Visualizzazione post con etichetta cultura intellettuali. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta cultura intellettuali. Mostra tutti i post

lunedì 21 luglio 2008

La spocchia degli sconfitti

Dopo la guerra nessuno ha investito nella "Cultura" quanto la Sinistra.

Impedita ad entrare nella stanza dei bottoni - almeno da noi in Italia - e memore del messaggio gramsciano, ha puntato tutto sull' occupazione massiccia degli spazi culturali creando una vorace classe di pensatori compulsivi che prendevano le misure a tutto.

Forse che una certa arroganza residua debba annoverarsi tra i danni collaterali di quel dominio illusorio?

Ironia della sorte, dopo mezzo secolo, il fallimento della Sinistra è soprattutto di ordine culturale.

O almeno, questo è il mio pensiero sulla parabola del movimento progressista e mi fa piacere che una ricostruzione similare venga tratteggiata da Arnold Kling riferendosi ai "liberal" americani. Una compagnia rassicurante.

Kling, con lo schematismo pragmatico d' oltreoceano, elenca alcune proposizione che rivelano al meglio una irreparabile perdita di credibilità ottenuta sul campo:


  • Anti-Communism was a greater menace than Communism.

  • The planet could not possibly support the population increases that would take place by the end of the twentieth century.

  • Conservatives stood in the way of progress for minorities.

  • Government programs were the best way to lift people out of poverty.

  • What underdeveloped countries needed were large capital investments, financed by foreign aid from the rich countries.

  • Inflation was a cost-push phenomenon, requiring government intervention in wage and price setting



Anche le esaltazioni sessantottine, dopo mezzo secolo, appaiono di natura più marziana che avanguardista. Kling sfoggia l' esempio patetico di Chomsky (oggi redivivo). Ricordate cosa andava di moda? Le ciancie della "meglio gioventù", più che da una risata, sono state ricoperte da fatti ineludibili, per esempio questi:



  • a mass exodus from Communist Vietnam (the boat people)

  • a large exodus from Cuba (the Mariel boat lift)

  • the collapse of Soviet Communism, revealing that the system did much broader and deeper damage than most people realized

  • an unmistakably large gap between North Korea and South Korea in terms of material well-being and personal freedom



Di quel grande progetto culturale e della sua fantica elaborazione non resta granchè. Tutti ne riconoscono implicitamente la pochezza e in molti sono ancora oggi impegnati a prendendone le distanze. Dismettere invece la spocchia del monopolio intellettuale è compito assai più difficile, lì non ci sono fatti che tengano.

martedì 27 maggio 2008

Colpi di stato linguistici

Nel leggere i saggi di Thomas Sowell, salta subito all' occhio quella che puo' essere considerata la sua missione: sventare i colpi di stato linguistici.

Le esperienze di vita pesano parecchio nelle riflessioni di TS. Ma quando si è accorto che il "suo avvocato" lo difendeva ricorrendo a distorsioni lessicali, gli ha revocato l' incarico sdegnosamente.

In quanto nero del ghetto, il "suo avvocato" era l' equivalente di cio' che alle nostre latitudini chiamiamo "Intellettuale Progressista". Evidentemente il Nostro pensava che la sua causa fosse talmente facile da poter essere difesa con schiettezza, senza impelagarsi nell' illusionismo parolaio.

Ma facciamo qualche caso in grado di parlare a tutti.

Quando IP bombardava TS dicendogli che "non doveva arrendersi alla dittatura del mercato", siamo già al cuore della questione linguistica.

Perchè mai dovremmo chiamare "dittatura" l' accordo consensuale tra due persone libere?

Non si capisce il motivo ma la presenza di un Terzo che imponga con la forza ai primi due un certo comportamento, tranquillizza l' Intellettuale Progressista. Con soluzioni del genere, contro ogni logica linguistica, costui sente scongiurati i rischi di dittatura.

Ma la tradizione che IP ha scelto di seguire lo rinforza in un atteggiamento del genere. Per un saggio storico di questo talento linguistico arretro ad una vecchia loro passione: I totalitarismi del socialismo reale. Questi regimi amavano definisri "Democrazie Popolari".

Naturalmente l' ultima cosa di cui si occupavano era il Popolo.

La sparizione del senso immediato è utilissima: impedisce di discutere nella sostanza, il che è assai temibile per chi vuole evitare il fastidio dei "fatti".

Se un barbone diventa un homeless, eccolo trasformato da ozioso scansafatiche in qualcuno che dobbiamo proteggere.

Se ci riferiamo ad una palude con l' espressione "territorio ad alta biodiversità", significa che, qualora quel terreno fosse di tua proprietà, rassegnati: ora non lo è più. Te lo abbiamo sequestrato con un "colpo di stato" linguistico.

Se non hai le carte in regola per fare qualcosa (sul lavoro, nello studio, nell' accesso al credito), non preoccuparti. L' IP saprà trasformarti. Diverrai qualcuno a cui l' "accesso è negato"! Delle opportunità ti sono state sottratte e tu nemmeno te n' eri accorto. Per fortuna che ci sono i tuoi amici "democratici".

I media progressisti, esempio classico la BBC, nel corso della guerra in Iraq, raccomandavano agli inviati di non riferirsi a Saddam Hussein con l' appellativo di ex-dittatore. In caso contrario ne avrebbe sofferto la "neutralità" della TV. Chi se ne importa se Saddam fosse un dittatore e si doveva ricorrere ad una truffa linguistica, ci sono cose che vengono ben prima rispetto all' ascoltatore.

E in questa strategia truffaldina la BBC non operava sola: i principali media americani, ma basterebbero la Bottero o la Gruber, sostituivano alla parola "terroristi" quella di "insorgenti" mentre i "facinorosi" e i "teppisti" diventavano "dimostranti".

Se parlo di truffe e non di ambiguità è perchè le distinzioni sono palmari: la resistenza non si pone come obbiettivo i civili, non fa scoppiare le bombe al mercato nell' ora di punta, non filma lo sgozzamento di un giornalista non schierato. Una distinzione che non puo' certo scalfire chi è solidamente catechizzato alla neutralità gruberiana.

Il fatto che la "neutralità" strida con l' "oggettività" è secondario. Al giornalista gruberiano è stata data la parola e con quella deve costruire il mondo buono dove noi potremo abitare in futuro.

E tu che credevi di aver di fronte un umile cronista solerte nel riportare la notizia. Macchè "umile cronista"! Avevi di fronte un intellettuale a tutto tondo impegnato in prima persona nel forgiare il Mondo Nuovo.

L' oggettività non richiede neutralità così come l' onestà cronistica non richiede di assumere linguaggi ideologici. Al contrario, neutralità e truffa non possono fare a meno l' una dell' altra.

Il giornalista alla Rai Tre eredita una tradizione ben radicata di questi imbrogli, basta risalire alla guerra fredda e rispolverare un taboo giornalistico ricorrente: riferirsi all' occidente come al "mondo libero". Non sia mai.

Peccato che i giochi linguistici non siano semplicemente giochi. Rappresentano un assalto al potere. Mediante la vuota retorica è possibile acquisire potere eludendo fastidiose questioni di sostanza.

martedì 13 maggio 2008

Un puma a Palo Alto

Dopo che DG ci ha spiegato con dovizia di particolari tutte le falle ingannatrici che minano il ricordo delle nostre esperienze, torniamo con i piedi per terra rivolgendoci a TS.

Il triste evento del puma ucciso vicino alla scuola, narrato a p.7, a suo tempo suscitò due reazioni: sollievo nei genitori dei bambini, indignazione nella vicina comunità accademica di Palo Alto.

TS, che ha inventato la figura dell' "esibizionista morale", ritiene di trovarne qui un esempio vivido. La situazione ricreatasi in quell' occasione gli sembra proprio archetipica e vorrebbe fermarla.

"... un titolo accademico prestigioso indica che possedete conoscenze specifiche in una certa area. Troppo spesso invece induce il possessore a pontificare su una serie di argomenti del tutto alieni. Spuntano da ogni dove discorsi forbiti pronunciati da gente che non sa di cosa parla. Il fatto che gli accademici fossero perlopiù di sinistra è perfettamente coerente con la loro assunzione per cui una "parte terza" - cioè loro - possa e debba indirizzare gli specialisti nel loro intervento.

I poliziotti probabilmente non hanno mai letto Chaucer e non sanno cosa sia l' "esistenzialismo". Però sanno bene cosa sia un pericolo..."


Strane alleanze: specialisti (poliziotti) e gente comune (genitori) contro intellettuali (comunità accademica).

martedì 15 aprile 2008

L' economia ovunque

Diana ha sganciato un siluro in testa agli econimisti.

Poco male, sono una sparuta minoranza di cui possiamo disinteressaci.

Peccato che diverse schegge rischino di raggiungere anche altri poveri innocenti.

Diciamolo chiaramente: l' attacco diventa stimolante e meritevole di reazione se il bersaglio non fossero gli economisti in senso stretto ma coloro che guardano al mondo con un cervello "da economisti". Parlo dunque di barbieri, camionisti, professori di estetica, sacerdoti, disoccupati... una folla eterogenea che adotta una certa ottica.

Un' ottica da noi poco apprezzata, al punto che qualcuno si è spinto ad affermare che i popoli nordici, rispetto a noi, "hanno un cervello naturalmente predisposto per l' economia". Il link non lo trovo, mi sia consentito di procedere oltre.

Non so se si possa azzardare tanto. Adesso però mi viene da fare un esempio un po' forte. Speriamo che nessuno si offenda.

Lo conoscete voi il mitico Saviano? Con il suo best seller di qualche anno fa ci meravigliava e c' impauriva tutti mettendo in scena lo spettacolo della malavita meridionale: avida, calcolatrice e sfruttatrice. Un mondo caricaturale e violento, deformato dalla voglia sfrenata di massimizzare i profitti. Un mondo governato da perfide "logiche capitaliste" che viveva a suo agio nella contiguità con altri e all' apparenza meno inquietanti aspetti del capitalismo ufficiale.

Il mitico Saviano, descrivendo le cose in questo modo, non sembra particolarmente vicino alla sensibilità dell' economista. Altrimenti quella che per spaventarci meglio chiamava "logica capitalista", la chiamerebbe molto più semplicemente..."logica". Al limite se proprio non resistesse alle tentazioni di aggettivare potrebbe aggiungere... "umana".

Ora, anche altri popoli hanno i loro "Saviano".

Interessante vedere i "saviano" di quei popoli etichettati come "economisti naturali".

Si chiamano, per esempio, Sudhir Venkatesh e scrivono libri come: Gang Leader for a Day: A Rogue Sociologist Takes to the Streets.

Infiltratosi nelle gang giovanili, il Saviano a stelle e strisce, scopre i meccanismi con cui la gang giovanile risponde razionalmente all' ambiente circostante. I metodi organizzativi assomigliano a quelli di una corporation e, poichè mancano praticamente tutti i mezzi della corporation, si creano delle ingegnose procedure sostitutive.

Lo stesso fa Peter Moskos nel suo: Cop in the Hood: My Year Policing Baltimore's Eastern District. Questa volta vengono indagate le dinamiche della corruzione e dello scarso rendimento di un dipartimento di polizia. Siamo di fronte a demoni e lazzaroni? No, siamo di fronte a gente che risponde in modi perfettamente spiegabili a delle sollecitazioni esistenti.

Saviano direbbe che i Gang leader e i poliziotti corrotti adottano "logiche capitaliste". Agitando ad arte queste parole potrebbe evocare fantasmi terribili a cui le menti dei non-economisti sono particolarmente sensibili. Sembra quasi pensare che un ridimensionamento del capitalismo ufficiale possa guarire le perversioni della malavita. Al delinquente verrebbe a mancare un prezioso serbatoio di idee.

Al contrario, Moskos e Venkatesh descrivono cose non troppo dissimili per concludere che sia i gang leader che i poliziotti corrotti tengono una condotta "spiegabile", ovvero ragionevole.

Con una conclusione del genere i due autori finiscono per rassicurarci, non siamo di fronte a mostri ma a persone poco distanti da noi che rispondono ad incentivi. Visto che non siamo degli "economisti naturali" potremmo dire che rispondono a tentazioni che a noi vengono risparmiate.

Non dobbiamo operarle al cervello, dobbiamo mettere in piedi un ambiente con i giusti incentivi. In altre parole: anche qui ci vuole un economista!

Attenzione, non che Saviano sia colpevolista. In fondo le colpe del delinquente non spiccano neanche nel suo reportage. Con i cattivi esempi che esibisce la società ufficiale, è difficile aspettarsi dal criminale qualcosa di diverso. Se invece saprà rinunciare ai propri egoismi e diventare buono, per lui si spianerà la strada della santità. Operazione facilitata se intorno a lui fiorisce l' esempio di una bontà diffusa. Quello che ci vuole è un esempio di generosità e magnanimità e non un ambiente che premia certi comportamenti. Premia? Non siamo mica economisti noi!

Morale: da una parte abbiamo il cantastorie moralista, dall' altra gli scienziati sociali, ovvero gli "economisti".
***
Indossando gli occhiali dell' economista vediamo subito alcune cose:
  1. gli incentivi funzionano;
  2. le persone sono mediamente ragionevoli;
  3. le persone sono mediamente egoiste;
  4. le persone hanno mediamente la medesima moralità;
  5. le persone hanno mediamente i medesimi gusti;
  6. le persone tendono, mediamente, a non variare troppo i loro gusti nel tempo;

Sulla base di queste premesse l' economista comincia a darsi ragione di cio' che osserva.

Non potrà liquidare nessun argomento tirando in ballo "i gusti", nemmeno la moralità puo' essere messa al centro delle sue spiefazioni, i comportamenti bizzarri sono banditi e così via.

Anche per questi vincoli il barbiere "economista" ha una spiegazione di buon senso.

***

Molti guardano al barbiere "economista" come ad un tipo da imitare. In effetti alcune ragioni che portano acqua al suo mulino ci sono. Il suo approccio e fuoriero di stimoli e sviluppi. magari non è quello giusto ma riesce più di altri a lanciare provocazioni che difficilmente cadono nel vuoto.

Toglieno ogni limite all' arroganza, svolgerò qualche congettura circa le motivazioni per cui l' economia ha in mano buone carte per candidarsi a disciplina intellettualmente dominante nell' ambito delle scienze.






  1. Il suo individualismo metodologico le consente una riduzione congeniale al modo di pensare dell' uomo moderno (diritti individuali...).
  2. L' economia fa eleggere i Presidenti.

  3. Il suo individualismo metodologico consente facili connessioni con l' etica.
  4. La marginalizzazione dell' etica lo preserva da posizioni fondamentaliste.
  5. Sapere mettere le mani nella cassetta degli attrezzi economici rende interessante la lettura di almeno due articoli di giornale su tre. Non ti annoi mai!
  6. L' economista immagina spesso individui con medesimi diritti e gusti non troppo dissimili. Questa visione viene avvolta facilmente in un' aurea di universalismo.
  7. Mettendo l' accento sulla razionalità dell' agente consente di privilegiare la spiegazione della realtà rispetto alla sua descrizione. Questo è un vantaggio decisivo rispetto alle scienze naturali.
  8. Postulare la razionalità dell' agente è un modo di pensare una solida base naturale che accomuna l' umanità. L' uomo moderno trae conforto da una simile petizione.

  9. Mettendo al centro l' individuo e le sue intenzioni costruisce facili agganci con filosofia e religione.

  10. L' allungamento costante dei periodi con dati a disposizione, rende meno vulnerabile l' economista all' accusa che da sempre lo smonta: quello di essere uno scienziato "senza laboratorio".

  11. La disponibilità crescente di macchine macina-numeri consente elaborazioni prima impensabili, soprattutto in tema di scenari simulati.

  12. Ci sono i dati di fatto: l' economia si è intrufolata con successo in ambito giuridico, sociologico, politico.
  13. Se le condizioni affinche possa applicarsi il ragionamento economico sono quelle di cui sopra, allora l' economia è ovunque e dove non c' è presto arriverà.

  14. L' economia ha saputo metabolizzare al meglio gli attacchi subiti dalla psicologia. Lo psicologo mette sul suo banchetto varie ipotesi cognitive, l' economista si serve a seconda delle sue intenzioni e costruisce i suoi modelli esattamente come faceva nel caso di operatori razionali. Il paradigma non è stato sconvolto. Inoltre la sostituzione dei modelli con le simulazioni (più adatte a intelligenze multiple) è stata un' innovazione degli economisti. Diversi economisti si sono guadagnati il loro Nobel per lavori nell' ambito delle scienze cognitive (penso a Herbert Simon), evidentemente non si sono limitati a ricevere passivamente approcci differenti.

  15. Gli economisti litigano un casino. Questo fa scrollare la testa agli scettici che pensano: "...questa scienza non sa cosa dirci...". Ma sull' 80% delle questioni anche Krugman o Stiglitz concordano con Mankiw o Cowen. E' che sul restante 20% si monta sempre una cagnara tale da oscurare tutto il resto.

  16. E poi c' è una motivazione che basterebbe da sola: l' economista ordina il lavoro di tutti gli altri scienziati. Non è colpa sua, è semplicemente l' oggetto dei suoi studi.

mercoledì 27 febbraio 2008

La Cultura si auto-finanzia. Mantova

La kermesse di Mantova è un vero "affare": nel 2006 per 1 milione e 400 mila euro investiti, i guadagni hanno sfiorato i 15 milioni.

Dati tratti dalla ricerca "Eventi culturali e impatto economico. Il Festival di Mantova.

Se questi sono i numeri perde di senso continuare ad insistere sui tradizionali canali di finanziamento. Molto meglio l' elaborazione di formule attraverso cui intercettare parte della ricchezza prodotta.

venerdì 15 febbraio 2008

Il potere della musica...brutta

Non solo Reagan e Wojtyla

"...Come Savonarola fu tra i più sensibili ricettori della grande arte fiorentina, allo stesso modo la burocrazia Sovietica produsse alcune sottili analisi della musica rock. Costoro capirono perfettamente le implicazioni di una musica che a loro appariva pro-capitalista, pro-commerciale, pro-individualista, pro-consumista e ostile al controllo sociale tanto auspicato dall' apparato socialista.

In Cecoslovacchia, il governo di allora concluse che il punk-rock non era altro che uno strumento manipolativo attraverso cui le società capitaliste istillavano il proprio messaggio nella gioventù rossa. E, infatti, i cittadini oppressi che amavano il punk rock erano anche quelli che più agognavano a stili di vita tipici dell' occidente. Il ruolo chiave della musica rock nel diffondere le idee del blocco capitalista fu confermato a posteriori da molti dissidenti.

John Lenon, che si auto-proclamava un collettivista, in realtà fornì una delle più formidabili campagne a favore del sistema economico in cui viveva. D' altronde è noto, e non è un' ironia, che nelle catene dei magazzini Nordstrom venisse fatta ascoltare ai clienti per invogliarli all' acquisto, una versione Muzak del supposto inno "comunista" di Lenon, Imagine.

Chi vede nero giudica la musica classica come portatrice di robusta salute culturale e il rock come prodromo al collasso sociale. Eppure i fatti suggerirebbero l' opposto. Le radici della musica classica, il genere favorito da chi scorge nella modernità solo la parte più degradante, affondano in quelle società che più tardi, nel XX secolo, ci regalarono il Nazismo e la seconda guerra mondiale. Sarebbe assurdo incolpare Mozart o Mahler di aver creato inconsapevolmente un Hitler, sta di fatto che non si vede alcun solido legame tra il diffuso supporto nei confronti della musica classica e la salute culturale di una popolazione. In realtà sappiamo pochissimo intorno alla musica più appropriata per fornire solide basi sociali. Sappiamo tuttavia che una società consumistica e libera offre terreno fertile alle musiche centrate sull' interprete e sul suo talento (rock, jazz...), fenomeno visto sempre con sospetto laddove il controllo sociale è molto più stringente..."

Tyler Cowen, In Praise of Commercial Culture.

lunedì 11 febbraio 2008

Finanziare l' arte e la cultura

Un occhio alla storia:

"...il mercato talvolta fallisce nell' individuare gli artisti che meritano, ma un' economia ricca, presa nel suo insieme, compie meno fallimenti rispetto ad un' economia povera nel proferire i suoi giudizi estetici. Un' economia ricca mette a disposizione degli artisti diversi canali attraverso cui finanziarsi. Fondazioni private, Università, fondi familiari e anche il lavoro ordinario. Jane Austen visse traendo i suoi fondi dalle ricchezze di una famiglia benestante, Rliot lavorò presso i Lloyd, James Joyce insegnava lingue, Paul Gauguin accumulo un capitale cospicuo attraverso la sua attività di agente azionario, Vharles Ives fu un amministratore assicurativo, Vincent Van Gogh fu supportato dal fratello commerciante, William Faulkner lavoro presso un impianto di produzione energetica e più tardi come sceneggiatore a Hollywood, Philip Glass conduceva il suo taxi a New York. Williams Carlos Williams lavorava come medico a Rutherford, NJ, e scriveva i suoi poemi tra una visita e l' altra. Wallace Stevens, poeta americano, intraprese una carriera a tempo pieno nel ramo assicurativo. declinò anche l' offerta di una cattedra di poesia ad Harvard pur di non compromettere la sua posizione lavorativa. Ma spostiamoci nella Francia del XIX secolo, molta ricchezza "borghese" finanziò l' arte anti-establishment. i fondi di famiglia, quasi sempre originati da attività commerciali, aiutarono, perlomeno nella prima parte sella loro carriera, personalità come Delacroix, Corot, Courbet, Seurat, Degas, Manet, Monet, Cezanne, Toulouse-Lautrec e Moreau, ma anche Baudlaire, Verlaine, Flaubert. Per non parlare di Proust, che potè segregarsi per curare la sua opera grazie alla ricchezza borghese dei suoi parenti, perlopiù originata dalla borsa di Parigi. Gauguin lasciò la Francia per Thaiti ma non smise mai di autopromuoversi insistentemente e dalle isole monitorava con assiduità il crescente valore delle sue opere a Parigi. I bohemien, le avanguardie e anche i nichilisti sono in gran parte il prodotto della società capitalista, costoro hanno perseguito forme di libertà e creatività concepibili e possibili solo in un mondo ricco come quello moderno. In passato gli artisti non agognavano certo la vita da bohem cercando invece il profitto anche in modo smaccato. L' artista rinascimentale, per esempio, era innanzitutto un uomo d' affari. Produceva per profitto personale, firmava contratti e non esitava a rescindergli qualora non trovava più convenienza nel suo lavoro. benvenuto Cellini affermava che "...lavorerei per chiunque mi pagasse bene...". Bach, Mozart, Haydn e Beethoven erano tutti ossessionati dal guadagno, come si evince dalla lettura della loro corrispondenza. Persino Chaplin alla consegna degli Oscar ebbe a dire: "...cominciai per denaro e alla fine l' arte crebbe da sè..."

TC in PCC p. 17-18.

sabato 9 febbraio 2008

Leggere Tyler Cowen: In Praise of Commercial Culture


  1. Intro. La domanda: il capitalismo favorisce la cultura?

  2. Intro. 5 vie per dire di sì con relativi controesempi.

  3. Intro. Definizione di "Capitalismo".

  4. Intro. Popolari contro elitisti. Wells vs.Bloom. Problemi di estetica.

  5. Intro. L' argomento principale: il mercato garantisce complessità. Non è poco vista la preponderanza dell' elemento soggettivo in materia di estetica.

  6. Pessimisti e Ottimisti culturali: la sfilza dei nomi e delle scuole.

  7. Cap.1. Capitalismo e società ricche come garanti dell' indipendenza artistica: la cascata degli esmpi e la fonte delle risorse (famiglia, mecenati, università, lavoro...).

  8. Cap.1. Creatore, distributore, consumatore. Il mix delle motivazioni per produrre arte.

  9. Cap.1. I soldi come fine (es. Rinascimento, Mozart) e come mezzo.

  10. Cap.1. Teorema di Baumol: la produttività crescente rende l' attività artistica più costosa poichè in quel settore la produttività non cresce. Evidenze a confutazione. I benefici della tecnologia per la produttività artistica.

  11. Cap.1. Specializzazione e diversità. Capitalismo e varietà: esempi.

  12. Habermas contro Tyler: la cultura come Ragionamento (Platonico) contro la cultura come Competizione.

  13. Cap.1. Il mercato garantisce dinamismo e innovazione. Ma l' innovazione è anche una chiave dell' arte. Ruolo degli outsiders e delle minoranze. Esempi (neri, gay, ebrei, impressionisti...).

  14. Cap.1. Cultura di massa: TV e sport. Scarsa concorrenza, scarsa diversità. Con cavo, satellite e digitale la musica cambia.

  15. Cap.1 Il governo, meglio quando agisce come un privato in maschera. Teorema: creare burocrazia (lavori poco impegnativi) sostiene l' attività artistica.

  16. Cap.1. Europa vs. USA. Fondere e diversificare è il compito della modernità.

  17. Cap.2. Lettura e tecnologia: 3 novità epocali.

  18. Cap.2. Letteratura come ferro di lancia per gli ottimisti: il mercato funziona e la diversità si vede (esternalità delle arti visive).

  19. Cap.2. Il complesso dei bolckbuster sbriciolato da internet.

  20. Cap.2. Johnson vs Swift.

  21. Cap.3. Arti visive: tecnologie, ruolo della città e riproducibilità
  22. Cap.3. 4 città considerate come case study.

  23. Cap.3. Firenze, arte e commercio. Il ricco compra, l' artigiano produce (domanda e offerta). Firenze rispetto alla milano degli Sforza o alla Spagna dei filippi.

  24. Cap.3. Benjamini: si perde l' aura dell' opera ma si guadagna in ricchezza dell' offerta e diffusione dell' opera.

  25. Cap. 4. Musica: tecnologia distributiva e facilità di accesso oggi. La pittura si possiede, la musica no: l' indipendenza e la competizione passa dai piedi, avvantaggiato un territorio frammentato come quello tedesco (Haydn, ozart, Beethoven). Il ruolo della Hausmusik. Il rifiuto del mercato: Wagner, Schoenberg, Strawinski, Cage. La radio, dischi e produttività alle stelle. La musica contemporanea: in un mondo ricco si puo' permettersi una nicchia di soli specialisti, cosicchè anche il compositore diviene uno specialista. Rock e capitalismo: il nesso scoperto dai sovietici.

  26. Cap. 4. Contro la tesi Frank/Cook per cui la facile riproducibilità nuoce alla diversificazione.

  27. Cap. 5. 9 motivi per spiegare il pessimismo culturale intorno alla cultura prodotta nella società dei commerci 1) illusione cognitiva 2) funzione dell' anziano 3) competizione culturale 4) lo scandalo dei sensi 5) religione 6) politica della stabilità 7) multiculturalismo e staticità 8) elitismo 9) psicologia pessimista.

  28. Il pessimismo puo' far bene: meglio se preso nelle dosi che produce il mercato.

mercoledì 6 febbraio 2008

Selezionare l' organigramma di Fahre - utopie/bussola

Criterio facile facile per selezionare l' organigramma direzionale Rai/Cultura. In particolare il personale di Fahre.

  1. Selezionare come pare a voi 200 nomi "papabili" per assumere ruoli d' indirizzo nelle trasmissioni culturali di Radio Rai.


  2. Selezionare 100 fantomatici Provibiri in grado di coprire tutto lo spettro politico.


  3. A ciascuno dei Provibiri deve essere concesso di eliminare un nominativo. I "papabili" resteranno quindi in 100.


  4. Organizzare un mercato delle scommesse. Ciascun titolo sarà costituito dall' abbinamento di un nome con una Parte Politica.


  5. Alla vigilia delle elezioni la borsa-fahre esprimerà delle quotazioni. I nominativi prescelti saranno quelli che minimizzeranno il differenziale delle quotazioni relative ai titoli dove compare il loro nominativo.


  6. Tutti i papabili esprimeranno pubblicamente il loro voto. A quel punto tutte le scommesse verranno pagate e incassate.


  7. La qualità è garantita dal punto 1.


  8. Il radicalismo è scongiurato dal punto 2


  9. L' imparzialità è garantita dal punto 5. Facciamo l' esempio di un fazioso come potrebbe essere Cimatti o Sinibaldi. Quand' anche superino il punto 2. Avranno quote bassissime sui titoli in cui appaiono abbinati al centro-sinistra e altissime sui rimanenti. Con quei differenziali saranno senz' altro scartati.


  10. L' onestà è garantita dal punto 6. Nessuno scommetterà mai su candidati per cui è elevata la probabilità che tengano comportamenti opportunistici.


Ovviamente ci sono diverse cose da mettere a punto: come raffinare il punto 1? Come raffinare il punto 2? Come definire il concetto di parte-politica di cui al punto 4? Come garantire l' esternazione pubblica di cui al punto 6? Eccetera. In ogni caso comincia ad intravedersi un barlume di democrazia economica.

A Teatro più spazio ai privati

Mercato e cultura.

giovedì 31 gennaio 2008

La cultura della diseguaglianza fa lo sgambetto a Edward

Nell' editoriale del Sole di oggi, Alesina ci intrattiene sul fallimento di Edward, il candidato alla presidenziali americane che ha puntellato la propria campagna con il motto: "prendere ai ricchi per dare ai poveri".

Ma un simile programma, e lo si è visto, non puo' fare breccia in un mondo dove si pensa

"...di poter risalire la scala sociale con le proprie forze...".

Aggiungerei che si tratta di un Paese in cui il benessere di una persona non viene realmente apprezzato se non lo si ottiene con le proprie forze.


Eppure le Istituzioni di quel Paese consentirebbero la realizzazione di un simile disegno, forse lo agevolano addirittura. In passato lo si è visto.

Il freno che rende difficoltosa quella via è costituito allora da due elementi culturali.


Come a dire, conta anche la Cultura, le Istituzioni non sono tutto.

Il bluff della Radio di tutti. Cultura on air a Radio Tre.

Intervento nel forum



E' un po' squallido, è un po' banale.

E' qualcosa di trito, è qualcosa che per l' averlo troppo sentito non lo si ascolta più.

E' qualcosa che al solo pronunciarlo i forumisti più sensibili (e a ragione) scappano.

Eppure, ho la sensazione, che cio' che a Vlad (e a me) non va di Fahrenheit sia proprio quello.

La trasmissione veicola valori, diciamo, "de sinistra" (o di quella destra sua cugina prima), ora più, ora meno.

La cultura ci viene spiegata come un coacervo di stimoli e ragioni che spinge inevitabilmente il fruitore sensibile ad orientarsi da quella parte.

In fondo la trasmissione non è brutta.

Si tratta solo che constato in modo preoccupante come io non sia praticamente MAI d' accordo su quello che si dice, perlomeno sulle affermazioni di valore e sul modo di affrontare i temi sociali. E’ un caso fortuito?

No! E’ inevitabile vista anche la biografia dei conduttori.

E’ anche inevitabile considerato che trattasi di una radio pubblica (come potrebbe giustificare la sua esistenza se non facendo appello a valori tratti dal patrimonio della sinistra (o di quella destra che è sua cugina prima).

E’ inevitabile viste...viste le 10 ragioni per cui l' intellettuale europeo (continentale) è, in genere, di sinistra (o di quella destra sua cugina prima).

Sono 10 "formidabili" ragioni a suo tempo elencate in specifico thread.

La cosa è disdicevole poiché dovrebbe essere la radio di tutti e, non solo non lo è, ma non puo' nemmeno esserlo per sua natura.

Allora, l' unica lotta sensata (e, per ora, utopica), non consiste nel combattere la trasmissione ma nel combattere l' esistenza della radio da cui trasmette.
***
E non dire che giudico solo dopo aver letto le "biografie" dei conduttori perchè guarda che non inferisco proprio niente dalle "biografie".

Semplicemente ascolto (quando posso) quel che si dice.

Se ascolti Cimatti 2 minuti 2 su qualsiasi argomento (che non sia prettamente estetico), subito ti viene da dire "...ma questo parla come uno che scrive sul Manifesto...".

Poooi, solo dopo, solo successivamente, solo in un secondo tempo, solo per caso ti accorgi che...scrive sul Manifesto!

Se si parla di femminismo e si opta per approfondire la questione intervistando Luce Irigary non abbiamo già detto tutto?

Guarda caso non si intervisteranno mai Wendy Mc Elroy o Carrie Lukas, o...E' davvero un caso? No, si tratta solo del fatto che "la radio di tutti" è culturalmente orientata da sempre e non puo' che esserlo.

Se si parla di lavoro e si decide di approfondire intervistando Luciano Gallino non abbiamo già detto tutto?

Guarda caso non si deciderà mai di farlo intervistando Alesina o Colombatto o Perotti o Ichino o Cazzola...E' un caso? No, si tratta solo del fatto che la "radio di tutti" è, in realtà, dei soliti noti.

Sono questi pregiudizi? Nooo, perchè poi vai ad ascoltare e Luciano Gallino parla proprio come parlerebbe Luciano Gallino!
***
Riassunto e strategie:

Fahre veicola una cultura sensibile ai valori della sinistra (o di quella destra sua cugina prima).

I valori della sinistra si riducono ad uno che, in estrema sintesi, è il seguente: fare l' elemosina con risorse altrui.

Recentemente un altro valore è salito alla ribalta: il Politically Correct.

Il P.C. è quel sottile velo d' ipocrisia sparso un po' ovuque per cui non si possono dire alcune parole.

Per esempio "elemosina".

Si sa, un nebbiogeno è sempre necessario quando la chiarezza è imbarazzante.

Ma perchè Fahre è così com' è. Se lo scoprissimo potremmo anche modificarla.

Ho individuato due cause: 1) radio pubblica 2) biografia dei conduttori.

La seconda mi sembra più potente.

Ma si tratta di biografie normali di normali intellettuali.

E' una normalità dettata dalla presenza predominante ed invasiva della scuola pubblica.

Se la scuola pubblica prevale ci saranno sempre intellettuali in grado di giustificare, per esempio, l' esistenza di una radio pubblica (l' altra causa).

Se la formazione nella scuola pubblica prevale è normale avere intellettuali sensibili a quei valori.

E' normale avere una platea di ascoltatori che accolgano favorevolmente i temi culturali presentati con quelle sfumature.

E' normale avere delle case editrici che producano in modo da soddisfare una platea di tal fatta.

E' un processo che si autoalimenta ma ha una radice.

Questa radice è la presenza diffusa dell' istruzione pubblica.

Non serve a nulla contestare Cimatti o Pincopallino. Si taglierà una testa e ne spunterà subito un' altra.

La vera battaglia, anche se di lungo periodo, dovrebbe consistere nell' indebolimento (smantellamento) della scuola e dell' istruzione pubblica in generale.

E allora, adesso si capisce meglio perchè alti e fragorosi lai salgono puntualmente in cielo ogni qualvolta si accenni a forme di privatizzazione della scuola?

Non si tratta solo dell' orrore suscitato dalla meritocrazia ma del fatto che è in ballo l' egemonia di alcuni paradigmi culturali.
***
Qualcuno propone strategie alternative, per esempio fare in modo che sia garnatita un' equa rappresentanza sul mezzo pubblico.

A tal proposito sono d' accordo con Diana.

Mi sono guardato bene dal proporre come alternativa il ping-pong tra opposte fazioni.

Preferisco di gran lunga l' approfondimento di un punto di vista.

Naturalmente in questo modo c' è un' effetto "parrocchietta". E la "parrocchietta" è sempre quella del conduttore. E la "parrocchietta" è sempre la stessa (per i motivi di cui sopra).

La Caramore (parrocchietta del dialogo-dialogo-dialogo) non fa certo eccezione (ma dove sono finiti i podcast?).

Sulla radio di tutti l' effetto parrocchietta puo' essere interessante ma è decisamente sgradevole a vedersi.

Sulla radio della parrocchietta l' effetto "parrocchietta", devo dire, lo si sopporta molto megio.

E allora, abbasso la radio di tutti, evviva le radio delle parrocchiette.

Perchè questo messaggio passi, secondo me, è necessaria la riforma impossibile di cui sopra.


mercoledì 9 gennaio 2008

L' ultimo taboo: Arte & Denaro

David Galenson dispiega le sue argomentazioni sul legame ipocrita tra arte e profitti.

Alcune citazioni interessanti di chi ha rotto tradizioni inveterate:


The market is the greatest critic/Jeff Koons



Being good in business is the most fascinating kind of art. During the
hippie era people put down the idea of business - they'd say 'Money is bad,' and
'Working is bad,' but making money is art and working is art and good business
is the best art/ Andy Warhol

martedì 8 gennaio 2008

Se questa è la scuola europea, allora meglio ultimi

Indottrinamento a tutto spiano.

Facciamo il caso dell' economia, ecco un passaggio sintomatico:

"...lo sviluppo economico produce frenesia, superlavoro,
stress, esaurimenti, depressioni, malattie cardiovascolari, e, secondo alcuni,
anche parecchie forme di malattie tumorali..."


Si tratta del famoso "Histoire du XXe siècle", libro in tre volumi adottato in moltissime scuole francesi. Stampato nel 2005, mica negli anni '70!

Gaffe sintomatiche alla radio pubblica. Felice Cimatti in quel di Fahrenheit prende a pretesto l' ambiente per rialzare il pugno

In una delle trasmissioni più ideologizzate della nostra radio, parlo di Fahrenheit - che naturalmente mette in scena le sue faziosità rivoltanti dalle frequenze destinate al servizio pubblico - ascolto questa trasmissione (vai al minuto 27.34).

Il rosario degli argomenti messo in campo è collaudato quanto bolso.

Intervistando un sociologo che mai ne ha azzeccata una in tutta la sua carriera - Gallino, ospite fisso da decenni -, il conduttore Felice Cimatti - uno che come molti fa la spola tra Manifesto e Radio 3 - sta come al solito lanciando i suoi strali contro ogni forma di lavoro flessibile.

Dopo poco si passa stancamente alla condanna dell' outsourcing e della globalizzazione.

Il carattere trito e macilento di questa solfa sembra far aleggiare una qualche consapevolezza se è vero che il Cimatti ogni tanto sospira scoraggiato, ormai nemmeno lui riesce più a farsi convincere da affermazioni che la comunità scientifica si è lasciata alle spalle da decenni. In fondo lo sa bene, le soluzioni da lui sognate (le solite cretinate comunisteggianti) sono inapplicabili nel mondo d' oggi.

Poi un' illuminazione che riaccende la verve: "...ma non è che le questioni ambientali possano arginare i fenomeni di globalizzazione e di liberismo selvaggio?" - minuto 27.34 -

Risposta pronta del sociologo che fino ad allora aveva denunciato chiare lacune nei riflessi: "Certo-certo-lì c' è una speranza...".

Chiaro adesso a cosa servono le questioni ambientali al signor Cimatti che parla a nome di tutti, dalla radio di tutti, pagata da tutti?

La gaffe è rivelatrice. Al solo citare la "questione ambientale" nella testa del Felice Cimatti è partita l' Internazionale e il Sol dell' Avvenire ha preso a sorgere.

C' è da scommettere che presto la genia qui impersonata dal Cimatti si metterà al lavoro per proporre soluzioni ambientali, nonstante che costoro, la gaffe lo denuncia, desiderino un ambiente sostenibile almeno quanto pescare il due di picche a briscola e trattino la questione ambientale in modo meramente strumentale.

Ma quando la si vende questa Rai?

Maurizio Ferraris alle prese con gli spettri

Nell' ultimo supplemento domenicale del Sole 24 Ore, a pagina 5, Maurizio Ferraris è intento a recensire la "bellissima" antologia di scritti marxiani curata da Enrico Donaggio e Peter Kammerer per Feltrinelli: "Capitalismo. Istruzioni per l' uso."



Per quanto la Storia, di solito così sfumata, complessa e priva di verdetti, si sia incaricata per l' occasione di farci chiaramente comprendere quanto il Profeta di Treviri, del capitalismo non avesse capito granchè. Per quanto il Nostro sia quasi unanimemente considerato "un mediocre e tardivo economista enormemente influente - scopriamo invece che per penetrare a fondo nella trama di base del fenomeno capitalista, il suo insegnamento sia imprescindibile.



Desta qualche sospetto che a dircelo in questa nota critica sul giornale di Confindustria sia uno dei pochi filosofi in circolazione che ancora cerchi di mettere in piedi una qualche raffazzonata difesa di intellettuali pasticcioni, contraddittori e dannosi, come puo' ormai essere considerato il post-modernista Derrida. Noto ai più per l' uso di venticinque parole quando ne necessita una.



[...a proposito, anche il francese, come accade sempre nelle uscite pubbliche di Ferraris, viene citato con un riferimento al "bellissimo" (ancora?) "Spettri di Marx"...]



Desta qualche sospetto che a dircelo sia uno che considera il "plusvalore" come cio' che consente a colui che apre un call center di avere maggiori opportunità di guadagno rispetto a chi ci lavora.



Ma che diavolo di nozione è mai questa? E io che mi credevo che il plusvalore servisse a dimostrare la natura parassitaria, e quindi superflua, di ogni attività puramente imprenditoriale, ovvero speculativa!



Ma probabilmente, passando attraverso la cosmesi post strutturalista di Ferraris, nonchè del padre putativo Derrida, il concetto è radicalmente mutato secondo il comando che presiede al lavoro di quelle officine: trasformare l' errore in oscurità.



I concetti imperscrutabili si riabilitano molto più semplicemente rispetto a quelli chiaramente erronei.



Si prosegue poi con pari rigore nel denunciare senza infingimenti quel "sortilegio per cui si confonde il valore d' uso con il valore di scambio".



Sortilegio? Mi pare che l' economia moderna e il soggettivismo che reca con sè, si fondi sopratutto su una simile distinzione ripetuta di continuo in modo forte, chiaro e inequivocabile! Altro che "...sortilegio che porta a confondere...". Probabilmente Ferraris è arrivato nel terzo millennio girandosi dall' altra parte.



Ma il nostro filosofo non si ferma, sente impellente l' esigenza di altri buchi nell' acqua.



Secondo Ferraris, Marx, analista oggettivo e senza illusioni, ha denunciato fino in fondo le contraddizioni del capitalismo proponendo una via alternativa.

A questo punto uno si crede che la Via Alternativa alle contraddizioni tenda alla coerenza.



A giudicare da come è miseramente collassata nel corso di verifiche secolari, sembrerebbe proprio di no.



Naturalmente Ferraris si guarda bene dal dire che, rispetto ai progetti marxisti, qualcuno ha fatto leggermente meglio.



Nooooo, al socialismo reale non ha certo nuociuto il confronto con i sistemi liberali, è stata la Chiesa Cattolica, in quanto (brutta imbrogliona) "portatrice di speranza non soggette a verifica", ad avere inferto il colpo di grazia.



Naturalmente questo discorso starebbe in piedi con le grucce qualora oggi l' Occidente fosse in una condizione simile se non uguale a quella dei socialismi reali (URSS ieri, Cuba e Corea oggi...).



Ferraris non osa dirlo, forse un po' si vergogna, ma lo postula subdolamente. Secondo lui oggi siamo tutti "...vittime delle nostre illusioni...". Visto che un' illusione infranta vale l' altra, visto che i gulag assomigliano molto ai libri in tribunale della ferramenta di papà, direi che l' assunto puo' ritenersi dimostrato.



Senza contare che, a questo punto, qualcosina la si potrebbe pur dire sul filo che lega Chiesa Cattolica e libertà individuali. ma quando mai? Tutto deve apparire come un gioco fortuito del caso dispettoso.



E non è finita. Il Ferraris sempra impazzire per una dritta marxiana.


Un insegnamento che a lui appare centrale ed ineludibile, in grado di spiegarci la modernità come mai nessun altro: Marx insegnerebbe la "...contrapposizione tra la testa, che crede di fare...e le mani, che effettivamente fanno. La testa crede di fare una cosa, ma la mano ne fa un' altra...".
Devo ammettere che, da cattivo costruttore, avevo scartato questra pietra angolare dell' opera marxiana.



Adesso che ci penso...ma chi glielo dice al Ferraris che un concetto come quello delle "conseguenze non-intenzionali" guida e giustifica tutta l' ideologia iper-liberista (lui userebbe questa etichetta) dagli anni trenta del secolo scorso ad oggi?

Sintomatica la chiusa con cui Ferraris si mette a parlare con urgenza di Mele, Cesa e Berlusconi, facendo capire che ce li aveva in testa fin dall' inizio e non vedeva l' ora di arrivare a citarli.

[...ma il fantasma di Berlusconi quante vecchiaie più o meno illustri ha rovinato?...]

Prima di girare finalmente pagina un ultimo pensiero mi sorprende: ma non è che in tutta questa storia del declino c' entra qualcosina anche la nostra classe intellettuale?

giovedì 13 dicembre 2007

Alla larga dal modello europeo

La correlazione tra tasse e civiltà come la coglie Heritage Foundation per suonare la sveglia al modello europeo. Italia esempio privilegiato.