetizzo una dozzina tanto per capirsi.

Innanzitutto un buon test è difficile e costoso da costruire. E quando bisogna tirare la cinghia anche questo conta. Si rischia di ripiegare su cio' che sembra un po' inferiore ma in realtà è del tutto inservibile. Anche perchè la soglia tra il top e la robaccia sta molto vicino al top.

Il test è un sondaggio e la costruzione di un campione corretto è tutt' altro che scontata, così come è difficile individuare delle proxy affidabili.

A volte tanto lavorio si rivela vano.

Se non fosse così non si capirebbe come mai, secondo il PISA, gli studenti USA sopravanzano quelli norvegesi, mentre secondo il TIMSS sia vero il contrario. I due test sono molto rigorosi, peccato vengano sempre presentati senza enfatizzare la grande e inevitabile deviazione standard. Si scoprirebbe che ordinare sulle competenze matematiche norvegesi e americani è insignificante. Soldi buttati?

Cio' non toglie che gli studenti giapponesi apprendano la matematica meglio di americani e norvegesi. Lo dicono i test, ma questa volta lo dicono in modo chiaro.

Oltretutto molte virtù dello studente sfuggono ai test.

Posso conoscere l' algebra ma non sapere quando applicare queste conoscenze. Il test difficilmente segnala lacune del genere.

Altro inconveniente: un prof. puo' eccellere come motivatore. Se la sua carriera dipendesse unicamente dai test rischierebbe grosso.

Il test incentiva i prof a fare meglio, lo dicono tutti. Vero, li incentiva anche a barare però.

A barare materialmente durante la prova, innanzitutto.

Andiamoci a rileggere il primo capitolo di Frekeconomics dove l' economista investigatore risale ai prof disonesti studiando la topologia random degli errori. E' uno spasso ma è anche istruttivo.

E teniamo conto di una cosa: il numero di insegnanti "bari" insediati nel distretto scolastico di Chicago è nella media nazionale, ma la qualità professionale di chi dà loro la caccia laggiù, eccede di gran lunga quella media.

Gli onesti barano invece fornendo preparazioni mirate, in molti casi è possibile. Cio' distorce l'esito poichè quel test è tarato per misurare a campione una preparazione più ampia.

Per giudicare un prof bisogna considerare i "miglioramenti" rispetto al test d' ingresso. L' esperienza degli hight stake spesso ci dice che i miglioramenti sono strepitosi. Purtroppo sono anche molto inaffidabili in quanto dovuti a preparazioni mirate.

Anche le condizioni in cui un test viene somministrato contano. I casi di incoerenza negli esiti si sprecano e per lo più sono dovuti proprio a questa variabile.

Neutralizzare questa variabile è estremamente costoso. Spesso si fa prima rinunciando al test.

Poi c' è l' uso improprio. L' esperienza concreta insegna che test costruiti con certe finalità vengono poi utilizzati per altre che al profano sembrano simili. Chi li maneggia vuole risparmiare senza rendersi conto delle distorsioni che cio' procura.

Le School Chart dei vari sistemi scolastici americani sono un caso che Koretz descrive nel dettaglio.

La preparazione di un allievo dipende dalla qualità della scuola. Ma dipende anche dal contesto che lo ospita (famiglia, amici...). Per classificare le scuole bisogna fare la tara. Compito improbo! Chiedere a chi stima il cosiddetto SES (social economic status). Koretz dedica un capitolo all' acrostico.

L' esito di un test deve essere reso con una scala adeguata. Spesso quando tutto è stato fatto bene, quando il percorso sembra netto, s' inciampa rovinosamente nell' ultimo ostacolo.

***


Oggi nella scuola e tra i prof vige un egalitarismo ingiusto. I test aumenteranno di molto le diseguaglianze e manterranno elementi di ingiustizia. Il gioco vale la candela? Per me sì, ma se giudico dalla cultura sindacalese che impregna l' istituzione che più soffre l' ombra lunga del sessantotto, mi vengono i brividi.

Per me sì soprattutto se i test non saranno l' unico indicatore per giudicare la scuola (ecco alcune variabili alternative: profitto universitario degli alunni di provenienza, indicatori oggettivi sulle strutture, esami diretti ai professori, acquisizioni charter delle scuole low school, autonomia e competizione attraverso i vouchers tra istituti in presenza di forti college premium, test tarati con il SES, retta libera per le scuole high score...).

Che atteggiamento assumere dunque nei confronti dei test? Personalmente mi adeguo al principio "Rolling Stones". In molti non troveranno nei test mai cio' che cercano e sognano, cio' non toglie che potrebbero trovare ugualmente cio' di cui hanno un dannato bisogno.

"... No, you can't always get what you want... but if you try sometime... you find
You get what you need..."


... così almeno ho la scusa per riascoltarmi il pezzo.


add: anche Israel dubita: http://gisrael.blogspot.com/2010/12/la-scuola-fa-schifo-e-se-fosse-ottima.html

lunedì 30 giugno 2008

La scuola libera come antidoto al razzismo

Ottima rassegna di studi nell' ultimo numero di Economic Affairs sull' impatto dei vouchers scolastici. Parliamo del sistema USA.

La libertà di scegliere sembra migliori il profitto di chi sceglie. La concorrenza che procura si riflette in una migliorata qualità anche della scuola pubblica.

Fin qui nulla di nuovo.

Anche se dico che la concorrenza abbassa i costi per alunno, scommetto che nessuno fa una piega (nanca un plissè).

Ma se invece aggiungo che i buoni scolastici favoriscono l' integrazione razziale, come la prendete? Scommetto che non l' avevate mai sentita.

Non solo, gli studenti delle vouchers school sono più tolleranti di quelli delle scuole pubbliche e sono avanti in tutte le categorie relative alle "virtù civiche".

A questo punto il fazioso, prende e va a casa tutto soddisfatto. Lo scienziato sociale, invece, dovrebbe spremersi le meningi per trovare una mezza dozzina di spiegazioni possibili. Poi spremersele di nuovo per escogitare un test in grado di scegliere tra le candidate. Quanto è creativo il lavoro dello scienziato (e che mal di testa fa venire)! Non si va mai a casa.

sabato 28 giugno 2008

Redistribuire i voti scolastici

Il matematico Pietro Poggio Corradini si coordina e mette a punto un buon colpo.

Propone di REDISTRIBUIRE i voti degli studenti. E lo fa con tanto di algoritmo.

La logica e la morale che stanno sotto questa trovata non è poi così lontana dalle logiche e dalle morali che applichiamo spesso altrove. E perchè allora non a scuola?

Se proprio vogliamo fare dei voti una moneta, preferisco i budget con cui Landsburg fronteggia la piaga della "manica larga".

Certo che queste università americane ne devono ancora mangiare di pastasciutta per arrivare al "flat grade", ovvero al nostro 18 politico.

martedì 24 giugno 2008

Le rette nella scuola pubblica

Misurare con un indicatore quantitativo la bontà di un istituto scolastico è compito impervio.

Dice: bisogna individuare il differenziale di preparazione dell' allievo da quando entra in quella scuola rispetto a quando esce.

Ma la "preparazione" include anche elementi incommensurabili.

Si puo' benissimo convenire senza arruolarsi tra gli anti-testmen barrcaderi.

Molto meglio, in questi casi, assumere nei confronti del test quello che Koretz chiama "il Principio Rolling Stones":

"... No, you can't always get what you want... but if you try sometime... you find
You get what you need..."

Fiduciosi proseguimo alla ricerca della bisogna e subito altre barriere si frappongono.

Inanzitutto l' atteggiamento leggermente fraudolento di alcuni istituti che va sotto il nome di inflazione da test. Consiste nell' organizzano unicamente in funzione dei test trascurando altri aspetti della preparazione.

In secondo luogo la curva di progressione: i miglioramenti non procedono linearmente, se si parte da livelli alti non sarà facile migliorare molto.

In terzo luogo il contesto (famiglia, amici) continua ad influenzare le prestazioni dell' allievo anche durante la frequenza scolastica.

Per noi ottimisti gli ostacoli sono superabili, si tratta solo di prendere una bella rincorsa. Nel primo caso potremmo ricorrere all' impiego random di più misuratori, negli altri casi basta stimare delle "tare" opportune.

Ad ogni modo, anche così viziati, i misuratori potrebbero avere un impiego alternativo: autorizzare le scuole eccellenti in termini assoluti a fissare una retta per gli allievi che le frequentano. In fondo la misura assoluta ci esenta dallo sgravio delle "tare".

E poi non è detto che la facoltà di una "retta" anche nel pubblico minacci le pari opportunità introducendo discriminazioni economiche: se il contesto conta, i frequentatori perverranno da famiglie agiate. Se conta meno, il preside userà il pedale della "retta" stando ben attento a non mettere in fuga un' utenza che gli dà questa opportunità di raccogliere finanziamenti aggiuntivi.

venerdì 20 giugno 2008

Sanare le zoppie

Chissà un fresco maturando che esce dalla scuola italiana che punteggio riporterebbe in un test di questo tipo. Oltre a testare lui si testerebbero anche le affermazioni di chi ritiene che certe impostazioni asimmetriche siano solo roba vecchia che ammorbava la scuola di un secolo fa. Da ultimo, m' incuriosirebbe proprio somministrare il tutto a chi queste affermazioni le ha in bocca tutti i giorni. Lo score sarebbe decisivo per dare a costoro seria udienza.

mercoledì 18 giugno 2008

Roger Abravanel non affonda il bisturi: 400 pagine condite da buoni sentimenti

La lettura del libro di Roger Abravanel sulla meritocrazia si sta rivelando piuttosto deludente.

Secondo lui una società è meritocratica quando fa uso massiccio dei test. Punto, passiamo oltre.

Nonostante il titolo non perde molto tempo a spiegarci cosa sia la meritocrazia. Dà per scontato che meritocrazia = test + mercato.

Nemmeno ci si sofferma sulle molte difficoltà che sorgono nel tentativo di isolare l'intelligenza. E dire che il libro conta quasi 400 pagine, lo spazio non manca.

Se qualcosa fa difficoltà, RA lo liquida in quattro e quattr' otto.

Sono contento di tanta sicumera perchè in fondo anch' io sono dalla sua parte, ma avrei sperato che mi fornisse qualche arma letale con cui difendere le postazioni. Invece niente (per ora). Purtroppo RA non è d' aiuto visto che il suo testo è praticamente privo di fatti, dati e note che rinviino a fatti e dati.

Come posso sapere se sia stato premiato veramente chi merita? RA la fa facile: chi merita è colui che ha superato il test.

RA sembra uomo di sinistra in adorazione del mercato (va così di moda). Secondo lui la meritocrazia ha uno scopo: innescare la mobilità sociale.

Ma se ci si ferma lì, anche i dadi innescano mobilità sociale.

Perchè dovremmo affidarci ai test? RA non lo dice, chiede un affidamento cieco affinchè questi intralci da cacadubbi vengano aggirati e si passi alla fase implementativa. Io mi fido abbastanza ma mi sarebbe piaciuto qualche argomento.

RA ha sempre in bocca l' espressione "pari opportunità". I test sono l' arma per fornirle.

Di solito uno non parla molto volentieri dei suoi spauracchi. Forse lo spauracchio di RA riguarda la validità a tutto campo dei test.

Un altro spauracchio di RA è la genetica. Se l' intelligenza dipende dalla genetica, addio pari opportunità.

Non potendo eludere del tutto l' argomento "genetico", RA ne parla in modo piuttosto vago: Michael Young, l' inventore della meritocrazia che concluse i suoi studi dichiarando fallito il progetto a causa delle inevitabili derive genetiche, viene liquidato come "personalità ambigua" invecchiata male.

Ma oltre alle vaghezze c' è di peggio, ci sono gli svarioni veri e propri, come quando si dice: "... The Bell Curve: Intelligence and Class Structure in American Life di Herrnstein e Murray sostiene che alla fine conta solo la genetica...".

Ma questa è la cazzata madornale di chi non vuole vedere in faccia i problemi e storpia cio' che dà fastidio quando proprio non riesce a rimuoverlo del tutto.

H/M non hanno affatto sostenuto cio' che viene fatto loro dire. Il fatto che RA si accodi ad una lunga schiera, aggrava la topica visto che viene commessa dopo mille precisazioni già fornite sul tema.

H/M si limitavano a considerare che se vogliamo conoscere il reddito futuro di un americano, l' informazione più preziosa che dobbiamo richiedere è il suo IQ misurato dai 15 ai 23 anni. Altre informazioni, come per esempio le condizioni socio-economiche della famiglia di provenienza, ci dicono molto meno.

H/M non facevano dipendere l' IQ dalla genetica, lasciavano in sospeso la questione disinteressandosene.

Certo, visto che SEF (condizioni socio economiche familiari) contano poco, evidentemente i fattori a monte dell' IQ, qualora non siano genetici, riguardano la cultura profonda. E azzerare una cultura è molto costoso per una policy.

Anche per questo H/M invitavano ad evitare aiuti alle "culture" che producevano povertà (es. i sussidi alle ragazze madri).

Poichè TBC è forse il libro più dibattuto del ventennio, H/M hanno avuto modo di puntualizzare ripetutamente alle critiche mai veramente serie ricevute. Peccato che ad RA il dibattito sia sfuggita e abbia tutta l' aria di volerlo ricominciare riproponendo le prime fasi.

Ma ipotizziamo la situazione ideale: tutte le culture vengono spazzate via (o compensate con l' affirmative action), i bimbi crescono in una campana di vetro che per tutti è la stessa, poi subiscono la selezione in base ai test. La mobilità sociale sarebbe garantita, ma se questo è il valore ultimo siamo sicuri che l' esito sia eticamente diverso rispetto al semplice impiego dei dadi? Siamo sicuri che tolte di mezzo le culture la genetica non finisca per contare ancora di più? Siamo sicuri di non assistere ad una lotteria dei talenti?

Il fatto che si tratti pur sempre di una "lotteria", rende la cosa eticamente sospetta.

Il fatto che riguardi i talenti la rende utilitaristicamente rilevante, ma allora devono essere considerati anche i costi sociali che comporta l' azzeramento di una cultura, proprio come segnalavano H/M.

RA non sembra interessato a questi nodi (le sue vaghezze e i suoi svarioni lo confermano).

Peccato che io invece lo sia e il promettente libro invece non mi aiuta molto a sbrogliare la matassa.

A volte ho il sospetto che libri del genere abbiano una funzione propagandistica. I lettori in Italia sono prevalentemente di sinistra, è l' unico popolo che richiede "spiegazioni". Spiegazioni per ricominciare, dopo il 68, ad accettare una società in cui ci siano "classifiche", "perdenti" e "diseguaglianza". Ma cosa ha effetto per il popolo progressista dalle lenti spesse? Abravanel offre 400 pagine e tanti buoni sentimenti. Forse puo' bastare.

martedì 17 giugno 2008

Cap & trade a scuola e in tribunale

Le intercettazioni sono troppe?

Lo scienziato triste ha la soluzione, si tratta sempre della stessa: fissare un minutaggio massimo per procura consentendo alle procure di negoziare tra loro i minuti.

Naturalmente la cosa funziona solo se i procuratori sono resi responsabili in base ai risultati. Oggi non sembra sia così.

I prof. con il tempo sono diventati troppo di manica larga danneggiando così i migliori allievi?

Lo scienziato triste ha la solita soluzione: fissare un budget di voti che ciascun professore puo' distribuire e introdurre forme di commercializzazione dei voti tra prof..

Gli alunni appartenenti ad una classe sopra la media sarebbero penalizzati. Ma lo sarebbero ancora di più se la "manica larga" non fosse disincentivata.


La cosa funziona, ma solo se i prof. sono responsabilizzati rispetto ad un risultato finale.

A proposito, ma perchè la "manica larga" danneggia i migliori? Semplice, se i voti si concentrano in alto, l' informazione che veicolano è dettagliata nel descrivere il profitto dei peggiori ma è molto scarsa nel descrivere quello dei migliori.

giovedì 5 giugno 2008

La scuola è scadente? Affittatela!

Se e come la scuola vada privatizzata è questione sempre contesa. Fiumi di inchoistro sono stati versati sull' argomento (ecco un sito per farsi un' idea).

Naturalmente nessuna soluzione radicale è praticabile.

E allora, avanti con le aristoteliche vie di mezzo. Una di queste è il tutoraggio privato come forma da affiancare alla scuola pubblica.

Sembra funzionare, specie nelle raltà più disastrate.

Estrapolo un passaggio da una recente ricerca della banca mondiale:

"... Tutoring lessons are found to increase test scores in India…mean matriculation rates in Israel…the quality of colleges in which students can enroll in Japan…and student academic performance in Vietnam..."

Qui, qui e qui, maggiori informazioni su aziende entrate in affari in questo campo.

martedì 27 maggio 2008

Un secolo in una settimana

In un secolo di duro lavoro, le nostre migliori intelligenze hanno partorito l' analisi della "domanda" e dell' "offerta". Mica male.

I frutti di un simile sforzo sono insegnati come routine nella prima settimana di un corso qualunque di economia.

Al termine di quella settimana si procede oltre con sempre nuovi argomenti.

Se le proporzioni sono queste, come pretendere che un novizio "riscopra", giusto con l' aiuto di un "facilitatore", cio' che è costato tanto sforzo ai "migliori" esperti della materia? Se vogliamo che languisca sull' ABC per un paio d' anni, forse abbiamo imboccato la via giusta.

Ma forse è meglio mettere sotto la cattedra una pedana bella alta e fare in modo che l' insegnante spieghi e l' allievo ascolti dal suo banchetto. Almeno nella fase iniziale.

Una volta che "sa", lo studente avrà anche modo, qualora sia realmente interessato alla materia, di "assimilare", di "penetrare a fondo", di trarne le implicazioni.

Non parlo da esperto, eppure l' intuito mi fa aderire alla posizione che Thomas Sowell descrive nei capitoli dedicati all' educazione del suo EWW.

Sarà perchè all' autoscuola non mi hanno messo sulla strada facendomi scoprire "per tentativi" come si porta una macchina nel traffico. E nonstante cio', sono un discreto pilota.

Per quanto l' empatia con TS possa traviarmi, rimarrei volentieri aperto anche alle pedagogie "discover by doing". E' così bello e onesto non giudicare a priori.

Rinuncio al giudizio a priori ma mi piacerebbe tanto poter perlomeno giudicare a posteriori, ovvero in base ai risultati.

Purtroppo il "giudizio in base ai risultati" sulla scorta di prove standard elaborate da soggetti indipendenti, è l' ultima cosa a cui ambiscono i sostenitori del DD. Va da sè che spesso l' esame finale è visto di cattivo occhio, come qualcosa di falsante e perturbante. Non parliamo poi dei test, vero demonio ingannatore.

Devo ammettere che questa renitenza è già un mezzo verdetto ai miei occhi.

La conoscenza non si giudica! Chissà se è vero.

Di sicuro, se non si giudica la conoscenza acquisita dagli allievi, non potranno mai essere giudicati nemmeno i professori. Ai maligni potrebbe cominciare a chiarirsi il fervore con cui una certa classe docente abbraccia i principi dell' insegnamento creativo.

Astenersi dal giudicare il docente in base ai risultati, non conviene a tutti. Qualcuno dovrebbe farsi sentire. I migliori potrebbero recalcitrare.

Conviene però alla parte sindacalizzata del corpo docente. Il motivo è cristallino: ogni differenzizione introdotta minerebbe la possibilità di avere sindacati coesi ed influenti.

Inoltre l' elite che più pesa nella classe degli insegnanti è anche quella più esperta, di lungo corso e saldamente inserita nel sistema. Perchè a quel punto della loro carriera dovrebbero spingere un sistema che premi i migliori anzichè gli anziani? Molto meglio procedere in modo che i fallimenti educativi non abbiano conseguenze su carriere già tanto avanzate.

TS parla della pedagogia creativa come di qualcosa che gli USA conoscono molto bene, forse è nata proprio lì. La sua levatrice probabilmente è stato l' influente filosofo John Dewey: bando al "teaching to the test" e via libera all' aspetto "socializzante" dell' insegnamento; la scuola doveva diventare una società in miniatura.

Già l' Unione Sovietica negli anni 20 e 30 si è dimostrata ricettiva rispetto al verbo, e il suo messia benediva il tutto con queste parole: "... quali meravigliosi sviluppi grazie ai metodi progressisti che il governo sovietico sostiene nell' ambito dell' educazione...".

La "partecipazione" dello studente "socializzato" mandava in brodo di giuggiole gli educatori progressisti.

Solo che spesso si traduceva in un insegnamento che dal "come pensare" svoltava pericolosamente verso il "cosa pensare".

Allora ecco lo studente sempre alle prese con una petizione, con una esaltazione di enfatici ideali, con una condanna per le brutture della guerra ecc. Il "cosa pensare", inevitabilmente, finiva per avvicinarsi molto all' ideologia del corpo docente, la quale tendeva stranamente a coincidere con quelle di lassù.

Purtroppo i risultati educativi non furono all' altezza e il regime si liberò in quattro e quattr' otto di quell' impostazione.

Lo stesso avvenne nella Cina maoista tra i 50 e i 60: via gli esami, esiti fallimentari e pronta restaurazione.

Ma Cina e URSS non avevano mica i sindacati indipendenti degli insegnanti! Potevano permettersi una provvidenziale marcia indietro.

Purtroppo le barriere tra scuola e società che Dewey voleva abbattere avevano una una ragione per esistere: la scuola non è una società ma un posto "specializzato" nel preparare chi deve entrare in società. Proprio come il simulatore all' autoscuola mi prepara a scendere in pista. Se non si tiene conto della differenza tra un videogioco e la realtà si finisce sempre fuori strada.

Per meglio considerare se sia possibile una valutazione significativa e standardizzata dello studente a posteriori, mi sembra la questione cruciale, sono di recente usciti due volumi che ho intenzione di leggere: questo e quest' altro. Sono forse destinato a ritirare il mio appoggio alla visione di TS? Ai posteri.

sabato 17 maggio 2008

Scuole incommensurabili

Come ci si oppone alla meritocrazia?

Di sicuro non frontalmente. Quarant' anni non sono passati invano.

In genere ci si concentra pensosi sulle mille difficoltà che rendono impervia una misurazione quantitativa del merito, per poi concludere affermando cio' che già si aveva in mente. è impossibile fare un lavoro serio.

Ma c' è una via più sottile, è quella che percorre chi dice: ha senso parlare di meritocrazia per gli allievi, non ha senso invece parlarne per le scuole.

Il professore trascorre un anno con l' allievo: ha le carte in regola per giudicarlo.

Ma nessuno trascorre anni con il professore, quindi nessuno puo' giudicarlo.

Certo che se un professore (o una scuola) dovessero essere giudicati per le strategie d' insegnamento che adottano, sarebbe imprescindibile che il "giudice" presidi ininterrottamente l' ambiente scolastico che dovrà giudicare.

Se invece fosse possibile giudicare sui "risultati" le cose cambierebbero. Si potrebbero trascurare le strategie (DI, Montessori...) per concentrarsi sui risultati. Di più, sarebbe auspicabile una competizione tra stratergie diverse.

Considerare debole un "giudizio per risultati" e poi preoccuparsi delle condizioni in cui versa la scuola italica visto che le valutazioni PISA la relegano agli ultimi posti, è a dir poco contraddittorio.

Ecco un buon libro che si pronuncia in modo ottimistico sulla misurabilità dell' efficienza nelle scuole. L' ha scritto Roger Abravanel. E Tony Blair, per esempio, l' ha preso molto sul serio.